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venerdì 11 novembre 2016

Henri - Frédéric Amiel. Le masse saranno sempre al di sotto della media. La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà all'assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto dell'Uguaglianza, che dispensa l'ignorante di istruirsi, l'imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi. Il diritto pubblico fondato sull'uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze. Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell'appiattimento.

Un paesaggio è uno stato d'animo.
Henri-Frédéric Amiel

L'uomo che non ha una vita interiore è schiavo del suo ambiente.
Henri Frédéric Amiel

Come un avaro che, senza spendere l'oro che ha, lo ama però come il riassunto di tutti i godimenti possibili, mi attacco appassionatamente a questa stessa libertà di cui non faccio nulla.
Henri Frédéric Amiel

Gli scontenti falliscono sempre perché lo scontento diventa una disdetta.
Lo scontento crea ciò che teme;
indispone il mondo e irrita le circostanze.
Henri-Frédéric Amiel


La verità non è solo violata dalle falsità;
può essere ugualmente oltraggiata dal silenzio.
Henri Frederic Amiel

La gente superficiale è molto felice: il sughero non affonda.
Henri Frederic Amiel


La grazia protegge: lisciandosi l’ala, il cigno se ne fa una corazza.
Henri Frederic Amiel


Nulla è fatto se non ciò che è concluso. Le cose che lasciamo in disordine dietro di noi si ergeranno nuovamente davanti a noi più tardi e ostruiranno il nostro cammino. Che ogni nostro giorno sistemi quel che lo riguarda, liquidi le proprie faccende, rispetti il giorno che lo seguirà.
Henri Frederic Amiel


Stupisce quanto siamo solitamente impigliati in mille e un impedimenti e doveri che non sono tali e che si aggomitolano tuttavia attorno a noi con le loro ragnatele e ostacolano il movimento delle nostre ali. È il disordine a renderci schiavi. Il disordine di oggi consuma anticipatamente la libertà di domani.
Henri Frederic Amiel



Rassegnarsi alla vita così com'è, con i suoi grandi dolori e le sue piccole miserie, questo è l’insegnamento di ieri; ma anche lottare più energicamente contro la perdita, la dispersione di se stessi, dei propri progetti, dei propri lavori, sventare con la perseveranza la congiura perpetua della natura e delle circostanze contro l’opera dell’individuo: questo è l’insegnamento di oggi.
Henri Frederic Amiel



Possiamo farci solo pochi amici, anche impegnandoci molto, 
mentre possiamo farci infiniti nemici quasi senza farvi attenzione.
Henri Frederic Amiel


Imparare una nuova abitudine è tutto, perché significa raggiungere la sostanza della vita.
La vita non è altro che un tessuto di abitudini.
Henri Frédéric Amiel


Il saggio soltanto trae dalla vita e da ogni età tutto il suo sapore,
perché ne sente la bellezza, la dignità e il prezzo.
Henri Frédéric Amiel

Essere incompreso da coloro stessi che amiamo, è il calice amaro, la croce della nostra vita.
Perciò gli uomini superiori hanno sulle labbra quel sorriso doloroso e triste che tanto ci meraviglia.
Henri Frédéric Amiel

La vita è breve e non abbiamo mai abbastanza tempo per rallegrare i cuori di coloro che stanno percorrendo l'oscuro cammino con noi. Oh, sii rapido a vivere, affrettati ad essere gentile.
Henri Frédéric Amiel


L'uomo che insiste nel vedere con perfetta chiarezza prima di decidere, non decide mai.
Accetta la vita, e dovrai accettare i rimpianti.
Henri Frédéric Amiel

La felicità ci dà l'energia che è la base della salute.
Henri Frédéric Amiel

Lavora mentre hai la luce. Tu sei responsabile per il talento che ti è stato donato.
Henri Frédéric Amiel

Il tempo e lo spazio sono frammenti d'infinito per l'uso di creature finite.
Henri Frédéric Amiel

Vivere non è concepire ciò che bisogna fare, è farlo.
Henri Frédéric Amiel

Si deve solo ciò che si può, ma ciò che si può lo si deve.
Henri Frédéric Amiel

La miseria mi fa più paura che la solitudine, 
perché quella è umiliazione e degrado, 
e questa è soltanto noia o tristezza.
Henri Frédéric Amiel


I nostri sistemi, forse, non sono niente più che una scusa inconscia per le nostre mancanze, un'impalcatura gigante la cui funzione è di nascondere da noi i nostri peccati favoriti.
Henri Frédéric Amiel


Riconoscere i propri torti è poco, bisogna ripararli.
Henri Frédéric Amiel


Mille cose avanzano, novecentonovantanove regrediscono: questo è il progresso.
Henri Frédéric Amiel

Il tuo corpo è il tempio della natura e dello spirito divino. 
Mantienilo sano, rispettalo, studialo, concedigli i suoi diritti.
Henri Frédéric Amiel

Più si ama, più si soffre. 
La somma dei dolori possibili per ciascun amore 
è proporzionale al suo grado di perfezione.
Henri Frédéric Amiel


La gentilezza è il principio del tatto, 
e il rispetto per gli altri è la condizione primaria del saper vivere.
Henri Frédéric Amiel

Senza passione l'uomo è soltanto forza e possibilità latenti, 
come la pietrina aspetta il contatto col ferro prima di produrre la sua scintilla.
Henri Frédéric Amiel

Quando non si cresce più, si rimpicciolisce.
Henri Frédéric Amiel


Il destino ha due modi per distruggerci, 
negare i nostri desideri o realizzarli.
Henri Frédéric Amiel

La verità pura non può essere assimilata dalla folla: 
si deve propagare per contagio.
Henri Frédéric Amiel


Sapere invecchiare è il capolavoro della saggezza, 
e una delle cose più difficili nell'arte difficilissima della vita.
Henri Frédéric Amiel


Se l'ignoranza e la passione sono i nemici della moralità nel popolo, 
bisogna anche confessare che l'indifferenza morale è la malattia delle classi colte.
Henri Frédéric Amiel




Un errore è tanto più pericoloso quanta più verità contiene.
Henri Frederic Amiel, Frammenti di un diario intimo

Rendiamo Dio nostro complice per legalizzare le nostre iniquità.
Ogni massacro di successo è consacrato da un Te Deum,
e il clero non è mai stato avaro di benedizioni
per le mostruosità coronate da vittoria.
Henri Frédéric Amiel, Diario intimo


Il modo più sicuro di sembrare grande e buono, forte e dolce è ancora quello di esserlo.”
Henri Frédéric Amiel, Diario intimo


Dimmi cosa pensi di essere e ti dirò cosa non sei.
Henri Frédéric Amiel, Diario intimo


La saggezza consiste nel chiedere alle cose e alle persone soltanto ciò che possono dare.
Henri Frédéric Amiel, Diario intimo


Fare agevolmente ciò che riesce difficile agli altri, 
ecco il talento; fare ciò che riesce impossibile al talento, ecco il genio.
Henri-Frédéric Amiel, Diario intimo


Tutte le colpe producono da sé la propria punizione.
Henri-Frédéric Amiel, Diario intimo

A disprezzarsi troppo ci si rende degni del proprio disprezzo.
Henri-Frédéric Amiel, Diario intimo



Se si aspettasse di sapere prima di parlare non si aprirebbe mai bocca.
Henri-Frédéric Amiel, Diario intimo


Conoscere è un atto. La scienza appartiene dunque all'ambito della morale.
Agire è seguire un pensiero. La morale appartiene dunque al campo della scienza.
Henri-Frédéric Amiel, Diario intimo




«Le masse saranno sempre al di sotto della media.
La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà all'assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto dell'uguaglianza, che dispensa l'ignorante di istruirsi, l'imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi. Il diritto pubblico fondato sulla uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze. Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell'appiattimento. L'adorazione delle apparenze si paga. »
Henri-Frédéric Amiel, “Frammenti di diario intimo”, 12 giugno 1871




«La saggezza è un equilibrio, quindi si trova soltanto negli individui.
La Democrazia, conferendo il dominio alle masse, dà la preponderanza all’istinto, alla natura, alle passioni, cioè all’impulso cieco, all’elementare gravitazione, alla generica fatalità. L’oscillazione perpetua tra i contrari diventa il suo unico modo di avanzamento: perché è la forma infantile, stupida e semplice della mente limitata, che si infatua e si disamora, adora e maledice, sempre con la stessa avventatezza. La successione delle opposte sciocchezze le dà l’impressione del cambiamento, ch’essa identifica col miglioramento. […] Alla stupidità di Demos è pari soltanto la sua presunzione. […] Non nego il diritto della Democrazia; ma non ho illusioni sull’uso che farà del suo diritto, finché scarseggerà la saggezza e abbonderà l’orgoglio. Il numero fa la legge; ma il bene non ha nulla a che fare con le cifre. Ogni finzione si espia, e la Democrazia poggia su una finzione legale, cioè che la maggioranza ha non solo la forza, ma la ragione; che possiede la saggezza insieme col diritto. […] Le masse saranno sempre al di sotto della media».
Henri Frédéric Amiel, Lunedì 12 giugno 1871


La nostra vera storia non è quasi mai decifrata da altri.
La parte principale del dramma è un monologo, o meglio un dibattito intimo tra Dio, la nostra coscienza, e noi stessi. Lacrime, dolori, depressioni, delusioni, irritazioni, buoni e cattivi pensieri, decisioni, incertezze, deliberazioni: tutto questo appartiene al nostro segreto, e sono quasi tutte incomunicabili e intrasmissibili, anche quando cerchiamo di parlare di loro, e anche quando abbiamo scriverle.
Henri Frédéric Amiel


La donna vuole essere amata senza perché.
Non perché è bella o buona o ben educata o graziosa o spiritosa, ma perché è.
Ogni analisi le sembra una diminuzione, una soggezione della propria personalità.
Henri Frédéric Amiel


Dopo la morte di Henri-Frédéric Amiel, i suoi esecutori testamentari pubblicarono una parte del "Diario intimo" che aveva regolarmente tenuto per più di trent'anni nello sforzo di conoscersi, di confessarsi e di migliorarsi; questo testo, che acquistò immediatamente una celebrità mondiale, gli assicurò quella gloria che da vivo aveva invano sognata. Vi si delinea il "tipo" dell'uomo raffinato e profondo, del romantico solitario e malinconico, che apre in ogni direzione l'intelligenza avidamente curiosa, cerca l'essere nell'interiorità segreta e unica e riesce così a scoprire qualcuno degli aspetti più importanti della vita psicologica. Nonostante il fondo di innegabile egoismo che emerge da molte delle riflessioni e delle confessioni consegnate al Diario, Amiel è uno di quei rari uomini che sono involontariamente e inconsapevolmente prodighi: la loro vita intima (sentimentale ed intellettuale) è così piena e doviziosa che trabocca, per così dire, a loro malgrado e si effonde intorno alla loro persona, sì che da un semplice incontro con loro ci si sente, e se ne esce, arricchiti. Nel caso di Amiel questa dovizia, per nostra fortuna, si è in gran parte riversata nel Diario e non potrà mai più disperdersi.
http://www.aforismario.net/2016/01/henri-frederic-amiel-frasi-e-aforismi.html


AMIEL Il seduttore vergine
Lo scrittore svizzero sarebbe una figura marginale della letteratura dell’800. Se non fosse per il suo diario «intimo» di 17mila pagine...



«Come un avaro che, senza spendere l’oro che ha, lo ama però come il riassunto di tutti i godimenti possibili, mi attacco appassionatamente a questa stessa libertà di cui non faccio nulla».
Henri-Frédéric Amiel

Il buon Talete se l'era cavata così: da giovane, alla madre che lo spingeva a prender moglie rispondeva sempre «non è ancora tempo»; e da uomo maturo, alla petulante mammina che imperterrita lo esortava ancora al matrimonio, ribatteva «non è più tempo». Scaltrezze da saggio presocratico. E un modo elegante per giustificare la propria misoginia.

Henri-Frédéric Amiel (1821-1881) non era misogino, ma le risposte che diede a se stesso (non alla madre, che morì di tubercolosi quand’egli aveva 11 anni) sono le stesse.
Troppo presto e, soprattutto, troppo tardi.
In lui l’attesa, veloce Achille, non raggiunge mai il rimpianto, lentissima tartaruga.

Amiel occupa un posto defilato, nella storia della letteratura, come quegli ospiti che alla festa nel giardino di una lussuosa villa si mettono in disparte, con il bicchiere in mano, e osservano pensosi i giochi d’acqua della fontana. E così facendo attirano una ragazza che vuol far ingelosire il fidanzato o una tardona desiderosa di verificare la residua efficienza del proprio charme.
«Antidongiovanni» secondo Miguel de Unamuno, «triste Amleto ginevrino» secondo José Enrique Rodó, «timido superiore» secondo Gregorio Marañon, questo grigio docente universitario di Letteratura francese, Estetica e Filosofia, in vita pubblicò soltanto brevi saggi e brutte poesie.

L’unico lampo di gloria l’ebbe nel 1857, con la canzone patriottica Roulez, tambours!, la Marsigliese elvetica, urlata in faccia ai nemici prussiani. Tutto sommato, una comparsa del XIX secolo.
Se non fosse per il suo diario, un monstrum che detiene il record mondiale di tutti i tempi in fatto di vastità: 16.840 pagine. Affidato poco prima di morire all’amica Fanny Mercier, il Journal intime venne pubblicato a partire dall’82, e ci vollero 48 volumi per completarlo.

Che cosa vi troviamo?
Tutto e niente. Che tempo fa, il raffreddore che non vuol passare, i vicini di casa, le passeggiate solitarie nei boschi, il trasloco, le letture preferite... Un costante crepuscolo, una melassa di noia e buoni sentimenti, la tragedia di un uomo che sa di essere ridicolo agli occhi dei più. Eppure in quel ridondante castello pieno di piccole cose di pessimo gusto s’aggira inquieto uno spettro: la Donna.

Amiel era un bell’ometto. Piuttosto basso, sì, ma dallo sguardo fiero e penetrante.
Non particolarmente elegante, certo, ma dai modi gentili e dall’eloquio fluente.
Una barba ben curata gli incorniciava il volto austero sotto cui, però, non si celava un orso accademico: Amiel sapeva essere brillante nelle conversazioni salottiere, sapeva incantare con le letture pubbliche, sapeva divertire con sciarade e anagrammi.

Insomma, potenzialmente un ottimo partito per le signorine e le vedovelle della borghesia ginevrina. Soltanto potenzialmente, però... No, nessuna traccia di omosessualità, nessun pur vago ammiccamento, in quasi 17mila pagine, al tale studente, al tale collega, al tale vetturino. Piuttosto, l’assoluta estraneità all’atto sessuale, definito «epilessia momentanea», atto «bestiale». Per lui «la castità è più pura della continenza» e nelle «monachine laiche» delle quali si circonda cerca unicamente l’amicizia, la consonanza spirituale.

Eppure, ci fu «qualcuno» che su quella tabula rasa impresse il segno di Eros.
Una volta sola, ma per sempre. Il suo nome è Marie Favre. Quando s’incontrano la prima volta lei è una graziosissima vedova ventiseienne e lui è già un professore universitario trentottenne. «Ho come vergogna - annota - che qualcosa mi faccia piacere, la maltratto e la faccio a pezzi per provare a me stesso che non ci tengo; ho positivamente paura di ciò che mi attira, e orrore di ciò che mi occorre».

Il “fattaccio” avviene oltre un anno dopo, il 6 ottobre 1860:
«Ma come devo chiamare l’esperienza di questa sera? è una delusione, è inebriamento?
Né una cosa né l’altra. Per la prima volta ho avuto un’avventura galante, e francamente, accanto a ciò che l’immaginazione si figura o si ripromette, è poca cosa». Il dado è tratto. Vaccinato dall’esperienza, è come se Amiel, persa quella fisica, acquisisse una verginità cerebrale. Ha scollinato: se prima confusamente anelava (gli psicologi avrebbero di che sbizzarrirsi sulle sue «perdite» notturne...), ora recisamente rifiuta, calandosi nella terra di confine dell’asessuato.
Più Marie lo adora, fino al punto da proporsi come «schiava all’orientale», più lui si ritrae.
Il tira e molla prosegue fino al 23 settembre 1878, data in cui nel Journal troviamo l’ultima traccia di quel “qualcuno”. Vi compare come «Phil.», cioè Philine, uno dei nomi in codice sotto cui Amiel cela Marie.

Proprio Philine fu il titolo che il critico Edmond Jaloux diede, negli anni Trenta del secolo scorso, a una silloge delle confessioni intime amieliane. E ora Philine è disponibile in italiano per merito di Armando Dadò, l’editore di Locarno che ne ha affidato la traduzione a Franco Pool.

«Di quei giorni - scrive Daria Galateria nell’appassionata prefazione dal bel titolo «L’Arte di tergiversare» -, Edmond Jaloux riporta non solo i passaggi che si riferiscono a Philine, ma tutto. Così, il campione è contemporaneamente casuale e orientato, tematico ma completo». Così, dopo l’antologia curata da Pino Mensi nel 2000 per Longo Editore di Ravenna, i lettori italiani possono nuovamente entrare nel castello di Amiel e apprezzare i sublimi tentennamenti del castellano.

Perché la cosa buffa è questa: diversamente dal vecchio Talete, Amiel, indeciso a tutto, mostrava una sola certezza: il matrimonio. Per almeno trent’anni non fa che decantare gli effetti positivi che questo avrebbe sulla sua instabile psiche. «Io non conto su nulla; è per questo che sono stanco di tutto»; «provo qualcosa come le nausee d’una donna nervosa»; «sono troppo uomo e non abbastanza individuo... è la vita che voglio sperimentare piuttosto che la mia vita»; «l’obbedienza volontaria alla legge è il punto di partenza e la condizione della libertà»; «vae coelibi!». Sapendosi malato di idealismo, l’Autore individua nel matrimonio l’unica medicina possibile. Salvo cadere puntualmente in depressione ogni volta che una sottana rischia di superare la distanza di sicurezza marcata dalla simpatia o, al più, dall’idillio. Marie, infatti, se fu la sola a togliere le briglie agli ormoni di quella «pensionata sentimentale», non fu l’unica a titillarne la tensione maritale. Le Amiel’s girls sono un bel gruppetto, entrano ed escono dalla vita di Henri-Frédéric con ritmo incessante e non di rado fanno parte della stessa cerchia. Tutte ammaliate e palpitanti, pendono dalle labbra del Cincischiator cortese.

Tutte tranne una, «Egeria». Che a un certo punto sbotta: «La tua superiorità rispetto a me consiste in ciò, che ricevendo tutto hai saputo non dare nulla». Ben lontana dall’esserne gelosa, frequenta Marie, e non lo nasconde:
«Lascia che noi due ci si veda di lieto animo, posto che ci amiamo... opporti a ciò è impossibile. \ 
È meno donna di me e questo rende perfetta la nostra armonia».
“Cosa vorrà mai dire?”, avrà pensato il povero professore...

Daniele Abbiati - Lun, 20/06/2005
http://www.ilgiornale.it/news/amiel-seduttore-vergine.html







mercoledì 19 ottobre 2016

Raffaello Franchini. La mediocrità è peggio della barbarie. Questa, secondo Goethe, disconosce ciò che è eccellente; quella, invece, tende addirittura a impedirne la conoscenza.

La mediocrità è peggio della barbarie. Questa, secondo Goethe, disconosce ciò che è eccellente; quella, invece, tende addirittura a impedirne la conoscenza.
Raffaello Franchini, "99 aforismi"


Non sempre chi ha ragione viene votato:
e il motivo è lo stesso per cui è raro che l’onesto diventi ricco.
Raffaello Franchini


venerdì 16 maggio 2014

Guido Viale. Lavoro e riconversione ecologica. Ma chi giudica del merito? La gerarchia preesistente: il capo, il manager, il padrone, la banca, il partito,l ’amministrazione, ecc. Una gerarchia che non può per definizione essere stata costruita in base al merito: la gerarchia precede il giudizio sul merito. Per questo l’ideologia del merito è in realtà un meccanismo di promozione del servilismo e dell’accondiscendenza: va avanti, o non resta indietro, chi si conforma maggiormente alle pretese della gerarchia


"Ma chi giudica del merito? La gerarchia preesistente: il capo, il manager, il padrone, la banca, il partito,l ’amministrazione, ecc. Una gerarchia che non può per definizione essere stata costruita in base al merito: la gerarchia precede il giudizio sul merito.
Per questo l’ideologia del merito è in realtà un meccanismo di promozione del servilismo e dell’accondiscendenza: va avanti, o non resta indietro, chi si conforma maggiormente alle pretese della gerarchia ((...))"
Guido Viale, Lavoro e riconversione ecologia, 16 maggio - Fonte: brianzaxtsipras



domenica 11 dicembre 2011

Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.c.


Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.c.

Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei
pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per

tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti
dell’eccellenza.Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a

preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di
privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un
impedimento.Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita

quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il
nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci

piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi
pericolo.Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari

quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei
pubblici affari per risolvere le sue questioni private.Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci

è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che
dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle

leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e
di ciò che è buon senso.Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo

consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita
ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo
sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della
libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola
dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità,
la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è
per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno
straniero.


Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461
a.C.


 I GRECI E LA LORO SAGGEZZA Massime, Sentenze e Aforismi 

Lo Stato - discorso ai Romani


Lo Stato - discorso ai Romani (10/06/2010)

Qui a Roma noi invece facciamo così

Qui il nostro governo favorisce i pochi invece dei molti:
per questo viene chiamato oligarchia
Qui a Roma noi facciamo così.
Le leggi qui non assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro
dispute private anzi, noi ignoriamo sempre i meriti dell'eccellenza.
Quando un cittadino si distingue in negativo, allora esso sarà, a preferenza di altri,
chiamato a servire lo Stato, ma come un atto di privilegio, e non come una
ricompensa al merito, la povertà costituisce sempre un impedimento.
Qui a Roma noi facciamo così.
La libertà di cui non godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi
siamo sospettosi l'uno dell'altro e infastidiamo sempre il nostro
prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi non siamo liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia
siamo sempre pronti a sopportare qualsiasi ingiustizia.
Un cittadino Romano trascura i pubblici affari quando attende alle
proprie faccende private, ma soprattutto si occupa dei pubblici
affari per risolvere le sue questioni private.
Qui a Roma noi facciamo così.
Ci è stato insegnato a screditare i magistrati, e ci è stato insegnato
anche a denigrare le leggi e a dimenticare sempre che dobbiamo
proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato a non rispettare quelle leggi non scritte che
risiedono nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui a Roma noi facciamo così.
Un uomo che si interessa allo Stato noi lo consideriamo un sovversivo inutile,
e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica,
beh tutti qui ad Roma non siamo in grado di capirlo.
Noi consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità non sia il frutto della libertà,
e che la libertà non sia solo il frutto del valore.



Insomma, io proclamo che Roma è la scuola dell'ingiustizia
e che ogni Romano cresce sviluppando in sé una felice sottomissione,
la non fiducia in se stesso,
la non prontezza a fronteggiare qualsiasi suppruso ed è per questo che la
nostra città non è aperta al mondo e noi cacciamo sempre uno straniero.

Qui a Roma noi invece facciamo così.



sabato 26 novembre 2011

Caio Valerio Catullo. Amami quando lo merito meno.

Caio Valerio Catullo

Le cose che si amano non si posseggono mai completamente.
Semplicemente si custodiscono.
Catullo

Dammi mille baci e poi cento,
poi altri mille e poi altri cento,
e poi ininterrottamente ancora altri mille e altri cento ancora.
Infine, quando ne avremo sommate le molte migliaia,
altereremo i conti o per non tirare il bilancio
o perché qualche maligno non ci possa lanciare il malocchio,
quando sappia l'ammontare dei baci.
Catullo (I sec a.C)





Pianga Venere, piangano Amore
e tutti gli uomini gentili:
è morto il passero del mio amore,
morto il passero che il mio amore
amava più degli occhi suoi.
Dolcissimo, la riconosceva
come una bambina la madre,
non si staccava dal suo grembo,
le saltellava intorno
e soltanto per lei cinguettava.
Ora se ne va per quella strada oscura
da cui, giurano, non torna nessuno.
Siate maledette, maledette tenebre
dell'Orco che ogni cosa bella divorate:
una delizia di passero m'avete strappato.
Maledette, passerotto infelice:
ora per te gli occhi, perle del mio amore,
si arrossano un poco, gonfi di pianto.
Carme II di Catullo. Epicedio del passero.


Solo con te dice la donna mia
solo con te io farei l'amore,
direi di no anche a Giove.
Dice così
ma quel che donna dice
a un amante pazzo di lei
nel vento è scritto
sull'acqua è scritto.
Catullo - LXX

Catullo e i mille baci di Lesbia

Il quinto carme è tra quelli più conosciuti di Catullo (Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.) per il messaggio assolutamente moderno che racchiude. A tutti i moralisti, rappresentati dagli anziani più severi, Catullo oppone la sua nuova filosofia della vita, che si riflette nell'esortazione a Lesbia a vivere intensamente e amare, ad abbandonarsi alla gioia di vivere. L'amore infatti è vissuto da Catullo come l'esperienza capitale della propria vita, capace di riempirla e di darle un senso, e diventa valore primario, il solo in grado di risarcire la fugacità della vita umana. Fondamentale negli ultimi versi l'uso  del termine "basium", fino ad allora evitato dalla letteratura classica perché reputato sconveniente a causa della sua accezione carnale. Il poeta anche in questo modo mostra la sua innovazione e il suo contrasto con tutto ciò che lo precede, il mondo delle tradizioni romane, ponendo al centro della sua poetica l'amore e il gioco e di conseguenza ricorrendo a termini come "basium”. Il termine avrà molta fortuna, tanto da oscurare quelli precedenti. Un tema in particolare del carme verrà ripreso poi dai poeti del periodo umanistico-rinascimentale, quello dell'edonismo, che si paleserà nel "cogliere la rosa" di Poliziano e Lorenzo De' Medici, e il tema del carpe diem, del cogliere l'attimo, che influenzerà Orazio


Godiamoci la vita, o Lesbia mia, e i piaceri d'amore;
a tutti i rimproveri dei vecchi, moralisti anche troppo,
non diamo il valore di una lira.
Il sole sì che tramonta e risorge;
noi, quando è tramontata la luce breve della vita,
dobbiamo dormire una sola interminabile notte.
Dammi mille baci e poi cento,
poi altri mille e poi altri cento,
e poi ininterrottamente ancora altri mille e altri cento ancora.
Infine, quando ne avremo sommate le molte migliaia,
altereremo i conti o per non tirare il bilancio
o perché qualche maligno non ci possa lanciare il malocchio,
quando sappia l'ammontare dei baci.
Catullo



Viviamo, o mia Lesbia, ed amiamo,
e le chiacchere dei vecchi troppo severi
valutiamole tutte insieme una moneta.
I soli possono tramontare e tornare;
noi una volta che è tramontata la breve luce,
dobbiamo dormire una sola eterna notte.
Dammi mille baci, poi cento,
poi altri mille, poi altri cento,
poi ancora altri mille, poi cento.
Poi quando ne avremo messi insieme molte migliaia,
le mescoleremo per non sapere,
o perché nessun malvagio possa farci il malocchio, sapendo che esiste questo totale di baci.
L'amore al tempo di Pompei.
Catullo, Carme 5.


Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
e ogni mormorio perfido dei vecchi
valga per noi la più vile moneta.
Il giorno può morire e poi risorgere,
ma quando muore il nostro breve giorno,
una notte infinita dormiremo.
Tu dammi mille baci, e quindi cento,
poi dammene altri mille, e quindi cento,
quindi mille continui, e quindi cento.
E quando poi saranno mille e mille,
nasconderemo il loro vero numero,
che non getti il malocchio l’invidioso
per un numero di baci così alto.
Carrme V di Caio Valerio Catullo
(traduzione di Salvatore Quasimodo)

La poesia d’amore più bella di tutti i tempi (Giselda)
Catullo - Carme n.5: Da mi basia mille
"Vivamus mea Lesbia,atque amemus,
Rumoresque senum severiorum
Omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt;
Nobis cum semel occidit brevis lux,
Nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
Dein mille altera, dein seconda centum,
Deinde usque altera mille, deinde centum.
Dein, cum milia multa fecerimus,
Conturbabimus illa, ne sciamus,
Aut ne quis malus invidere possit,
Cum tantum sciat esse basiorum."





Anche se questo carme catulliano è un inno alla vita, un’esortazione ad abbandonarsi al sentimento amoroso da vivere con pienezza di gioia, ugualmente si insinua il pensiero dello scorrere inesorabile del tempo e della morte: “ ….occidit brevis lux, nox est perpetua…..”. E’ forse assente il senso tragico della vita della poesia greca, ma non per questo il carme risulta meno emotivamente coinvolgente. A rendercelo oltremodo caro, almeno per me e ne sono sicura per tanti altri, i ricordi delle prime infatuazioni giovanili. [...]  [in] questo carme, [che] è fondamentalmente un inno alla vita e alle gioie d’amore, non è del tutto assente “il pensiero dello scorrere inesorabile del tempo e della morte” congiunto col timore superstizioso che una qualche forza ostile sia in agguato “….nequis malus invidere possit….”. 



Condivido: è la poesia d'amore più bella che io abbia mia letto. Nessuna l'ha mai superata, per me



La poesia greca ellenistica e la lirica arcaica verso le quali Catullo riconosceva reverente il proprio debito non sono inferiori, anzi...e dire che Catullo è di certo il più straordinario dei poeti latini, peccato che un'educazione puritana tutta italiana abbia obliato gli altrettanto splendidi e più numerosi carmi dedicati a Giovenzio...



Sinceramente non è la poesia di Catullo che più ho amato...non vi trovo la fatalità greca del destino e della morte di Saffo, Anacreonte, degli alessandrini, di Meleagro di Gadara...d'accordo, ho sempre preferito il greco, ma avete mai letto la bellissima traduzione catulliana della Chioma di Berenice? Stupenda!



Catullo, carme 51 e il fr. 31.
Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit
dulce ridentem, misero quod omnes
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
<vocis in ore;>
lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.
otium, Catulle, tibi molestum est:
otio exsultas nimiumque gestis:
otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.
(carme 51, liber I)


A me sembra beato come un dio
quell’uomo che seduto a te di fronte
t’ascolta, mentre stando a lui vicino
dolce gli parli
e ridi con amore; si sgomenta
il cuore a me nel petto, non appena
ti guardo un solo istante, e di parole
rimango muta.
La voce sulla lingua si frantuma,
sùbito fuoco corre sottopelle,
agli occhi è cieca tenebra, e agli orecchi
rombo risuona.
Sudore per le membra mi discende
e un brivido mi tiene; ancor più verde
sono dell’erba; prossima alla morte
sembro a me sola.
Saffo (fr. 31 W.)






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