Non sono le macchine che spingono il civilizzato alla rovina; semmai, questi le ha inventate perché già vi era avviato; mezzi, ausili per raggiungerla più rapidamente e più efficacemente. Non contento di andarci di corsa, ha voluto andarci in auto. In questo senso, e solo in questo, si può dire che le macchine gli permettono in effetti di "guadagnare tempo".
Emil Cioran, La caduta nel tempo
"Quali che siano i suoi meriti, una persona sana delude sempre.
Impossibile dare il minimo credito alle sue parole, cogliere in esse altro che pretesti o virtuosismi. Non possiede l'esperienza del terribile, che sola conferisce un certo spessore ai nostri discorsi, come non possiede l'immaginazione della sventura, senza la quale nessuno potrebbe comunicare con quegli esseri separati che sono i malati; vero è che se la possedesse, non sarebbe più una persona sana. Non avendo nulla da trasmettere, neutra fino alla rinuncia, si accascia nella salute, stato di perfezione insignificante, d'impermeabilità alla morte come a tutto il resto, di disattenzione a sé e al mondo. Finché vi permane, è simile agli oggetti; non appena ne viene strappata, si apre a tutto e sa tutto: onniscienza del terrore."
Emil Cioran, "La caduta nel tempo"
Io accumulo passato, non cesso di fabbricare e di precipitarvi il presente, senza dargli la possibilità di esaurire la sua stessa durata. Vivere significa subire la magia del possibile; ma quando si scorge nel possibile stesso un passato a venire, tutto diventa virtualmente passato, e non vi è più né presente né futuro. Ciò che distinguo in ogni istante è il suo ansito e il suo rantolo, e non la transizione verso un altro istante. Elaboro tempo morto, mi abbandono all’asfissia del divenire”
E.M.Cioran, La caduta nel tempo
Più sguarnito, più diseredato del troglodita, il civilizzato non ha un momento per sé, i suoi svaghi stessi sono febbrili e opprimenti: un forzato in ferie, che soccombe all'uggia dell'inattività e all'incubo delle spiagge. Quando si sono frequentati luoghi dove l'ozio era di rigore, dove tutti vi eccellevano, ci si adatta male a un mondo dove nessuno lo conosce e lo sa godere, dove nessuno respira.
Emil Cioran, La caduta nel tempo, 1964
L'interesse che il civilizzato nutre verso i popoli cosiddetti arretrati è dei più sospetti. Incapace di continuare a sopportarsi, egli si adopera a scaricare su di loro l'eccedenza dei mali, che lo opprimono, li incita a provare le sue miserie, li scongiura di affrontare un destino che non può più sfidare da solo. A furia di considerare quanta fortuna hanno avuto a non essersi "evoluti", prova nei loro confronti il risentimento del temerario, abbattuto e sfasato. Con che diritto se ne restano in disparte, lontani dal processo di degradazione che patisce lui da tanto tempo e a cui non riesce a sottrarsi? La civiltà, opera sua, sua pazzia, gli appare come un castigo che ha inflitto a sé stesso e che vorrebbe a sua volta far subire a quelli che finora vi sono sfuggiti. <<Venite a condividerne le calamità, siate solidali con il mio inferno>>: questo è il senso della sua sollecitudine verso di loro, questo è il senso della sua indiscrezione e del suo zelo. Esasperato delle proprie tare e, ancor più, dai propri "lumi", non ha pace se non li impone a coloro che ne sono felicemente esenti. Egli procedeva così già all'epoca in cui ancora per nulla "illuminato" né stanco di sé, si abbandona alla propria avidità, alla propria sete di avventure e di infamie. Gli spagnoli, all'apice della loro carriera, dovettero certo sentirsi oppressi sia dalle esigenze della loro fede sia dai rigori della Chiesa. Si vendicarono con la Conquista.
Vi dedicate alla conversione di qualcuno? Non sarà mai per operare per operare in lui la salvezza, ma per obbligarlo a patire come voi, perché egli si esponga alle stesse prove e le attraversi con la stessa impazienza. Vegliate, pregate, vi tormentate? Faccia altrettanto anche quest'altro, sospiri, urli, si dibatta in mezzo alle stesse vostre torture. L'intolleranza è propria degli spiriti turbati, la cui fede si riduce a un supplizio più o meno voluto che essi desidererebbero fosse generale, istituzionale. Dato che la felicità altrui non è mai stata né un movente né un principio d'azione, non la si invoca se non per mettersi la coscienza a posto o per trincerarsi dietro nobili pretesti: qualunque sia l'atto a cui ci si risolve, l'impulso che ad esso conduce e ne accelera l'esecuzione è quasi sempre inconfessabile. Nessuno salva nessuno: si salva solo se stessi, e non c'è modo migliore di riuscirci che ammantare di convinzioni l'infelicità che si vuole distribuire e prodigare. Per quanto prestigiose ne siano le apparenze, il proselitismo deriva pur sempre da una generosità sospetta, peggiore nei suoi effetti di un'aggressione patente. Nessuno è disposto a sopportare da solo la disciplina che pure ha accettato, né il giogo che ha consentito a portare. Dietro l'esultanza del missionario e dell'apostolo spunta la vendetta. Se ci si dedica all'opera di conversione non è per liberare, ma per incatenare.
Emil Cioran, "La Caduta Nel Tempo" pag. 24
Lui solo, nello stato di natura, si volle importante; lui solo, in mezzo agli animali, odiava l'anonimato e cercava di uscirne. Mettersi in luce: questo era e rimane il suo sogno. E' difficile credere che abbia sacrificato il paradiso per il semplice desiderio di conoscere il bene e il male; in compenso lo si immagina benissimo rischiare tutto per essere qualcuno.
Correggiamo la Genesi: se l'uomo sciupò la felicità iniziale, fu non tanto per amore del sapere, quanto per brama di gloria.
Coloro che l'hanno conosciuta o semplicemente avvicinata non possono più allontanarsene e, per restare nei suoi paraggi, non indietreggeranno davanti a nessuna bassezza, davanti a nessuna infamia.
Quando non si può più salvare l'anima, si spera almeno di salvare il nome.
Emil Cioran, La caduta nel tempo
“(…) Avremmo dovuto, pidocchiosi e sereni, limitarci alla compagnia delle bestie, marcire accanto a loro ancora per millenni, respirare l’odore delle stalle piuttosto che quello dei laboratori, morire delle nostre malattie e non dei nostri rimedi, girare attorno al nostro vuoto e sprofondarvi dentro dolcemente. All’ assenza, che avrebbe dovuto essere un dovere e un’ossessione, abbiamo sostituito l’ evento; ora, ogni evento ci intacca e ci corrode, poiché non si produce se non a scapito del nostro equilibrio e della nostra durata. Più il nostro avvenire si restringe, più ci lasciamo cadere in ciò che ci rovina. La civiltà, che è la nostra droga, ci ha talmente intossicati che il nostro attaccamento ad essa presenta i caratteri di un fenomeno di assuefazione, mescolanza di estasi e di esecrazione. Così com’è, ci darà il colpo definitivo, su questo non v’è dubbio; e rinunciarvi, affrancarcene, non possiamo, oggi meno che mai. (…)”
Emile Cioran, “La caduta nel tempo”
Non è tanto per reazione di difesa quanto per pudore, per desiderio di nascondere la loro irrealtà, che i vivi portano tutti una maschera. Strappargliela significa perderli e perdersi
Emil Cioran, La caduta nel tempo
Quanto più avvertiamo la nostra insignificanza, tanto più disprezziamo gli altri, che addirittura cessano di esistere per noi quando siamo folgorati dall'evidenza del nostro nulla. Non attribuiamo una certa realtà agli altri se non nella proporzione in cui ne scopriamo in noi stessi. Quando non ci è più possibile ingannarci ancora sul nostro conto, diventiamo incapaci di quel minimo di accecamento e di generosità che, solo, potrebbe salvare "l'esistenza" dei nostri simili. A tale grado di chiaroveggenza, non avendo più scrupoli nei loro confronti, li equipariamo a fantocci che non possono elevarsi alla visione della loro nullità. Come prestare ancora attenzione a ciò che dicono e ciò che fanno?
Emil Cioran, La caduta nel tempo
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