Io non sono vissuto e non potrei vivere un solo giorno senza religione, ma per tutta la vita ho potuto fare a meno della Chiesa.
Hermann Hesse
La religione è nulla. Vivere religiosamente è tutto.
Erich Fromm
Il "fenomeno Lourdes", un fenomeno che ha portato in centocinquant' anni nella cittadina dei Pirenei un numero imprecisato, ma vicino ai trecento milioni, di fedeli (perché diversamente da quella di Fatima, la mmadonna di Lourdes non sembra fare servizio a domicilio).
Hermann Hesse
La religione è nulla. Vivere religiosamente è tutto.
Erich Fromm
Il "fenomeno Lourdes", un fenomeno che ha portato in centocinquant' anni nella cittadina dei Pirenei un numero imprecisato, ma vicino ai trecento milioni, di fedeli (perché diversamente da quella di Fatima, la mmadonna di Lourdes non sembra fare servizio a domicilio).
Di questi, almeno una ventina di milioni erano malati di varia gravità, ma soltanto 66 hanno ufficialmente ottenuto il miracolo della guarigione: dunque, una percentuale di uno su 300.000, nettamente inferiore a quella delle remissioni spontanee delle malattie croniche, cancro compreso, che è di circa di uno su 10.000.
Detto altrimenti, i malati guariscono miracolosamente, cioè inspiegabilmente, trenta volte di più se stanno a casa che se vanno a Lourdes!
Piergiorgio Odifreddi
«Come dice il Dalai Lama nella sua autobiografia Libertà in esilio, le religioni sono medicine, e ciascuna è adatta a un particolare tipo di malattia spirituale. E, come aggiunge Jung in Psicoterapia e cura d'anime, le religioni sono sistemi di guarigione per i mali della psiche. Dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni».
Piergiorgio Odifreddi, Il Vangelo secondo la Scienza: le religioni alla prova del nove, 1999.
Aldebaran Pulsar
Se leggete il libro di Odifreddi "Perchè non possiamo essere cristiani" ci si renderà conto della rozzezza dell'analisi che questo personaggio fa dei testi religiosi cristiani. In poche parole letteralizza tutta la dimensione simbolica (ecco cosa è scritto sulla copertina: "Se la Bibbia fosse un'opera ispirata da un Dio, non dovrebbe essere corretta, coerente, veritiera, intelligente, giusta e bella? E come mai trabocca invece di assurdità scientifiche, contraddizioni logiche, falsità storiche, sciocchezze umane, perversioni etiche e bruttezze letterarie?). Invece è proprio la "dimensione simbolica" che si occupano le religioni (che poi ci riescano è un altro discorso). Odifreddi è un matematico e un logico (ecco una sua altre frase "La vera religione è la matematica, il resto è superstizione. O, detto altrimenti, la religione è la matematica dei poveri di spirito") e quindi il criterio che applica alla lettura dei fenomeni è quello di un esasperato razionalismo. Forse bisognerebbe ricordargli che "Il mondo è una foresta di simboli" (Baudelaire) e l'uomo abita il e nel mondo. [...] Al di là di ciò che sostiene questo personaggio sono piuttosto concorde nel ritenere che la religione (NON la spiritualità) funga in buona parte da "contenitore" per dare alla psiche una trama di senso. Quello di cui non si parla però è la dimensione spirituale. Una religione fondata metafisicamente dovrebbe essere in grado di guidare gli individui che ne vivono il senso, verso lo Spirito. Ognuno di noi in base alla propria volontà, temprata sull'esperienza, ha la possibilità di raggiungere le sfere più alte dell'essere. In questo modo la religione sì che dà (dovrebbe dare) senso, ma non un senso soltanto esistenziale, bensì legato alla natura essenziale del cosmo (questo, almeno, secondo una logica Tradizionale pura, che guarda al di là di ciò che la storia é stata o meno).
Per quanto mi riguarda, io credo che la religione qui in occidente abbia invece avuto una dimensione quasi esclusivamente psichica: è il singolo individuo, semmai, a ritrovarvi l'idea di Spirito. Ma questo può accadere in qualsiasi epoca, anche la più buia.
[...] la invito rileggere queste pagine di "Le menzogne di Ulisse", la numero 25 "La contrapposizione fra vero e falso si ritrova personificata anche nel Cristianesimo, nel quale Gesù e il Diavolo costituiscono gli analoghi non solo di Apollo ed Hermes ,ma anche della luce e delle tenebre" e compararla con la pagina 260 di "Tentativi di Fondare la Matematica" di Giangiacomo Gerla. "ha senso dire che un'asserzione è vera solo dopo avere fissato una interpretazione del linguaggio".
«Come dice il Dalai Lama nella sua autobiografia Libertà in esilio, le religioni sono medicine, e ciascuna è adatta a un particolare tipo di malattia spirituale. E, come aggiunge Jung in Psicoterapia e cura d'anime, le religioni sono sistemi di guarigione per i mali della psiche. Dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni».
Piergiorgio Odifreddi, Il Vangelo secondo la Scienza: le religioni alla prova del nove, 1999.
Se leggete il libro di Odifreddi "Perchè non possiamo essere cristiani" ci si renderà conto della rozzezza dell'analisi che questo personaggio fa dei testi religiosi cristiani. In poche parole letteralizza tutta la dimensione simbolica (ecco cosa è scritto sulla copertina: "Se la Bibbia fosse un'opera ispirata da un Dio, non dovrebbe essere corretta, coerente, veritiera, intelligente, giusta e bella? E come mai trabocca invece di assurdità scientifiche, contraddizioni logiche, falsità storiche, sciocchezze umane, perversioni etiche e bruttezze letterarie?). Invece è proprio la "dimensione simbolica" che si occupano le religioni (che poi ci riescano è un altro discorso). Odifreddi è un matematico e un logico (ecco una sua altre frase "La vera religione è la matematica, il resto è superstizione. O, detto altrimenti, la religione è la matematica dei poveri di spirito") e quindi il criterio che applica alla lettura dei fenomeni è quello di un esasperato razionalismo. Forse bisognerebbe ricordargli che "Il mondo è una foresta di simboli" (Baudelaire) e l'uomo abita il e nel mondo. [...] Al di là di ciò che sostiene questo personaggio sono piuttosto concorde nel ritenere che la religione (NON la spiritualità) funga in buona parte da "contenitore" per dare alla psiche una trama di senso. Quello di cui non si parla però è la dimensione spirituale. Una religione fondata metafisicamente dovrebbe essere in grado di guidare gli individui che ne vivono il senso, verso lo Spirito. Ognuno di noi in base alla propria volontà, temprata sull'esperienza, ha la possibilità di raggiungere le sfere più alte dell'essere. In questo modo la religione sì che dà (dovrebbe dare) senso, ma non un senso soltanto esistenziale, bensì legato alla natura essenziale del cosmo (questo, almeno, secondo una logica Tradizionale pura, che guarda al di là di ciò che la storia é stata o meno).
Per quanto mi riguarda, io credo che la religione qui in occidente abbia invece avuto una dimensione quasi esclusivamente psichica: è il singolo individuo, semmai, a ritrovarvi l'idea di Spirito. Ma questo può accadere in qualsiasi epoca, anche la più buia.
[...] la invito rileggere queste pagine di "Le menzogne di Ulisse", la numero 25 "La contrapposizione fra vero e falso si ritrova personificata anche nel Cristianesimo, nel quale Gesù e il Diavolo costituiscono gli analoghi non solo di Apollo ed Hermes ,ma anche della luce e delle tenebre" e compararla con la pagina 260 di "Tentativi di Fondare la Matematica" di Giangiacomo Gerla. "ha senso dire che un'asserzione è vera solo dopo avere fissato una interpretazione del linguaggio".
Piergiorgio Odifreddi
Pitagora, Euclide e la nascita del pensiero scientifico
“Duemilacinquecento anni fa,
nell'Italia meridionale, in quella che oggi è la Calabria, e più in particolare
nella città di Crotone, un personaggio, forse mitologico, ma forse realmente
esistito, di nome Pitagora si trovò a fare la scoperta costitutiva di quella
che oggi noi chiamiamo «scienza». Ce lo racconta Giamblico, nella sua Vita di
Pitagora, dicendoci appunto che questi si era trasferito a Crotone da Samo
insieme alla sua scuola.
Un giorno Pitagora passeggiava
nella città seguito dai suoi accoliti. E, MENTRE SI TROVAVANO A PASSARE DI
FRONTE ALLA BOTTEGA DI UN FABBRO FERRAIO, UDIRONO DALLE FINESTRE I SUONI DEI
MARTELLI CHE BATTEVANO SULLE INCUDINI. PITAGORA SI ACCORSE CHE ALCUNI DI QUESTI
SUONI STAVANO BENE INSIEME (OGGI LI CHIAMEREMMO «CONSONANTI»), ALTRI INVECE
STRIDEVANO FRA LORO (E LI CHIAMEREMMO «DISSONANTI»). Volendo capire il perché
di questa differenza, Pitagora entrò nella bottega del fabbro ferraio e fece
alcuni esperimenti.
Innanzitutto PRESE DUE MARTELLI
DELLO STESSO PESO, LI BATTÉ SULL'INCUDINE E SI RESE CONTO CHE OVVIAMENTE PRODUCEVANO
LO STESSO SUONO. Ma quando prese altri due martelli, di cui il primo pesava il
doppio del secondo, e il secondo dunque la metà del primo, e li batté
sull'incudine, scoprì che la nota prodotta era sempre la stessa, però a due
altezze diverse: precisamente, a una distanza che oggi i musicisti chiamano di
un'ottava, come per esempio due do consecutivi sul pianoforte.
Questa è un'osservazione
interessante, e Pitagora si disse: «Chissà che cosa c'è sotto, proviamo a fare
ancora qualche altro esperimento». Questa volta prese due martelli, uno dei
quali pesava una volta e mezzo l'altro, quindi con un rapporto dei pesi di tre
a due, e li batté sull'incudine. I suoni che i martelli fecero furono
differenti, però l'intervallo corrispondente a questi suoni era ancora
riconoscibile dai musicisti: si trattava di quello che oggi noi chiamiamo
l'intervallo di quinta, per esempio fra un do e il sol successivo.
Pitagora disse: «La prima volta
era forse semplicemente un caso, e la seconda una coincidenza. Vediamo se c'è
anche una premeditazione: cioè, se continuando a fare esperimenti di questo
genere si continua a scoprire qualcosa di interessante». I numeri che sono
stati usati finora sono 1, 2 e 3, perché i primi due martelli avevano un
rapporto di 2:1 (uno era doppio dell'altro), e i secondi due avevano un
rapporto di 3:2 (uno era una volta e mezzo l'altro). Allora il prossimo numero
da usare è ovviamente il 4.
Pitagora prese dunque due
martelli i cui pesi erano in rapporto di 4:3, li batté sull'incudine e di nuovo
si udirono due note differenti: questa volta, a un intervallo che oggi è
chiamato di quarta, come fra un do e il fa successivo. Ed ecco che a questo punto
si comincia a delineare nella mente di Pitagora un'idea. DA UNA PARTE ABBIAMO
IL MONDO FISICO, IL MONDO DELLA NATURA, IL MONDO DEI MARTELLI, DEI PESI, DELLE
INCUDINI. DALL'ALTRA PARTE C'È UN MONDO COMPLETAMENTE DIVERSO, IL MONDO DELLE
ARTI, IL MONDO DELLA MUSICA. Ricordiamo, tra l'altro, che per i greci musiké
era tutto ciò che le muse proteggevano, quello che per l'appunto noi chiamiamo
«arti».
E questi due mondi così diversi,
il mondo oggettivo della natura al di fuori di noi, e il mondo soggettivo dell'arte
che proviene da dentro di noi, erano messi in comunicazione da un ponte. E
questo ponte era la matematica, le frazioni. Infatti le frazioni più banali - 2
su 1, 3 su 2, 4 su 3 - riuscivano da una parte a descrivere i rapporti fisici
tra i pesi dei martelli, tra le lunghezze delle corde e così via, e dall'altra
parte potevano descrivere i rapporti armonici, gli intervalli musicali.
Pitagora capì che la matematica
era un linguaggio universale che poteva appunto servire sia alla scienza, come
la chiameremmo oggi noi, sia alle arti, e su questo costruì la sua filosofìa.
Il suo motto divenne: «Tutto è numero». Ma poiché i numeri che abbiamo usato
finora sono rapporti fra numeri interi, che oggi noi chiamiamo numeri
razionali, о frazioni, il motto di Pitagora diventa: «Tutto è numero razionale»
. Oppure, se lasciamo cadere la parolina «numero»: «Tutto è razionale».
La «ragione» riesce dunque a
descrivere la natura da una parte, e le arti dall'altra. E questo è il mito
costitutivo della scienza e del suo linguaggio, che è il linguaggio della
matematica. Ed è anche il punto di inizio della nostra storia. Una storia che
risale a due millenni e mezzo fa, quando, in un luogo preciso della Terra,
l'antica Grecia (ma non solo, perché poi vedremo che anche in altri luoghi
contemporaneamente, о quasi, gli uomini pensarono idee simili) inizia l’avventura
della storia della scienza e della matematica, che ora cercheremo di raccontare
[…]
pagg. 1-12
dimostrare, perché tra il dire e
il fare c'è naturalmente di mezzo il mare (Egeo).
Che cosa dice il teorema di
Pitagora? Anzitutto ha a che fare con i triangoli rettangoli. Quali sono i
triangoli rettangoli? Sono quelli in cui uno degli angoli è un angolo retto, di
90 gradi. Sono gli stessi con cui lavorava Talete, quando faceva le sue misure
con le ombre. Quindi, sono i triangoli con cui è nata la geometria, ed è ovvio
che a forza di pensare, a forza di lavorare con essi, si cominciarono a
scoprire proprietà che a prima vista non erano così evidenti.
Si scoprì, per esempio, che se si
prende una corda e la si tende intorno a tre paletti in modo che la proporzione
tra i lati sia 3:4:5, essa forma un triangolo rettangolo. Questa è
probabilmente una scoperta empirica, ma poi qualcuno osservò che questi numeri
avevano delle proprietà strane. Perché se uno prende 3 e lo eleva al quadrato,
cioè lo moltiplica per se stesso (3 • 3 = 9), e fa lo stesso con 4 (4 • 4 =
16), la somma di 9 e 16 fa 25. Che, guarda caso, è proprio il quadrato di 5 (5
• 5 = 25).
Il mito associa al nome di
Pitagora l'intuizione, sempre vera nei triangoli rettangoli, secondo la quale
il quadrato dei due lati perpendicolari fra loro è uguale al quadrato di quel
lato storto che i greci chiamavano hypoteinusa (ipotenusa), che significa
«sottesa», perché se si disegna il triangolo con l'angolo retto in alto, il
lato che veniva teso sotto era, per l'appunto, «sotteso».
Questo è il primo grande teorema
della storia della matematica. E associato al nome di Pitagora, ma in realtà è
stato scoperto più volte nel corso della storia. Lo conoscevano i babilonesi.
Lo conoscevano in parte gli egizi, che usavano il trucco della corda con i lati
3:4:5. Lo conoscevano i cinesi, che ne diedero delle dimostrazioni estremamente
intuitive, semplicemente scomponendo i quadrati costruiti sui cateti, e
ricomponendoli in modo da formare il quadrato costruito sull'ipotenusa.
Notate che abbiamo parlato finora
di quadrati nel senso di numeri (3 • 3, 4 • 4, 5 • 5), ma per i greci i
«quadrati» erano letteralmente dei quadrati. Cioè, il teorema di Pitagora veniva
considerato in maniera puramente geometrica, prendendo un triangolo rettangolo,
disegnando sui suoi lati e sull'ipotenusa dei quadrati, e scoprendo che il
quadrato costruito sull'ipotenusa è uguale, nel senso dell'area, alla somma dei
quadrati, cioè delle aree, costruiti sui cateti.
Questo è un teorema fondamentale,
che i matematici usano quotidianamente ancora al giorno d'oggi, ma non è
l'unica scoperta che viene attribuita a Pitagora nell'ambito della geometria.
Abbiamo parlato degli antichi egizi, se ricordate, dicendo che avevano scoperto
due solidi regolari: il tetraedro, con quattro facce triangolari, e il cubo,
con sei facce quadrate. Ebbene, Pitagora ne scoprì altri due: uno con dodici
facce pentagonali, chiamato dodecaedro, e l'altro con venti facce triangolari,
chiamato icosaedro. Sono due solidi in qualche modo imparentati, poiché si
possono scambiare fra loro i vertici e i lati e ottenerne uno dall'altro, e
viceversa.
Un dodecaedro è fatto mettendo
insieme dodici pentagoni, ma come si costruisce un pentagono? Non è affatto
banale, e la sua costruzione fu veramente una grande scoperta, perché è
necessario un passaggio attraverso quello che in matematica si chiama «sezione
aurea». Ci torneremo parlando di Euclide, perché è lui che per la prima volta
riporta la costruzione attraverso riga e compasso di un pentagono regolare, e
del dodecaedro che è costruito attraverso dodici pentagoni regolari.
Pag. 24 e Pag. 25
La scoperta dell'irrazionale
Il nome di Pitagora non è
soltanto legato alla geometria, ma anche all'aritmetica. Era un grande
matematico, un grande scienziato della sua epoca, e quindi è immaginabile che
abbia lasciato le sue tracce non soltanto in uno dei due grandi campi della
matematica antica, bensì in entrambi.
Pitagora era quello che oggi
chiameremmo un numerologo, oltre che un aritmetico. Giocava con i numeri, e fu
lui che cominciò a dar loro significati metafisici, per esempio alla
contrapposizione fra numeri pari e numeri dispari. E diede il nome a grandezze
come quadrati, cubi e così via, che erano grandezze aritmetiche che in qualche
modo ricordavano le rispettive figure geometriche. I quadrati sono appunto i
numeri che corrispondono geometricamente ai quadrati, i cubi i numeri che
corrispondono ai cubi geometrici ecc.
E che cosa scoprì nel campo
dell'aritmetica Pitagora? Scoprì che il suo motto, il motto che sosteneva che
«tutto è numero», «tutto è numero razionale», «tutto è razionale», in realtà
non era corretto! C'erano infatti degli esempi, o meglio dei controesempi,
molto banali, a uno dei quali abbiamo già accennato.
Ricordiamoci del dialogo
platonico del Menone, quando lo schiavo cerca di capire come si fa a
raddoppiare l'area di un quadrato, e si accorge che deve prendere la diagonale.
Il fatto che un quadrato di area doppia di un altro abbia un lato lungo come la
diagonale del primo, fa sì che la diagonale sia praticamente quello che oggi
chiameremmo la radice di 2 (ponendo uguale a 1 il lato del quadrato più
piccolo).
Pag. 26
Pitagora scoprì che la diagonale
è incommensurabile col lato, nel senso che questi due segmenti non possono
essere misurati dalla stessa unità di misura. Cosa significa tutto ciò?
Significa che, se prendiamo un'unità di misura che sta un numero intero di
volte dentro a un lato, essa non starà un numero intero di volte dentro la
diagonale: sarà o un po' più lunga o un po' più corta del necessario. E se
prendiamo un'unità di misura che sta un numero intero di volte dentro la
diagonale, e cerchiamo di misurare con quell'unità di misura il lato, ci
scontriamo con lo stesso problema. Questa impossibilità di misurare con una
stessa unità di misura il lato e la diagonale del quadrato è una forma primordiale
del famoso principio di indeterminazione di Heisenberg.
Si racconta che questa scoperta
fu così traumatica per Pitagora e per i pitagorici, che essi decisero di non
divulgarla, di conservarne il segreto all'interno della confraternita, senza
farla conoscere al mondo esterno. Ma ci fu qualcuno, di nome Ippaso di
Metaponto, che secondo la leggenda rivelò la notizia della scoperta. I
pitagorici si seccarono moltissimo e chiesero a Zeus di far perire il
traditore. Sembra che, addirittura, gli abbiano costruito una tomba quand'egli
era ancora vivo, tanto per fargli capire come sarebbe finito.
Leggende a parte, in questo modo
crollò la filosofia pitagorica: cioè, la speranza di poter descrivere tutte le
grandezze fisiche e le grandezze scientifiche solo attraverso i numeri interi e
i loro rapporti. In realtà ci sono grandezze, come appunto la diagonale e il
lato del quadrato, il cui rapporto non è descrivibile mediante un rapporto di
numeri interi. E questo è il grande lascito di Pitagora nel campo dell'aritmetica.
Pag. 27
Pitagora, Euclide e la nascita
del pensiero scientifico
Piergiorgio Odifireddi racconta
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