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martedì 6 settembre 2016

La donna ignora il suo reale potenziale e sta ancora inseguendo il suo carnefice, in preda all’ennesima sindrome di Stendhal, nel tentativo di soddisfarne il suo animalesco egocentrismo.

Prostituzione.

«Per esercitare bisognava poi «aver superato gli esami di abilitazione al regolare meretricio» e «dopo l’abilitazione c’era un severissimo tirocinio con tanto di apprendistato quasi gratuito in un locale di meretricio di Stato abilitato, in cui si mettevano alla prova le aspiranti al ruolo».

Prostitute durante il fascismo, i documenti ritrovati

Il museo “virtuale” con i documenti

7 Agosto 2013 - 09:30
Il mestiere fra i più antichi del mondo e la bugia del diritto al “piacere” sessuale
Si dice comunemente che “il mestiere della prostituta è fra i più antichi del mondo”: affermazione priva di fondamento, dato che dipende da quando iniziamo a contare l’inizio del mondo. Se ci riferiamo a questo mondo, intenso come ordine culturale e di valori, è possibile che tale affermazione sia vera, dato che in effetti ad un certo punto della storia qualcosa ha iniziato a prendere una direzione imprevista, almeno dal punto di vista degli attori dell’epoca ovvero i nostri veri e più antichi antenati. Mi riferisco all’ipotesi Kurgan di cui ho già scritto in precedenza.

La mercificazione della donna, in quanto strumento per il soddisfacimento del piacere sessuale tout court, interviene proprio nel momento in cui viene introdotto un certo strumento evoluto di controllo, ovvero: il mercato.

Un mercato le cui finalità sono ottenere un “profitto”, un qualche tipo di vantaggio, ovvero un qualche tipo di piacere. La “mercificazione” deve essere visto proprio come un moderno strumento di sottomissione. E’ il mercato in questo senso a renderci schiavi, sofisticato e per questo considerato moderno: non c’è più un imposizione vera, ma sei tu che vedendoti costretto dalle necessità primarie ti prostituisci. Non ti obbligo più a fare lo schiavo, ma ti metto nella condizione di prostituirti. Puttane in questo senso lo sono tutti e non lo è nessuno, potenzialmente possiamo contare su 7 miliardi di persone pronte a vendersi pur di soddisfare qualsiasi genere di desiderio indotto dal sistema stesso...


La rivoluzione sessuale degli anni ’60 e le rivendicazioni femministe sul diritto alla libera scelta sul proprio corpo e sul proprio orgasmo sono solo la farsa finale di questo squallido scenario che si è venuto a produrre a causa di secoli di sottomissione della donna. La consolazione finalizzata al piacere a causa della quale si perde l’intera consistenza dell’universo femminile, le sue funzioni, la sua vera potenzialità.

Un femminismo funzionale al maschilismo che non ha fatto altro che nascondere il problema sotto le vesti della soddisfazione sessuale femminile, come se la realizzazione della donna fosse tutta qui. Gocciolina di cioccolato sulla torta arriva la pseudo-rivoluzione medica, ovvero arriva la pillola e la donna può decidere, senza nulla chiedere all’uomo, se avere o meno figli. Liberata da questa preoccupazione (sono ironico) può finalmente concentrarsi su un unico e insperato dettaglio: il piacere sessuale o orgasmo. Ecco che siamo ritornati ancora nella stessa logica, infatti la pillola serve all’uomo, è ancora lui che cerca di avere la botte piena (il giocattolo sessuale, il trastullo, il suo passatempo di sempre) e la moglie ubriaca, ovvero nessuna conseguenza coniugale o l’incombenza di dover crescere un figlio per una “scopata”.

Ed ecco che la donna rimane invece sempre la stessa sognatrice, alla ricerca di una realizzazione che nonostante le crociate, la caccia alle streghe, la rivoluzione industriale, non si è assopita, non è morte, ma anzi è ancora viva in lei, anche se priva di consapevolezza.

La donna ignora il suo reale potenziale e sta ancora inseguendo il suo carnefice, in preda all’ennesima sindrome di Stendhal, nel tentativo di soddisfarne il suo animalesco egocentrismo. Quanto segue è estratto da un forum per donne (qui c’è l’originale):

Mi vedo da 9 mesi con un ragazzo, al 2° appuntamento lo abbiamo fatto, io mi sono fatta prendere da lui più di quanto lo sia lui di me… Abbiamo un sesso ottimo, un rapporto meraviglioso di grande complicità! Ma, x lui siamo amici… Anche se, a gesti sembra provare qualcosa di più. Che faccio?? Da una storia dove il sesso è cosi forte, ma c’é anche grande complicità, può nascere amore anche se in 9 mesi non é successo?

Separiamo la qualità dalla funzione, “sesso” infatti equivale a dividere. Il punto vero è che la donna, il principio femminile, nei tempi in cui non esisteva ancora la prostituzione, qualcuno direbbe in tempi preistorici, non solo aveva un ruolo fondamentale, ma era la base della civiltà in quell’epoca che è durata secoli. Non mi sto ovviamente riferendo al matriarcato, ma ad una civiltà già esistita dove ognuna delle 2 parti o genere era consapevole del proprio ruolo e lo espletava con massimo rispetto l’uno dell’altro, in una profonda unione per la realizzazione di un bene comune.

La donna è il fulcro dell’arte sacra, era necessaria per mantenere e sintonizzare tutta la civiltà neolitica europea, e dico intenzionalmente civiltà per quanto in noi sia radicata l’idea di uomini primitivi con la clava che pestavano le loro donne, in realtà stiamo parlando della perduta era dell’oro, sviluppatasi proprio qui nel vecchio continente e delle cui tracce archeologiche si cerca in ogni modo di farle sparire e non darne nessun rilievo.

Le donne sono biologicamente organizzate in cicli, portatrice della fertilità della razza umana, potenti dispensatrici di nutrimento per la prole, alle donne sono attribuiti potenti poteri di risveglio sessuale. Le attività svolte nel tempio sono attività femminili, cioè svolte dalle donne; sono loro le sacerdotesse, in questo modo riduttivo le definiremmo noi oggi (per usare un termine noto alla storia, ma non alla preistoria).

Una civiltà in cui la donna è chiamata alla cura del tempio è lei che dispensa e provvede a realizzare i corredi ceramici, presiede i rituali di rigenerazione, di trasformazione e alla sepoltura. Le case del villaggio erano spoglie e disadorne, sebbene le attività del villaggio fossero molteplici e diversificate, abbiamo testimonianze di commerci su tratte inimmaginabili anche solo nel medioevo: conchiglie che sono originarie della costa dell’Asia Minore trovate in sepolcri nelle isole Orcadi. La produzione della ceramica è notevole e di ottima fattura, tuttavia i corredi ceramici dentro le mura delle case sono scarsi, mentre all’interno degli edifici centrali del villaggio (il tempio appunto) troviamo ricchi servizi di ceramiche, forni per il pane, vasi per semi e per bevande; preziose statue, altari in pietra finemente lavorati, colonne, incisioni di simboli: serpenti, spirali, onde, cerchi concentrici.

Il tempio era il fulcro della vita della comunità neolitica europea: gli atti fisiologici erano concepiti e portati a termine con cerimonie e rituali; noi li definiremmo atti sacri, rituali, cerimonie.

Questo non lo possiamo più capire perché dal nostro punto di vista, costruito in secoli di privazione della coscienza, leggiamo questa attività nei templi come una sorta di superstizione quando va bene, e quando va male come rituali per la fertilità della terra Dea madre.

Nessun oggi è più in grado di capire che invece il centro di questa attività è il perfezionamento di sé, un impulso nella direzione della realizzazione di quel destino umano che ci differenzia così tanto dalle altre forme di vite che abitano questo pianeta.

L’uomo condivide con le altre forme i bisogni primari (cibo, territorio, e riproduzione), ma si differenzia enormemente per una caratteristica che per comodità chiamiamo coscienza, ovvero, la capacità di renderci conto ed esprimere il concetto stesso di esistenza, esistenziale. E’ da queste domande che l’uomo primitivo come lo chiamiamo noi, intendendo meno evoluto solo perché là indietro nella storia e non evoluto tecnologicamente al nostro livello, è partito per trovare la strada di casa, ovvero la strada verso quello che noi chiamiamo Dio, senza comprenderne più il senso e la ragione. Dio è uno stato dell’essere che l’uomo può raggiungere ed attraverso il quale tutto gli diventa chiaro, ovvero: chi sono veramente? Cosa sono? Perché esisto? Cos’è esistere? Sono queste le domande che i nostri antenati tenevano in buon conto ed hanno sviluppato un intera civiltà su questo. Oggi c’è separazione fra “tempio” e “vita quotidiana”, mentre nel neolitico erano unità: il nutrimento ieri era nel tempio, in un rituale sacro, il cui scopo non era il culto, ma l’esperienza del divino come testé concepito. La cerimonia era un sintonizzarsi, rendersi disponibili all’esperienza con questa condizione e si realizzava con il contributo di una donna e un uomo che celebravano il rituale.

La testimonianza di numerosi reperti di statuette di donne con vulve prominenti, seni abbondanti e natiche sporgenti, reperti di falli e disegni di maschi iperfallici sono testimonianza di una tradizione che non si è mai spenta e si origina nel profondo paleolitico a livello planetario lo ritroviamo in tutte le isole culturali: il serpente è il simbolo rigenerativo che interessa tutte le culture sub tropicali paleolitiche e continua a permeare la cultura europea neolitica. Il serpente Kundalini per gli antichi europei è simbolo del nutrimento, rigenerazione, trasformazione, risvegliato dalla dea serpente è fonte della trascendenza. Una civiltà in cui l’energia sessuale era fonte di sviluppo e di ispirazione.

Le statuette neolitiche vengono classificate dai nostri geniali studiosi di antichità come pornografia neolitica: visioni oscene di popoli depravati, mentre la vera origine di questi frammenti è l’idea che l’unione uomo/donna è creazione, forza energia vitale, cosa che i nostri “primitivi” antenati (si fa per dire, ovviamente) sapevano bene e conoscevano il potere della trasmutazione di questa santa alleanza.

E’ questo il simbolo moderno dell’arca, la famosa arca dell’alleanza degli ebrei altro non è che l’alleanza tra l’uomo e la donna consapevoli del potere trascendente che uniti sono, Adam Jot-Chavah, l’androgeno divino (ἀνδρός – andròs: uomo – e – γυνή – gyné: donna), risalenti agli antichi egizi Qad-Amon, cosa che ha un senso solo per chi ha orecchie per intendere, è purtroppo inevitabile verità questa, la nostra mente è stata abbassata ed educata alla sottomissione.
La civiltà moderna, si fa per dire, nel senso che non ha niente di civile, ed anche sul moderna, datosi che per moderno si intendono gli ultimi 3000 anni, ha separato il sesso dalla sua qualità.

Ma nel mito e nel folklore possiamo riannodare e ricostruire la sua essenza. 

Nella nostra memoria possiamo ritrovare i racconti mitologici di dei e dee la cui unione sacra risvegliava le forze vitali che stimolano la crescita, lo sviluppo e la rigenerazione: l’unione sessuale ci permette attraverso il mito di prendere contatto con il sacro e di rivivere l’unione sessuale originale. Attraverso il contributo del racconto mitologico degli dei e delle dee, attraverso la nostra esperienza diretta, empirica fare in modo che diventi una fonte di ispirazione per aprirci a comprendere il mondo e ricollocare un atto fisiologico alla sua sacralità rituale.

Il centro di questa civiltà era lo sviluppo della coscienza, che avveniva, proprio come descrive Tommaso nel suo vangelo, nel momento in cui avrebbero realizzato il maschile come il femminile, l’alto come il basso, la destra come la sinistra. E già purtroppo o per fortuna dipende dai punti di vista l’insegnamento cristico altro non è che un nuovo tentativo del Dea nel mondo. Gesù insegnava ad uomini ed alle donne indistintamente, in un epoca in cui le donne non avevano diritto al sapere. Ecco perché la diffusione del cattolicesimo non può che essere considerato un tentativo di manipolazione del paleo-cristianesimo da parte della classe che da un certo punto in avanti della storia ha sempre e continuato ininterrottamente a determinare i destini dell’umanità. La sua morale basata sulla mortificazione dei piaceri ha definitivamente spostato l’attenzione proprio sul “piacere” stesso. La scissione fra corpo e spirito, predicata e praticata con digiuni, punizioni corporali auto-inflitte, veglie forzate – con lo scopo di portare l’annullamento delle pulsioni erotiche e l’eliminazione/alimentazione del concetto di piacere sessuale. 
Chiunque sa che il proibito ha una doppia utilità: ammansiva i mansueti ed inoffensivi, ed attivava gli indomabili, i ribelli, i trasgressori.

La conseguenza di tutto questo protrarsi nel tempo di questo sterminio della coscienza, una persecuzione profonda nei confronti dei valori dei nostri antenati, valori che qualcuno definirebbe “Pagani”, eretici, et., vero simbolo della civiltà neolitica Europea e era dell’Oro, è che oggi la sessualità è banalizzata, ridotta ad un mero giocattolo, piacere ludico ed è anche frequentemente associata con esperienze di sofferenza. Il ragionare sul sesso è riduttivo ed imbarazzante: piacere ludico oggi, proibito e tabù con l’avvento della tradizione giudaico-cristiana. Lo chiamiamo sesso di notte e atto rigenerativo di giorno, ci siamo persino inventati la letteratura erotica nel disperato tentativo di far valere il diritto al “piacere”.

Non a caso una delle accuse più di frequente rivolte alle streghe era quella di essersi unite carnalmente con Satana oppure di aver ammaliato e traviato, grazie appunto al potere conferito dal maligno, poveri giovani innocenti, e non a caso molte donne oggi si identificano molto volentieri con le streghe senza capire quale incredibile condizionamento abbiano subito.

Per capire quanto sto affermando dobbiamo superare l’idea di sesso, il concetto stesso è allo stesso tempo esaustivo, ma descritto e concepito in modo deviante: sesso tra i suoi significati etimologici ha anche quello di “secare”, “dividere”. Chi deve essere diviso? Purtroppo per quanto vicini alla verità, ecco che il concetto di “Sesso” diventa, è uguale a “piacere”, puoi dargli tutte le connotazioni che vuoi, ma l’impulso tornerà in un unica e sola esperienza conosciuta che è il piacere, la soddisfazione, il soddisfacimento. La natura in questa cosa è sapiente ed ha miscelato gli elementi in modo tale da rendere praticamente impossibile uscire dalla sua stessa trappola: mantenere la vita sul pianeta è più importante di tutti noi e dei nostri ragionamenti. Anche nei confronti dell’uomo per la sua stessa evoluzione diventa necessario che esistano contenitori nei quali ritornare per compiere la propria evoluzione o meglio rivoluzione.

Discorso, quello della reincarnazione o metempsicosi, che viene tirato spesso in ballo con riferimento all’oriente insieme alla convinzione che in occidente “la riflessione sul piacere è stata marginalizzata”, mentre nel mondo orientale il godimento del corpo è riuscita e cura dello spirito, quale ennesima banalizzazione di questa apparente modernità.

Una società ipocrita dove proliferano “peccatori” e “peccatrici” pronti a dedicarsi ad attività illecite ma, dove per la maggioranza della popolazione la soddisfazione dei desideri sessuali resta ancora qualcosa di cui vergognarsi, abominevole e sconveniente, tanto da dover essere trasgredito. L’idea stessa di trasgressivo evidenzia una valutazione di merito puerile ed ipocrita.

E’ evidente che tale ragionamento è difficilmente comprensibile per una mente sottomessa da secoli di ostinata focalizzazione in un conflitto tra i generi (uomo-donna) utile solo a mantenerci tutti sotto controllo. Un persona coscienza, è una persona libera, ed una persona libera non ubbidisce più. La schiavitù moderna è il riflesso della schiavitù alla quale siamo sottoposti da secoli di oppressione.

Nei secoli questo valore di libertà ha cercato vessilli in nuove e sempre più elaborate rivoluzioni, ma siccome nascevano e sorgevano da problemi di classe e non culturali o storiche si sono tradotte solo in nuove opportunità per il potere costituito di stringere la corda o tirare il guinzaglio. L’evoluzione tecnologica alla quale siamo pervenuti è la conseguenza di creare continuamente nuove forme, nuovi strumenti di intimidazione al fine di contenere e controllare le masse, le quale aveva il cattivo gusto di quando in quando di svegliarsi, almeno qualcuno tra di loro, e sollevare obiezioni sulla conduzione generale del genere umano.

L’umanità è evoluta culturalmente solo grazie al balzo di pochi che hanno permesso ai tanti di usufruire di tale vantaggio. In modo complementare la classe dominante ha cercato di sviluppare strumenti di controllo sempre più sofisticati, sulle prime limitandosi allo sviluppo tecnologico di armi e successivamente allo sviluppo tecnologico logistico e controllo dell’informazione. E’ evidente che senza il bisogno di controllarci e tenerci sotto controllo ed ignoranti non avremmo avuto l’attuale sviluppo. Questo perché alla coscienza serve altro, e tutti i tentativi di tenerla imbrigliata hanno finito per renderla sempre più forte. Come viene spesso ricordato se cresce una parte, cresce anche l’altra e per questa ragione che siamo cresciuti tecnologicamente.

Il problema oggi è che chi porta avanti il governo del mondo non ha chiaro nemmeno perché sta lì, e cerca disperatamente solo di controllarlo, attraverso i numeri, oggi la finanza che controlla il mondo è ignara di essere sopra un treno (cassandra crossing) che viaggia verso un ponte che è destinato a crollare, e non c’è nessuno al volante. Oggi la cosa più intelligente da fare è scendere da questo treno, e per farlo dobbiamo imparare a saltare già a 300 km/h, ecco perché ci serve addestramento, ecco perché non basta sapere ed aver capito (una cosa non può escludere l’altra, quindi questo è già un bel passo da compiere), ma serve una transizione. Ma questo è un altro tema ancora.

https://crepanelmuro.blogspot.it/2016/03/il-mestiere-fra-i-piu-antichi-del-mondo.html


Prostituta

Prezzi

Cassa

Preservativi



sabato 26 settembre 2015

Lina Merlin. È il difettoso sistema economico-sociale che crea la necessità della prostituzione. Bisogna trasformare la società attuale e la vergognosa istituzione cesserà. […] Quando la donna comprenderà ch’ella è parte, e non la meno trascurabile, della classe degli sfruttati, parteciperà alla lotta contro il regime che la opprime

È il difettoso sistema economico-sociale che crea la necessità della prostituzione. Bisogna trasformare la società attuale e la vergognosa istituzione cesserà. […] Quando la donna comprenderà ch’ella è parte, e non la meno trascurabile, della classe degli sfruttati, parteciperà alla lotta contro il regime che la opprime.
Lina Merlin in un articolo su: “Eco dei lavoratori” 4 Marzo 1922

giovedì 27 agosto 2015

Sulla prostituzione e la sua legalizzazione. Agostino afferma che la prostituta nella società fa quel che fa la sentina nella nave, o la fogna nel palazzo: togli la fogna, e riempirai di puzza il palazzo, e lo stesso per la sentina: togli le prostitute dalla società, e la riempirai di sodomia (tolle meretrices de mundo, et replebis ipsum sodomia). Per questo motivo lo stesso Agostino dice nel quattordicesimo libro della 'Città di Dio', che la Città terrena rende l’andare a prostitute una turpitudine lecita (terrena civitas usum escortorum licitam turpitudinem fecit).



Sulla prostituzione e la sua legalizzazione

[Un passo di Tommaso d'Aquino (De regimine principum, IV, 14), che commenta la "Repubblica" di Platone, la "Politica" di Aristotele e la "Città di Dio" di Agostino:]

"Un terzo punto poi che Aristotele discute riguardo al governo degli spartani, riguarda i soldati, se debbano avere moglie o congiungersi in matrimonio: poiché, se questo accade, vengono distratti dalla battaglia. Infatti, l’animo è indebolito dall’atto di godimento carnale ed è reso meno virile, come detto sopra: e secondo una frase di Platone, che riporta Teofrasto, sposarsi non giova alle questioni militari. Ma Aristotele respinge ciò nel secondo libro, poiché i militari sono per natura inclini alla lussuria. La causa viene attribuita in una specie di libretto, 'De problematibus', tradotto dal greco al latino dall’imperatore Federico. Ma il filosofo presentò lì il mito del poeta Esiodo che congiunge Marte a Venere: dunque si astengano dalle mogli, si lascino andare ai maschi. E perciò Aristotele critica in ciò la sentenza di Platone, poiché congiungersi in modo carnale con le mogli è un male minore che deviare in spregevoli atti sconci. Da ciò Agostino afferma che la prostituta nella società fa quel che fa la sentina nella nave, o la fogna nel palazzo: togli la fogna, e riempirai di puzza il palazzo, e lo stesso per la sentina: togli le prostitute dalla società, e la riempirai di sodomia (tolle meretrices de mundo, et replebis ipsum sodomia). Per questo motivo lo stesso Agostino dice nel quattordicesimo libro della 'Città di Dio', che la Città terrena rende l’andare a prostitute una turpitudine lecita (terrena civitas usum escortorum licitam turpitudinem fecit)."



lunedì 3 marzo 2014

Kiki era chiamata "la regina di Montparnasse".

Man Ray - Le violon d'Ingres.
Una giovane donna fotografata di spalle.
I suoi capelli sono coperti da un turbante orientale e a metà della sua schiena compaiono le due delle due “effe” del violino. La posa della modella è ispirata a quella della figura dipinta da Ingres nel Nudo di spalle del 1807. Per raccontarvi la storia di questa celebre fotografia scattata da Man Ray (1890-1976) nel 1924, dobbiamo partire appunto da Jean Auguste Dominique Ingres uno tra i massimi esponenti dell’Arte Neoclassica, attivo nella prima metà dell’Ottocento. Ingres era infatti un eccellente violinista e di sicuro avrebbe intrapreso la carriera di musicista, se la pittura non fosse stata la sua più grande vocazione. Il fatto che fosse un celebre pittore e al contempo avesse la piena padronanza del violino generò un motto, che fu molto in voga verso la fine dell’Ottocento francese e che recitava in questo modo: Le Violon d’Ingres (Il Violino d’Ingres). Man Ray prese spunto da questo motto per dare vita ad un’opera fotografica che potesse raccontare il suo hobby/vizio preferito. E lo fece nell’unica maniera in cui un dadaista potesse farlo: in modo satirico e goliardico immortalò attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica Kiki, la sua più grande passione nonché modella, musa e amante.
Il mezzo busto scoperto è reso più casto dalla scelta di porla rivolta di spalle rispetto alla visuale dell’osservatore; la stoffa che nasconde ben poco delle sue prorompenti forme, il turbante indossato, il volto di tre quarti che si intravede appena, contribuiscono a delineare un corpo fisicamente presente e al contempo un’identità sfuggente, resa tanto enigmatica da quell’aura di indefinitezza. Avvalendosi dell’innovativa tecnica di stampa a contatto, il fotografo americano impressiona sulla schiena femminile quei due segni ad effe tipici del violoncello, o meglio, di quello strumento a corda di origine medievale definito propriamente come “Viola d’amore”.
Kiki de Montparnasse (Chatillon-sur-Seine 1901 – Sanary-sur-Mer 1953), il cui vero nome era Alice Prin, restò per decenni la modella prediletta di numerosi artisti ed è riconosciuta come una delle protagoniste assolute della vita parigina dei primi decenni del XX secolo. Sarà nel vivace quartiere di Montparnasse, che la giovane Kiki diverrà ben presto una delle donne più ricercate della mondanità parigina, grazie alla sua vitalità e a quel gusto per la provocazione del tutto genuino. Donna consapevole del suo fascino, modella, prostituta, pittrice e attrice, riuscirà perfino a pubblicare a soli 29 anni un libro contenente le sue memorie3, Souvenirs (1929), curato nella sua prima edizione niente di meno che da Ernest Hemingway.
https://www.facebook.com/231347766918839/photos/a.349620598424888.91722.231347766918839/926277854092490/?type=3&theater




Il suo vero nome era Alice Ernestine Prin, la Reine de Montparnasse, l'incarnazione della schiettezza, dell'audacia e della creatività.
Amante e musa di Man Ray la ritroviamo nella celebre foto: Violon d'Ingres.
Ritratta come un violoncello, il suo corpo diventa uno strumento da suonare, un concetto molto lontano dalle idealizzazioni classiche.
Ernest Emingway disse di lei: "Kiki fu la regina di Montparnasse più di quanto la regina Vittoria lo fosse dell'era vittoriana".




Questa è una foto famosissima di Man Ray. 
Ma forse non tutti sanno chi è la donna qui ritratta; si faceva chiamare Kiki e, banalmente parlando, faceva il mestiere più antico del mondo.Fu l'amante di molti artisti nella Parigi degli anni 20, tra cui lo stesso Man Ray, Modigliani e tanti altri. Un episodio racconta di quanto fosse esibizionista, ma anche di animo estremamente generoso. Un giorno entrò al caffè della Rotonde una donna in lacrime. Le era morto il figlio e non aveva i soldi per il funerale. Lei, senza dire nulla, iniziò a fare il giro dei tavoli e davanti ad ogni uomo si tirò su la gonna e, mostrando le sue grazie, chiese "2 o 3 franchi per lo spettacolo".Poi tornò dalla donna e rovesciando i soldi sul tavolo le disse "qui ce n'è per pagare il funerale e anche per comprarti un vestito".
A 29 anni scrisse le sue memorie e Hemingway decise di scriverne la prefazione:
"Era stupenda da guardare. Aveva un bel viso già di suo, ma lei ne aveva fatto un'opera d'arte. Aveva un corpo meraviglioso e una voce splendida, fatta per parlare, non per cantare, e in quegli anni fu certamente la regina di Montparnasse più di quanto la regina Vittoria lo fosse nell'epoca vittoriana....(...) Questo è l'unico libro per il quale ho scritto una introduzione e, Dio mi aiuti, l'unico per il quale la farò. (...) E' stato scritto da una donna che, a quanto ne so, non ha mai avuto una Stanza Tutta per Sè (...) Se siete stanchi dei libri scritti dalle signore della letteratura per entrambi i sessi, questo è un libro scritto da una donna che non è mai stata una signora. Per quasi dieci anni è stata a un passo dal diventare quella che oggi sarebbe considerata una Regina, il che, naturalmente, è molto diverso dall'essere una signora." Kiki era chiamata "la regina di Montparnasse".



Sarebbe gradito il titolo del libro scritto da codesta Grazia. Grazie.



Souvenirs



La conoscevo. Augias racconta la sua storia ne "I segreti di Parigì"


martedì 22 novembre 2011

Giovenale. Nessun colpevole può essere assolto dal tribunale della propria coscienza



« [...] [il popolo] due sole cose ansiosamente desidera: pane e giochi»
« [...] [populus] duas tantum res anxius optat panem et circenses »
Decimo Giunio Giovenale, Satira X

Panem et circenses.
"Da quando non si vendono più voti, (questa gentaglia di Roma), ha perso ogni interesse; 
un tempo attribuiva tutto essa: poteri, fasci, legioni; adesso lascia fare, 
spasima solo per due cose: pane e giochi”.
Giovenale

Cos’era diventata Roma nel II secolo d.C.
tanto da far arrabbiare così Giovenale?
Le parole del poeta sono molto dure, con chi ce l’ha?
Pare che l’interesse dei Romani fosse mutato da un po’ di tempo solo verso due cose:
la distribuzione gratuita di pane e i giochi dei gladiatori al circo.



«Mens sana in corpore sano»
«In un corpo sano vive uno spirito sano»
Giovenale


«Orandum est ut sit mens sana in corpore sano» 
«Sarebbe auspicabile che in un corpo sano albergasse uno spirito sano». 
Giovenale

Queste parole del poeta latino Giovenale vengono abitualmente tradotte cosi: 
«In un corpo sano vive uno spirito sano». Ciò ha permesso a generazioni di insegnanti di ginnastica simili a sergenti dell'esercito di maltrattare i loro allievi in palestra.
In realtà Giovenale aveva inteso tutt'altro. 

Nelle Satire, da cui la frase citata è stata estrapolata in maniera incompleta, si legge: 
«Orandum est ut sit mens sana in corpore sano». 
Vale a dire: «Sarebbe auspicabile che in un corpo sano albergasse uno spirito sano». 
Giovenale non voleva affatto comporre uno slogan salutista, ma piuttosto ironizzare sul culto allora imperante della forma fisica. Se avesse potuto esprimere in modo più diretto la sua opinione sui muscolosi gladiatori spalmati d'unguento, leggeremmo quanto segue: 
«Come sarebbe bello se questi nerboruti scimmioni sapessero anche pensare!»
Fonte: Buchnunn, Georg, Geflugelte Worte, Ausgabe Ex Libris, 6a ed. Francoforte 1991





Nessun colpevole può essere assolto dal tribunale della propria coscienza
Giovenale

L'onestà è lodata da tutti, ma muore di freddo
Giovenale

L’avarizia è un vizio che può trarre in inganno perché all’inizio assume l’aspetto di una virtù
Giovenale


Una Roma Ellenizzata non posso soffrirla, Quiriti; ma quanto vi sia di acheo in questa feccia bisogna chiederselo. Ormai da tempo l’Oronte di Siria sfocia nel Tevere e con sé rovescia idiomi, costumi, flautisti, arpe oblique, tamburelli esotici e le sue ragazze costrette a battere nel circo.
non possum ferre, Quirites, Graecam urbem. quamuis quota portio faecis Achaei? iam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes et linguam et mores et cum tibicine chordas obliquas nec non gentilia tympana secum uexit et ad circum iussas prostare puellas.
Giovenale, Satire III – 60

Un amico di Giovenale, di nome Umbricio, si lamenta che per lui a Roma non c’è più futuro, non c’è lavoro, mal sopporta i porporati con i loro vizi e l’invasione di stili di vita aliene alle tradizioni latine, così decide di lasciare Roma per stabilirsi in Campania. Roma, ormai, diventata corrotta, pericolosa, lasciva, Umbricio, a questa vita nell’Urbe preferisce la modesta ma sana vita nei piccoli municipi italici.
http://www.cvltvsdeorvm.it/ius-soli/




Tra i romani vecchio stampo la cosmesi era mal vista:
di fatto il termine "lenocinium" indicava sia il maquillage sia la prostituzione.
Le cose non cambiarono con l'avvento dell'Impero, anzi.
Seneca considerava il trucco un sintomo di decadenza morale, mentre il poeta ‪Giovenale‬ nella Satira IV scrive:
"Ma la faccia trattata con tanti diversi trucchi, con il fango cotto e bagnato, si chiamerà ancora faccia o è una piaga?"
Giovenale. Satira IV




... mentre Ovidio scrisse il "Medicamina faciei femineae" con i consigli per i trucchi...




 […] iam pridem, ex quo suffragia nulli / 
uendimus, effudit curas; nam sie dabat olim / 
imperium, fascio littorio, legiones, omnia, nunc se / 
continet atque duas tantum res anxius optat, / 
Panem et circenses . […]   
Giovenale, Satire 10,77-81   

 Panem et circenses.
"Da quando non si vendono più voti, (questa gentaglia di Roma), 
ha perso ogni interesse; un tempo attribuiva tutto essa: 
poteri, fasci, legioni; adesso lascia fare, 
spasima solo per due cose: 
pane e giochi”.
Giovenale
       

Cos’era diventata Roma nel II secolo d.C. tanto da far arrabbiare così Giovenale? 
Le parole del poeta sono molto dure, con chi ce l’ha? 

“Ormai, da quando non si vendono più voti, (questa gentaglia di Remo), 
ha perso ogni interesse; un tempo attribuiva tutto lui, poteri, fasci,legioni; 
adesso lascia fare, spasima solo per due cose: pane e giochi”.

Pare che l’interesse dei Romani fosse mutato da un po’ di tempo solo verso due cose: 
la distribuzione gratuita di pane e i giochi dei gladiatori al circo.

Ebbene, uno dei problemi di un grande impero era quello di avere a disposizione il grano, e cura dell’amministrazione era quello di provvedere all’approvvigionamento dell’annona, cioè il grano raccolto e immagazzinato nei granai, che se inizialmente era fonte per sfamare il popolo, col passare del tempo divenne strumento da parte dei vari imperatori per imbonirsi la plebe e gli eserciti, scongiurando così eventuali rivolte. 

Se ai tempi della res publica il raccolto di cerali era “made in Italy”, con l’aumentato numero degli abitanti, già sotto Augusto Roma superava 1 milione, si dovette provvedere ad importarlo dalle province come la Sicilia e l’Africa. 

Nel 123 a.C. Gaio Sempronio Gracco fece votare la lex Sempronia frumentaria con la quale lo Stato stabiliva un calmiere per il prezzo del frumento a 6 assi; sicuramente uno strumento per regolarizzare il mercato e per limitare le speculazioni durante i periodi di carestia. 

Questo tipo di elargizione a prezzo ridotto venne effettuato con una certa frequenza, tranne durante il periodo della dittatura di Silla o in altri periodi bui della storia di Roma fino a diventare gratuito nel 58 a.C. con una legge fatta votare dal tribuno Clodio. Una mossa filo plebea? 

I sospetti ci sono tutti, ma il problema del frumento era effettivamente un serio motivo di preoccupazione per Roma. 

Seneca racconta che alla morte di Caligola nel 41 d.C. 
Roma aveva riserve di grano solo per una settimana 
e Claudio dovette affrontare nel Foro una folla inferocita che gli si era scagliata contro, 
sempre a causa di un periodo di carestia in cui tardavano ad arrivare i rifornimenti. 

Ancora più importante era garantire all’esercito di stanza a Roma una fornitura costante; 
il timore era che questo potesse cospirare contro l’imperatore.


Tuttavia, le leggi frumentarie non erano rivolte a tutte le classi sociali, chi ne poteva beneficiare erano i cittadini romani con medio/basso reddito residenti nell’Urbe e cittadini che non discendessero da schiavi. Ne erano esclusi schiavi, liberti, stranieri, nobili e ricchi vari che potevano ottenere il grano dalle proprie tenute oppure comprarlo direttamente dai mercati

Chi aveva diritto alla distribuzione era registrato su tavolette di bronzo e doveva presentarsi in un giorno stabilito nella Porticus Minucia Frumentaria, il luogo predisposto ad accogliere la massa di beneficiari, attualmente collocabile tra Largo Argentina e via delle Botteghe oscure, presentando un certificato, la tessera annonaria. 

Si aveva così diritto a ricevere 35 kg di grano, la quantità per due persone; il limite era proprio questo, non si potevano mantenere famiglie intere. L’apparato burocratico aveva a capo il prefetto all’Annona, coadiuvato dai centurioni e i procuratori all’Annona.

Mangiare a spese dello Stato però aveva favorito ogni tipo di strategie illecite per poter ottenere le distribuzioni gratuite e il numero dei beneficiari aumentava sempre più col passare del tempo. 
Spesso anche dei patrizi, che di certo potevano mantenersi grazie alle proprie rendite, riuscirono ad inserirsi nelle liste

Già  Giulio Cesare per porre fine a questo eccesso decise di ridurre gli aventi diritto da 320.000 a 150.000, stabilendo che alla morte di un beneficiario il sostituto doveva essere estratto a sorte

Augusto invece aveva addirittura pensato di abolire del tutto la distribuzione, pensando che questo favorisse l’abbandono delle terre e l’aumento di migrazioni verso Roma per vivere alle spalle dello Stato. L’unica azione che potette fare fu solo quella di limitare a 200.000 i tesserati. 

Da allora gli imperatori usarono questo strumento per garantire la pace sociale a Roma, elemento essenziale per la sopravvivenza stessa del potere. Questa captatio benevolentia spesso venne inserita dal princeps di turno nel suo programma politico, ne è esempio una raffigurazione di Traiano sui rilievi dell’arco di Benevento dove l’imperatore venne  rappresentato nell’atto di distribuzione del pane nel Foro (annona populi Romani).


Con il tempo e a causa di varie crisi che l’impero dovette affrontare, l’annona era divenuta una vera e propria ancora di salvezza per le classi meno abbienti, tramutandosi però in distribuzione non più di farina, ma di pane ben cotto in forni industriali assieme ad olio, carne di maiale e vino a prezzi ribassati.

 Accanto alle distribuzioni pubbliche, vi erano anche quelle di privati in occasioni particolari. 
Un affresco di Pompei sembra immortalare questo momento di benevolenza da parte di un illustre cittadino verso i suoi sostenitori, forse per l’elezione ad una magistratura locale

Anche a Piazza Armerina, in una recente rilettura di un mosaico ambientato nel Circo Massimo, vi si può leggere una distribuzione pubblica di pane sulle gradinate del circo, rendendo effettivamente più realistico lo sfogo di Giovenale e del suo panem et circenses!  

http://www.mediterraneoantico.it/articoli/archeologia-classica/panem-et-circenses/







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