sabato 11 febbraio 2012

Piergiorgio Odifreddi. Il "fenomeno Lourdes", un fenomeno che ha portato in centocinquant' anni nella cittadina dei Pirenei un numero imprecisato, ma vicino ai trecento milioni, di fedeli (perché diversamente da quella di Fatima, la mmadonna di Lourdes non sembra fare servizio a domicilio). Di questi, almeno una ventina di milioni erano malati di varia gravità, ma soltanto 66 hanno ufficialmente ottenuto il miracolo della guarigione: dunque, una percentuale di uno su 300.000, nettamente inferiore a quella delle remissioni spontanee delle malattie croniche, cancro compreso, che è di circa di uno su 10.000. Detto altrimenti, i malati guariscono miracolosamente, cioè inspiegabilmente, trenta volte di più se stanno a casa che se vanno a Lourdes!

Io non sono vissuto e non potrei vivere un solo giorno senza religione, ma per tutta la vita ho potuto fare a meno della Chiesa.
Hermann Hesse

La religione è nulla. Vivere religiosamente è tutto.
Erich Fromm


Il "fenomeno Lourdes", un fenomeno che ha portato in centocinquant' anni nella cittadina dei Pirenei un numero imprecisato, ma vicino ai trecento milioni, di fedeli (perché diversamente da quella di Fatima, la mmadonna di Lourdes non sembra fare servizio a domicilio).
Di questi, almeno una ventina di milioni erano malati di varia gravità, ma soltanto 66 hanno ufficialmente ottenuto il miracolo della guarigione: dunque, una percentuale di uno su 300.000, nettamente inferiore a quella delle remissioni spontanee delle malattie croniche, cancro compreso, che è di circa di uno su 10.000.
Detto altrimenti, i malati guariscono miracolosamente, cioè inspiegabilmente, trenta volte di più se stanno a casa che se vanno a Lourdes!
Piergiorgio Odifreddi


«Come dice il Dalai Lama nella sua autobiografia Libertà in esilio, le religioni sono medicine, e ciascuna è adatta a un particolare tipo di malattia spirituale. E, come aggiunge Jung in Psicoterapia e cura d'anime, le religioni sono sistemi di guarigione per i mali della psiche. Dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni».
Piergiorgio Odifreddi, Il Vangelo secondo la Scienza: le religioni alla prova del nove, 1999.


Aldebaran Pulsar 

Se leggete il libro di Odifreddi "Perchè non possiamo essere cristiani" ci si renderà conto della rozzezza dell'analisi che questo personaggio fa dei testi religiosi cristiani. In poche parole letteralizza tutta la dimensione simbolica (ecco cosa è scritto sulla copertina: "Se la Bibbia fosse un'opera ispirata da un Dio, non dovrebbe essere corretta, coerente, veritiera, intelligente, giusta e bella? E come mai trabocca invece di assurdità scientifiche, contraddizioni logiche, falsità storiche, sciocchezze umane, perversioni etiche e bruttezze letterarie?). Invece è proprio la "dimensione simbolica" che si occupano le religioni (che poi ci riescano è un altro discorso). Odifreddi è un matematico e un logico (ecco una sua altre frase "La vera religione è la matematica, il resto è superstizione. O, detto altrimenti, la religione è la matematica dei poveri di spirito") e quindi il criterio che applica alla lettura dei fenomeni è quello di un esasperato razionalismo. Forse bisognerebbe ricordargli che "Il mondo è una foresta di simboli" (Baudelaire) e l'uomo abita il e nel mondo. [...] Al di là di ciò che sostiene questo personaggio sono piuttosto concorde nel ritenere che la religione (NON la spiritualità) funga in buona parte da "contenitore" per dare alla psiche una trama di senso. Quello di cui non si parla però è la dimensione spirituale. Una religione fondata metafisicamente dovrebbe essere in grado di guidare gli individui che ne vivono il senso, verso lo Spirito. Ognuno di noi in base alla propria volontà, temprata sull'esperienza, ha la possibilità di raggiungere le sfere più alte dell'essere. In questo modo la religione sì che dà (dovrebbe dare) senso, ma non un senso soltanto esistenziale, bensì legato alla natura essenziale del cosmo (questo, almeno, secondo una logica Tradizionale pura, che guarda al di là di ciò che la storia é stata o meno).
Per quanto mi riguarda, io credo che la religione qui in occidente abbia invece avuto una dimensione quasi esclusivamente psichica: è il singolo individuo, semmai, a ritrovarvi l'idea di Spirito. Ma questo può accadere in qualsiasi epoca, anche la più buia.




[...] la invito rileggere queste pagine di "Le menzogne di Ulisse", la numero 25 "La contrapposizione fra vero e falso si ritrova personificata anche nel Cristianesimo, nel quale Gesù e il Diavolo costituiscono gli analoghi non solo di Apollo ed Hermes ,ma anche della luce e delle tenebre" e compararla con la pagina 260 di "Tentativi di Fondare la Matematica" di Giangiacomo Gerla. "ha senso dire che un'asserzione è vera solo dopo avere fissato una interpretazione del linguaggio".









Piergiorgio Odifreddi
Pitagora, Euclide e la nascita del pensiero scientifico

“Duemilacinquecento anni fa, nell'Italia meridionale, in quella che oggi è la Calabria, e più in particolare nella città di Crotone, un personaggio, forse mitologico, ma forse realmente esistito, di nome Pitagora si trovò a fare la scoperta costitutiva di quella che oggi noi chiamiamo «scienza». Ce lo racconta Giamblico, nella sua Vita di Pitagora, dicendoci appunto che questi si era trasferito a Crotone da Samo insieme alla sua scuola.
Un giorno Pitagora passeggiava nella città seguito dai suoi accoliti. E, MENTRE SI TROVAVANO A PASSARE DI FRONTE ALLA BOTTEGA DI UN FABBRO FERRAIO, UDIRONO DALLE FINESTRE I SUONI DEI MARTELLI CHE BATTEVANO SULLE INCUDINI. PITAGORA SI ACCORSE CHE ALCUNI DI QUESTI SUONI STAVANO BENE INSIEME (OGGI LI CHIAMEREMMO «CONSONANTI»), ALTRI INVECE STRIDEVANO FRA LORO (E LI CHIAMEREMMO «DISSONANTI»). Volendo capire il perché di questa differenza, Pitagora entrò nella bottega del fabbro ferraio e fece alcuni esperimenti.
Innanzitutto PRESE DUE MARTELLI DELLO STESSO PESO, LI BATTÉ SULL'INCUDINE E SI RESE CONTO CHE OVVIAMENTE PRODUCEVANO LO STESSO SUONO. Ma quando prese altri due martelli, di cui il primo pesava il doppio del secondo, e il secondo dunque la metà del primo, e li batté sull'incudine, scoprì che la nota prodotta era sempre la stessa, però a due altezze diverse: precisamente, a una distanza che oggi i musicisti chiamano di un'ottava, come per esempio due do consecutivi sul pianoforte.
Questa è un'osservazione interessante, e Pitagora si disse: «Chissà che cosa c'è sotto, proviamo a fare ancora qualche altro esperimento». Questa volta prese due martelli, uno dei quali pesava una volta e mezzo l'altro, quindi con un rapporto dei pesi di tre a due, e li batté sull'incudine. I suoni che i martelli fecero furono differenti, però l'intervallo corrispondente a questi suoni era ancora riconoscibile dai musicisti: si trattava di quello che oggi noi chiamiamo l'intervallo di quinta, per esempio fra un do e il sol successivo.
Pitagora disse: «La prima volta era forse semplicemente un caso, e la seconda una coincidenza. Vediamo se c'è anche una premeditazione: cioè, se continuando a fare esperimenti di questo genere si continua a scoprire qualcosa di interessante». I numeri che sono stati usati finora sono 1, 2 e 3, perché i primi due martelli avevano un rapporto di 2:1 (uno era doppio dell'altro), e i secondi due avevano un rapporto di 3:2 (uno era una volta e mezzo l'altro). Allora il prossimo numero da usare è ovviamente il 4.
Pitagora prese dunque due martelli i cui pesi erano in rapporto di 4:3, li batté sull'incudine e di nuovo si udirono due note differenti: questa volta, a un intervallo che oggi è chiamato di quarta, come fra un do e il fa successivo. Ed ecco che a questo punto si comincia a delineare nella mente di Pitagora un'idea. DA UNA PARTE ABBIAMO IL MONDO FISICO, IL MONDO DELLA NATURA, IL MONDO DEI MARTELLI, DEI PESI, DELLE INCUDINI. DALL'ALTRA PARTE C'È UN MONDO COMPLETAMENTE DIVERSO, IL MONDO DELLE ARTI, IL MONDO DELLA MUSICA. Ricordiamo, tra l'altro, che per i greci musiké era tutto ciò che le muse proteggevano, quello che per l'appunto noi chiamiamo «arti».
E questi due mondi così diversi, il mondo oggettivo della natura al di fuori di noi, e il mondo soggettivo dell'arte che proviene da dentro di noi, erano messi in comunicazione da un ponte. E questo ponte era la matematica, le frazioni. Infatti le frazioni più banali - 2 su 1, 3 su 2, 4 su 3 - riuscivano da una parte a descrivere i rapporti fisici tra i pesi dei martelli, tra le lunghezze delle corde e così via, e dall'altra parte potevano descrivere i rapporti armonici, gli intervalli musicali.
Pitagora capì che la matematica era un linguaggio universale che poteva appunto servire sia alla scienza, come la chiameremmo oggi noi, sia alle arti, e su questo costruì la sua filosofìa. Il suo motto divenne: «Tutto è numero». Ma poiché i numeri che abbiamo usato finora sono rapporti fra numeri interi, che oggi noi chiamiamo numeri razionali, о frazioni, il motto di Pitagora diventa: «Tutto è numero razionale» . Oppure, se lasciamo cadere la parolina «numero»: «Tutto è razionale».
La «ragione» riesce dunque a descrivere la natura da una parte, e le arti dall'altra. E questo è il mito costitutivo della scienza e del suo linguaggio, che è il linguaggio della matematica. Ed è anche il punto di inizio della nostra storia. Una storia che risale a due millenni e mezzo fa, quando, in un luogo preciso della Terra, l'antica Grecia (ma non solo, perché poi vedremo che anche in altri luoghi contemporaneamente, о quasi, gli uomini pensarono idee simili) inizia l’avventura della storia della scienza e della matematica, che ora cercheremo di raccontare […]
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dimostrare, perché tra il dire e il fare c'è naturalmente di mezzo il mare (Egeo).

Che cosa dice il teorema di Pitagora? Anzitutto ha a che fare con i triangoli rettangoli. Quali sono i triangoli rettangoli? Sono quelli in cui uno degli angoli è un angolo retto, di 90 gradi. Sono gli stessi con cui lavorava Talete, quando faceva le sue misure con le ombre. Quindi, sono i triangoli con cui è nata la geometria, ed è ovvio che a forza di pensare, a forza di lavorare con essi, si cominciarono a scoprire proprietà che a prima vista non erano così evidenti.
Si scoprì, per esempio, che se si prende una corda e la si tende intorno a tre paletti in modo che la proporzione tra i lati sia 3:4:5, essa forma un triangolo rettangolo. Questa è probabilmente una scoperta empirica, ma poi qualcuno osservò che questi numeri avevano delle proprietà strane. Perché se uno prende 3 e lo eleva al quadrato, cioè lo moltiplica per se stesso (3 • 3 = 9), e fa lo stesso con 4 (4 • 4 = 16), la somma di 9 e 16 fa 25. Che, guarda caso, è proprio il quadrato di 5 (5 • 5 = 25).
Il mito associa al nome di Pitagora l'intuizione, sempre vera nei triangoli rettangoli, secondo la quale il quadrato dei due lati perpendicolari fra loro è uguale al quadrato di quel lato storto che i greci chiamavano hypoteinusa (ipotenusa), che significa «sottesa», perché se si disegna il triangolo con l'angolo retto in alto, il lato che veniva teso sotto era, per l'appunto, «sotteso».
Questo è il primo grande teorema della storia della matematica. E associato al nome di Pitagora, ma in realtà è stato scoperto più volte nel corso della storia. Lo conoscevano i babilonesi. Lo conoscevano in parte gli egizi, che usavano il trucco della corda con i lati 3:4:5. Lo conoscevano i cinesi, che ne diedero delle dimostrazioni estremamente intuitive, semplicemente scomponendo i quadrati costruiti sui cateti, e ricomponendoli in modo da formare il quadrato costruito sull'ipotenusa.
Notate che abbiamo parlato finora di quadrati nel senso di numeri (3 • 3, 4 • 4, 5 • 5), ma per i greci i «quadrati» erano letteralmente dei quadrati. Cioè, il teorema di Pitagora veniva considerato in maniera puramente geometrica, prendendo un triangolo rettangolo, disegnando sui suoi lati e sull'ipotenusa dei quadrati, e scoprendo che il quadrato costruito sull'ipotenusa è uguale, nel senso dell'area, alla somma dei quadrati, cioè delle aree, costruiti sui cateti.
Questo è un teorema fondamentale, che i matematici usano quotidianamente ancora al giorno d'oggi, ma non è l'unica scoperta che viene attribuita a Pitagora nell'ambito della geometria. Abbiamo parlato degli antichi egizi, se ricordate, dicendo che avevano scoperto due solidi regolari: il tetraedro, con quattro facce triangolari, e il cubo, con sei facce quadrate. Ebbene, Pitagora ne scoprì altri due: uno con dodici facce pentagonali, chiamato dodecaedro, e l'altro con venti facce triangolari, chiamato icosaedro. Sono due solidi in qualche modo imparentati, poiché si possono scambiare fra loro i vertici e i lati e ottenerne uno dall'altro, e viceversa.
Un dodecaedro è fatto mettendo insieme dodici pentagoni, ma come si costruisce un pentagono? Non è affatto banale, e la sua costruzione fu veramente una grande scoperta, perché è necessario un passaggio attraverso quello che in matematica si chiama «sezione aurea». Ci torneremo parlando di Euclide, perché è lui che per la prima volta riporta la costruzione attraverso riga e compasso di un pentagono regolare, e del dodecaedro che è costruito attraverso dodici pentagoni regolari.
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La scoperta dell'irrazionale
Il nome di Pitagora non è soltanto legato alla geometria, ma anche all'aritmetica. Era un grande matematico, un grande scienziato della sua epoca, e quindi è immaginabile che abbia lasciato le sue tracce non soltanto in uno dei due grandi campi della matematica antica, bensì in entrambi.
Pitagora era quello che oggi chiameremmo un numerologo, oltre che un aritmetico. Giocava con i numeri, e fu lui che cominciò a dar loro significati metafisici, per esempio alla contrapposizione fra numeri pari e numeri dispari. E diede il nome a grandezze come quadrati, cubi e così via, che erano grandezze aritmetiche che in qualche modo ricordavano le rispettive figure geometriche. I quadrati sono appunto i numeri che corrispondono geometricamente ai quadrati, i cubi i numeri che corrispondono ai cubi geometrici ecc.
E che cosa scoprì nel campo dell'aritmetica Pitagora? Scoprì che il suo motto, il motto che sosteneva che «tutto è numero», «tutto è numero razionale», «tutto è razionale», in realtà non era corretto! C'erano infatti degli esempi, o meglio dei controesempi, molto banali, a uno dei quali abbiamo già accennato.
Ricordiamoci del dialogo platonico del Menone, quando lo schiavo cerca di capire come si fa a raddoppiare l'area di un quadrato, e si accorge che deve prendere la diagonale. Il fatto che un quadrato di area doppia di un altro abbia un lato lungo come la diagonale del primo, fa sì che la diagonale sia praticamente quello che oggi chiameremmo la radice di 2 (ponendo uguale a 1 il lato del quadrato più piccolo).

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Pitagora scoprì che la diagonale è incommensurabile col lato, nel senso che questi due segmenti non possono essere misurati dalla stessa unità di misura. Cosa significa tutto ciò? Significa che, se prendiamo un'unità di misura che sta un numero intero di volte dentro a un lato, essa non starà un numero intero di volte dentro la diagonale: sarà o un po' più lunga o un po' più corta del necessario. E se prendiamo un'unità di misura che sta un numero intero di volte dentro la diagonale, e cerchiamo di misurare con quell'unità di misura il lato, ci scontriamo con lo stesso problema. Questa impossibilità di misurare con una stessa unità di misura il lato e la diagonale del quadrato è una forma primordiale del famoso principio di indeterminazione di Heisenberg.
Si racconta che questa scoperta fu così traumatica per Pitagora e per i pitagorici, che essi decisero di non divulgarla, di conservarne il segreto all'interno della confraternita, senza farla conoscere al mondo esterno. Ma ci fu qualcuno, di nome Ippaso di Metaponto, che secondo la leggenda rivelò la notizia della scoperta. I pitagorici si seccarono moltissimo e chiesero a Zeus di far perire il traditore. Sembra che, addirittura, gli abbiano costruito una tomba quand'egli era ancora vivo, tanto per fargli capire come sarebbe finito.
Leggende a parte, in questo modo crollò la filosofia pitagorica: cioè, la speranza di poter descrivere tutte le grandezze fisiche e le grandezze scientifiche solo attraverso i numeri interi e i loro rapporti. In realtà ci sono grandezze, come appunto la diagonale e il lato del quadrato, il cui rapporto non è descrivibile mediante un rapporto di numeri interi. E questo è il grande lascito di Pitagora nel campo dell'aritmetica.

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Pitagora, Euclide e la nascita del pensiero scientifico
Piergiorgio Odifireddi racconta






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