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lunedì 10 giugno 2019

Platone. Mondo delle idee. Anamnesi.

Per quanto riguarda la scuola, bisognerebbe che i professori, oltre a sapere la loro materia, fossero anche in grado di comunicarla e di affascinare. Perché l’apprendimento, lo dice Platone, avviene per via erotica. Noi stessi abbiamo studiato volentieri le materie dei professori di cui eravamo innamorati e abbiamo tralasciato quelli di cui non avevamo alcun interesse. A scuola è importante saper appassionare perché gli adolescenti vivono l’età per cui l’unica cosa che conta è l’amore, e se gli adolescenti si occupano dell’amore bisogna andare là a cercarli. Attirarli a livello emotivo significa trovare la breccia per passare poi al livello intellettuale. Se invece si scarta la dimensione emotiva, sentimentale, affettiva allora non si arriva neppure alle loro teste.
Galimberti 



cassandrablogger.tumblr.com

Platone,  il "mondo delle idee" .

Partendo dall'assunto che per Platone ogni indagine comincia da qualcosa che si sa già, ma che non si sa di sapere (il cosiddetto tema dell'anamnesi), si dirà che ogni apprendimento è reminiscenza, recupero di un sapere appreso in un “tempo prima del tempo”. 

Ma che cosa apprendiamo noi, in questo tempo atemporale? 
Precisamente le idee, non le cose sensibili: le cose sensibili appartengono al mondo sensibile, le idee appartengono al mondo delle idee, ossia quel mondo in cui ci troviamo ad esistere prima di approdare qui. 

Qual è la differenza tra idee e cose sensibili
Le idee rappresentano l'essenza eterna e immutabile delle cose sensibili, caratterizzate invece da precarietà e molteplicità

Nei dialoghi platonici, infatti, il concetto di idea è spesso accompagnato dall'espressione “in sé”. 

Un bel quadro (cosa sensibile) partecipa all'idea della bellezza in sé; un pezzo di marmo bianco (cosa sensibile) partecipa all'idea della bianchezza in sé; un uomo buono (cosa sensibile) partecipa all'idea della bontà in sé, e via dicendo. 

Queste idee, questi “in sé” assoluti, che si estrinsecano nelle cose sensibili e ne rappresentano l'essenza primordiale, sono già giunti alla nostra coscienza quando “eravamo nel mondo delle idee”, e qui li utilizziamo inconsciamente per riconoscere ed aggettivare il mondo delle cose.

https://cassandrablogger.tumblr.com/post/161461736925/ciao-sara-a-breve-dovr%C3%B2-essere-interrogata-su

giovedì 15 dicembre 2016

"La democrazia non è bella”, parola di Socrate.

“La democrazia non è bella”, parola di Socrate.
Chi disprezza il voto del popolo irragionevole e imprevisto ha una buona compagnia di predecessori. Il primo è il filosofo greco che, proprio con un voto popolare, venne condannato a morte. Preferiva una repubblica di saggi, senza però spiegare dove andare a pescarli.

Non c’è niente di più bello della democrazia, pur con tutti i difetti che presenta. Questa convinzione, nonostante la parola sia antica e la tradizione venga fatta risalire al V secolo a. C., è piuttosto recente. Anzi: è molto recente.

Gli stessi Padri Fondatori americani, negli ultimi decenni del XVIII secolo non amavano parlare di democrazia, quanto di “repubblica”. Lo stesso facevano i loro omologhi francesi qualche anno dopo. La democrazia non piaceva, era troppo vicina al “potere della folla”, che terrorizzava un po’ tutti i legislatori dell’epoca. 
Votano tutti? Per carità, no.

La verità è che questa convinzione non consiste in una distorsione del pensiero originario: come può notare chiunque abbia voglia di leggersi i dialoghi di Socrate scritti da Platone, si noterà – con tutte le complicazioni date dalla sovrapposizione delle idee del discepolo su quelle del maestro – che la democrazia ateniese, che oggi piace a tutti, in realtà non era sempre apprezzata. In particolare dal ceto aristocratico. Socrate frequentava quelle compagnie (Platone ne faceva parte) e, dal suo punto di vista, la democrazia era, nella sostanza, “il governo dei demagoghi”.

Che la folla sia inaffidabile è un concetto che si ripresenta di continuo, una lettura carsica che, lungo le epoche, si sostanzia nella volontà di porre limiti al diritto di voto (che poi votare è solo una parte della democrazia, anche se a livello simbolico la riassume tutta). Anche negli ultimi mesi. Ma tutti costoro avevano un precedente molto illustre: Socrate. Del resto, il filosofo, ne aveva anche motivo: fu con un voto di maggioranza che venne decisa la sua condanna a morte. Naturale che non ne fosse molto contento.

Ma, in ogni caso, continuava a porre il quesito: quando si naviga, ci si affida a marinai esperti o a dilettanti che non hanno mai preso un remo? La risposta è scontata, la domanda è retorica. E allora, perché gli affari dello Stato (all'epoca era la polis) devono essere affidati a persone a caso, senza preparazione, che venivano addirittura sorteggiate?

Un punto che da secoli tormenta i filosofi politici. 
Che fare? Per Platone/Socrate occorre selezionare una classe di persone sagge e razionali in grado di guidare lo Stato. Bene, ma come le si individua? E poi: come si è sicuri che siano razionali sempre? E – come dimostra la neuroscienza – molte decisioni sono inconsce, prese di pancia, secondo preferenze che non seguono la logica. E allora, perché le loro pance sono meglio di quelle degli altri? È un punto che si illustra bene qui:

Certo, ci si dimentica nel video di ricordare un passaggio: i governanti, secondo Socrate/Platone, devono essere pronti a mentire al popolo. Il pericolo sono i demagoghi? Certo. Allora bisogna convincere con una favola – una leggenda, un mito – tutta la popolazione ad accettare l’ordine costituito e non lasciarsi tentare dalle voglie del potere, che poi non sarebbe in grado di esercitare. È la Repubblica ideale, quella dei filosofi. Ma si tratta di un progetto irrealizzabile, in realtà. Perché i saggi veri non esistono. E, a ben guardare, nemmeno le folle vere.

http://www.linkiesta.it/it/article/2016/12/12/la-democrazia-non-e-bella-parola-di-socrate/32606/

martedì 12 gennaio 2016

La tradizione occidentale, rifacendosi alle dottrine greche e giudaico-cristiane, ha generalmente proposto una suddivisione dell'essere umano in tre livelli. Platone lo suddivideva in tre componenti: quella razionale (loghistòn), quella volitiva (thumoeidès), e quella concupiscibile (epithymetikòn), oppure, in un altro contesto: nous (intelletto), thumos (passione), e epithumia (appetito). Aristotele differenziava invece le funzioni dell'anima umana in: intellettiva, sensitiva e vegetativa. Queste suddivisioni sono state poi assimilate e integrate nella tripartizione evangelica fatta da Paolo di Tarso che distingueva il corpo, l'anima e lo spirito, nei quali la tradizione agostiniana vedrà l'immagine della Trinità.




La tradizione occidentale, rifacendosi alle dottrine greche e giudaico-cristiane, ha generalmente proposto una suddivisione dell'essere umano in tre livelli. 

Platone lo suddivideva in tre componenti: quella razionale (loghistòn), quella volitiva (thumoeidès), e quella concupiscibile (epithymetikòn), oppure, in un altro contesto: nous (intelletto), thumos (passione), e epithumia (appetito)

Aristotele differenziava invece le funzioni dell'anima umana in: intellettiva, sensitiva e vegetativa. Queste suddivisioni sono state poi assimilate e integrate nella tripartizione evangelica fatta da Paolo di Tarso che distingueva il corpo, l'anima e lo spirito, nei quali la tradizione agostiniana vedrà l'immagine della Trinità

Per Paracelso l'universo è un'unità, ovvero un vasto sistema o organismo in cui le singole parti sono legate da rapporti di corrispondenza analogica; in questo macrocosmo si inserisce il microcosmo (l'uomo) che rispecchia in sé la costituzione dell'universo e resta legato dagli stessi rapporti. Nell'Astronomia magna il macrocosmo si divide in due sfere, quella astrale e quella terrestre. Esse si rispecchiano anche nell'uomo il quale ha in sé stesso un firmamento in tutto e per tutto simile a quello esterno. All'origine dell'universo (che scaturisce dall'atto creatore di Dio) sta la massa confusa della materia prima o yliaster (composta dagli elementi e dai tre principi, lo Zolfo, il Mercurio e il Sale che derivano dalla tradizione alchemica e riproducono il rapporto tra corpo, anima e spirito), infinita riserva di forze da cui nascono tutte le creature


sabato 9 gennaio 2016

Raffaello. Scuola d'Atene. Platone ed Aristotele, in posizione centrale, al convergere delle linee di fuga, rappresentano i due principali poli di aggregazione delle altre figure. La filosofia è, in primis, un'impresa conoscitiva (conoscenza o meta-conoscenza), ἐπιστήμη, e, in subordine, istanza coordinatrice di valori, φρόνησις, etica: PLATONE reca in mano il TIMEO (che parla del mondo strutturato in caratteri matematici, secondo simmetria, ordine e proporzione) ed indica con un dito il cielo - la patria delle idee trascendenti, la struttura nascosta della realtà - mentre ARISTOTELE regge l'ETICA, stendendo il braccio destro con il palmo della mano verso terra, quasi a voler mantenere il contatto con la natura e "salvare" i fenomeni - quello che ci è più vicino. Ma si noti come egli guardi Platone proprio nell’indicare la sua istanza di fondo: i fenomeni sensibili si “salvano” solo se si comprende il metasensibile.

LA “SCUOLA D’ATENE” (1519)

1. RAFFAELLO, nel celebre affresco della “Stanza della segnatura" in Vaticano, sceglie di raggruppare idealmente filosofi di tutte le scuole di pensiero della Grecia antica, impegnati proprio in ciò che abitualmente fanno: leggere, dialogare, discutere, scrivere, dimostrare, interrogare, ascoltare, riflettere - sullo sfondo di uno splendido edificio classico, rappresentato in perfetta prospettiva, con un'apertura sul cielo luminoso.

2. Platone ed Aristotele, in posizione centrale, al convergere delle linee di fuga, rappresentano i due principali poli di aggregazione delle altre figure. La filosofia è, in primis, un'impresa conoscitiva (conoscenza o meta-conoscenza), ἐπιστήμη, e, in subordine, istanza coordinatrice di valori, φρόνησις, etica: PLATONE reca in mano il TIMEO (che parla del mondo strutturato in caratteri matematici, secondo simmetria, ordine e proporzione) ed indica con un dito il cielo - la patria delle idee trascendenti, la struttura nascosta della realtà - mentre ARISTOTELE regge l'ETICA, stendendo il braccio destro con il palmo della mano verso terra, quasi a voler mantenere il contatto con la natura e "salvare" i fenomeni - quello che ci è più vicino. Ma si noti come egli guardi Platone proprio nell’indicare la sua istanza di fondo: i fenomeni sensibili si “salvano” solo se si comprende il metasensibile.

3. L'Etica, che Aristotele reca in mano, contiene uno dei messaggi morali più significativi dell’antichità. Il bene più elevato che l’uomo desidera raggiungere consiste nella vita felice. Ma questa non si raggiunge mediante i beni materiali, le ricchezze e gli onori, bensì mediante l’ἀρετή, l'attuazione di ciò che è peculiare all’uomo: l’insieme delle virtù etiche del “giusto mezzo”, o “giusta misura", e delle virtù dianoetiche, che consistono nel perfetto realizzarsi delle più elevate capacità dell’anima: la saggezza (φρόνησις), il saper dirigere in modo razionale la vita dell'uomo per il raggiungimento dei fini; la sapienza (σοφία), la conoscenza dei principi supremi mediante l’intelletto riguardo alle cose umane e a quelle divine.

4. Aristotele fonda la filosofia come disciplina rigorosa della razionalità, facendo del λόγος uno strumento di incessante ricerca della verità, da perseguire attraverso l'osservazione dei fenomeni attorno a noi. Mentre Platone dà la preminenza alla matematica e alla geometria, Aristotele afferma il valore della ricerca concreta, dello sguardo rivolto senza distinzioni su ogni aspetto del reale: la conoscenza è parte essenziale della natura umana, a cominciare da quella che produce la vista offertaci dallo scenario del mondo. Il desiderio di comprensione e lo stupore sono fonte di domande continue; nessun aspetto della realtà è indegno di essere indagato:



"In tutte le realtà naturali vi è [infatti] qualcosa di meraviglioso. E come Eraclito, a quanto si racconta, parlò a quegli stranieri che desideravano rendergli visita, ma che una volta arrivati, ristavano vedendo che si scaldava presso la stufa della cucina (li invitò ad entrare senza esitare: "anche qui - disse - vi sono dei"), così occorre affrontare senza disgusto l'indagine su ognuno degli animali, giacché in tutti v'è qualcosa di naturale e di bello".
Aristotele, De partibus animalium, I 5


Ἐν πᾶσι [γὰρ] τοῖς φυσικοῖς ἔνεστί τι θαυμαστόν• καὶ καθάπερ Ἡράκλειτος λέγεται πρὸς τοὺς ξένους εἰπεῖν τοὺς βουλομένους ἐντυχεῖν αὐτῷ, οἳ ἐπειδὴ προσιόντες εἶδον αὐτὸν θερόμενον πρὸς τῷ ἰπνῷ ἔστησαν (ἐκέλευε γὰρ αὐτοὺς εἰσιέναι θαρροῦντας• εἶναι γὰρ καὶ ἐνταῦθα θεούς), οὕτω καὶ πρὸς τὴν ζήτησιν περὶ ἑκάστου τῶν ζῴων προσιέναι δεῖ μὴ δυσωπούμενον ὡς ἐν ἅπασιν ὄντος τινὸς φυσικοῦ καὶ καλοῦ. Arist., Περί Ζώιων Μορίων (De partibus animalium), I 5


mercoledì 1 ottobre 2014

Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica. Perché l’amore è chiamato mago? Si chiede Marsilio Ficino nel commento al Simposio. “Perché tutta forza della magia risiede nell’amore...dall’amore nasce il convergere insieme fra le cose e in ciò consiste la vera magia”…la “mens” neoplatonica viene identificata da Ficino e Pico con la “mente angelica”.


Perché l’amore è chiamato mago? Si chiede Marsilio Ficino nel commento al Simposio. “Perché tutta forza della magia risiede nell’amore...dall’amore nasce il convergere insieme fra le cose e in ciò consiste la vera magia”…la “mens” neoplatonica viene identificata da Ficino e Pico con la “mente angelica”.
Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica

giovedì 7 agosto 2014

Platone. La seconda Navigazione. In particolare si pone in primo piano un passo del Fedone , in cui Platone descrive quella che, con un'immagine emblematica, ha chiamato la sua "seconda navigazione" che lo ha portato alla scoperta della vera causa delle cose. La seconda navigazione é una metafora desunta dal linguaggio marinaresco e indica quella navigazione che si intraprende quando cadono i venti e la nave rimane ferma: in tale circostanza si deve por mano ai remi, e in tal modo, con la forza delle braccia, si esce dalla situazione prodotta dall'incombere della bonaccia.


Platone, La seconda Navigazione. 
In ogni grande autore ci sono passi che contengono i cardini del suo pensiero . 
Così avviene anche in Platone , malgrado i limiti da lui imposti alla scrittura . 
In particolare si pone in primo piano un passo del Fedone , in cui Platone descrive quella che, con un'immagine emblematica, ha chiamato la sua "seconda navigazione" che lo ha portato alla scoperta della vera causa delle cose. La seconda navigazione é una metafora desunta dal linguaggio marinaresco e indica quella navigazione che si intraprende quando cadono i venti e la nave rimane ferma: in tale circostanza si deve por mano ai remi, e in tal modo, con la forza delle braccia, si esce dalla situazione prodotta dall'incombere della bonaccia
La "prima navigazione" fatta con le vele al vento corrisponde al tragitto compiuto da Platone sulla scia dei naturalisti e con il loro metodo, che lo ha lasciato in posizione di stallo. La "seconda navigazione", assai più faticosa ed impegnativa, é quella condotta con il nuovo metodo dei ragionamenti che portano al trascendimento della sfera del sensibile e alla conquista del soprasensibile. Questo passo é per molti "una pietra miliare nella storia del pensiero occidentale", in quanto ne segna una svolta decisiva, perchè costituisce "la prima dimostrazione razionale dell'esistenza di un essere oltre quello sensibile, ossia di una realtà soprasensibile e trascendente". 
I problemi più importanti della filosofia (ci dice Platone) risultano strettamente legati al problema della generazione, della corruzione e dell'essere delle cose, e in particolare al problema di fondo del perchè esse nascono, perchè si corrompono, e perchè sono. Ebbene Platone dice, per bocca di Socrate, di essere partito da giovane proprio da questi problemi di fondo e di aver cercato di risolverli sulla scia delle indagini condotte dai filosofi naturalisti. Ma, rimanendo nell'ambito dell'indagine della natura propria di questi filosofi, le risposte a questi problemi risultavano di carattere puramente fisico-naturalistico. La vita deriverebbe dai processi del caldo e del freddo . Il pensiero deriverebbe dal sangue, o dall'aria, o dal fuoco o dal cervello come organo fisico. E in modo analogo si spiegherebbero tutte le altre cose. Ma in realtà questi tipi di spiegazione risultano essere inconsistenti e contradditori e creano difficoltà dalle quali non si può uscire (portano nella posizione di stallo della bonaccia). Fra i filosofi naturalisti, uno poteva sembrare, di primo acchito, in grado di far uscire dalle difficoltà, ossia Anassagora, con la sua dottrina dell' Intelligenza, che dovrebbe essere la vera causa delle cose. Ma a questa affermazione, di per sè eccellente, Anassagora non seppe dare adeguato fondamento. Il metodo di ricerca di carattere naturalistico che egli seguiva, non poteva permetterlo. In effetti, affermare che l'Intelligenza é la causa che ordina e fa essere tutte le cose, significa dire che essa dispone tutte le cose nella migliore maniera possibile. Ma questo implica che l'Intelligenza e il Bene siano connessi in modo strutturale e che la prima si possa ben comprendere solamente in relazione con il secondo. In particolare Anassagora sostenendo la tesi dell'Intelligenza come causa delle cose, avrebbe dovuto spiegare il criterio del meglio in funzione del quale essa opera, con tutto ciò che da questo consegue. Insomma, avrebbe dovuto spiegare come tutti i fenomeni siano strutturati in funzione del meglio, e quindi presupponendo una precisa conoscenza del meglio e del peggio, ossia del Bene e del Male. Ma Anassagora non ha saputo far questo, e non ha collegato l'Intelligenza con il meglio, ossia con il Bene e ha continuato ad assegnare agli elementi fisici un ruolo di causa determinante. Mentre gli elementi fisici sono solo "una causa ausiliare , non la vera causa". E per far ben capire questo suo pensiero, Platone mette in bocca a Socrate un esempio esplicativo divenuto assai noto. Se vogliamo spiegare la vera causa per cui Socrate é venuto in carcere e vi é rimasto, noi non possiamo riferirci a cause fisiche, come ad esempio i suoi organi di locomozione, le sue ossa, i suoi nervi e così via. Dobbiamo invece ricorrere alla scelta da lui fatta con l'Intelligenza del giusto e del meglio. E' evidente che , se non avesse gli organi fisici del suo corpo, Socrate non potrebbe fare le cose che vuole fare; ma egli non agisce a causa di questi organi, ma solo mediante questi organi, in funzione di una causa superiore. La vera causa, ossia la causa reale, é appunto l'Intelligenza di Socrate, che opera in funzione del meglio. Dunque per legare e tenere insieme le cose, occorre guadagnare quel meglio, ossia quel Bene in funzione del quale opera l'Intelligenza, il quale sta al di là del fisico e del sensibile; occorre quindi guadagnare il piano dell'essere intellegibile, o, come si dirà con un termine posteriore, l'essere metafisico. Bisognerà insomma superare il metodo fondato sulle sensazioni e guadagnare il metodo fondato sui "logoi", e mediante esso cercare di cogliere la verità delle cose. E la verità delle cose sta appunto nelle realtà intellegibili, che Platone ha chiamato Idee, pure forme, eterni modelli delle cose, rispetto alle quali le cose sensibili sono un mezzo o strumento di realizzazione, non quindi l'essenza delle cose, ma ciò mediante cui l'essenza si realizza nella sfera del sensibile. Platone fa esempi molto chiari. Se vogliamo spiegare le cose belle, noi non possiamo fare riferimento agli elementi fisici da cui sono costituite, come ad esempio il materiale di cui sono fatte, il colore, la figura fisica e simili; dobbiamo invece ricorrere all'idea del bello, ossia la bellezza in sè .

http://www.filosofico.net/navigaz.html





lunedì 14 luglio 2014

Lou Marinoff. Platone é meglio del Prozac. I farmaci non forniscono risposte, mentre secoli di riflessione filosofica rappresentano un tesoro prezioso. I più importanti pensatori della storia si sono posti i nostri stessi interrogativi e hanno lasciato idee e linee di condotta a nostro beneficio. Perché se i farmaci non possono cambiare la nostra vita, la filosofia può farlo.

I farmaci non forniscono risposte, mentre secoli di riflessione filosofica rappresentano un tesoro prezioso.
I più importanti pensatori della storia si sono posti i nostri stessi interrogativi e hanno lasciato idee e linee di condotta a nostro beneficio. Perché se i farmaci non possono cambiare la nostra vita, la filosofia può farlo.
Lou Marinoff,  "Platone é meglio del Prozac"



martedì 3 dicembre 2013

Secondo le teorie di Platone, di Aristotele e poi degli Stoici, l’ira si trasforma in passione come “atto emozionale appartenete alla zona irrazionale dell’anima”, quindi al pari degli altri vizi capitali, l’ira è una “malattia dell’anima”. Pur essendo considerata una deformazione, l’ira secondo Aristotele, Platone e anche gli Epicurei è un peccato a cui addomesticare e incanalare tutte le altre passioni che possono fuorviare il giusto compimento delle azioni umane. Ma anche tra i filosofi c’è chi non la pensa così: gli Stoici e gli Scettici in particolare sostenevano sì la teoria della “malattia dell’anima” per la quale, piuttosto di addomesticare, era necessario negare il peccato dell’ira, evitando così la possibilità di coinvolgerelo nel girone degli impulsi negativi


Secondo le teorie di Platone, di Aristotele e poi degli Stoici, l’ira si trasforma in passione come “atto emozionale appartenete alla zona irrazionale dell’anima”, quindi al pari degli altri vizi capitali, l’ira è una “malattia dell’anima”. Pur essendo considerata una deformazione, l’ira secondo Aristotele, Platone e anche gli Epicurei è un peccato a cui addomesticare e incanalare tutte le altre passioni che possono fuorviare il giusto compimento delle azioni umane. Ma anche tra i filosofi c’è chi non la pensa così: gli Stoici e gli Scettici in particolare sostenevano sì la teoria della “malattia dell’anima” per la quale, piuttosto di addomesticare, era necessario negare il peccato dell’ira, evitando così la possibilità di coinvolgerelo nel girone degli impulsi negativi

mercoledì 5 giugno 2013

Jung e Platone. PLATONE RITIENE CHE LE IDEE RISIEDANO OLTRE IL CIELO CONVENZIONALE (IPERURANIO) e che l'anima prima di entrare in un corpo le contempli e, pertanto, SECONDO QUESTA CONCEZIONE, L'ESSERE UMANO, IN VITA ACQUISISCE LA CONOSCENZA ATTRAVERSO IL RICORDO DI QUELLA STRABILIANTE VISIONE. TRADUCIAMO IN TERMINI ARCHETIPICI JUNGHIANI: L'ANIMA/PSICHE È DEPOSITARIA DI UN PATRIMONIO CONOSCITIVO CHE DERIVA DAL SUO RAPPORTO CON GLI ARCHETIPI OSSIA CON "LE IMMAGINI PRIMORDIALI"


Per Platone (Timeo) i quattro elementi non sono il fondamento della realtà materiale, ma sono a loro volta composti di qualcosa di più basilare: I TRIANGOLI. La matematica assume importanza fondamentale, e I TRIANGOLI VANNO A COSTITUIRE DEI SOLIDI COSÌ PICCOLI DA RISULTARE INVISIBILI, ma che in grandi quantità appaiono come, appunto, i quattro elementi: la terra corrisponde al cubo, l'aria all'ottaedro, l'acqua all'icosaedro e il fuoco al tetraedro. Inoltre viene teorizzato un quinto solido, il dodecaedro, che funge da elemento decorativo del cosmo e la cui funzione non è ben precisata; in epoche successive (già lo scolaro Aristotele) questo elemento sarà identificato con L'ETERE O QUINTESSENZA.




 
Junghiani si nasce... a cominciare da Platone...


modestamente Platone "lo nacque"  ma OGNUNO ALLA FINE PUÒ DIVENTARE SOLO SE STESSO...."Fortunatamente non sono junghiano" diceva il maestro di Zurigo...ma non smentì mai se rimase alla fine "solo" platonico... o attraversò completamente il PONTE CHE CONDUCE DAL NEOPLATONISMO ALL'ERMETISMO (anche se le due realtà filosofiche e conoscitive non sono in realtà in opposizione,ma si integrano complementariamente)...

FACEVA BENE JUNG A DIRE CHE NON ERA JUNGHIANO, basta vedere come è finita a Cristo con i cristiani, ecc....Anche qui c'è una venatura di puro scherzo...
[…] a mio avviso la sincronicità è nel tempo e fuori dal fluire ordinario del tempo


credo che lasciò aperto e in divenire questo attraversamento verso il paradigma ermetico-sapienziale...Alcuni di noi ci stanno lavorando!!

Che Platone sia junghiano è solo un paradosso ma CHE GLI ARCHETIPI DI JUNG DERIVINO DALLE IDEE DI PLATONE È SOLO APPROPRIATA GENEALOGIA.

Salve Vincenzo, potresti spiegarmi, per favore, A COSA RICONDUCI LA PARENTELA FRA ARCHETIPO JUNGHIANO E IDEA PLATONICA?

Rispondo a Nicolò Palazzo. Certamente ricorderai che PLATONE RITIENE CHE LE IDEE RISIEDANO OLTRE IL CIELO CONVENZIONALE (IPERURANIO) e che l'anima prima di entrare in un corpo le contempli e, pertanto, SECONDO QUESTA CONCEZIONE, L'ESSERE UMANO, IN VITA ACQUISISCE LA CONOSCENZA ATTRAVERSO IL RICORDO DI QUELLA STRABILIANTE VISIONE. TRADUCIAMO IN TERMINI ARCHETIPICI JUNGHIANI: L'ANIMA/PSICHE È DEPOSITARIA DI UN PATRIMONIO CONOSCITIVO CHE DERIVA DAL SUO RAPPORTO CON GLI ARCHETIPI OSSIA CON "LE IMMAGINI PRIMORDIALI" (così li chiama Jung in: Tipi psicologici, ecc,) a cui si informa la nostra psiche. Il parallelismo è evidente e lo diviene ancora di più se ricordiamo che Platone elenca tre tipi di relazione tra le Idee e la realtà:
Ÿ         quella MIMETICA, secondo cui vi sono oggetti/soggetti la cui forma è un riflesso di quella originaria esistente nella corrispondente Idea iperuranica;
Ÿ         quella della "METESSI" per cui l'oggetto/soggetto partecipa alle peculiarità fondamentali che risiedono in originale (diremmo noi) nell'iperuranio;
Ÿ         quella della PARUSÌA per cui sono le Idee ad abitare dentro gli oggetti/soggetti e ne rappresentano, in qualche modo, l'intima essenza, l'anima.
Ti ricordo che LA PAROLA IDEA DERIVA DALLA RADICE "ID" DEL VERBO GRECO "ORÀO" CHE VUOL DIRE VEDERE. ECCO PERCHÈ JUNG PARLA DI "IMMAGINI" PRIMORDIALI RIFERENDOSI AGLI ARCHETIPI, ossia ad una filiazione psicologica di una visione, quella platonica che è molto più vasta in quanto riguarda l'intera sfera delle cose esistenti e il loro rapporto con il mondo (Iperuranio) delle Idee.


Ti ringrazio. Credevo che il parallelismo fosse solo in termini di "immagine primordiale" senza tenere conto del gap eventualmente ontologico-epistemologico, ma vedo che non è così Preziosissimo intervento.

venerdì 4 gennaio 2013

ciascuno porta nel suo cuore ciò che è. Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui. Al contrario, colui che aveva degli amici leali nell'altra città, troverà anche qui degli amici leali e fedeli. Perchè, vedi, ogni essere umano è portato a vedere negli altri quello che è nel suo cuore. Nella vita si trova sempre ciò che si aspetta di trovare...




C'era una volta un vecchio saggio seduto ai bordi di un'oasi all'entrata di una città del Medio Oriente. 
Un giovane si avvicinò e gli domandò: 
"Non sono mai venuto da queste parti. Come sono gli abitanti di questa città? "L'uomo rispose a sua volta con una domanda: "Come erano gli abitanti della città da cui venivi?" "Egoisti e cattivi. Per questo sono stato contento di partire di là". "Così sono gli abitanti di questa città!", gli rispose il vecchio saggio.
Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all'uomo e gli pose la stessa domanda: 
"Sono appena arrivato in questo paese. Come sono gli abitanti di questa città?" L'uomo rispose di nuovo con la stessa domanda:"Com'erano gli abitanti della città da cui vieni?" "Erano buoni, generosi, ospitali, onesti. Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a lasciarli!" "Anche gli abitanti di questa città sono

così!", rispose il vecchio saggio. 
Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all'abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si allontanò si rivolse al vecchio in tono di rimprovero: 
"Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?
"Figlio mio", rispose il saggio, "ciascuno porta nel suo cuore ciò che è. Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui. Al contrario, colui che aveva degli amici leali nell'altra città, troverà anche qui degli amici leali e fedeli. Perchè, vedi, ogni essere umano è portato a vedere negli altri quello che è nel suo cuore. Nella vita si trova sempre ciò che si aspetta di trovare...
(dal web)




giovedì 8 novembre 2012

Platone. Simposio. Il mito dell'androgino. In tempi antichi c'erano tra gli uomini tre generi: quello femminile che aveva origine dalla terra, quello maschile che aveva origine dal sole e quello androgino che aveva origine dalla luna; questi tre erano esseri perfetti, fieri, forti e vigorosi. Ma anche arroganti e vollero tentare la scalata al cielo per combattere gli dei. Zeus e gli altri dei non sapevano che fare, non potevano uccidere tutti gli uomini e decisero così di dividerli rendendoli così più deboli. Quando gli esseri umani furono tagliati in due ciascuna delle due parti desiderata ricongiungersi all'altra, desiderando solo di formare nuovamente un solo essere. Ognuno di noi è una frazione dell'essere umano completo originario, per ciascuna persona ne esiste dunque un'altra che le è complementare. Ed è per questo che siamo sempre alla ricerca continua della nostra metà della mela, non vogliamo essere una mezza anima, ma desideriamo ritornare alla nostra natura originaria

Essere un Symbolon .
La condizione umana è così descritta da Aristofane:
Gli uomini che derivano dal taglio di quel doppio essere che allora si chiamava androgino sono amanti delle donne ...; da quel sesso derivano anche tutte le donne che sono amanti dell'uomo. Le donne che derivano dal taglio di una donna, agli uomini non pensano affatto ... . Quanti, invece, derivano dal taglio di un maschio, vanno in caccia del maschio. Le indicazioni sessuali sono tutte conformi a natura. L'imperativo che tutti ci accomuna è il ripristino della originaria physis: diventare l'uno con l'altro una medesima cosa, in modo da non lasciarsi mai né notte né giorno, ritrovando l'altro symbolon, che combacia con la parte che ciascuno di noi è attualmente.
U. Curi: Miti d'amore



L'IMMORTALITÀ DEL MORTALE
“Di un individuo si dice che è lo stesso individuo da quando è fanciullo fino alla vecchiaia; e diciamo che è lo stesso individuo, quantunque non conservi mai dentro di sé gli stessi elementi, ma in parte si rifà sempre giovane, in parte perde qualcosa nei capelli e nella carne e nelle ossa e nel sangue e in tutto il resto del corpo.
E questo non si verifica solo nel corpo: anche nell'anima le inclinazioni, il carattere, le opinioni, i desideri, i piaceri, i dolori, le paure e ogni altro stato non sono mai invariabilmente presenti in ciascun individuo, ma alcuni nascono ed altri muoiono. E, cosa più singolare ancora, perfino le conoscenze non solo alcune nascono e altre muoiono dentro di noi, e non siamo mai gli stessi neppure nelle conoscenze, ma addirittura ogni singola conoscenza è legata al medesimo processo.
Ciò che si chiama meditare ha luogo appunto in quanto una particolare conoscenza svanisce: oblio è infatti uscita di conoscenza, mentre la meditazione, ingenerando un nuovo ricordo in luogo di quello che è scomparso, conserva la conoscenza, in modo che essa sembri essere la stessa.
Precisamente in questa forma tutto ciò che è mortale si conserva, non col restare sempre assolutamente uguale, come avviene per ciò che è divino, ma in quanto ciò che invecchia e svanisce lascia qualcos'altro di nuovo simile a sé. Con questo mezzo ciò che è mortale partecipa dell'immortalità, sia il corpo sia ogni altra cosa, e non è possibile in altro modo. Dunque non ti meravigliare se per natura ogni essere onora il proprio germoglio, poiché in vista dell'immortalità questo zelo e questo amore sono proprî di ognuno.”
Platone, “Simposio”, 207d - 208b
FILOSOFIA l Il testo integrale su www.storiadellafilosofia.net: http://bit.ly/1QiCZ46


La trasgressione della spiritualità. Massimo Gramellini.
SOCRATE HA APPENA TERMINATO IL GRANDE DISCORSO SULL’AMORE quando nella sala del Simposio fa irruzione ALCIBIADE, GIOVANE LEADER DEL PARTITO DEMOCRATICO (esisteva anche ad Atene, ma ogni tanto vinceva). A giudicare da come lo tratta, Platone non doveva avere una grande opinione degli uomini politici della sua epoca. ALCIBIADE ARRIVA ALLA FESTA IN RITARDO, SENZA CHE NESSUNO LO ABBIA INVITATO E PER GIUNTA UBRIACO FRADICIO. RUMOROSO E INVADENTE, SI VA A SDRAIARE ACCANTO AL PADRONE DI CASA AGATONE, finché QUALCUNO GLI FA NOTARE CHE ANCHE LUI DOVREBBE RISPETTARE LE REGOLE della serata e tessere un elogio di Eros. IL POLITICO RISPETTA LE REGOLE A MODO SUO: ROVESCIANDOLE. Anziché tenere un’orazione su Eros, ne terrà una su Socrate. Invece che dell’Amore, parlerà dell’Amato. Così il racconto di Platone torna indietro, ma non per fare retromarcia: per prendere la rincorsa.  IL MONOLOGO DI ALCIBIADE È LA CRONACA DI UN FALLIMENTO SENTIMENTALE. LA STORIA DI COME LUI - GIOVANE, BELLO, RICCO E POTENTE - SIA ANDATO A SBATTERE CONTRO L’INDISPONIBILITÀ DI SOCRATE: VECCHIO, BRUTTO, POVERO E INERME. ALCIBIADE ERA RIMASTO ATTRATTO DALLA BELLEZZA INTERIORE DEL MAESTRO E AVREBBE VOLUTO DIVENTARNE L’AMANTE, OFFRENDO LA PROPRIA AVVENENZA FISICA IN CAMBIO DELLE SUE VIRTÙ MORALI. Ma lungi dall’essere sconvolto da tale richiesta (QUANDO MAI, NEI VENTIQUATTRO SECOLI SUCCESSIVI, CAPITERÀ ANCORA DI VEDERE UN POLITICO ANDARE A CACCIA DI VIRTÙ MORALI?) Socrate aveva tenuto a bada Alcibiade con la lucida ferocia che caratterizza gli AMANTI IRRAGGIUNGIBILI. «IN CAMBIO DELL’APPARENZA DEL BELLO TU CERCHI DI GUADAGNARTI LA VERITÀ DEL BELLO: PENSI DI POTER SCAMBIARE ARMI DI BRONZO CON ARMI DI FERRO». Tradotto in prosa: CARO ALCIBIADE, POICHÉ LA BELLEZZA ETERNA DELLA MIA ANIMA VALE ASSAI PIÙ DI QUELLA FUGGEVOLE DEL TUO CORPO, LO SCAMBIO CHE MI PROSPETTI È SBILANCIATO. Ai tempi nostri (ma anche a quelli di Platone) NON CAPITA SPESSO CHE SIA IL «BELLO DENTRO» A RESPINGERE IL «BELLO FUORI», così come sulle copertine delle riviste si trova di rado un’anima in topless. Ma è per questo che amiamo il Simposio, vero? Per ricordarci che IN UN MONDO OSSESSIVAMENTE MATERIALISTA LA VERA TRASGRESSIONE È LA SPIRITUALITÀ. Socrate, non Alcibiade. Senza però diventare bacchettoni, perché IL GRANDE INSEGNAMENTO DI PLATONE È CHE ALL’ANIMA CI SI ARRIVA SEMPRE E SOLO PASSANDO DAL CORPO.
ll discorso di Alcibiade. Simposio di Platone  (IV sec. A.C.)





Che Amore sia duplice, ci sembra distinzione esatta; ma che esso non alberga solo negli uomini attratti dalle belle creature, ma in tutti gli altri esseri, a loro volta presi per altre forme, negli animali, per esempio, nelle piante e comunque in tutte le creature viventi, io credo di averlo dedotto dalla medicina, la nostra arte e, altresì, come Amore sia grande e meraviglioso iddio, presente ovunque in ogni cosa umana e divina.
Simposio 186 a.1


In tempi antichi c'erano tra gli uomini tre generi: quello femminile che aveva origine dalla terra, quello maschile che aveva origine dal sole e quello androgino che aveva origine dalla luna; questi tre erano esseri perfetti, fieri, forti e vigorosi. Ma anche arroganti e vollero tentare la scalata al cielo per combattere gli dei. Zeus e gli altri dei non sapevano che fare, non potevano uccidere tutti gli uomini e decisero così di dividerli rendendoli così più deboli. Quando gli esseri umani furono tagliati in due ciascuna delle due parti desiderata ricongiungersi all'altra, desiderando solo di formare nuovamente un solo essere. Ognuno di noi è una frazione dell'essere umano completo originario, per ciascuna persona ne esiste dunque un'altra che le è complementare. Ed è per questo che siamo sempre alla ricerca continua della nostra metà della mela, non vogliamo essere una mezza anima, ma desideriamo ritornare alla nostra natura originaria 
Platone. Simposio


Aristofane: 
"In origine l'umanità comprendeva tre sessi: gli uomini, le donne e gli androgini, che erano maschi e femmine nello stesso tempo. Questi individui avevano tutto doppio: avevano quattro braccia, quattro gambe, quattro occhi, ecc..., e ciascuno di essi aveva due organi genitali, entrambi maschili negli uomini, tutti e due femminili nelle donne, e uno maschile e l'altro femminile negli androgini. Questi camminavano a quattro gambe, ma potevano procedere in qualsiasi direzione, come i ragni. Questi avevano una forza incredibile e una sovrumana superbia, al punto di sfidare gli Dei. Zeus in particolare era indignato e voleva punirli. Un giorno decise di dividerli in due, in modo che ciascuna parte avesse due gambe e un solo organo genitale. A questo punto gli uomini erano diventati infelici, perché ciascuno di essi sentiva la mancanza della sua metà. I semiuomini cercavano i semiuomini, le semidonne cercavano le semidonne, e la metà maschile degli androgini cercava la metà femminile. Per ritrovare la felicità perduta ognuno di loro cercava di riunirsi con l'anima gemella. Ed è appunto questa smania che si chiama Amore."
Platone. Simposio


In principio gli uomini erano l'uno e l'altro, la loro forma era circolare, il loro aspetto intero e rotondo, non generavano per reciproca unione, ma per unione con la terra. Un giorno Zeus, volendo castigare l'uomo senza distruggerlo, lo tagliò in due. Da allora ciascuno di noi è il simbolo di un uomo, la metà che cerca l'altra metà, il simbolo corrispondente. Per curare l'antica ferita, Zeus, dopo averla inflitta, inviò Amore: Amore, fra gli dei l'amico degli uomini, il medico, colui che riconduce all'antica condizione. Cercando di far uno ciò che è due, Amore cerca di medicare l'umana natura.
Platone. Simposio



"[...] Una delle immagini classiche associate all'idea di "anima gemella" è quella riportata nel Simposio di Platone, in cui viene riportato ed elaborato il mito greco degli ermafroditi. Secondo questo mito, all'origine dei tempi gli esseri umani non erano suddivisi per genere, e ciascuno di essi aveva quattro braccia, quattro gambe e due teste. Per gelosia nei confronti della perfezione umana, gli dei separarono l'uomo in due parti con un fulmine, creando da ogni essere umano primordiale un uomo e una donna. Come conseguenza, ogni essere umano cerca di ritrovare la propria iniziale completezza cercando la propria metà perduta.

« Finalmente Zeus ebbe un'idea e disse: "Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi »"
Platone. Simposio
Wikipedia.




Così, tanto per rompere le b., mancherebbero La Grande Mela, che poi sarebbe appunto la quinta, e La mela d'oro, di Paride ad Afrodite...



Platone, "Simposio", 189c/193d - Discorso di Aristofane, il mito dell'androgino (IV sec a.C.)
«In verità, o Erissimaco» disse Aristofane «ho in mente di parlare in maniera un po' diversa da come avete fatto tu e Pausania. A me pare che gli uomini non abbiano assolutamente capito la potenza dell'amore; se l'avessero compresa, gli avrebbero edificato i templi più grandi e i massimi altari, e gli avrebbero offerto i più solenni sacrifici, non come adesso che non si fa per lui nulla di tutto questo; e pensare che sarebbe la prima cosa da fare. Fra gli dèi è il più amico degli uomini, in quanto è loro soccorritore, e medico di quei mali curati i quali ne conseguirebbe la più alta felicità per il genere umano. Io cercherò pertanto di illustrarvi la sua potenza, e voi ne sarete maestri ad altri. Ma preliminarmente voi dovete comprendere la natura umana e i casi suoi. Ebbene in antico la nostra natura non era la stessa di ora, bensì era diversa. In principio i sessi degli umani erano tre, non due come adesso, maschile e femminile, ma in più ce n'era un terzo, che partecipava del maschile e del femminile; ora è scomparso, anche se ne resta il nome. In quel tempo infatti c'era il sesso androgino, che condivideva la forma e il nome di entrambi, il maschile e il femminile, ma ora non ne resta appunto che il nome, usato in senso dispregiativo. In secondo luogo la figura di ciascuna persona era tutta tonda, col dorso e i fianchi formanti un cerchio, e aveva quattro mani e altrettante gambe, e sopra il collo tondo due facce simili in tutto; e su ambedue le facce, che erano orientate in direzione opposta, una sola testa, e quattro orecchi, e due membri, e tutti gli altri particolari quali si possano immaginare da queste indicazioni. E camminavano in posizione eretta, come ora, e in qualunque direzione; ma quando si mettevano a correre, si slanciavano in tondo reggendosi sulle otto membra, come i saltimbanchi quando danzano in cerchio facendo la ruota con le gambe levate in su. E i sessi erano tre, in quanto il maschio ebbe origine dal sole, la femmina dalla terra, e il terzo sesso, che aveva elementi in comune con gli altri due, dalla luna, che partecipa appunto della natura del sole e della terra. Ed essi erano tondi, e tondo il loro modo di procedere, per somiglianza coi loro progenitori. Così erano terribili per forza e per vigore, e avevano ambizioni superbe, e attaccarono gli dèi, e come dice Omero a proposito di Oto ed Efialte, si tramanda che tentarono di scalare il cielo, per assalire gli dèi. Allora Zeus e gli altri dèi discutevano su che cosa fare di loro, ed erano nel dubbio: non potevano ucciderli e far scomparire la loro razza fulminandoli come i giganti, giacché in tal caso sarebbero anche scomparsi anche gli onori e i sacrifici che gli uomini tributavano loro - né d'altra parte potevano lasciare che si scatenassero liberamente. Finalmente Zeus ebbe un'idea e disse: "Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi; e cammineranno eretti su due gambe. Se vedrò che continuano ad imperversare e non intendono stare tranquilli, allora li taglierò nuovamente in due, di modo che debbano muoversi saltellando su una gamba sola." Detto questo, cominciò a tagliare gli uomini in due, come si fa per le sorbe prima di metterle sotto sale o quando si tagliano le uova col capello; e via via che li tagliava in due, dava ordine ad Apollo di girare la faccia e la metà del collo dalla parte del taglio, di modo che ogni uomo, osservando il taglio operato su di sé, diventasse più continente; poi ordinò che li medicasse. E Apollo girò la loro faccia, e tirando da ogni parte la pelle verso quello che ora si chiama ventre, come si fa con le borse strette da un nodo, vi praticò una sola bocca annodandola nel mezzo del ventre, quello che ora si chiama ombelico. E le altre rughe (ne erano rimaste molte) le spianò, e diede forma al petto facendo ricorso a uno strumento simile a quello che usano i calzolai quando spianano sul piede di legno le grinze delle pelli; ma ne lasciò qualcuna sul ventre, a ricordo dell'antico evento. Ordunque, allorché la forma originaria fu tagliata in due, ciascuna metà aveva nostalgia dell'altra e la cercava; e così, gettandosi le braccia intorno e annodandosi l'una all'altra per il desiderio di ricongiungersi nella stessa forma, morivano di fame e anche di inattività, poiché l'una non intendeva far nulla separata dall'altra. E se una delle due metà moriva, e l'altra sopravviveva, quest'ultima cercava un'altra metà e le si annodava, sia che incontrasse la metà di un'intera donna - ciò che ora chiamiamo donna - sia che incontrasse la metà di un uomo. Allora Zeus si impietosì ed escogitò un altro stratagemma: trasferì sul davanti le parti genitali che fino a quel momento tenevano anch'esse all'esterno, e del resto non generavano né partorivano l'uno nell'altro bensì in terra, come le cicale - così dunque le trasferì sul davanti e fece sì che grazie ad esse generassero gli uni negli altri, mediante il sesso maschile dentro quello femminile, allo scopo che, nell'amplesso, se un uomo si imbatteva in una donna, generassero e ne avesse origine la discendenza; se invece si imbatteva in un altro uomo, si ingenerasse sazietà dello stare insieme e si staccassero per volgersi all'azione e per occuparsi delle altre necessità dell'esistenza. E dunque da tempo così remoto è innato negli esseri umani l'amore degli uni per gli altri, anzi esso è restauratore dell'antica natura in quanto cerca di curare e di restituire all'unità, di doppia che è divenuta, l'umana natura. Pertanto ciascuno di noi, in quanto è stato tagliato come si fa con le sogliole, è la metà, il contrassegno, di un singolo essere; e naturalmente ciascuno cerca il contrassegno di se stesso. Di conseguenza agli uomini che sono il risultato del taglio di quell'insieme che allora si chiamava androgino, amano le donne, e appartiene a questa categoria la maggior parte degli adulteri, e parimenti le donne che amano gli uomini e in particolare le adultere. Invece le donne che provengono dal taglio di donne, provano scarsa inclinazione verso gli uomini, ma tendono piuttosto verso le altre donne, e le lesbiche derivano da questa categoria. Infine quelli che sono taglio di maschio vanno a caccia dei maschi, e finché sono fanciulli, essendo particelle del sesso maschile, amano gli uomini e godono a giacere e ad abbracciarsi con gli uomini, e sono proprio questi i fanciulli e i ragazzi migliori, poiché sono per natura i più virili. C'è chi dice che sono degli svergognati: a torto, dato che seguono questo comporamento non già per impudicizia ma per baldanza e virilità e mascolinità, agognando a ciò ch'è simile a loro. Una prova decisiva è data dal fatto che solo costoro, divenuti adulti, si rivelano uomini adatti all'attività politica. Poi, arrivati alla piena maturità, amano i fanciulli e non si curano, almeno per istinto, del matrimonio e della procreazione dei figli, ma vi sono costretti per convenzioni; essi però sarebbero contenti di vivere gli uni con gli altri senza sposarsi. Un tale individuo diventa comunque amante dei fanciulli o amasio, sempre appetendo quel ch'è congenito a sé. Così quando un amante di fanciulli, o chiunque altro, si imbatte nella propria metà di un tempo, ecco che essi sono indicibilmente assaliti da affetto intimità passione, tanto da non volersi staccare gli uni dagli altri nemmeno per un istante. E questi sono coloro che rimangono insieme per tutta la vita, senza neppur saper dire cosa vogliono che l'uno riceva dall'altro. Infatti non sembra assolutamente trattarsi del rapporto sessuale, come se stessero l'uno accanto all'altro con tanta passione in vista di questa soddisfazione; in realtà è chiaro che l'anima di ciascuno dei due desidera qualcos'altro, che non sa esprimere, eppure vaticina ciò che desidera e lo manifesta per enigmi. E se Efesto con i suoi strumenti si accostasse a loro mentre sono stretti e domandasse: "Che cos'è, miei cari, che desiderate che l'uno riceva dall'altro?"; e se, vedendoli interdetti, domandasse ancora: "Forse desiderate stare vicini il più possibile l'uno all'altro, tanto da non lasciarvi né di giorno né di notte? Perché se è questo che desiderate, allora voglio liquefarvi e saldarvi insieme in modo che di due diventiate uno e viviate insieme fino al termine della vita come un solo essere, e quando sarete morti, anche laggiù nell'Ade siate un solo e unico morto. Ma state attenti se è proprio questo che desiderate e se ne sarete contenti, quando l'avrete raggiunto", non c'è dubbio che, udito ciò, nessuno si tirerebbe indietro né mostrerebbe di desiderare qualcos'altro, ma crederebbe di aver udito precisamente quello che da tempo agognava, e cioè congiungersi e fondersi con l'amato per diventare una cosa sola. E la ragione è appunto che la nostra natura originaria era quella, ed eravamo interi. Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome amore. E prima d'ora, come dicevo, eravamo una cosa sola, ma adesso in seguito alla nostra colpa siamo stati separati dal dio, come gli Arcadi ad opera degli Spartani. C'è dunque da temere che, se non saremo temperanti nei confronti degli dèi, ci toccherà di essere segati in due un'altra volta e di andare in giro come le figure sbalzate sulle steli, tagliati attraverso il naso e ormai fatti simili alle tessre d'ospitalità. E proprio per questo tutti devono raccomandare a tutti di essere pii verso gli dèi, in modo che possiamo sfuggire ad un simile destino ma nel contempo conseguire quei beni di cui per noi Amore è per noi guida e generale. Nessuno agisca in contrasto con lui - e agisce in contrasto con lui chi si inimica gli dèi -: se diverremo cari al dio e ci riconcilieremo con lui, ritroveremo i nostri amati e ci ricongiungeremo con loro, cosa che per il presente accade a ben pochi. Ed Erissimaco non mi venga a dire, per farsi beffe del mio discorso, che io ho in mente Pausania ed Agatone - sì, forse anche loro appartengono a questa schiera e sono entrambi maschi per natura - ma io mi riferisco a tutti, uomini e donne, nel senso che per questa via la nostra specie raggiungerebbe la felicità, se cioè conducessimo l'amore alla sua perfezione e ciascuno incontrasse il suo proprio amato, ritornando all'antica natura. Se questo è l'ideale, è necessario che nell'àmbito di quel che oggi è in nostro potere valga come ottimo ciò che più si avvicina all'ideale: questo significa trovare un amasio che sia congeniale al nostro cuore. E se volessimo comporre un inno a un dio in quanto autore di tutto questo, con pieno diritto dovremmo inneggiare ad Amore, che nel presente ci è di sommo aiuto in quanto ci riconduce a ciò che ci è proprio, e per l'avvenire ci offre le più grandi speranze (purché per parte nostra tributiamo la nostra devozione agli dèi) di farci beati e felici medicandoci del nostro male e restituendoci all'antica natura.»


















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