lunedì 28 novembre 2016

Il giardino dei Finzi-Contini. Una delle forme più odiose di antisemitismo era precisamente questa: lamentare che gli ebrei non fossero abbastanza COME gli altri, e poi, viceversa, constatata la loro pressoché totale assimilazione all'ambiente circostante, lamentare l'opposto: che fossero tali e quali agli altri, cioè, nemmeno un poco diversi dalla media comune.

Il manoscritto de Il Gattopardo mi venne segnalato nell'autunno del 1957. 
Lampedusa era già morto. 
La persona amica che me ne parlò per prima mi confidò d'avere l'impressione che il manoscritto fosse di mano d'una anziana signorina dell'aristocrazia palermitana. Incuriosito, andai a ritirare il testo. Ricordo che il pacchetto m'era stato lasciato nella guardiola del portinaio. Lo aprii immediatamente e cominciai lì stesso, a scorrerne le prime righe. Ebbi subito l'impressione che non si trattasse affatto d'un'anziana signorina, ma di un vero scrittore. Seppi, più tardi, che il manoscritto era del principe Tomasi di Lampedusa che avevo conosciuto, due anni prima, a San Pellegrino insieme a Lucio Piccolo, il poeta suo amico, in un incontro di giovani scrittori.
A quell'incontro era venuto, in treno dalla Sicilia, accompagnato da un servitore, anche Lampedusa. Quando fui più avanti nella lettura del manoscritto, il mio interesse si trasformò in entusiasmo. Chiamai la vedova a Palermo e ricordo che la principessa, con quel suo strano accento russo-tedesco, mi chiese al telefono: «Ma lei crede veramente che si tratta di bello libro?». 
«Stupendo», risposi e aggiunsi che avrei richiamato appena completato il manoscritto. 
Quando finii la lettura, mi accorsi per la verità che il testo era un po’ tronco nel finale e di ciò parlai con la vedova dell'autore in una seconda conversazione. 
La principessa a quel punto mi chiese:
« Lei crede che starebbe bene un ballo verso la fine?»
Giorgio Bassani ricorda, nel ventennale della morte, 
Giuseppe Tomasi di Lampedusa;  Repubblica, 22 luglio 1957




Ieri sera a letto mi ero messo dalla parte destra quella che occupa lei quando è qui e stamani svegliandomi mi son ritrovato a sinistra di dove nel buio ascolto insonne talora il battito possente del suo esserci. Cosa mi ha indotto dunque durante la notte ad abbandonare lo spazio del suo grande corpo assente se non l'ansia d’essere anche io niente?
Giorgio Bassani, A letto

I luoghi dove si ha pianto, dove si ha sofferto, e dove si trovarono molte risorse interne per sperare e resistere, sono proprio quelli a cui ci si affeziona di più.
Giorgio Bassani.


“Chissà come nasce e perché una vocazione alla solitudine.”
Giorgio Bassani


Cara Jenny,
per disegnare bene bisogna essere molto cattivi, ricordatelo, 
bisogna smontare il mondo per ricostruirlo pezzo per pezzo con infinita pazienza.
Giorgio Bassani


Chi corre dietro al pubblico, vuol dire che dentro di sé non ha niente
Giorgio Bassani


lascia ch'io torni al mio paese sepolto nell'erba come in un mare caldo e pesante. 
let me return to my home town entombed 
in grass as in a warm and high sea
Giorgio Bassani, “Saluto a Roma.” 
Epigraph from The Lowland by Jhumpa Lahiri.


Venezia soffre soprattutto delle conseguenze di una cultura che tende ad estrapolarla, a farne qualcosa che non appartiene più alla vita, ma soltanto ai sogni dei poeti (dei cattivi poeti, tuttavia, giacché i poeti veri hanno, e come!, il senso del rapporto tra l'arte e la vita).
Giorgio Bassani, Un Paese sacro



"Il professor Bianchi, d'italiano, aveva cominciato le lezioni declamando una canzone di Dante, e un verso, di questa, mi aveva straordinariamente colpito. Diceva: 
«L'essilio che m'è dato a onor mi tegno». 
Poteva essere la mia divisa – pensavo –, il mio motto. 
Giorgio Bassani, Dietro la porta. p. 16


[...] Tardo a capire, incapace d'un solo gesto e d'una sola parola, inchiodato alla mia viltà e al mio livore, io rimanevo il solito piccolo, impotente sicario di sempre. E la porta dietro la quale ancora una volta mi nascondevo (a lui, Luciano, e a mia madre insieme...), né adesso né mai avrei potuto trovare, in me, la forza e il coraggio necessarii a spalancarla.
Giorgio Bassani, Dietro la porta. Explicit



Non c'è nulla più dell'onesta pretesa di mantenere distinto nella propria vità ciò che è pubblico da ciò che è privato, che ecciti l'interesse indiscreto delle piccole società perbene. 
Giorgio Bassani, Gli occhiali d'oro, p.  231


«La guardi», diceva intanto Fadigati, indicandomela [la cagna]. 
«Forse bisognerebbe essere così, sapere accettare la propria natura. 
Ma d'altra parte come si fa? È possibile pagare un prezzo simile? 
Nell'uomo c'è molto della bestia, eppure può, l'uomo, arrendersi? 
Ammettere di essere una bestia, e soltanto una bestia?» 
Scoppiai in una gran risata. 
«Oh, no», dissi. «Sarebbe come dire: 
può un italiano, un cittadino italiano, 
ammettere di essere un ebreo, e soltanto un ebreo?» [...]
«Che cosa dovrei fare?», lo interruppi con impeto. 
«Accettare di essere quello che sono? 
O meglio adattarmi ad essere quello che gli altri vogliono che io sia?» 
Giorgio Bassani, Gli occhiali d'oro, p. 304




La gioia di mio padre – pensavo – era quella dello scolaretto ingiustamente espulso, il quale, richiamato indietro per ordine del maestro dal corridoio deserto dove rimase per un poco di tempo in esilio, si trovi, a un tratto, contro ogni sua aspettativa, riammesso in aula fra i cari compagni: non soltanto assolto, ma riconosciuto innocente e riabilitato in pieno. Ebbene non era giusto, in fondo, che mio padre gioisse come quel bambino? Io però no. Il senso di solitudine che mi aveva sempre accompagnato in quei due ultimi mesi diventava se mai, proprio adesso, ancora più atroce: totale e definitivo. Dal mio esilio non sarei mai tornato, io. Mai più. 
Giorgio Bassani, Gli occhiali d'oro, pp. 317-318


Explicit
Respirai profondamente. E adesso capivo, sì, già prima che cominciassi a leggere il mezzo colonnino sotto il titolo, il quale non parlava affatto di suicidio, s'intende, ma, secondo lo stile dei tempi, soltanto di disgrazia. (A nessuno era lecito sopprimersi, in quegli anni: nemmeno ai vecchi disonorati e senza più alcuna ragione di restare al mondo...)
Non finii di leggerlo, comunque. Abbassai le palpebre. Il battito del cuore ridiventava a poco a poco regolare. Aspettai che l'Elisa chiudesse dietro di sé la porta di cucina, e poi, quietamente, ma subito:
«È morto il dottor Fadigati», dissi.



"È il dolore di uno spazio (il giardino, la tomba, la Hutte) senza attesa, senza incontro; dove i morti sfiorano i vivi passando loro oltre, limitandosi a un cenno confidente e discreto come quello di Micol sotto il talèd paterno. Il pudore di Bassani nasce dalla consapevolezza di essere l'unico corpo dolorosamente ancora vivo in una processione di ombre. Nulla è reale ne Il giardino dei fimi-Contini perché nulla è ancora compiuto. Per questo in tutto il romanzo ce un solo vero abbraccio, quello tenerissimo fra il protagonista e suo padre. Per questo Micol reagisce ai baci di Giorgio guardando «davanti a se», distante anche nel sesso, e se ama qualcosa sono gli alberi pensierosi e antichi e il sandolino, creatura di pietra e sabbia e «almeno lì, nulla sarebbe mai cambiato», come in una pazienza ricoperta di erbe selvagge." 
A.A. da Cento romanzi italiani (1901-1995)
Manoscritto,donato dalla moglie alla fondazione Bassani di Ferrara


Il cimitero era un vastissimo campo recintato, ai piedi dei bastioni della città. 
Le lapidi parevano poche per quello spazio; si notavano più fitte soltanto nel tratto di verde dove cadeva l'ombra del muro di cinta.
Giorgio Bassani, Il muro di cinta. Incipit.


Soltanto l'insistenza del padre aveva potuto indurre Girolamo Camaioli a seguire i funerali dello zio Celio. «Il cancro non perdona», aveva detto. 
Giorgio Bassani, Il muro di cinta, p. 8

Dopo il funerale – prevedeva Girolamo – suo padre avrebbe parlato della malattia e della morte, che adesso come non mai avrebbe intuito imminente. «Quante sofferenze prima di chiudere gli occhi, povero Celio!», avrebbe detto. «Ma dopo la morte non c'è più nulla». Solo i morti stanno bene. Giorgio Bassani, Il muro di cinta, p. 9

Giorgio Bassani, Il muro di cinta. Explicit
La mamma, sorridendo come solo sanno sorridere i morti nella memoria, pieni di compatimento e di indulgenza [...], gli aveva posato dolcemente una mano sulla bocca. Quindi gli aveva legato un fazzoletto intorno al ginocchio.



In Hitler il popolo tedesco ha trovato riassunti, al di sopra di ogni schema tradizionale di divisioni classistiche, alcuni dei motivi essenziali da sempre ritornanti a definire il proprio carattere, la fisionomia del proprio ethos: il gusto della violenza, il misticismo «romantico», la fanatica dedizione a un ordine meccanico, disumano. Hitler sapeva trascinare il grande industriale con l'esca dell'interesse e col ricorso al mito prediletto della supremazia tedesca nel mondo; affascinava il piccolo borghese col suo estetismo pompier, con la sua oratoria accesa e volgare, pronta sempre ad offrire, di ogni problema, la soluzione più semplicistica; piaceva all'intellettuale decadente, permeato di femmineo postnicianesimo (l'intelligencija tedesca già nel 1914 era in stato fallimentare come nessun'altra in Europa), per la sua ostentata energia virile, per il suo dichiarato disprezzo di ogni indugio morale o sentimentale, per quel suo rozzo materialismo demagogico che, nonostante tutto, pretendeva considerazione «spirituale». Conquistava infine anche l'operaio, facendo leva non soltanto sul suo sciovinismo non perfettamente esorcizzato, ma porgendogli, anche, delle sue rivendicazioni sociali, un'attuazione più concretamente immediata, meno utopica e intellettualistica di quanto non gliela prospettasse il programma della rivoluzione proletaria: e fosse pure nei limiti di una umiliante, paternalistica nota di concessioni padronali. [...] il nazismo non è certo la realizzazione di un genio. Hitler è effettivamente uno dei tanti [...]. 
Parlare di tirannide perciò non persuade. Esiste una tecnica della tirannide, esposta in classiche trattazioni. Ma il nazionalsocialismo al potere non ne tiene conto per nulla, e in questo sì che è rivoluzionario. Assolutista, il nazismo raggiunge la popolarità proprio in ragione del suo prepotere. [...] Il nazionalsocialismo, al contrario, non concede nessuna rivincita, sia pure formale, alle avanguardie dello Spirito. Il suo cinismo, la sua crudeltà, la sua perfidia, trovano dall'inizio tutta una orgogliosa cultura preparata a giustificarli, a farseli propri. La tirannide non presenta più il viso odioso e meschino del regime di polizia, non adopera più di soppiatto, tra impaurita e feroce, i vecchi mezzucci della sobillazione e della calunnia, ma si accampa, fanatica e violenta, con la sicurezza, l'intransigenza esclusiva di una religione messianica. [...]
Sentirsi puri, non contaminati. Il popolo tedesco ha sempre reagito alle proprie crisi con un disperato, irrazionale desiderio di purezza: e la rivolta luterana – a un livello umano e ideale ben diverso, d'accordo – rappresenta forse il primo, imponente documento storico di questo impulso innato. Sorto dopo Versaglia, il nazionalsocialismo non si è tanto imposto con la violenza alle masse, quanto piuttosto le ha trovate già pronte ad accoglierlo e ad acclamarlo. 
Giorgio Bassani, Di là dal cuore
da La rivoluzione come gioco; p. 44


La disinvoltura linguistica del dialogo manzoniano cos'altro è se non il segno, la spia, di una religione indifferente alla realtà, alla realtà così com'è intesa dai romanzieri realisti? (da Per un nuovo film sui Promessi Sposi; p. 199)
In un mondo come il nostro, volto con sempre più consapevole determinazione, ad est e ad ovest, a nord e a sud, alla ricerca e all'impiego delle competenze e dei talenti, non mi pare che sia il caso da parte degli scrittori di invocare una inserzione nell'ingranaggio della gran macchina produttiva ancora più diffusa e completa di quella attuale. [...] E così bisogna servire, rendersi utili, collaborare [...]. L'unica cosa da pretendere sarà se mai un'altra: e cioè che il nostro servizio, la nostra collaborazione, non abbiano a risolversi in una alienazione della nostra natura e del nostro destino. [...] vendere l'anima: ecco uno sbaglio che l'utente vero, il destinatario autentico e indispensabile, così poco adatto a far parte delle inerti assemblee consumistiche vagheggiate dalle fantasie dei tecnici e dei datori di lavoro, non perdona mai. (da Lo scrittore e i mezzi di diffusione della cultura; pp. 209-210)
La vita è musicale, si sa. Sui suoi temi fondamentali, sulle sue frasi più intense, non ama indugiare. (da Prefazione al Gattopardo; p. 218)


"L'italiano chi è? È quello rappresentato da Alberto Sordi:
oltre alla sua macchina e alla sua famiglia, non va."
Giorgio Bassani


Perché i popolani italiani uscissero dal loro ghetto, non c'è mai stato che un mezzo, imparare il latino per poi passare all'italiano nazional-popolare del Manzoni. Era impensabile non passare attraverso il latino. Oggi, qui in America, [per gli immigrati italiani bilingui] invece del latino c'è l'inglese.“Una mostra in Canada, 1980
Giorgio Bassani


E pur respingendo le aberrazioni deliranti di certa medicina «industriale», o meglio fantascientifica, badiamo piuttosto, specialmente noi letterati, a debellare quella che fra le malattie contemporanee è la più diffusa nell'ambito della categoria: l'estetismo, il culto narcisistico del proprio io spirituale, insaziato di privilegi ottenuti a scapito di chi, come patrimonio personale, non può disporre che del proprio corpo, a scapito dei più...
Giorgio Bassani, In risposta, IV, 7, p. 357



"[In Italia] Dopo la dittatura non si è verificato il trapasso alla democrazia, ma solo la spartizione fra i partiti del potere e dello spazio politico. Siccome lo Stato non c'è, gli intellettuali, a seconda delle loro inclinazioni ideologiche, si lasciano assorbire dai vari potentati."
Giorgio Bassani, La missione della cultura, 1973




"Un parco naturale, signor presidente, è, prima che una forma di gestione del territorio a scopi conservatori, una grande occasione di turismo, di quello vero, di quello cioè che visita un parco rispettandone i valori e rinunciando a pretenderne il sacrificio con ragnatele di impianti e strade con costruzioni cementizie."
Giorgio Bassani, Tutela del paesaggio in Trentino, 1973


"E dunque: perché ci si gingilla, tuttora, con l'invio sul posto di comitati o comitatoni ministeriali? Non sartà soltanto perché passi dell'altro tempo, giusto il tempo necessario perché anche i bambini si rassegnino all'idea di una Venezia chiusa da ogni parte dentro un anello di superbe dighe cementizie, più o meno olandesi o longanoriane: di una Venezia in bagnarola?"
Giorgio Bassani, L'amministrazione dei beni culturali, 1969




"Il giardino dei Finzi-Contini non è mai esistito a Ferrara, me lo sono inventato.
L'ho collocato a Ferrara perché mi serviva da un punto di vista poetico, avevo bisogno di un fatto di questo genere, e non è mai esistito, né sono mai esistiti i Finzi-Contini come famiglia, né tanto meno Micòl Finzi-Contini. Me lo chiedono in molti: ma è esistita veramente Micòl? Non è mai esistita. Però, naturalmente, Micòl è esistita in quanto che sono esistito io, esisto io, è una forma del mio sentimento, è una parte di me."
Giorgio Bassani, Ecologia e letteratura, 1984



"Tenendosi a braccetto, alcune ragazze formavano a volte delle catene tutte femminili di cinque o sei. Strane, mi dicevo, guardandole. Nell'attimo che le incrociavamo, scrutavano attraverso i cristalli coi loro occhi ridenti, nei quali la curiosità si mescolava a una specie di bizzarro orgoglio, di disprezzo appena simulato. Davvero strane. Belle e Libere."
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini



Era il “nostro” vizio, questo: d’andare avanti con le teste sempre voltate all’indietro.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini

Più del presente contava il passato, più del possesso il ricordarsene. Di fronte alla memoria, ogni possesso non può apparire che delusivo, banale, insufficiente.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini

Nella vita, se uno vuol capire, capire sul serio come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini


"a chi gli da retta il cuore ha sempre qualcosa da dire su quello che sarà.
Ma in fondo cosa sa il cuore?
Appena un poco di quello che ha già vissuto."
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, prefazione 


Io… io le stavo «di fianco», capivo? 
Non già «di fronte», mentre l'amore - così, almeno, se lo immaginava lei - era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d'animo e onestà di propositi.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini


Tacque per qualche istante, gli occhi fissi al soffitto. 
Quindi, appoggiatasi col gomito al guanciale, riprese a parlarmi: ma seria, adesso, grave.
Disse che le dispiaceva darmi un dolore, che le dispiaceva moltissimo. 
D'altra parte bisognava pure che me ne convincessi: non era assolutamente il caso che sciupassimo, come stavamo rischiando, i bei ricordi d'infanzia che avevamo in comune. 
Metterci a far l'amore noi due! Mi pareva davvero possibile?
Domandai perché le sembrasse tanto impossibile.
Per infinite ragioni - rispose - ma soprattutto perché il pensiero di far l'amore con me la sconcertava, l'imbarazzava: tale e quale come se avesse immaginato di farlo con un fratello, toh, con Alberto. 
Era vero, da bambina lei aveva avuto per me un piccolo «striscio»: e chissà, forse era proprio questo che adesso la bloccava talmente nei miei riguardi. Io… io le stavo «di fianco», capivo?, non già «di fronte», mentre l'amore (così almeno se lo figurava lei) era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d'animo e onestà di propositi.

Maudit soit à jamais le réveur inutile qui voulut le premier, dans sa stupidité, s'éprenant d'un problème insoluble et stérile aux choses de l'amour méler l'honnéteté!

aveva ammonito Baudelaire, che se ne intendeva. 
E noi? Stupidamente onesti entrambi, uguali in tutto e per tutto come due gocce d'acqua 
(«e gli uguali non si combattono, credi a me!»), avremmo mai potuto sopraffarci l'un l'altro, noi, desiderare davvero di «sbranarci»? No, per carità. Visto come il buon Dio ci aveva fabbricati, la faccenda non sarebbe stata né augurabile né possibile.

Giorgio Bassani - Il giardino dei Finzi-Contini




Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio di giugno? 
Più di trenta. 
Eppure, se chiudo gli occhi, Micòl Finzi-Contini 
sta ancora là, affacciata al muro di cinta del suo giardino, che mi guarda e mi parla.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini


Nelle pause del gioco, oltre ad addentare qualche panino che sempre, non senza ostentazione di anticonformismo religioso, sceglieva tra quelli al prosciutto di maiale, Micòl tracannava a piena gola un intero bicchiere del suo caro «beverone», incitandoci di continuo a prenderne anche noi «in omaggio» – diceva ridendo – «al defunto Impero austro-ungarico».
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini


Anche le cose muoiono, caro mio.
E dunque, se anche loro devono morire, tant'è, meglio lasciarle andare.
C'è molto più stile, oltre tutto, ti sembra?
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini

Contai via via più di trenta coppie.
E sebbene, a volte, passassi loro così vicino da sfiorarli con la ruota,
nessuno, mai, che desse segno di accorgersi della mia presenza silenziosa.
Mi sentivo, ed ero, una specie di fantasma trascorrente:
pieno di vita e di morte insieme; di passione e distaccata pietà.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini


Io ero rimasto qui, e per me che ero rimasto, e che ancora una volta avevo scelto per orgoglio e aridità una solitudine nutrita di vaghe, nebulose, impotenti speranze, per me in realtà non c'era più speranza, nessuna speranza.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini


"Una delle forme più odiose di antisemitismo era precisamente questa: 
lamentare che gli ebrei non fossero abbastanza COME gli altri
e poi, viceversa, constatata la loro pressoché totale assimilazione all'ambiente circostante, 
lamentare l'opposto: che fossero tali e quali agli altri, cioè, 
nemmeno un poco diversi dalla media comune."
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini.




«Ti passerà» continuava, «ti passerà, e molto più presto di quanto tu non creda. Certo, mi dispiace: immagino quello che senti in questo momento. Però un pochino t’invidio, sai? Nella vita, se uno vuol capire, capire sul serio come stanno le cose di questo mondo, ‘deve’ morire almeno una volta.
E allora, dato che la legge è questa, meglio morire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare… Capire da vecchi è brutto, molto più brutto. Come si fa? Non c’è più tempo per ricominciare da zero, e la nostra generazione ne ha prese talmente tante, di cantonate! Ad ogni modo, se Dio benedetto vuole, tu sei così giovane! Tra qualche mese, vedrai, non ti sembrerà neanche vero di essere passato in mezzo a tutto questo. Sarai magari perfino contento.
Ti sentirai più ricco, non so… più maturo…»
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Einaudi, 1962; pp.277-78.


Quando Micòl ebbe deposto il ricevitore sollevai il capo.
«Hai detto che noi due siamo uguali» dissi. «In che senso?»
Ma sì, ma sì – esclamò – e nel senso che anch'io, come lei, non disponevo di quel gusto istintivo delle cose che caratterizza la gente normale. Lo intuiva benissimo: per me, non meno che per lei, più del presente contava il passato, più del possesso il ricordarsene. Di fronte alla memoria, ogni possesso non può apparire che delusivo, banale, insufficiente… Come mi capiva! La mia ansia che il presente diventasse «subito» passato perché potessi amarlo e vagheggiarlo a mio agio era anche sua, tale e quale. Era il «nostro» vizio, questo: d'andare avanti con le teste sempre voltate all'indietro. Non era così?
Era così – non potei fare a meno di riconoscere dentro me stesso – era proprio così.
Quand'è che l'avevo abbracciata? Al massimo un'ora prima.
E tutto era già tornato irreale e favoloso come sempre:
un evento da non crederci, o da averne paura.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini



Lo intuiva benissimo: per me, non meno che per lei, più del possesso delle cose contava la memoria di esse, la memoria di fronte alla quale ogni possesso, in sé, non può apparire che delusivo, banale, insufficiente. Come mi capiva! La mia ansia che il presente diventasse subito passato, perché potessi amarlo e vagheggiarlo a mio agio, era anche sua, tale e quale. Era il nostro vizio, questo: d’andare avanti con la testa sempre voltata all’indietro
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini



«Si capisce», rispose. «I morti da poco sono più vicini a noi, e appunto per questo gli vogliamo più bene. Gli etruschi, vedi, è tanto tempo che sono morti» – e di nuovo stava raccontando una favola –, «che è come se non siano mai vissuti, come se siano sempre stati morti».
[...] toccò a Giannina impartire la sua lezione.
«Però adesso che dici così», proferì dolcemente, «mi fai pensare che anche gli etruschi sono vissuti, invece, e voglio bene anche a loro come a tutti gli altri».
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini
(prologo)


Lì, tuttavia, nel breve recinto sacro ai morti familiari...almeno lì [...] nulla sarebbe mai cambiato. Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini
(prologo)

In fase di espansione imperialistica il capitalismo non può che mostrarsi intollerante nei confronti di tutte le minoranze nazionali, e degli ebrei, in particolare, che sono la minoranza per antonomasia.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, II, I; 2012, p. 52


La verità è che a furia di far collezioni, di cose, di piante, di tutto,
si finisce a poco a poco col voler farle anche con le persone.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, II, I; 1991, p. 56


Una delle forme più odiose di antisemitismo era appunto questa: lamentare che gli ebrei non fossero abbastanza come gli altri, e poi, viceversa, constatata la loro pressoché totale assimilazione all'ambiente circostante, lamentare che fossero tali e quali come gli altri, nemmeno un poco diversi dalla media comune.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, III, V; 1991, p. 137


Mi aggrappavo alla scrivanietta che il professore Ermanno dal gennaio scorso aveva fatto collocare per me sotto la finestra di mezzo del salone del biliardo, come se, così facendo, mi fosse dato di arrestare l'inarrestabile progresso del tempo.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, III, VI; 2012, p. 130

Qui sedevamo noi, i vivi [...] tristi e pensierosi come dei morti. [...]
Anche se li sapevo [...] disadatti a valutare la reale portata dell'oggi li vedevo, avvolti nella memoria. Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, III, VII; 2012, p. 137


Ancora qualche secondo, e avrei udito la sua voce, il suo «ciao».
«Ciao» disse Micòl, ferma sulla soglia. «Che bravo, a venire.»
Avevo previsto tutto con molta esattezza: tutto, tranne che l'avrei baciata.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, III, VII; 2012, p. 140


Ora lui, Bartleby, finché lo mettevano a scrivere, ci dava dentro a sgobbare coscienziosamente.
Ma se a Spencer Tracy veniva in testa di affidargli qualche lavoretto supplementare, come quello di collazionare una copia sul testo, originale, o di fare un salto dal tabaccaio all'angolo della strada per comperare un francobollo, lui niente: si limitava a sorridere evasivo, e rispondere con educata fermezza: «I prefer not to».[1Cfr. Herman Melville.]
«E per quale motivo, poi?» chiesi, tornando col libro in mano.
«Perché non gli andava di far altro che lo scrivano. Lo scrivano e basta.»
«Però scusa» obbiettai. «immagino che Spencer Tracy gli passasse un regolare stipendio.»
«Certo» rispose Micòl. «Ma cosa significa? Lo stipendio paga il lavoro, mica la persona che lo compie.» [...]
Discutemmo abbastanza a lungo sul povero Bartleby e su Spencer Tracy. Lei mi rimproverava di non capire, di essere «un» banale, il solito inveterato conformista.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, IV, II; 1991, pp. 173-174)


[...] ebbi il senso preciso che stavo perdendola, che l'avevo perduta.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini,
IV, II; 2012, p. 158

Eh, sì, tagliare la corda è facile: ma a cosa porta, quasi sempre, specie in materia di «situazioni morbide»? Novantanove volte su cento la brace continua a covare sotto la cenere: col magnifico risultato che dopo, quando due si rivedono, parlarsi tranquillamente, da buoni amici, è diventato difficilissimo, pressoché impossibile.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini,
IV, III; 1962, p. 221; 1990, p. 398


Domandai [a Micòl] perché le sembrasse tanto impossibile [che lui e lei potessero fare l'amore].
Per infinite ragioni – rispose –: la prima delle quali era che a pensar di far l'amore con me le riusciva altrettanto imbarazzante che se avesse pensato di farlo con il fratello, toh, con Alberto. Era vero: da bambina, aveva avuto per me un piccolo striscio: e chissà, forse era proprio questo che adesso la bloccava talmente nei miei riguardi. Io… io le stavo di fianco, capivo?, non già di fronte: mentre l'amore – così, almeno, se lo immaginava lei – era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d'animo e onestà di propositi.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini,
IV, III; 1962, p. 222; 1990, p. 399


[...] più del presente contava il passato, più del possesso il ricordarsene. Di fronte alla memoria, ogni possesso non può apparire che delusivo, banale, insufficiente.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini,
IV, III; 2012, p. 163

Era il 'nostro' vizio questo: d'andare avanti con le teste sempre voltate all'indietro.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini,
IV, III; 2012, p. 163

Non gli restava che comportarsi come Don Abbondio. Inchinarsi, e mormorare:'Disposto sempre all'obbedienza'.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini,
IV, IV; 2012, p. 170


Ma Micòl non discese, per questo, dal piedistallo di purezza e di superiorità morale su cui, da quando ero partito per l'esilio, l'avevo collocata. Essa continuò a rimanerci, lassù. Io, per me, mi consideravo fortunato di essere stato riammesso ad ammirarne ogni tanto l'immagine lontana, bella di dentro non meno che di fuori.
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini,
1962, p. 242









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