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mercoledì 27 settembre 2017

Eudosso. Durante il ritorno dal secondo viaggio in India, la flotta di Eudosso fu sospinta da un monsone a sud del golfo di Aden, tanto da inoltrarsi negli inesplorati mari lungo la costa dell'Africa. Raggiunta la costa somala a sud del Capo Guardafui, Eudosso trovò il relitto di una nave presso la riva e, attraccata la flotta, scese a terra in esplorazione. Il relitto presentava una scultura di prua in legno a forma di cavallo. Raggiunto l’Egitto, egli mostrò la scultura a degli armatori di navi mercantili, i quali gli riferirono che apparteneva alla prua di un’imbarcazione proveniente da Cadice. In questa città, continuarono nel loro racconto, le persone facoltose armavano delle grandi navi, mentre i poveri armavano piccole imbarcazioni chiamate hippoi, cioè cavalli, a motivo delle immagini scolpite sulla prua, con le quali si spingevano a pescare sulle coste mauritane fino all’altezza del fiume Lixus (la città di Lixus nel Marocco antico, ha preso il nome dall'omonimo fiume ed è stata considerata dalla mitografia greca e romana la sede di miti occidentali incentrati su Herakles - Hercules, quali il Giardino delle Esperidi, Anteo ed Atlante); l’hippos di cui Eudosso rinvenne la scultura si era perso andando a navigare oltre il Lixus, dunque in acque più meridionali, da dove non tornò più indietro. Eudosso, quindi, si convinse del fatto che era possibile navigare da Cadice fino all’Africa orientale e, sulla base di questo presupposto, programmò la sua prima spedizione atlantica.



Poco tempo fa abbiamo letto l'ipotesi di un archeologo sul fatto che il famoso Cavallo di Troia fosse in effetti un tipo di nave chiamata hippos.  [...]

Studiando i viaggi di Annone abbiamo visto che, in effetti, si trattava di navigazione lungo la costa, anche se la costa era quella dell'Africa.

Ma ci sono stati altri navigatori che non hanno avuto paura di affrontare le acque di un Oceano. 
Già il marsigliese Pitea, nei suoi viaggi a settentrione, aveva solcato acque oceaniche, anche se all'epoca aveva avuto poco credito da parte degli storici.

Ma con Eudosso ci troviamo di fronte alla certezza di un viaggio (e forse più) in mare aperto, anzi in pieno Oceano, l'Oceano Indiano.

E ci sono resoconti di storici che parlano di 80 navi romane ogni anno in partenza per l'India dall'Egitto, conquistato da Ottaviano.

E man mano che andiamo a verificare ci troviamo di fronte a navigatori fenici, greci, punici e romani che scorrazzavano senza timore non solo su un mare interno, diciamo così, come il Mediterraneo ma anche nelle acque ben più pericolose e sconosciute degli oceani.

Una delle critiche mosse al riguardo punta sul fatto che le navi per eccellenza, le navi da guerra, avevano bordi troppo bassi sul mare in caso di tempesta.

Ma chi si muoveva continuamente sui mari erano i mercanti; e le navi onerarie, proprio perché dovevano imbarcare merci, avevano bordi alti. Tutti questi viaggi sono stati affrontati su navi da carico e non su agili ma, al contempo, fragili navi da guerra.

Una delle testimonianze che abbiamo in materia di esplorazioni di matrice greca è quella relativa ai due viaggi nell'Oceano Indiano e, forse, altri due nell'Oceano Atlantico di Eudosso di Cizico.
Eudosso è stato un navigatore e geografo greco che esplorò il mare arabico per conto di Tolomeo VIII, re della dinastia tolemaica in Egitto, e di sua moglie Cleopatra.

La fonte è il geografo Strabone, il quale ha ritrovato la descrizione delle navigazioni oceaniche di Eudosso nell’opera di Posidonio.

Secondo Posidonio, il primo greco a esplorare l'Oceano Indiano fu proprio Eudosso di Cizico. Posidonio scrive che un naufrago, che affermava di essere indiano, fu salvato da alcuni marinai greci nel Mar Rosso e portato ad Alessandria, presso la corte di Tolomeo VIII. 
Il marinaio indiano propose al re, in cambio della libertà, di guidare i Greci alla volta dell'India.
Tolomeo allora designò come comandante Eudosso di Cizico, il quale compì due viaggi in India: nel primo (118 a.C.), fu guidato dal marinaio indiano; dopo il ritorno con a bordo carichi di preziose pietre, nel 116 a.C. intraprese un altro viaggio senza alcuna guida.
Strabone, che rappresenta la principale fonte sulla vita di Eudosso, è comunque scettico riguardo la veridicità di questi viaggi; le opinioni moderne a riguardo tendono comunque a considerarli possibili, dato che da questi anni in poi cominceranno i contatti con le popolazioni dell'India.
Verso la fine del secolo, Greci e Indiani erano soliti incontrarsi presso i porti arabici come quello di Aden (chiamato dai Greci Eudaemon).

Relativamente scarsi furono invece i tentativi di raggiungere direttamente l'India da parte dei Greci: la rotta era ritenuta ancora troppo lunga e pericolosa, e il viaggio costoso.
Al contrario gli Indiani sfruttavano i monsoni, venti che i Greci non conoscevano ancora.
Fu quando, secondo Posidonio, il naufrago indiano insegnò a Eudosso come sfruttare al meglio questi venti, che i Greci cominciarono ad apprendere il metodo per raggiungere l'India molto più velocemente. Per velocizzare i viaggi, infatti, si partiva ad ottobre, sfruttando il monsone di sud-ovest, e si tornava a novembre con il monsone di nord-ovest.

Ma ritorniamo a Eudosso. 
Durante il ritorno dal secondo viaggio in India, la flotta di Eudosso fu sospinta da un monsone a sud del golfo di Aden, tanto da inoltrarsi negli inesplorati mari lungo la costa dell'Africa.
Raggiunta la costa somala a sud del Capo Guardafui, Eudosso trovò il relitto di una nave presso la riva e, attraccata la flotta, scese a terra in esplorazione. 
Il relitto presentava una scultura di prua in legno a forma di cavallo.
Raggiunto l’Egitto, egli mostrò la scultura a degli armatori di navi mercantili, i quali gli riferirono che apparteneva alla prua di un’imbarcazione proveniente da Cadice.
In questa città, continuarono nel loro racconto, le persone facoltose armavano delle grandi navi, mentre i poveri armavano piccole imbarcazioni chiamate hippoi, cioè cavalli, a motivo delle immagini scolpite sulla prua, con le quali si spingevano a pescare sulle coste mauritane fino all’altezza del fiume Lixus (la città di Lixus nel Marocco antico, ha preso il nome dall'omonimo fiume ed è stata considerata dalla mitografia greca e romana la sede di miti occidentali incentrati su Herakles - Hercules, quali il Giardino delle Esperidi, Anteo ed Atlante); l’hippos di cui Eudosso rinvenne la scultura si era perso andando a navigare oltre il Lixus, dunque in acque più meridionali, da dove non tornò più indietro.

Eudosso, quindi, si convinse del fatto che era possibile navigare da Cadice fino all’Africa orientale e, sulla base di questo presupposto, programmò la sua prima spedizione atlantica.

La spedizione era composta da una nave e due grosse barche sulle quali riuscì a caricare non solo rifornimenti e provviste varie, ma anche medici, artigiani e musicisti.

Secondo Posidonio, Eudosso durante il suo viaggio incontrò una popolazione che sembrava parlasse la stessa lingua che aveva sentito: da qui concluse di aver compiuto l'obiettivo della sua spedizione; anche se resta comunque probabile il contrario, che cioè Eudosso non abbia nella realtà circumnavigato l'Africa.

Durante il ritorno dal viaggio in Africa, Eudosso vide un'isola boscosa e fertile (fatto che porta a non escludere che Eudosso abbia toccato l’arcipelago delle Canarie) e segnò con precisione la sua posizione.

I consiglieri del re Tolomeo IX (che era nel frattempo succeduto al padre), avendo paura che Eudosso potesse rivelare ai nemici le rotte da lui scoperte, organizzarono in segreto una nuova spedizione per abbandonare il geografo di Cizico su un'isola deserta. Eudosso però, venuto a conoscenza degli intenti del re, riparò in Iberia e da qui salpò alla volta della fertile isola che aveva notato durante il ritorno dal viaggio in Africa.

Le informazioni raccolte da Posidonio si fermano qui: 
"di ciò che accadde in seguito, ci sarà probabilmente qualche notizia a Cadice e in Iberia ".

Non si conosce nulla sulle sorti di quest'ultimo viaggio; è quindi possibile che Eudosso sia perito durante la fuga dall'Europa come è altrettanto possibile (e me lo auguro vivamente) che sia riuscito ad arrivare alla sua isola "felice" e abbia trascorso lì il resto della sua vita.

Ognuno di noi dovrebbe poter disporre di un'isola felice dove rifugiarsi quando la notte avanza.


mercoledì 27 agosto 2014

Magellano. Circumnavigazione del Globo. La flotta mise l'ancora nella baia di Rio de Janeiro. Gli indigeni credevano i bianchi degli dei, poiché avevano portato la prima pioggia da lungo tempo. Il trattamento riservato ai marinai fu di conseguenza oltre ogni aspettativa, un fatto che avrebbe ritardato la continuazione del viaggio. Ormai si stava avvicinando l'inverno australe e quando Magellano dopo settimane di ricerche dovette ammettere che il Rio de la Plata non nascondeva nessun passaggio verso il Pacifico



Ferdinando Magellano (Sabrosa, 17 ottobre 1480 – isola di Mactan, 27 aprile 1521) circa trenta anni dopo la scoperta dell’America, effettua il primo viaggio intorno al mondo. Il suo scopo era quello di trovare il passaggio ad Ovest per raggiungere le isole Molucche (arcipelago del Pacifico tra l’isola di Celebes e la Nuova Guinea), che tutti a quel tempo preferivano chiamare le Isole delle Spezie. Al tempo di Magellano l’intera Europa aveva bisogno di spezie: zenzero, cannella, chiodi di garofano e soprattutto pepe. Le spezie servivano a variare in molti modi i sapori, e inoltre conservavano e disinfettavanoo i cibi, in un tempo in cui non c’erano certo né norme igieniche né frigoriferi. Chi riusciva a far arrivare un carico di spezie in un punto qualunque d’Europa, diventava ricco di colpo, anche se ad arrivare era solo una partita su tre: infatti, ciò che alle Molucche, il luogo di produzione, si pagava solo cinque o dieci, in Europa si vendeva a cinquecento. Salpato da Siviglia il 10 agosto 1519, il portoghese Magellano giunse in Patagonia nell’ottobre 1520. Individuato uno stretto e tortuoso passaggio – cui diede il proprio nome – lo attraversò sfociando nell’Oceano Pacifico e il 16 marzo 1521 sbarcò sull’isola di Homonhon, a sud-est dell’isola di Samar, nelle Filippine, ma allora note come Isole di San Lazzaro. Qui la mattina del 27 aprile 1521 Magellano fu ucciso durante uno scontro (la battaglia di Mactan) dagli uomini di Lapu-Lapu, capo dell’isola di Mactan. Il viaggio fu proseguito dal secondo ufficiale, l’italiano Antonio Pigafetta, che raggiunse le isole Molucche il 6 novembre 1521. Lì incontrò altri portoghesi che vi erano arrivati dalla parte opposta, seguendo la rotta orientale: era la prova materiale che la Terra era sferica ed era possibile circumnavigarla. Il 6 settembre 1522 l’unica nave superstite della spedizione di Magellano, la Victoria, rientrò nel porto di Siviglia. Il costo umano della spedizione, durata quasi tre anni e percorrendo ben 43 400 miglia, fu altissimo: dei 265 partecipanti ne sopravvissero meno di una ventina. La storia del viaggio di Ferdinando Magellano è nota grazie agli appunti del secondo ufficiale, il vicentino Antonio Pigafetta, capace fra privazioni, battaglie e tragedie di restare al suo posto e di prendere nota giorno dopo giorno della grande impresa che stava vivendo, dando così gloria a Magellano (al quale va tutto il merito dell’impresa) e difendendolo contro i suoi nemici, narrando al suo ritorno le cose come realmente si svolsero.

Spedizione di Ferdinando Magellano

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La spedizione di Magellano ed Elcano fu la prima circumnavigazione del globo terrestre intrapresa tra il 10 agosto 1519 e il 6 settembre 1522 da una flotta di cinque navi capitanate dall'esploratore portoghese Magellano al servizio della Corona spagnola. Dopo la morte di Megellano nelle Filippine nell'aprile 1521 il comando della spedizione venne preso dall'esploratore spagnolo Juan Sebastián Elcano. Il viaggio si concluse con gravi perdite: ritornarono solo due navi, la prima (Victoria) nel 1522 e la seconda (Trinidad), che seguì una rotta diversa senza circumnavigare il globo, solo nel 1525. Dei 234 tra soldati e marinai che formavano l'equipaggio iniziale soltanto 36 si salvarono: 18 sulla Victoria e 5 sulla Trinidad, 13 finirono nelle carceri portoghesi nelle Isole di Capo Verde. La storia del viaggio è nota grazie agli appunti dell'uomo di fiducia (criado) di Magellano, il vicentino Antonio Pigafetta.

Preparazione del viaggio
Nei primi anni '10 del XVI secolo, Magellano entrò in possesso di una carta geografica che ipotizzava un passaggio verso l'Oceano Pacifico al Rio de la Plata. Si convinse di poter in questo modo trovare una via per l'Asia più breve di quella intorno all'Africa.
Una scoperta del genere sarebbe tornata utile alla Spagna, che era rimasta tagliata fuori dalla corsa per le pregiate spezie del lontano oriente dopo il Trattato di Tordesillas. Il trattato aveva assegnato il controllo sull'emisfero orientale al Portogallo, che in questo modo rivendicava anche il possesso delle Molucche, le leggendarie Isole delle Spezie. L'occidente sapeva che lì si trovava la fonte delle più pregiate spezie come la noce moscata o i chiodi di garofano. Tuttavia, solo il limite atlantico tra i due emisferi controllati da Spagna e Portogallo cominciava all'epoca a concretizzarsi dopo le sempre nuove scoperte nel Nuovo Mondo. Non essendo noto il perimetro del globo terrestre, nessuno sapeva dire se le Molucche rientravano ancora nei territori spettanti ai portoghesi. Se possibile, si sarebbe quindi dovuto stabilire se le Molucche si trovassero effettivamente a ovest dell'antimeridiano della linea di demarcazione che, secondo i trattati, divideva le zone di influenza e possesso coloniale. La nuova via navale avrebbe anche permesso di evitare l'aggiramento dell'Africa, i cui porti occidentali e meridionali erano tutti in mano al Portogallo. Naturalmente, non meno importante sarebbe stata l'eventuale scoperta di nuove terre da annettere al già immenso impero del re di Spagna.
Magellano, il quale era stato licenziato con disonore dalla corona portoghese, si disse convinto del fatto che le Molucche si trovassero nell'area spettante alla Spagna e, con il sostegno dell'astronomo Ruy Faleiro, anch'egli portoghese caduto in disgrazia in patria, si recò in Spagna per offrire i suoi servizi a re Carlo I (noto anche come imperatore Carlo V del Sacro Romano Impero). Cambiò anche il suo nome da Fernão de Magalhães in Fernando de Magallanes.
In Spagna, Magellano riuscì a guadagnarsi la fiducia di uomini d'affari influenti che promossero i suoi piani. Il 22 marzo 1518, aValladolid, siglò un contratto con Carlo I, che gli mise a disposizione cinque navi per trovare le Isole delle Spezie: a Magellano e a Ruy Faleiro sarebbe spettata la quinta parte dei proventi della spedizione, mentre i loro eredi sarebbero stati nominati governatori nelle terre scoperte. Inoltre il re garantì di non avallare un altro viaggio con lo stesso scopo per dieci anni a venire.

L'inizio del viaggio

La circumnavigazione del globo
Il 10 agosto 1519 il viaggio ebbe inizio da Siviglia. La flotta di Magellano era composta da cinque navi:


Tra i 234 uomini della spedizione figurarono 170 spagnoli, 40 portoghesi, 20 italiani e quattro interpreti africani ed asiatici. Le provviste erano formate da 7240 kg di pane biscottato, 194 kg di carne essiccata, 163 kg di olio, 381 kg di formaggio, 200 barili di sarde salate e 2856 pesci essiccati.
I registri della spedizione sono conservati presso l'Archivo General de las Indias a Siviglia.
Da Siviglia le navi seguirono il corso del Guadalquivir fino a Sanlúcar de Barrameda, dove furono costretti a fermarsi per cinque settimane, per le riluttanze delle locali autorità spagnole a far partire la spedizione sotto il comando di un ammiraglio portoghese. Solo il 20 settembre 1519 Magellano poté affrontare l'oceano. Ben presto si trovò inseguito da un gruppo di navi mandate da re Manuele I del Portogallo, deciso a sventare il tentativo spagnolo di trovare una via alternativa in Oriente.

Atlantico e Sud America

Magellano riuscì a raggiungere le Isole Canarie, appartenenti alla Spagna, senza farsi prendere dagli inseguitori. Dopo aver preso a bordo nuove provviste, prese la rotta del Brasile. Il 20 novembre la sua flotta attraversò l'equatore. Sull'Atlantico si trovò sfidato da un ammutinamento dei suoi ufficiali spagnoli, al quale pose fine mettendo in catena il primo ufficiale della San Antonio, capo degli ammutinati. Il 6 dicembre venne raggiunta la costa del Sud America, dove la flotta mise l'ancora nella baia di Rio de Janeiro. Gli indigeni credevano i bianchi degli dei, poiché avevano portato la prima pioggia da lungo tempo. Il trattamento riservato ai marinai fu di conseguenza oltre ogni aspettativa, un fatto che avrebbe ritardato la continuazione del viaggio. Ormai si stava avvicinando l'inverno australe e quando Magellano dopo settimane di ricerche dovette ammettere che il Rio de la Plata non nascondeva nessun passaggio verso il Pacifico, decise di svernare in una baia in Patagonia raggiunta il 30 marzo 1520 e chiamata Puerto San Julián.
A San Julián le provviste cominciarono a scarseggiare e si rese necessario un taglio delle razioni. Scoppiò un nuovo ammutinamento su tre delle cinque navi. La rivolta fu debellata e i capitani Luis de Mendoza della Victoria e Gaspare de Quesada della Concepciónfurono giustiziati; il capitano Juan de Cartagena della San Antonio e un clerico che aveva capeggiato l'ammutinamento vennero abbandonati sulla costa.
A maggio la Santiago venne spedita in avanscoperta, ma naufragò dopo poco tempo. Quasi tutto l'equipaggio riuscì a trarsi in salvo e a tornare via terra a Puerto San Julián. L'ammiraglio si rassegnò ad aspettare la fine dell'inverno nella baia di San Julián, che le quattro navi superstiti lasciarono ad ottobre.
Tutte le baie e le bocche dei fiumi vennero esaminati, fino a raggiungere Cabo Vírgenes (Capo delle Vergini) il 21 ottobre. LaConcepcion e la San Antonio furono mandate avanti e tornarono infine con l'agognata notizia di aver trovato il passaggio ad ovest.
Prima di partire Magellano concedette agli altri capitani la scelta di seguirlo ancora o di far rotta per la Spagna. Inizialmente tutti declinarono l'offerta di tornare indietro, ma alcuni giorni dopo la San Antonio sotto il comando di Esteban Gomez lasciò la spedizione ed invertì la rotta dopo un nuovo ammutinamento a bordo.
Tre navi attraversarono il passaggio che oggi è noto come Stretto di Magellano e raggiunsero l'Oceano Pacifico il 28 novembre 1520.

Il Pacifico e la morte di Magellano

Magellano a questo punto credette di poter arrivare alle Isole delle Spezie in non più di un mese. Ma passarono tre mesi e venti giorni in alto mare durante i quali si avvistarono solo due isolotti disabitati. La maggior parte degli uomini si ammalò di scorbuto: non erano rimasti altri viveri che pane biscottato pregno di salsedine, vermi ed escrementi di topi. Diciannove uomini morirono durante la traversata.
Il 6 marzo 1521 la flottiglia raggiunse le Isole Marianne. Magellano le battezzò Islas de los Ladrones, quando su una isola (forseGuam) gli indigeni cercarono di impossessarsi di una delle scialuppe e di alcuni suppellettili delle navi. L'ammiraglio ne fece giustiziare alcuni e bruciò le loro case.
Dopo essersi rifornite di nuove provviste, le navi di Magellano continuarono il viaggio fino alle Filippine, dove il 16 marzo raggiunsero Homonhon. In quel momento 150 dei 234 marinai erano ancora in vita. La lingua degli abitanti era nota all'interprete di Magellano, Enrique di Molucca. Così si arrivò ad uno scambio di doni con il re di LimasawaRajah Kolambu. Questi accompagnò gli Spagnoli fino all'isola di Cebu, dove riuscirono nell'intento di convertire il re, Raja Humabon e molti dei suoi sudditi al Cristianesimo. Quando Cebu si sottomise alla corona spagnola, scoppiò una rivolta sulla vicina isola di Mactan. Magellano decise di usare la forza per conquistare Mactan alla Spagna e al Cristianesimo. Quando sbarcò la mattina del 27 aprile 1521 a Mactan, venne ucciso dagli uomini del capo dell'isola Lapu-Lapu nella battaglia di Mactan.

Dopo la morte di Magellano

Poco dopo il re di Cebu rinnegò il Cristianesimo e ordinò un attacco agli spagnoli. Quasi trenta fra questi persero la vita. Gli spagnoli, ormai in numero troppo esiguo per governare tre navi, decisero di affondare la Concepcion ed elessero Juan Sebastián Elcanocapitano della Victoria. Con le due navi rimaste fuggirono verso il Borneo, rimanendo per 35 giorni nel Brunei.
Il 6 novembre la spedizione raggiunse finalmente le Molucche. Sull'isola di Tidore il sultano locale si disse disposto a vendere loro finalmente le agognate spezie.
A questo punto le sorti delle due navi superstiti si divisero definitivamente. La Victoria, al comando di Elcano, proseguì verso ovest. La Trinidad, invece, rimase bloccata per un'avaria. Imbarcava acqua e rimase ferma a Tidore con quasi metà degli uomini. Questi scelsero, in seguito, la strada del ritorno attraverso il Pacifico, ma furono intercettati da una flottiglia portoghese. La nave fu catturata e il prezioso carico finì nelle mani dei portoghesi. Con solo cinque uomini ancora in vita e dopo un'odissea durata più di quattro anni, la Trinidad sarebbe tornata in Spagna nel 1525.
Il viaggio della Victoria, invece, si concluse il 6 settembre 1522 quando rientrò al porto di partenza dopo aver completato la primacircumnavigazione del globo in 2 anni, 11 mesi e 17 giorni. A bordo della piccola nave (solo 85 tonnellate di stazza), che ormai imbarcava acqua e aveva una velatura di fortuna, vi erano soltanto 18 uomini malmessi, ammalati e denutriti. Tra essi due italiani, Antonio Lombardo, detto il Pigafetta, colui che scriverà la storia della spedizione, e Martino de Judicibus.

L'incredibile vicenda di Ginés de Mafra

Ginés De Mafra era uno dei marinai imbarcati sulla Trinidad durante la spedizione di Magellano. Riuscì a tornare in Spagna nel 1527, dopo aver trascorso diversi anni nelle prigioni portoghesi. Una volta liberato tornò a navigare e, aggregato a varie spedizioni, visitò l'America centrale e meridionale. Nel 1543 partecipò all'impresa di Ruy Lopez de Villalobos, tesa a raggiungere le Isole delle spezie dalle coste del Messico con sei navi. De Mafra si trovava al comando del galeone San Cristobal, quando una tremenda tempesta scompaginò la piccola flotta di Villalobos. De Mafra, perso il contatto con le altre cinque navi, si ritrovò fuori rotta nel bel mezzo dell'oceano Pacifico e dopo settimane di navigazione si ritrovò, incredibilmente, ad approdare a Limasawa, dove era già stato ventidue anni prima al seguito di Magellano. De Mafra e i suoi uomini furono i primi europei a tornare in quei luoghi dopo la morte di Magellano a Mactan.

L'isola misteriosa

De Mafra nelle proprie memorie parla di un'isola di circa settecento ettari e di 9 - 12 miglia nautiche di circonferenza, situata a 9° nord, non distante da Limasawa. In seguito, tale isola non verrà mai identificata. Per anni si è pensato che si fosse trattato di una grossolana svista geografica del navigatore spagnolo. Tuttavia, oggi alcuni studiosi hanno ipotizzato che una parte della penisola a nord di Butuan, nell'estremo settentrione dell'isola di Mindanao, Filippine, fosse un tempo un'isola. Nella zona sono ancora in corso ricerche e scavi da parte di geologi e archeologi.

Fonti





http://it.wikipedia.org/wiki/Spedizione_di_Ferdinando_Magellano


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