mercoledì 22 febbraio 2012

Sindrome di Susac. La ragazza intrappolata nel presente può ricordarsi solo le ultime ventiquattro ore


La ragazza intrappolata nel presente
Jess Lydon, 19 anni, ha contratto la sindrome di Susac: può ricordarsi solo le ultime ventiquattro ore
ANDREA MALAGUTI CORRISPONDENTE DA LONDRA
La ragazza che può ricordarsi solo le ultime ventiquattro ore della sua vita ha 19 anni, si chiama Jess Lydon e abita a Walsgrave, nella contea di West Midlands, nella pancia del Regno Unito. Tutto quello che conosce della sua vita è il presente. Non sa più che la sua migliore amica è incinta. E neanche che suo nonna Audrey è morta lo scorso anno. A 69 anni. Si volevano un bene da matti e lei il giorno del funerale ha appoggiato una rosa bianca sulla bara. Non sa quando è Natale. Figuriamoci Pasqua. Ogni tanto le arrivano delle immagini sfocate e lei dice: «ah, ecco, forse è così», ma non sa bene dove la porta il filo dei suoi pensieri. Le escono frasi bele - «mi piace molto percorrere il bordo curvo della città» - e anche tremende: «la mia vita è rovinata».
La sua malattia si chiama Sindrome di Susac. E nel mondo ce l’hanno solo duecentocinquanta persone. La maggior parte sono donne, con un’età che va dai 18 ai 40 anni. Non si sa come la si prende. E fino al 1979 non l’avevano neppure catalogata. Poi sono cominciati gli studi. Si soffre di encefalopatia (danni neuronali, per esempio), ipoacusia neurosensoriale (riduzione dell’udito per colpa del nervo acustico) e di occlusione arteriolare (il sangue fatica a fluire). La diagnosi è sempre complicata. La Sindrome arriva all’improvvio e in genere si manifesta con attacchi ricorrenti che durano più o meno quindici mesi. Come si presenta se ne va. Senza preavviso. Non sono segnalati casi mortali, ma su un terzo dei pazienti restano postumi sensoriali e neurologici di gravità variabile. I medici cercando di curarla con cocktail di farmaci a base di steroidi, ma non sanno bene neanche loro dove sbattere la testa. Tracey, la mamma di Jess, giura che da novembre la vita della sua bambina è diventata un incubo. «E’ una pittrice, sapete? Fa la scuola d’arte e ha le mani fatate. disegna divinamente. E poi recita. Bravissima».
Quando la Sindrome l’ha messa in gabbia era diventata la protagonista di «We will rock you». Invece adesso è uno scherzo del destino. Un’aquila reale che soffre di vertigini. Anzi, secondo Tracey è persino peggio. «E’ come una pensionata con l’Alzheimer. Spesso mezzora dopo la colazione mi chiede se dobbiamo ancora sederci a tavola. Mi viene da piangere. E non mi resta che pregare».
Lei, Jess, lo sa che le cose non funzionano. Il suo ragazzo l’ha lasciata e ha dovuto rinunciare anche al College. Ma lei di lui non ricorda neppure il nome. Passa le giornate a guardare fuori dalla finestra. Come se la soluzione fosse là, nascosta dietro gli alberi di albicocche. Spera la luce della campagna le riaccenda la memoria entrandole negli occhi. Ha un profilo sottile, delicato, la pelle molto bianca e il naso da francese. In genere si lega i capelli dietro la testa con un elastico. Si cura, perché «quando questo disastro sarà passato voglio che la vita mi trovi in ordine». Ha smesso anche di uscire. Ha paura di non trovare più la strada di casa. E spesso si domanda anche se davvero l’ha invitata qualcuno. Con il buio, poi, diventa ancora più triste. Le era sempre piaciuta la notte. Convinta che il mondo si comportasse meglio restando fermo. Invece adesso si è fermata lei. E tutto quel buio silenzioso le è piombato addosso.
http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=322&ID_articolo=225

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