Come potrei ammettere di non essere fatto per la vita, quando in realtà è la vita a non essere fatta per me? Non potrebbe darsi che in altre forme di esistenza, totalmente diverse da quelle in cui sono condannato a vivere, potrei essere felice, dominato da piaceri inimmaginabili? Perchè sacrificarmi nel pensiero, perchè non ammettere, nell'ambito di quanto posso concepire, che potrei adeguarmi a una diversa forma di esistenza? Ma allora come mai non dò la colpa alla vita, invece di darla a me? A questo mondo per cambiare occorrerebbe meno irreparabile e più assurdità. Finora la sua assurdità è stata troppo poco superiore alla banalità perchè io possa concedermi la minima illusione. Potrei credere nel mondo solo se cambiasse per me. Sono troppo orgoglioso per riconoscere nel mio male il male del mondo. Quanto a me, mai vorrò cambiare in funzione sua.
Emil Cioran, Al culmine della disperazione
La cosa più grave è che la premessa fondamentale di questo ideale,
secondo cui il mondo è come dovrebbe essere, non regge alla più elementare delle analisi:
il mondo avrebbe dovuto essere qualunque cosa, tranne ciò che è.
secondo cui il mondo è come dovrebbe essere, non regge alla più elementare delle analisi:
il mondo avrebbe dovuto essere qualunque cosa, tranne ciò che è.
Emil Cioran, Al culmine della disperazione
Quale MALEDIZIONE peserà su alcuni per NON SENTIRSI A PROPRIO AGIO DA NESSUNA PARTE? Nè con il sole nè senza il sole, nè con gli uomini nè senza di loro [...] I PIÙ INFELICI SONO COLORO CHE NON HANNO DIRITTO ALL'INCOSCIENZA. Avere una COSCIENZA SVILUPPATA, SEMPRE VIGILE, RIDEFINIRE SENZA TREGUA IL PROPRIO RAPPORTO CON IL MONDO, VIVERE NELLA PERPETUA TENSIONE DELLA CONOSCENZA SIGNIFICA ESSERE PERDUTI PER LA VITA. LA CONOSCENZA È UNA PIAGA, E LA COSCIENZA UNA FERITA APERTA NEL CUORE DELLA VITA. [...] Quanto a me, DO LE DIMISSIONI DALL'UMANITÀ. Non posso più, non voglio più restare uomo. [...] Rinuncio a quanto è umano in me, a costo di ritrovarmi da solo sui gradini che voglio salire. Non sono già da solo in questo mondo, dal quale non mi attendo più niente? [...]."
Emil Cioran. Insoddisfazione totale, da Al culmine della disperazione.
Detesto in Gesù tutto ciò che è sermone, morale, concetto e certezza. [...]
Amo in lui gli istanti d'incertezza e di rimpianto - i momenti davvero tragici della sua esistenza, che comunque non mi sembrano neppure i più interessanti né i più dolorosi in assoluto. Perché se si potesse misurare la sofferenza, quanti non avrebbero più diritto di lui a ritenersi figli di Dio! Non tutti i suoi figli muoiono per forza sulla croce, in una morte geometrica e verticale.
Emil Cioran, "Al Culmine della Disperazione"
“Il fenomeno capitale, il disastro per eccellenza è la veglia ininterrotta, questo nulla senza tregua. Per ore e ore passeggiavo di notte nelle strade deserte, o talvolta in quelle dove bazzicavano prostitute solitarie, compagne ideali nei momenti di supremo smarrimento. L'insonnia è una vertiginosa lucidità che riuscirebbe a trasformare il Paradiso stesso in un luogo di tortura. Qualsiasi cosa è preferibile a questo allerta permanente, a questa criminale assenza di oblio. È durante quelle notti infernali che ho capito la futilità della filosofia. Le ore di veglia sono, in sostanza, un'interminabile ripulsa del pensiero attraverso il pensiero, è la coscienza esasperata da se stessa, una dichiarazione di guerra, un infernale ultimatum della mente a se medesima. Camminare vi impedisce di lambiccarvi con interrogativi senza risposta, mentre a letto si rimugina l'insolubile fino alla vertigine.
Emil Cioran, Al culmine della disperazione
Non posso andar fiero di essere uomo, avendo vissuto questo fenomeno sino in fondo.
Solo coloro che non l'hanno vissuto intensamente possono ancora esserne orgogliosi, perchè essi tendono a diventare uomini. Così il loro entusiasmo è naturale. Tra gli esseri umani ve ne sono alcuni che hanno appena superato lo stadio d'esistenza animale o vegetale. E' dunque ovvio che aspirino alla condizione umana e l'ammirino. Ma coloro che sanno cosa significa essere uomo cercano di diventare tutto tranne questo.
Solo coloro che non l'hanno vissuto intensamente possono ancora esserne orgogliosi, perchè essi tendono a diventare uomini. Così il loro entusiasmo è naturale. Tra gli esseri umani ve ne sono alcuni che hanno appena superato lo stadio d'esistenza animale o vegetale. E' dunque ovvio che aspirino alla condizione umana e l'ammirino. Ma coloro che sanno cosa significa essere uomo cercano di diventare tutto tranne questo.
Emil Cioran, Al culmine della disperazione
«Il vero pensiero somiglia a un demone che turba le fonti della vita, oppure a una malattia che ne intacca le radici stesse. Pensare ad ogni istante, porsi problemi capitali ad ogni piè sospinto, provare il dubbio assillante circa il proprio destino, avvertire tutta la fatica di vivere, estenuato dai propri pensieri e dalla propria vita fino a non poterne più; lasciare dietro di sé una traccia di sangue e di fumo quali simboli del dramma e della morte del proprio essere – tutto questo significa essere infelici a un punto tale che il pensare ti dà il voltastomaco; e ti chiedi se la riflessione non sia una sciagura per l’uomo”
Emil Cioran, Al culmine della disperazione
Vorrei tanto che un bel giorno tutti coloro che hanno un'occupazione o una missione da svolgere, uomini e donne, sposati o no, giovani e vecchi, seri o superficiali, tristi o allegri, abbandonassero le loro abitazioni e le loro incombenze, rinunciando a ogni dovere e obbligo, per uscire in strada e non fare più nulla. Tutta questa gente abbrutita, che sgobba senza sapere perché, o si illude di contribuire al bene dell'umanità, che fatica per le generazioni future sotto l'impulso della più sinistra delle illusioni, si vendicherebbe allora di tutta la mediocrità di una vita vana e sterile, di tutto questo spreco di energia privo dell'eccellenza delle grandi trasfigurazioni. Come amerei questi momenti in cui più nessuno si lascerebbe allettare da un'illusione o da un ideale, né tentare da alcuna delle soddisfazioni che offre la vita, in cui ogni rassegnazione sarebbe illusoria e in cui tutte le cornici della vita normale salterebbero definitivamente. Tutti coloro che soffrono in silenzio senza avere il coraggio di esprimere la loro amarezza neppure col più debole dei sospiri urlerebbero allora in un coro di sinistra disarmonia, le cui grida sconvolgenti farebbero tremare la terra intera. Possano le acque scorrere più impetuose e le montagne scuotersi minacciose, gli alberi mostrare le loro radici a perenne e orrido ammonimento, gli uccelli gracchiare come corvi, e gli animali fuggire spaventati fino a cadere sfiniti. Tutti gli ideali siano dichiarati nulli, le credenze bazzecole; l'arte una menzogna, e la filosofia uno scherzo. Tutto sia un'elevazione o un crollo. Zolle di terra volino in aria per poi disperdersi portate dal vento; le piante descrivano sullo sfondo del cielo arabeschi bizzarri, contorsioni grottesche, figure deformi e spaventevoli. Turbini di fiamme si elevino in uno slancio selvaggio, e un baccano atroce invada il mondo, affinché anche la più piccola creatura sappia che la fine è prossima. Possa tutto ciò che è forma diventare informe, e il caos inghiotta in una vertigine universale, tutto ciò che in questo mondo ha struttura e consistenza. Tutto sia una convulsione demente, un fracasso enorme, terrore ed esplosione, di cui resterà soltanto un silenzio eterno e un oblio definitivo. Possano gli uomini, in questi momenti della fine, vivere a una tale temperatura che tutto ciò che l'umanità ha mai provato in fatto di rimpianti, aspirazioni, amore, odio e disperazione esploda in loro in una deflagrazione definitiva. In un simile momento, in cui quasi tutti gli uomini abbandonerebbero le proprie occupazioni, in cui più nessuno troverebbe un senso nella mediocrità del dovere, in cui l'esistenza sarebbe schiantata dalle sue contraddizioni interne, che cosa resterebbe, se non il trionfo del nulla e l'apoteosi finale del non essere?
Emil Cioran, Al culmine della disperazione
“Gli uomini in genere, lavorano troppo per poter restare ancora se stessi. Il lavoro è una maledizione che l’uomo ha trasformato in piacere […] invece di aspirare a divenire un’esistenza gloriosa e a vivere per se stesso – non nel senso dell’egoismo ma della crescita interiore-, è divenuto lo schiavo colpevole e impotente della realtà esterna”.
Emil Cioran, Al Culmine della disperazione
Ciò che mi ha salvato è l'idea del suicidio. Senza l'idea del suicidio mi sarei sicuramente ucciso. Ciò che mi ha permesso di vivere, è il fatto di aver avuto questa risorsa, sempre a portata di mano. Veramente, senza questa idea non avrei potuto sopportare la vita. L'impressione di essere relegato quaggiù, da non so che cosa. Per me, l'idea di suicidio è sempre legata all'idea di libertà.
Emil Cioran
Perché non mi suicido? Perché la morte mi disgusta tanto quanto la vita.
Sono un uomo da gettare tra le fiamme. Non capisco assolutamente che cosa io ci stia a fare quaggiù. [...] Sono una belva dal sorriso grottesco [...] attratta da niente e da tutto, esaltata tra la speranza del niente e la disperazione del tutto [...] In me si estingue ogni scintilla per rinascere tuono e lampo".
E.M.CIORAN, Al culmine della disperazione.
Ciò che mi ha salvato è l'idea del suicidio. Senza l'idea del suicidio mi sarei sicuramente ucciso. Ciò che mi ha permesso di vivere, è il fatto di aver avuto questa risorsa, sempre a portata di mano. Veramente, senza questa idea non avrei potuto sopportare la vita. L'impressione di essere relegato quaggiù, da non so che cosa. Per me, l'idea di suicidio è sempre legata all'idea di libertà.
Emil Cioran
Perché non mi suicido? Perché la morte mi disgusta tanto quanto la vita.
Sono un uomo da gettare tra le fiamme. Non capisco assolutamente che cosa io ci stia a fare quaggiù. [...] Sono una belva dal sorriso grottesco [...] attratta da niente e da tutto, esaltata tra la speranza del niente e la disperazione del tutto [...] In me si estingue ogni scintilla per rinascere tuono e lampo".
E.M.CIORAN, Al culmine della disperazione.
Emil Cioran
Perché non mi suicido? Perché la morte mi disgusta tanto quanto la vita.
Sono un uomo da gettare tra le fiamme. Non capisco assolutamente che cosa io ci stia a fare quaggiù. [...] Sono una belva dal sorriso grottesco [...] attratta da niente e da tutto, esaltata tra la speranza del niente e la disperazione del tutto [...] In me si estingue ogni scintilla per rinascere tuono e lampo".
E.M.CIORAN, Al culmine della disperazione.
«Il vero pensiero somiglia a un demone che turba le fonti della vita, oppure a una malattia che ne intacca le radici stesse. Pensare ad ogni istante, porsi problemi capitali ad ogni piè sospinto, provare il dubbio assillante circa il proprio destino, avvertire tutta la fatica di vivere, estenuato dai propri pensieri e dalla propria vita fino a non poterne più; lasciare dietro di sé una traccia di sangue e di fumo quali simboli del dramma e della morte del proprio essere – tutto questo significa essere infelici a un punto tale che il pensare ti dà il voltastomaco; e ti chiedi se la riflessione non sia una sciagura per l’uomo”
Emil Cioran, Al culmine della disperazione
«Il vero pensiero somiglia a un demone che turba le fonti della vita, oppure a una malattia che ne intacca le radici stesse. Pensare ad ogni istante, porsi problemi capitali ad ogni piè sospinto, provare il dubbio assillante circa il proprio destino, avvertire tutta la fatica di vivere, estenuato dai propri pensieri e dalla propria vita fino a non poterne più; lasciare dietro di sé una traccia di sangue e di fumo quali simboli del dramma e della morte del proprio essere – tutto questo significa essere infelici a un punto tale che il pensare ti dà il voltastomaco; e ti chiedi se la riflessione non sia una sciagura per l’uomo”
Emil Cioran, Al culmine della disperazione
Emil Cioran.
Stanco della cultura, della storia.
“Non capisco perché dovrei continuare a vivere nella storia, condividere gli ideali della mia epoca, preoccuparmi della cultura o dei problemi sociali. Sono stanco della cultura come della storia; ormai mi è quasi impossibile partecipare ai tormenti del mondo storico, agli ideali e alle aspirazioni terrene. La storia va superata. E ciò è possibile non appena il passato, il presente e il futuro non hanno più la minima importanza, e diventa indifferente sapere ‘quando’ e ‘dove’ si vive. Perché sarebbe meglio vivere oggi, piuttosto che nell’Egitto di quattromila anni fa? Siamo sciocchi a compiangere la sorte di quanti sono vissuti in epoche che non ci piacciono, ignare del cristianesimo o delle scoperte invenzioni della scienza moderna. Se il tempo non fosse irreversibile, non mi dispiacerebbe vivere in un qualsiasi periodo storico, giacché nessuno è migliore di un altro. In mancanza di una gerarchia delle concezioni della vita, tutti hanno ragione e nessuno. Le epoche storiche rappresentano forme di vita a sé stanti. Chiuse nella certezza del loro valore definitivo, fino a che il dinamismo e la dialettica della storia approdano ad altre forme, altrettanto insufficienti e limitate, come tutto ciò che passa sotto il sole. La storia, nella sua totalità, mi sembra a tal punto priva di significato che trovo sorprendente come taluni possano occuparsi esclusivamente del passato. Quale interesse può avere lo studio degli ideali trascorsi, delle credenze dell’umanità o delle contorsioni di certi sifilitici? Le creazioni umane saranno senz’altro grandi, ma non mi interessano. La contemplazione dell’eternità non mi procura forse una serenità ben più grande? Non uomo e storia, ma uomo ed eternità: ecco un rapporto plausibile in un mondo che non merita neppure che vi respiri. Nessuno nega la storia per un capriccio momentaneo, ma sotto la spinta di grandi tragedie di cui pochi hanno il sospetto. La gente penserà che si sarà riflettuto in astratto sulla storia, prima di negarla attraverso un ragionamento, mentre in realtà questa negazione nasce da un estremo abbattimento. Quando nego l’intero passato dell’umanità e mi rifiuto di prender parte alla vita storica, sono preso dallo sconforto morale, terribilmente doloroso. Potrebbe darsi benissimo che questi pensieri abbiano solo fatto emergere ed esacerbato una tristezza latente. Sento in me un sapore acre di morte e di nulla, che mi brucia come un potente veleno. Sono così triste che ormai tutti gli aspetti del mondo non riescono ad avere per me il minimo pregio. Come potrei ancora parlare di bellezza, fare considerazioni estetiche, quando sono triste da morire? Ho perduto un’altra parte di esistenza: la bellezza. È così che si arriva a perdere tutto…
Non voglio sapere più niente. Superando la storia si realizza la sovra coscienza, indispensabile per l’esperienza dell’eternità. Essa conduce in una regione dove le antinomie, le contraddizioni e le incertezze del mondo non hanno più alcun valore, dove non si sa più di esistere né di morire. È la paura della morte a muovere coloro che perseguono l’eternità. L’esperienza di questa ha un unico scopo: far dimenticare che si è destinati a morire. E quando si ritorna dalla contemplazione dell’eternità?”
EMIL M. CIORAN (1911 - 1995), “Al culmine della disperazione“ (“Pe culmile disperării“, Fundaţia pentru literatură şi artă "Regele Carol II”, Bucureşti 1934), trad. it. F. Del Fabbro, C. Fantechi, Adelphi, Milano 1998, ‘ Storia ed eternità ‘, pp. 80 - 81.
Emil Cioran.
Stanco della cultura, della storia.
“Non capisco perché dovrei continuare a vivere nella storia, condividere gli ideali della mia epoca, preoccuparmi della cultura o dei problemi sociali. Sono stanco della cultura come della storia; ormai mi è quasi impossibile partecipare ai tormenti del mondo storico, agli ideali e alle aspirazioni terrene. La storia va superata. E ciò è possibile non appena il passato, il presente e il futuro non hanno più la minima importanza, e diventa indifferente sapere ‘quando’ e ‘dove’ si vive. Perché sarebbe meglio vivere oggi, piuttosto che nell’Egitto di quattromila anni fa? Siamo sciocchi a compiangere la sorte di quanti sono vissuti in epoche che non ci piacciono, ignare del cristianesimo o delle scoperte invenzioni della scienza moderna. Se il tempo non fosse irreversibile, non mi dispiacerebbe vivere in un qualsiasi periodo storico, giacché nessuno è migliore di un altro. In mancanza di una gerarchia delle concezioni della vita, tutti hanno ragione e nessuno. Le epoche storiche rappresentano forme di vita a sé stanti. Chiuse nella certezza del loro valore definitivo, fino a che il dinamismo e la dialettica della storia approdano ad altre forme, altrettanto insufficienti e limitate, come tutto ciò che passa sotto il sole. La storia, nella sua totalità, mi sembra a tal punto priva di significato che trovo sorprendente come taluni possano occuparsi esclusivamente del passato. Quale interesse può avere lo studio degli ideali trascorsi, delle credenze dell’umanità o delle contorsioni di certi sifilitici? Le creazioni umane saranno senz’altro grandi, ma non mi interessano. La contemplazione dell’eternità non mi procura forse una serenità ben più grande? Non uomo e storia, ma uomo ed eternità: ecco un rapporto plausibile in un mondo che non merita neppure che vi respiri. Nessuno nega la storia per un capriccio momentaneo, ma sotto la spinta di grandi tragedie di cui pochi hanno il sospetto. La gente penserà che si sarà riflettuto in astratto sulla storia, prima di negarla attraverso un ragionamento, mentre in realtà questa negazione nasce da un estremo abbattimento. Quando nego l’intero passato dell’umanità e mi rifiuto di prender parte alla vita storica, sono preso dallo sconforto morale, terribilmente doloroso. Potrebbe darsi benissimo che questi pensieri abbiano solo fatto emergere ed esacerbato una tristezza latente. Sento in me un sapore acre di morte e di nulla, che mi brucia come un potente veleno. Sono così triste che ormai tutti gli aspetti del mondo non riescono ad avere per me il minimo pregio. Come potrei ancora parlare di bellezza, fare considerazioni estetiche, quando sono triste da morire? Ho perduto un’altra parte di esistenza: la bellezza. È così che si arriva a perdere tutto…
Non voglio sapere più niente. Superando la storia si realizza la sovra coscienza, indispensabile per l’esperienza dell’eternità. Essa conduce in una regione dove le antinomie, le contraddizioni e le incertezze del mondo non hanno più alcun valore, dove non si sa più di esistere né di morire. È la paura della morte a muovere coloro che perseguono l’eternità. L’esperienza di questa ha un unico scopo: far dimenticare che si è destinati a morire. E quando si ritorna dalla contemplazione dell’eternità?”
EMIL M. CIORAN (1911 - 1995), “Al culmine della disperazione“ (“Pe culmile disperării“, Fundaţia pentru literatură şi artă "Regele Carol II”, Bucureşti 1934), trad. it. F. Del Fabbro, C. Fantechi, Adelphi, Milano 1998, ‘ Storia ed eternità ‘, pp. 80 - 81.
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