domenica 11 dicembre 2011

Sofocle. Tu dirai che da folle io mi comporto, ma forse di follia m'accusa un folle.

La sorte migliore è non nascere.
Sofocle


Tutti gli inizi hanno una fine 
“Nulla dura: né la notte stellata, 
né le disgrazie, né la ricchezza; 
tutto ciò, all’improvviso, 
un giorno è fuggito”.
Sofocle


Errare è possibile a tutti gli uomini. Ma il saggio, quando ha commesso un errore, non rimane irremovibile e ripara il male che ha fatto. Perseverare nell'errore, infatti, genera ogni sorta di mali.
Sofocle


Il dolore più acuto è quello di riconoscere noi stessi come l’unica causa di tutti i nostri mali.
Sofocle

L'uomo non conosce altra felicità se non quella che egli si va immaginando, e poi, finita l'illusione, ricade nel dolore di sempre.
Sofocle.


Non si può conoscere veramente la natura e il carattere di un uomo fino a che non lo si vede amministrare il potere.
Sofocle

Per chi ha paura, tutto scricchiola.
Sofocle



Chi ha paura non fa che sentir rumori.
Sofocle

Tu dirai che da folle io mi comporto,
ma forse di follia m'accusa un folle.
Sofocle

Una parola ci libera di tutto il peso e il dolore della vita:
quella parola è amore. ..
Sofocle


Non venire mai alla luce,
può essere il più grande dei doni.
Sofocle


‎Nessuno confidi nella buona fortuna finché,
nel giorno della sua morte, la vita non gli sia apparsa come un ricordo senza dolore.
Sofocle


I buoni ragionamenti sono più forti di due mani robuste.
Sofocle



O mortali,come la vostra vita considero uguale al nulla!
Quale, quale uomo, è in sé felice?
Felicità è un'ombra che subito precipita....
Sofocle, Edipo re
Quarto stasimo, Coro.


Generazioni di uomini, vi conto una dopo l'altra, tutte uguali, tutte viventi nel nulla.
Quale uomo ottiene più che l'illusione della felicità? E dopo l'illusione viene il declino.
Edipo re (vv 1186-92) - Sofocle


Non voglio soffrire due volte:
a penare e a raccontare le mie pene.
Sofocle, Edipo a Colono


La cosa migliore è non esser mai nati
e, una volta nati,
tornarsene al più presto là,
da dove si è venuti.
Dopo che uno sia nato,
recando con sé vacue stoltezze,
quale lacrimevole afflizione gli manca?
Quale dolore è assente?
Uccisioni, conflitti, discordie, guerre,
invidie; e alla fine gli tocca anche
una spregievole inferma intrattabile
ostile vecchiaia, in cui tutti
i mali convivono insieme.
Sofocle, Edipo a Colono



Non essere nati è la condizione superiore a tutte; la seconda è, quando si è nati, tornare al più presto là da dove si è venuti.
Sofocle, Edipo a Colono


Non nascere, ecco la cosa migliore, e se si nasce tornare presto là dove si è giunti. 
E quando passa la giovinezza con le sue lievi follie,quale mai pena manca? 
Invidie, lotte, battaglie, contese, sangue, e infine, spregiata e odiosa a tutti, la vecchiezza.
Sofocle, Edipo a Colono


E poi che tu vituperi la mia
cecità, parlerò. Tu aperti hai gli occhi,
eppur non vedi in che sciagure sei,
né dove abiti, né chi sono quelli
che vivono con te.
Sofocle, Edipo re



Anche se é mio nemico, provo pietà per questo infelice, schiacciato sotto il giogo della rovina funesta: rispecchio nel suo il mio destino, e mi accorgo che noi tutti, i viventi, non siamo altro che fantasmi, ombra vana.
Sofocle, Aiace


Molte sono le cose incredibili
ma nessuna è più incredibile dell'uomo
Sofocle, Antigone

Molte sono le cose inquietanti
Ma nessuna più dell'uomo
Sofocle, Antigone, vv. 332-333


Ma un'indole troppo dura è quella che si spezza più facilmente, ricordalo:
è come il ferro temprato al fuoco, se indurisce troppo si rompe in mille pezzi.
Sofocle, Antigone


Prendi tua figlia, portala a Siracusa, siediti sui gradoni del teatro greco e insegnale lo splendore della disubbidienza. È rischioso ma è più rischioso non farlo mai.
Sofocle,  Antigone


Chi crede di essere il solo a capire, il solo a poter parlare, il solo a possedere un’anima retta, appena lo apri scopri che è vuoto.
Sofocle,  Antigone


La voglia di baciarti in qualsiasi situazione,
in qualsiasi posto,
in mezzo a qualsiasi folla,
a metà di qualsiasi discorso
davanti a qualsiasi persona,
a qualsiasi ora.
È estenuante. Sfiancante.
Mi divora.
Ti prego, fa che non mi passi mai.
Sofocle, Antigone



Non c’è mai stato tra gli umani niente di peggio del denaro,
Che devasta le città, sradica gli uomini dalle loro case,
Plagia e corrompe gli animi degli onesti e li avvia alle azioni più infami,
Addita la via del delitto, li inizia al sacrilegio.
Sofocle, Antigone


Per l’uomo nulla ha poteri così tristi e larghi come il denaro, che città devasta, uomini strappa dalle case, istruisce le menti pure a concepire il male, le perverte e le muta, del delitto indica il passo e l’esperienza schiude ad ogni empietà.
Sofocle, Antigone


Al mondo non c'è mai stato nulla peggiore del denaro, che rovina le città, allontana gli uomini dalle loro case, insegna il male anche agli onesti e li spinge ad azioni vergognose. Il denaro è per gli uomini maestro di ogni empietà, di ogni delitto.
Ma quelli che compiono tali azioni per denaro, ne pagano col tempo il giusto prezzo. […] imparerete per il futuro a non trarre guadagni se non da dove è lecito, imparerete che non si deve approfittare di qualsiasi occasione. E capirete che i cattivi guadagni non portano salvezza, ma rovina.
Sofocle, Antigone, trad. di M.G. Ciani, Marsilio 2013, p. 29


“ CREONTE […]   Ma se lascerò crescere nel disordine chi mi è consanguineo per nascita, certo renderò tali anche gli estranei: chiunque agisce rettamente in privato, apparirà giusto anche nella cosa pubblica. Chi invece prevaricando fa violenza alle leggi, oppure intende dare ordini a chi regna, costui non può trovare approvazione da parte mia. Ma a chi la città ha scelto per capo bisogna obbedire pure nelle piccole cose, siano giuste o no. E un tale uomo sono sicuro che comanderebbe bene e sarebbe disposto a obbedire, e nel turbine della battaglia rimarrebbe fermo al suo posto, fedele e valente compagno. Non esiste male maggiore dell’anarchia: essa distrugge la città, sovverte le famiglie, rompe e volge in fuga l’esercito in battaglia; ma fra i vittoriosi la disciplina salva la maggior parte delle vite. Così bisogna difendere l’ordine.”
SOFOCLE (497-496 – 406 a.C.), Antigone (prima rappresentazione 442 a.C., Teatro di Dioniso, Atene), introduzione di Dario Del Corno, traduzione di Raffaele Cantarella, note e commento di Marina Cavalli (Mondadori 1982), in Id., Le tragedie, Mondadori, Milano 2007 (I ed.), Terzo episodio, pp. 137 e 139.


... perché questo editto non Zeus proclamò per me, né Dike, che abita con gli dei sotterranei. 
No, essi non hanno sancito per gli uomini queste leggi; né avrei attribuito ai tuoi proclami, Creonte, tanta forza che un mortale potesse violare le leggi non scritte, incrollabili, degli dei, che non da oggi né da ieri, ma da sempre sono in vita, né alcuno sa quando vennero alla luce. Io non potevo, per paura di un uomo arrogante, attirarmi il castigo degli dei. Sapevo bene – cosa credi? – che la morte mi attende, anche senza i tuoi editti. Ma se devo morire prima del tempo, io lo dichiaro un guadagno: chi, come me, vive immerso in tanti dolori, non ricava forse un guadagno a morire? Affrontare questa fine è quindi per me un dolore da nulla; dolore avrei sofferto invece, se avessi lasciato insepolto il corpo di un figlio di mia madre; ma da questa mia sorte dolore non ho. E se ti sembra che mi comporto come una pazza, forse è pazzo chi di pazzia mi accusa.
Sofocle," Antigone"



«L'Antigone di Sofocle non è “un testo qualunque”. È una delle azioni durature e canoniche nella storia della nostra coscienza filosofica, letteraria e politica. Al centro di questo libro si trova l'abbozzo di un tentativo di rispondere a una domanda: Perché una manciata di miti greci antichi continua a dare la sua forma vitale alla nostra percezione di noi stessi e del mondo? 
Perché le “Antigoni” sono davvero éternelles e direttamente rilevanti al momento presente?»
(Brano tratto da George Steiner, Le Antigoni)
Su questo bellissimo saggio di Steiner , c'é un articolo pubblicato su Repubblica del 1991, che pone il grande interrogativo di senso che attiene l'eredità della Grecia classica che ha creato un imprinting, un modellamento, un modo di essere che dopo circa venti secoli continua a sopravvivere e ad abitare il mondo occidentale, il nostro mondo. Il giornalista si chiede infatti rifacendosi al saggio in questione.."PERCHE' l' autorità ininterrotta di poche decine di miti importanti nell'universo greco, che esercitano su di noi un' attrazione unica e ineguagliata, mentre il canone dei miti provenienti da altre zone del globo (l'Amazzonia, l'Australia) è molto più variato? 
. ...........Anche prima di Joyce le nostre peregrinazioni e i nostri ritorni sono stati quelli di Odisseo. Il dolore esasperato delle donne offese continua a parlare per bocca di Medea. La cultura della droga e dei figli dei fiori faceva riferimento alle Baccanti. Le nostre ribellioni si rifanno a quella di Prometeo. Edipo, Narciso sono assunti per dare dignità, per definire i nostri complessi. Partendo da questa incredibile fertilità, così duratura, dei miti greci, Steiner solleva una serie di domande più generali sulla civiltà occidentale: perché la tirannia della Grecia sulla nostra mente, mentre altre culture non dimostrano una forza di ripetizione paragonabile (quella che Steiner chiama the energy of reiteration, l' energia della reiterazione)? E' così difficile inventare storie nuove? E' come se il nerbo dell' invenzione simbolica, della metafora vincolante, fosse morto con Atene; e a noi non restasse che aggiungere ogni mezzo millennio un nuovo mito (quello di Don Giovanni, per esempio, è forse la sola genuina novità tra i personaggi della mitologia occidentale: estraneo ai canoni della psicologia greca, anche se Giove Olimpico aveva una simile disposizione fisiologica). Nei più di venti secoli dalla fine della Grecia classica ad oggi la cultura europea non ha aggiunto una sola forma grammaticale nuova: La gamma dei passati e di futuri, degli ottativi e dei congiuntivi, che autorizza il ricordo e l' attesa, che permette alla speranza e all'ipotesi irreale di creare uno spazio per lo spirito in mezzo alla ressa degli imperativi del biologico, si organizza in una struttura greca. 
Amore fraterno 
La capacità di articolare l' esperienza in modo grammaticale, la sintassi della deduzione e dell' induzione, della prova e della negazione, che costituisce l'alfabeto del pensiero razionale, è alla base del nostro modo di pensare. E noi abbiamo ereditato, scrive Steiner, lo stupore radicale del sapere". Questa definizione mi ricorda un altro stupore di cui parla Clifford, il marito paralizzato di Lady Chatterley, nella prima versione del romanzo di D. H. Lawrence: Mi pare curioso, ora che essi potessero trarre tanto piacere dal discutere e ragionare e pensare. Assomigliano incredibilmente a bambini che abbiano appena scoperto di saper pensare e non stiano più nei panni dalla gioia. (...) Colombo che scopre l' America è nulla a paragone di questi Greci dell' origine i quali scoprono di avere un' anima logica e ragionante. Nell' economia del romanzo la parola chiave è quell' ora' in corsivo, che riflette la condizione di Clifford il quale ha appena perso l' uso del corpo; ma per Lawrence, e per noi lettori dei testi greci e di Lawrence e di Steiner, è l' idea della conoscenza, della logica, del pensiero, come fonte di giubilo e di eccitamento quasi sensuale, che ci affascina. Per questa vasta esplorazione dei rapporti fra i miti greci e il nostro modo di pensare, Steiner parte da un punto focale, l' Antigone di Sofocle che, tra la fine del Settecento e i primi anni del Novecento, venne considerato da tutta la cultura europea, da Hegel a Holderlin a Kierkegaard, come l' opera d' arte più miracolosa, più vicina alla perfezione tra tutte quelle prodotte dallo spirito umano.
Brano tratto da Repubblica, 19 febbraio 1991, ANTIGONE L' IMMENSA, Guido Almansi


Morta trovammo allor la bella sposa;
Per laccio al bianco collo intorno avvolto
Quel ricco cinto avea, che ’l primo giorno
Le diè ’l suo caro sposo e vostro figlio.
Il miserello Emon con pianti e strida
Se stesso sollevando alto da terra
Abbracciava e baciava intorno intorno
Della gonna e de’ piei la parte estrema:
L’inferno maladisse ch’il suo bene
Furato avea, la morte, l’impio padre,
La Fortuna, gli Dei, se stesso ancora;
Ma Creonte che poco a noi lontano
Dietro seguia, quando conobbe il figlio
Poste subito giù l’ire e gli sdegni,
Chiamandolo e piangendo in ver lui corse:
O misero, che fai? qual van dolore
T’ha la mente ingombrata?a che ti struggi?
Lasso, ov’or hai la conoscenza e ’l senno?
Vienne a me, figlio, e non voglia esser duro
Al vecchio padre ch’umil prega e chiama.
Emone alquanto allor con gli occhi torti
Risguardò ’l padre; e poi senz’altro dirgli
Con furia indi si tolse, e tratto fuore
Un acuto coltel che cinto avea,
Si ferì ben due volte il lato manco,
Tanto ch’ei cadde al fin col volto a terra;
E così stato alquanto, il destro braccio
Fermando in terra, appena alzò la fronte
E i languid’occhi nella giovin morta
Fermò, quasi dicesse: io vengo dietro.
Poscia un greve sospir dal cor sospinse,
Che tinto venne fuor di spuma e sangue,
E morto cadde, e così morto giace
Presso alla morta sposa il giovin figlio,
E l’infelice nozze nell’inferno
Al destinato fin son giunte omai.
Il vecchio signor nostro tardi vede
Quant’è d’ogni altro più dannoso errore
Il non dar fede ai buon consigli altrui.
Sofocle, Antigone 





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