lunedì 27 febbraio 2012

Cechov. Il pidocchio delle piante mangia l'erba, la ruggine il ferro, la menzogna l'anima

«Oltre alla medicina, la moglie legittima, ho un’amante, la letteratura;
ma non ne parlo perché chi vive nell’illegalità morirà nell’illegalità».
Anton Čechov

29 gennaio 1860 nasceva Anton Pavlovič Čechov (Taganrog, 29 gennaio 1860 C.Gregoriano – Badenweiler, 15 luglio 1904) è stato uno scrittore, drammaturgo e medico russo.


E quando non sanno che etichetta appiccicarti in fronte, dicono:
«È un uomo strano, proprio strano!»
Anton Čechov

Ti si accostano ghignando, ti guardano in cagnesco, ti squadrano, ti etichettano:
«Questo, è uno psicopatico» oppure «Quello è un parolaio».
E quando non sanno che etichetta appiccicarti in fronte, dicono:
«È un uomo strano, proprio strano!» Amo le foreste: è strano.
Non mangio carne: anche questo è strano.
Un rapporto diretto, pulito, libero con la natura e con la gente non c'è più...
Čechov


SONJA
No, è straordinariamente interessante.
Michail L'voviè ogni anno pianta nuovi boschi, e gli hanno già conferito una medaglia di bronzo e un diploma. E si dà da fare perché non siano abbattuti i boschi vecchi. Se lo ascoltate sarete pienamente d'accordo con lui. Sostiene che i boschi abbelliscono la terra, che insegnano agli uomini a capire il bello e gli infondono un umore grandioso. I boschi addolciscono il clima rigido. Nei paesi in cui il clima è mite, si sprecano meno energie nella lotta con la natura e di conseguenza l'uomo che vi risiede è più dolce e tenero; là gli uomini sono belli, agili, facilmente emotivi, la loro parlata è elegante, i movimenti graziosi. Tra loro fioriscono le scienze e l'arte, la loro filosofia non è tetra, l'atteggiamento verso le donne è pieno di squisita nobiltà...

VOJNICKIJ (ridendo)
Brava, brava!... Tutto ciò è molto grazioso, ma non convincente, e quindi (ad Astrov) permettimi, amico mio, di continuare a bruciare nelle stufe la legna e a costruire rimesse con le assi.

ASTROV
Potresti bruciare la torba nelle stufe, e le rimesse costruirle in pietra.
Va bene, ammetto che si abbattano foreste per necessità, ma perché sterminarle? 
I boschi russi si spaccano sotto le asce, periscono miliardi di alberi, si devastano i rifugi di belve e di uccelli, i fiumi si insabbiano e seccano, spariscono per sempre paesaggi meravigliosi, e tutto perché all'uomo pigro manca il buon senso per chinarsi ed estrarre dalla terra il combustibile. (A Elena Andreevna). Non è forse vero, signora?
Bisogna essere un barbaro selvaggio per bruciare nella propria stufa questa bellezza, per distruggere ciò che non siamo in grado di creare. L'uomo è dotato di intelligenza e di forza creativa per moltiplicare quanto gli è dato, ma fino ad oggi egli non ha creato, bensì distrutto. I boschi sono sempre meno, i fiumi seccano, la selvaggina si è estinta, il clima è rovinato e di giorno in giorno la terra si fa più povera e caotica.
(A Vojnickij). Tu mi guardi con ironia, e tutto ciò che io dico ti sembra privo di serietà e... e forse in effetti non sono che scempiaggini, ma quando io passo accanto ai boschi dei contadini che ho salvato dall'abbattimento, oppure quando sento stormire una giovane foresta piantata con le mie mani, mi convinco che il clima è un poco in mio potere, e che se tra mille anni l'uomo sarà felice, una parte di colpa ce l'avrò io. Quando pianto una betulla e poi la vedo verdeggiare e ondeggiare al vento, la mia anima si colma di orgoglio, e io... (Vedendo il garzone che gli ha portato su un vassoio il bicchierino di vodka).Comunque... (beve) devo andare. Sono tutte scempiaggini, dopo tutto. Ho l'onore di salutarvi! (Va verso la casa).

[...]
ELENA ANDREEVNA
Ah, pigrizia e noia! Tutti biasimano mio marito, tutti mi guardano con compassione infelice, ha un marito vecchio! Questa simpatia, per me, oh, come la capisco! E proprio come ha detto or ora Astrov: voi tutti irragionevolmente rovinate i boschi, e presto sulla terra non resterà più nulla. Con la stessa irragionevolezza rovinate l'uomo, e presto, grazie a voi, sulla terra non resteranno né fedeltà, né purezza, né spirito di sacrificio. Perché non riuscite a vedere con indifferenza una donna, se ella non è vostra? Perché, e in questo ha ragione il dottore, in tutti voi si annida il demone della distruzione. Non avete pietà né del boschi, né degli uccelli, né delle donne, né l'uno dell'altro...
Anton Čechov, Zio Vanja


Quelli che vivranno dopo di noi, fra due o trecento anni, e ai quali stiamo preparando la strada, ci saranno grati? Si ricorderanno di noi con una buona parola? Balia, non ricorderanno!
Anton Čechov, Zio Vanja, p. 66


Qualsiasi idiota può superare una crisi; è il quotidiano che ti logora.
Anton Čechov


“Quando mi veniva voglia di capire qualcuno o me stesso, prendevo in esame non le azioni, nelle quali tutto è convenzione, bensì i desideri. Dimmi cosa vuoi e ti dirò chi sei.”
Anton Čechov




Io credo che quando si seziona un cadavere, anche al più accanito spiritualista s’affaccia inevitabilmente la domanda: “Dov’è l’anima qua dentro?”...
Anton Čechov (Lettera a Aleksèj S. Suvòrin, 7 maggio 1889)


Valutati di più: ci penseranno gli altri ad abbassare il prezzo
Anton Cechov




Il pidocchio delle piante mangia l'erba,
la ruggine il ferro,
la menzogna l'anima
Anton Čechov

Una volta nel gregge, è inutile che abbai: scodinzola!
Anton Pavlovic Čechov


Non voglio affatto far di me stesso un essere in qualche maniera speciale, non ho alcuna intenzione di creare cose grandiose; quel che voglio è soltanto vivere, sognare, sperare, essere presente ovunque.
Anton Čechov. I Racconti della Maturità


Nella vita coniugale, l'essenziale è la pazienza.
Non l'amore: la pazienza!
Anton Cechov


L'uomo è stato dotato della ragione e del potere di creare, così che egli potesse aggiungere del suo a quanto gli è stato donato. Ma finora egli non ha mai agito da creatore, ma soltanto da distruttore. Rade al suolo le foreste, prosciuga i fiumi, estingue la flora e la fauna selvatica, altera il clima e abbruttisce la terra ogni giorno di più.
Anton Pavlovic Cechov


L’uomo è dotato di intelligenza e di forza creativa per accrescere ciò che gli è stato dato; ma fino ad ora egli, invece di creare, non ha fatto altro che distruggere. Non c’è minima compassione né per i boschi, né per gli uccelli, né per gli animali, né per i propri simili… per nessuno. Bisogna essere barbari insensati per distruggere ciò che non possiamo creare.
Anton Čechov


Sì. Dimenticheranno. È il nostro destino, non ci si può fare nulla. Ciò che a noi sembra serio, significativo, molto importante, col passar del tempo sarà dimenticato o sembrerà irrilevante. Ed è curioso che noi oggi non possiamo assolutamente sapere che cosa domani sarà ritenuto sublime, importante e che cosa meschino, ridicolo. E la nostra vita, che oggi viviamo con tanta naturalezza, apparirà col tempo strana e scomoda, priva di intelligenza, non sufficientemente pura, forse addirittura immorale.
Anton Pavlovič Čechov


Gli infelici sono egoisti, cattivi, ingiusti, crudeli e meno capaci degli sciocchi di comprendersi reciprocamente. L’infelicità non unisce, ma disunisce gli uomini, e perfino là dove parrebbe che gli uomini dovessero essere legati dalla identità del loro dolore, si commettono molte più ingiustizie e crudeltà che in mezzo a gente relativamente contenta.
Anton Čechov, "Nemici" 
in: 'Racconti'


«Quando era piccola, le piaceva molto il gelato e spesso dovevo condurla alla pasticceria. Il gelato era per lei la misura di tutto quello che v’è d’eccellente. Se voleva lodarmi, diceva: “Tu, papà, sei alla crema”. Uno dei suoi ditini lo chiamava al pistacchio, un altro alla crema, un terzo al lampone. Di solito, quando al mattino veniva a salutarmi, me la facevo sedere sulle ginocchia e, baciandole i ditini, ripetevo:
- Alla crema… al pistacchio… al limone…»
Anton Čechov, “Una storia noiosa”

E io non smettevo di cercare di capire perché fosse toccato a lui di incontrarla e non a me e perché era stato necessario che nella nostra vita si verificasse un errore così tragico.
Anton Pavlovič Čechov



Anton Čechov, Uno "choc" nervoso.
Incipit.
Lo studente in medicina Meyer e l'allievo della scuola di belle arti di Mosca, [...]
Conosceva le donne pubbliche soltanto attraverso le sue letture e per averne sentito parlare, ma non era mai stato nelle case in cui abitavano. Sapeva che vi sono delle donne senza vergogna, le quali, sotto il peso di circostanze fatali – ambiente, cattiva educazione, necessità, ecc. – sono costrette a vendersi. Queste donne non conoscono l'amore puro, non hanno figli, non hanno capacità giuridica. Le loro madri e le loro sorelle le piangono come se fossero morte. La scienza le tratta come un male; gli uomini danno loro del tu. Ma, nonostante tutto ciò, sono sempre degli esseri umani, fatti a somiglianza di Dio.
[...]
[prostitute] Hanno tutte la coscienza del loro peccato e sperano nella salvezza dell'anima; possono usare, nella più larga misura, dei mezzi che vi conducono. La società, è vero, non dimentica il passato delle persone; ma, dinanzi a Dio, Maria l'Egiziana non è inferiore agli altri santi.
Anton Čechov, Uno "choc" nervoso, p. 175-176

«Com'è povero e meschino tutto ciò (pensava Vassiliev).
In un ambiente come questo, che cosa dunque può indurre alla tentazione un uomo normale, incitarlo a commetere quell'orribile peccato di comprare per un rublo un essere vivente?
Io comprendo qualsiasi peccato, commesso per ragione di splendore, di bellezza, di grazia, di passione, di gusto, ma qui, cosa c'è? Per qual motivo si pecca, in questo luogo? D'altro lato... Non bisogna riflettere!...»
Anton Čechov, Uno "choc" nervoso, p. 182

[Prostituzione] Il vizio esiste ma non vi è in loro, né coscienza di colpa, né speranza di salvezza.
Le vendono, le comprano, le annegano nel vino e nelle turpitudini, ma sono bestie come delle pecore, indifferenti, ed incoscienti. Dio mio, Dio mio!
Anton Čechov, Uno "choc" nervoso, p. 196

Una delle due: o l'umanità, nel rappresentare la prostituzione come un male, esagera; oppure, se è veramente un male, come si ammette, i miei due buoni amici sono padroni di schiavi, dei violenti e degli assassini. Adesso, cantano, ridono, ragionano da persone sane; ma non sono forse stati, poco fa, sfruttatori della fame, dell'ignoranza e dell'imbecillità?
Noi uomini ci uccidiamo fra noi; è certamente immorale, ma la filosofia non può farci niente.
Anton Čechov, Uno "choc" nervoso, p. 200

Bisognerebbe che gli uomini, i quali le comprano e le uccidono, sentissero tutta la immoralità della loro azione, della loro parte di mercanti di schiave e ne provassero spavento. Bisogna salvare gli uomini. Anton Čechov, Uno "choc" nervoso, p. 203

Per quanto elevate possano sembrare le scienze e le arti, esse sono l'opera degli uomini, la carne della nostra carne, il sangue del nostro sangue. Esse soffrono del nostro stesso male; e la nostra corruzione si riflette in esse. La letteratura e la pittura non sfruttano forse il nudo e l'amore venale? La scienza non insegna forse a considerare le donne pubbliche come una semplice mercanzia che, in caso di difetto, dev'essere eliminata? Nelle questioni di morale, vi è una sola via d'uscita, l'apostolato.
Anton Čechov, Uno "choc" nervoso, p. 204
[Anton Cechov, Uno "choc" nervoso, traduzione di Leo Gastovinski, Casa Editrice Bietti, Milano 1930.]



Anton Čechov, uno scrittore che ha occhi e orecchie
Autore: Ivonne Rossomando

Anton Čechov, uno scrittore che ha occhi e orecchie
È dedicato ad Anton Čechov il libro di Fausto Malcovati, Il medico, la moglie, l'amante, edito da Marcos y Marcos, nella nuova collana diretta da Paolo Nori. Fausto Malcovati, biografo di Stanislavskij, offre al lettore la sua ampia conoscenza della letteratura, del teatro e del cinema russo, dimostrandosi lo scrittore ideale per "illuminarci" sulla vita e le opere di Čechov come se si trattasse di un suo amico di sempre, descrivendone la grandezza e le peculiarità, un autore che «non ha nulla di strano, è semplicemente uno scrittore anomalo rispetto al mondo in cui vive».

La narrazione parte da una cittadina sul Mar D'Azov, Tangarog, dove il 17 giugno 1860 nasce Anton Pavlovic Čechov, una città pigra, sonnolenta, sporca, in cui «il piccolo Čechov scruta il porto dalle finestre del primo piano e gioca con coetanei che parlano le lingue più disparate». Nipote di un talentuoso servo della gleba Egor, con un padre droghiere severo e perseguitato dai debiti, Čechov s’iscrive e si laurea in medicina, iniziando così la sua strana avventura umana, divisa tra l'amore per il mestiere di medico e il lavoro di scrittore che inizialmente ha fatto solo per sopravvivere (un suo racconto gli veniva pagato cinque copechi, il corrispettivo di un pezzo di pane). «Ho una moglie legittima, la medicina e un'amante, la letteratura: quando sono stanco della prima, mi rifugio dalla seconda, ma non ho nessuna intenzione di divorziare».

Quella del medico è per lui una passione irrinunciabile, visita soprattutto contadini e vecchi malati da cui non si fa pagare, raccoglie fondi per chi non ha neppure da mangiare e contemporaneamente scrive centinaia di racconti con lo pseudonimo di Čechonte. Si tratta di “raccontini” cui non dà importanza finché una lettera di Dmitrij Grigorovič gli cambia la vita. Fu proprio questo scrittore russo a cogliere in un racconto di Čechov del vero talento, suggerendogli la via per diventare scrittore: «smettete di scrivere in fretta [...] lavorate con calma, con precisione, scrivete con raccoglimento e concentrazione». Da quel momento Čechov moltiplica il suo impegno, sentendosi riconosciuto come vero scrittore.

La professione di medico lo aiuta a essere vicino a quei personaggi che descriverà nelle sue novelle «in cui si ride poco e resta sempre un grande amaro in bocca»; dei suoi protagonisti osserva le inquietudini e le insoddisfazioni, senza mai intervenire con soluzioni "salvifiche".

Quando arriverà a San Pietroburgo, Čechov incontrerà l'editore Suvorin che gli offrirà la sua amicizia e condizioni molto più favorevoli per scrivere. Un sodalizio che durerà quattordici anni e sarà interrotto a causa dell'Affare Dreyfus, in cui Čechov, a differenza dell'amico, si esporrà per difendere l'ufficiale francese ingiustamente accusato.

Sarà una delle poche volte che lo scrittore russo prenderà una posizione netta, in controtendenza. Ogni volta che gli era stato chiesto di schierarsi anche politicamente, Čechov aveva contrapposto il suo: «io non sono un liberale, non sono un conservatore, non sono un progressista... vorrei essere un libero artista, nient'altro».

Ma anche scrivere gli costa: «per scrivere ho perso la nozione del tempo, do i numeri, sto diventando psicopatico, sono totalmente esaurito». Ormai i suoi racconti hanno un ritmo particolare e anche se sono incentrati su personaggi minori come il bambino Egornška (nel racconto Il Viaggio) o un cagnolino (in Kaštanka), lui usa la penna con estrema libertà, con un linguaggio parlato straordinario, lasciando perdere canoni e norme. Vuole essere uno scrittore che racconta quello che vuole e come vuole, senza dichiarazioni d'intenti, perché lui è soprattutto «uno scrittore che ha occhi e orecchie». Ecco perché Virginia Woolf dirà che Čechov «ha una melodia tutta sua, inconsueta» e Majakovskij lo definirà «il re della parola, quella parola che genera l'idea, non già l’idea la parola».

In Čechov «ci sono gli uomini, ci siamo noi», con la sua semplicità il suo essere sempre tra le righe, diverte e si diverte, senza perdere mai il controllo e una sottile ironia («la morte è la ricerca di un senso, che qualche volta non si trova, ma si muore lo stesso!»).

Con lo stesso controllo descriverà nel 1890 il suo viaggio in Siberia, all'Isola di Sachalin. 
È già malato di tubercolosi, ma non si sottrae a un viaggio spaventoso per la distanza, il clima e la condizione terrificante di coloro che sono rinchiusi in quella prigione zarista. È un reportage in cui convivono statistiche e sofferenze umane inenarrabili. Lo scrittore e il medico guardano, ascoltano, assistono alle punizioni più efferate, ma il tono non è mai esasperato o ossessivo, la prosa sintetica e asciutta. Forse per dimenticare quell'esperienza Čechov si stabilirà a Melichovo, in una casa piena di alberi e di fiori, tanto da lui amati, qui scriverà alcuni dei suoi drammi teatrali indimenticabili come Il gabbiano e Zio Vanja. Sarà proprio il fiasco della prima rappresentazione de Il gabbiano, fiasco che lo ferirà crudelmente, a fargli incontrare la donna della sua vita: l'attrice Olga Knipper. La loro storia d'amore durerà solo cinque anni tra separazioni, nostalgie, rimpianti, mentre scrive Il giardino dei ciliegi, emblema di un mondo che scompare per fare posto a chi quel giardino lo abbatterà, perché «in una società dove regna il profitto, non c'è salvezza per i giardini, perché chi ha i soldi per comprarli non ha la cultura per conservarli. La bellezza non rende, non ha dividendi».

Grazie a Malcovati e al suo libro Il medico, la moglie, l'amante abbiamo riscoperto un Čechov diverso, non solo grandissimo autore, ma uomo straordinariamente attuale. Ora non ci resta che aspettare l’arrivo di un suo erede.
http://www.sulromanzo.it/blog/anton-cechov-uno-scrittore-che-ha-occhi-e-orecchie


ANTON CECOV.
Novelliere sommo ed autore di opere teatrali la cui novità ispirò, all’inizio del XX secolo, al regista Stanislavski una teoria della recitazione fondata sulla ricerca della sincerità, sull’espressione degli stati d’animo e dei mezzi toni, Cechov, allo stesso tempo medico ed uomo di lettere, creò un’opera che fu inizialmente sinonimo di nostalgia sentimentale e d’esotismo slavo. Col tempo, la “piccola musica” dei suoi testi rivela una visione lucida, crudele e fondamentalmente tragicomica, della condizione umana.

Avverso a qualsiasi sistema, a qualsiasi dogmatismo, a qualsiasi dispotismo, lavoratore accanito, Cechov è impastato di contraddizioni: è innamorato della vita, ma seriamente malato, sensibile ma lucido, tenero ma senza passioni. Svolge la sua esistenza tra un intenso coinvolgimento nel reale (la sua attività sociale) ed una aspirazione al ritiro, alla distanza, spesso presa per indifferenza.

La sua opera riflette un processo di costruzione interna, quella di un uomo libero che vuole farla finita con gli strascichi della schiavitù (la servitù della gleba è stata abolita soltanto nel 1861), ma anche disfarsi di ogni illusione, rifiutare le risposte già confezionate.

Dopo Sakalin, respinge le idee di Tolstoj, alle quali si è avvicinato ad un certo punto, e prende posizione, ne La camera n°6, contro l’ignoranza e l’oscurantismo retrogrado del ritorno alla natura e dell’ascetismo religioso: crede al progresso e alla scienza, alla medicina, ma senza esaltazione. Il lungo corpo a corpo con la sofferenza e la morte, quella degli altri e la sua, lo induce a un amore disincantato, a una acuta visione del mondo.

Alla ricerca della giustizia sociale corrisponde quella della precisione nella scrittura, della semplicità senza riboboli, della brevità, della concisione e dell’obiettività: «L’artista non deve essere il giudice dei suoi personaggi né di ciò che dicono, ma soltanto il testimone imparziale», scrive, e quanto alla essenzialità narrativa: «Se nella vostra storia descrivete un fucile, questo poi deve sparare».

Senza peripezie o ricerca d’effetti, le sue novelle descrivono una realtà non idealizzata, esistenze banali, la vita quotidiana, dove ogni ricerca spirituale è strettamente radicata in dettagli prosaici.

Lo stile è laconico, a volte allusivo e preciso: «Più è breve, meglio è ». Cechov ha molta cura dei dettagli materiali - suoni, gesti, colori, forme, sapori -, che sa scegliere, combinare, senza accumularli. A metà strada tra un realismo reso trasparente dal lavoro sulla lingua ed il simbolismo, il suo stile tende verso una natura dove le annotazioni fuggitive (rumori, colori, immagini), le digressioni liriche, il tratteggio spietato,

l’espressione dei sentimenti confusi e contraddittori, le descrizioni della natura russa ed i dialoghi si mescolano in una miscela dolce-amara.
In ogni novella, questa prosa musicale dal ritmo spesso ternario (frase strutturata in tre parti) si chiude bruscamente su un accordo dissonante che apre il racconto anziché chiuderlo e lascia un’impressione sfuggente, ambigua.

Alessandra Cortese

Badenweiler, 15 luglio 1904 muore





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