domenica 12 febbraio 2012

Derrida e la Decostruzione. Paul Ricoeur, ha individuato un filone all'interno della storia del pensiero raccogliendo sotto l'etichetta di «scuola del sospetto» tre pensatori: Marx, Nietzsche e Freud. Que­sti tre pensatori sono accomunati dal fatto di avere introdotto nella filosofia criteri di smascheramento, di critica e di sospetto nei confronti di quello che ci viene tramandato.

La psicoanalisi ci ha insegnato che i morti - i genitori morti, per esempio - possono ancora vivere per noi ed essere ancora più potenti, più spaventosi che da vivi. È questo il problema dei fantasmi.
Jacques Derrida


Si è anche preteso, recentemente, che la questione del marranismo fosse morta.
Non lo credo affatto. Ci sono ancora dei figli e delle figlie, che senza saperlo,
incarnano e metempsicotizzano i fantasmi ventriloqui dei propri antenati.
Jacques Derrida




Derrida sottolinea come nel conflitto e nell'aggressività l'unica possibilità sia farsi carico dell'altro e non proiettare su di esso ogni istanza negativa o distruttiva, in particolare di riferisce ad un verso di Paul Celan:
Ti porto dentro di me come si porta l’altro morto nel lutto”,
Derrida parla di un processo di rinascita dell'altro come in una gravidanza
Ti porto dentro di me anche come un altro a venire, senza annullare la tua alterità, come si porta un bambino che deve ancora nascere
Forse bisogna riflettere su questo proprio nel momento in cui la distruttività messa in scena a Parigi ci fa sentire tutti impotenti e perturbati così da evitare derive paranoiche e persecutorie.



[...] non esiste l'Animale al singolare generale. Separato dall'uomo da un unico limite indivisibile. Bisogna rendersi conto che ci sono dei «viventi» la cui pluralità non può essere raccolta nella sola figura dell'animalità semplicemente opposta all'umanità. [...] La confusione di tutti gli esseri viventi non umani nella categoria comune e generale dell'animale non è solo un errore contro le esigenze del pensiero, della vigilanza o della lucidità, dell'autorità dell'esperienza, ma è anche un crimine: non un crimine contro l'animalità, appunto, ma un primo crimine contro gli animali, contro degli animali.
Jacques Derrida, L'animale che dunque sono - pag. 89

"L'animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui. E pensare comincia forse proprio qui". Cosa comincia? Comincia il senso dell'alterità, noi siamo altro dall'animale, ma altro da come noi stessi ci siamo ridotti. Ridotti ad esigenze, bisogni, prospettive piccole, meschine, carrieriste, violente nella loro piccolezza, egoiste. L'animale, la sua diversità ci obbliga a ricominciare ad essere uomini.
Jacques Derrida, L'animale che dunque sono - pag. 68



Richard Rorty.
- Alla periferia della storia della filosofia -
“Alla periferia della storia della filosofia moderna, si trovano delle figure che, senza formare una “tradizione”, si rassomigliano l'un l'altra nella loro sfiducia nei confronti dell’idea che l’essenza dell’uomo consista nell’essere conoscitore di essenze. Sono figure di questo tipo Goethe, Kierkegaard, Santayana, William James, Dewey e l’ultimo Wittgenstein. Questi filosofi vengono spesso accusati di relativismo e di cinismo. Spesso sono dubbiosi nei confronti del progresso e in particolare delle più recenti tesi secondo le quali di volta in volta la disciplina ha finalmente reso tanto chiara la natura della conoscenza umana, che la ragione non potrà ora che diffondersi in tutta la restante attività umana. Questi scrittori hanno tenuto vivo il sospetto che anche quando ci trovassimo ad aver giustificato una credenza vera riguardo a tutto quello che ci è necessario conoscere, non avremmo raggiunto probabilmente niente più che la conformità alle norme del giorno. Essi hanno tenuto vivo il senso storicista che riconosce nella “superstizione” di questo secolo il trionfo della ragione del secolo passato, e il senso relativista per il quale l’ultimo vocabolario, tratto dagli ultimi risultati scientifici, più che esprimere le rappresentazioni privilegiate delle essenze, costituisce appunto un altro dei vocabolari potenzialmente infiniti con cui il mondo può essere descritto.”
RICHARD RORTY (1931 – 2007), “La filosofia e lo specchio della natura”, nota introduttiva di Diego Marconi e Gianni Vattimo, trad. di Gianni Milone e Roberto Salizzoni, Bompiani, Milano 2004 (I ed.), Parte terza ‘Filosofia’, Capitolo VIII ‘La filosofia senza specchi’, p. 735.



Credo che la funzione della filosofia sia di diagnosi più che di prognosi, e sia quella di farci conoscere meglio l'un l'altro in modo meno menzognero. Credo che ci sia nonostante tutto un problema di veracità, se non di verità. C'è un problema della veracità perché, gli scrittori in particolare, rappresentano una forza sovversiva estremamente avanzata e sono spesso loro che vanno più lontano nell'esplorazione del sottosuolo e dei bassifondi della vita moderna. E allora io credo che la requisitoria della filosofia attualmente si debba articolare su due punti: sulla nozione che la crisi non è passeggera, ma è come una condizione permanente della nostra esistenza e che, in secondo luogo, il conflitto fa anch'esso parte - non soltanto il conflitto d'interessi ma anche quello di idee fanno parte - della condizione moderna o post-moderna, come la si vuol chiamare. Se la si chiama moderna è perché si crede di poterla unificare un giorno mediante la ragione; post-moderna è l'idea che la crisi è una maniera d'essere per tutti noi.
Paul Ricoeur



RICOEUR, I MAESTRI DEL SOSPETTO
Pur essendo esponenti di dottrine diverse fra di loro, anzi opposte su molti punti, MARX, NIETZSCHE E FREUD SONO ACCOMUNABILI NELL’OPPOSIZIONE AD UNA FENOMENOLOGIA DEL SACRO COME PROPEDEUTICA ALLA RIVELAZIONE DEL SENSO. La loro critica è occasione per “liberare l’orizzonte per una parola piú autentica”.

P. Ricoeur, De l’interprétation. Essai sur Freud, Paris, 1965, trad. it. Dell’interpretazione. Saggio su Freud, di E. Renzi, Il Saggiatore, Milano, 1967, pagg. 46-48

Piú che per la scuola della reminiscenza, questo fatto è indubbiamente vero per LA SCUOLA DEL SOSPETTO. LA DOMINANO TRE MAESTRI CHE IN APPARENZA SI ESCLUDONO A VICENDA, MARX, NIETZSCHE E FREUD. È piú facile mettere in mostra la loro COMUNE OPPOSIZIONE A UNA FENOMENOLOGIA DEL SACRO, intesa come propedeutica alla “rivelazione” del senso, che non il loro articolarsi all’interno di un unico metodo di demistificazione. Relativamente facile è constatare che QUESTE TRE IMPRESE HANNO IN COMUNE LA CONTESTAZIONE DEL PRIMATO DELL’“OGGETTO” NELLA NOSTRA RAPPRESENTAZIONE DEL SACRO, nonché del “riempimento” della mira intenzionale del sacro tramite una sorta di analogia entis che ci inserirebbe nell’essere in virtú di una intenzione assimilatrice. Facile è anche riconoscere che si tratta di un esercizio del sospetto che per ogni singolo caso è differente. Sotto la formula negativa, “la verità come menzogna”, si potrebbero porre questi tre esercizi del sospetto. Ma il senso positivo di queste imprese siamo ancora lontani dall’averlo assimilato, siamo ancora troppo attenti alle loro differenze e alle limitazioni che i pregiudizi del loro tempo fanno subire ai loro epigoni ancor piú che alle imprese stesse. SI RELEGA ANCORA MARX NELL’ECONOMICISMO e nell’assurda teoria della coscienza-riflesso; SI RIPORTA NIETZSCHE A UN BIOLOGISMO E A UN PROSPETTIVISMO INCAPACE DI ENUNCIARE SE STESSO SENZA CONTRADDIRSI; E FREUD È ACCANTONATO NELLA PSICHIATRIA E GLI SI AFFIBBIA UN PANSESSUALISMO SEMPLICISTICO. Se risaliamo alla loro intenzione comune, troviamo in essa la DECISIONE DI CONSIDERARE INNANZITUTTO LA COSCIENZA NEL SUO INSIEME COME COSCIENZA “FALSA”. Con ciò ESSI RIPRENDONO, OGNUNO IN UN DIVERSO REGISTRO, IL PROBLEMA DEL DUBBIO CARTESIANO, ma lo portano nel cuore stesso della fortezza cartesiana. IL FILOSOFO EDUCATO ALLA SCUOLA DI CARTESIO SA CHE LE COSE SONO DUBBIE, CHE NON SONO COME APPAIONO; MA NON DUBITA CHE LA COSCIENZA NON SIA COSÍ COME APPARE A SE STESSA; in essa, senso e coscienza del senso coincidono; DI QUESTO, DOPO MARX, NIETZSCHE E FREUD, NOI DUBITIAMO. DOPO IL DUBBIO SULLA COSA, È LA VOLTA PER NOI DEL DUBBIO SULLA COSCIENZA. MA QUESTI TRE MAESTRI DEL SOSPETTO NON SONO ALTRETTANTI MAESTRI DI SCETTICISMO; INDUBBIAMENTE SONO TRE GRANDI “DISTRUTTORI”; e tuttavia anche questo fatto non deve ingannarci; LA DISTRUZIONE, AFFERMA HEIDEGGER IN ESSERE E TEMPO, È UN MOMENTO DI OGNI NUOVA FONDAZIONE, compresa la distruzione della religione, nella misura in cui essa è, secondo Nietzsche, un “platonismo per il popolo”. È OLTRE LA “DISTRUZIONE” CHE SI PONE IL PROBLEMA DI SAPERE CIÒ CHE ANCORA SIGNIFICANO PENSIERO, RAGIONE E PERSINO FEDE. Ora tutti e tre liberano l’orizzonte per una parola piú autentica, per un nuovo regno della Verità, non solo per il tramite di una CRITICA “DISTRUGGITRICE”, ma mediante l’INVENZIONE DI UN’ARTE DI INTERPRETARE. CARTESIO TRIONFA DEL DUBBIO SULLA COSA CON L’EVIDENZA DELLA COSCIENZA; del dubbio sulla coscienza essi trionfano per mezzo di una esegesi del senso. A PARTIRE DA LORO, LA COMPRENSIONE È UNA ERMENEUTICA; cercare il senso non consiste piú d’ora in poi nel compitare la coscienza del senso, ma nella DECIFRAZIONE DELLE ESPRESSIONI.

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 458-459


http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaR/RICOEUR_%20I%20MAESTRI%20DEL%20SOSPETTO.htm

“I MAESTRI DEL SOSPETTO E LA NEGAZIONE DELL’ESPERIENZA MORALE: MARX, FREUD, NIETZSCHE. INTRODUCONO IL SOSPETTO CHE L’ESPERIENZA MORALE NON SIA LIBERA MA CHE, AGISCANO MECCANISMI AUTOMATICI, CHE IL SOGGETTO SUBISCE NON ESERCITANDO LA SUA LIBERTÀ.

Karl Marx (1818- 1883): INDIVIDUA NEL RAPPORTO STRUTTURA-SOVRASTRUTTURA IL MECCANISMO CHE GUIDA L’ESPERIENZA MORALE. NON È LA COSCIENZA DELL’UOMO A DETERMINARE IL SUO ESSERE, MA IL SUO ESSERE SOCIALE A DETERMINARE LA SUA COSCIENZA.
L’UNICA STRUTTURA REALE PER MARX SONO I RAPPORTI ECONOMICI DI POTERE E LA MORALE NON È CHE UNA SOVRASTRUTTURA DIPENDENTE DA TALI RAPPORTI. Dunque LA MORALE NON È CHE LA DIFESA DI UN DETERMINATO ASSETTO DI POTERE: in questo caso si tratta della morale borghese della società capitalista- borghese.

Sigmund Freud (1859- 1939): INDIVIDUA NEI RAPPORTI TRA IO, ES E SUPER-IO IL MECCANISMO CHE IDENTIFICA LA LIBERTÀ DELL’ESPERIENZA MORALE.
L’Io è determinato nel conflitto tra l’istintività (Es) e la razionalità (Super-Io).
L’Es è l’uomo allo stato naturale, il bimbo che persegue il piacere senza remore.
IL SUPER IO SI COSTITUISCE QUANDO AL BIMBO VIENE NEGATO IL PIACERE CHE DERIVA DAL POSSESSO DELLA MADRE A CAUSA DELL’INGRESSO DELLA FIGURA PATERNA. In questo momento avviene la rimozione della libido (pulsione sessuale) e l’introduzione della morale nell’identificazione del bambino con la figura paterna.
LA MORALE È QUINDI LA REPRESSIONE DELLA LIBIDO (PULSIONI DI VITA) E DELLA REPRESSIONE SESSUALE.

Friedrich Nietzsche (1844- 1900): INDIVIDUA NEL RISENTIMENTO LA CONSEGUENZA DELL’ESPERIENZA MORALE. RITIENE CHE LA MORALE TRADIZIONALE, IDENTIFICATA CON LA MORALE CRISTIANA, SIA UNA CONSEGUENZA DEL RISENTIMENTO DEI DEBOLI. QUESTI, UMILIATI DALL’ESPERIENZA DEI FORTI E NON POTENDO RIBALTARE LA REALTÀ, SI COSTRUISCONO UNA MORALE ROVESCIATA E CHIAMANO “MALE” CIÒ CHE È BENE (FORZA, PIACERE) E “BENE” CIÒ CHE È MALE (UMILTÀ, RINUNCIA). IN PRATICA, NON POTENDO ROVESCIARE LA REALTÀ, LA ROVESCIANO A LIVELLO DI MORALE”.
di Priscilla Cavalieri

http://www.tesionline.it/v2/appunto-sub.jsp?p=7&id=447




"Tutta la filosofia […] è fondata su due sole cose: cioè sul fatto che il nostro spirito è curioso e la nostra vista cattiva; poiché se aveste occhi migliori di quelli che avete, vedreste bene se le stelle sono dei soli che illuminano altrettanti mondi, oppure se non lo sono; e se d'altra parte foste meno curioso, non vi preoccupereste di saperlo, il che sarebbe lo stesso; ma si vuole sapere più di ciò che si vede, e in questo sta la difficoltà."
J. Derrida, Memorie di cieco




Derrida e la Decostruzione

Le origini della decostruzione


Un importante filosofo del Novecento, Paul Ricoeur, ha individuato un filone all'interno della storia del pensiero raccogliendo sotto l'etichetta di «scuola del sospetto» tre pensatori: Marx, Nietzsche e Freud. Que­sti tre pensatori sono accomunati dal fatto di avere introdotto nella filosofia criteri di smascheramento, di critica e di sospetto nei confronti di quello che ci viene tramandato. I pensatori della scuola del sospetto sono figure che giocano un gioco inverso a quello dell'uomo che gioca d'astuzia: mentre l'uomo che gioca d'astuzia cerca di ingannarci, questi pensatori, per vie diverse (mostrando la natura reale dei rapporti di produzione nel caso di Marx, o cosa si nasconde dietro le strutture di potere e di potenza nel caso di Nietzsche, o cosa si nasconde dietro la coscienza nel caso di Freud), fanno apparire la scena retrostante, smontano questa sorta di gerarchia prestabilita.


Questo tipo di atteggiamento nel '68 parigino entra all'interno di un complesso sistema di relazioni e di figure filosofiche importanti: si pensi alla generazione di Derrida, a quella di Gilles Deleuze, Michel Foucault e Jean-Francois Lyotard, che sono un po' più anziani di lui, e, risalendo indietro nel tempo, a Jean-Paul Sartre. Tutti questi filosofi, pur nella differenza degli atteggia­menti politici, hanno in comune questo tipo di atteg­giamento: guardano con sospetto alla tradizione, inten­dono smascherare ciò che viene trasmesso e l'attualità che ci viene presentata.

Tengo a sottolineare che Derrida è stato, in primo luogo, un pensatore dell'attualità, capace di coniugare la riflessione sull'attualità con la riflessione sulla classicità filosofica, che è riuscito a usare questo doppio livello — da un lato l'arcaico, l'antico, il tradizionale, dall'altro l'estremamente attuale - per mettere in luce, molto più lucida­mente di altri interpreti, la complessità delle strutture sociali. In breve, è riuscito a cogliere qualcosa che molto spesso risulta semplificato, minimizzato, trascurato. Da


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questo punto di vista, è proprio questo l'insegnamento della decostruzione: decostruire, per Derrida, non significa semplicemente smontare quello che ci è stato consegnato dalla tradizione, ma significa mostrare che cosa c'è dietro a certi comportamenti o pensieri, soprattutto mostrare che cosa c'è dietro alle varie gerarchie che stanno all'interno del nostro mondo, per esempio alla gerarchia uomo/donna (dove l'uomo sarebbe in una posizione di superiorità rispetto alla donna), europeo/non-europeo (ai tempi in cui Derrida incomincia a pubblicare si discute molto della cosiddetta decolonizzazione), coscienza/inconscio. Tutte queste coppie binarie costituiscono il discorso filosofico, e compito del filosofo decostruzionista è far vedere come ci siano dei continui rapporti di interdipendenza fra queste coppie che sembrano essere antitetiche: ciò che sembra antitetico in realtà è complementare. Questo è, in fondo, il nocciolo filosofico della dottrina della decostruzione, cioè ciò che viene rimosso, messo in secondo piano e tralasciato, è in realtà una condizione di possibilità di ciò che opera la rimozione. Per esempio, la nostra tradizione è molto legata allo spirito, inteso come emancipazione e libertà da qualunque tipo di condizionamento tecnico; bene, ma al tempo stesso dobbiamo considerare che tutto quello che riteniamo libero, spontaneo, non mediato tecnicamente, in realtà trova la propria condizione di possibilità in strumenti tecnici, in funzionamenti del corpo che, a sua volta, è pieno di condizionamenti di tipo materiale. Una grande quantità di cose viene espulsa dal discorso filosofico e invece un discorso filosofico consapevole dovrebbe farsene carico.


Il nocciolo della decostruzione
Derrida è stato uno dei pensatori che maggiormente hanno segnato la scena filosofica del Novecento, e questo sino alla sua morte che è avvenuta nell'ottobre del 2004: a cosa si deve questa presenza così importante? Le tracce che ha lasciato sono facilmente ritrovabili con un sistema empirico, che avrebbe affascinato probabilmente lo stesso Derrida, così attento a tutte le questioni che hanno a che fare con la scrittura e le trasformazioni tecniche dell'attualità: se cercate su Google «Jacques Derrida», vi renderete conto della quantità enorme di citazioni di questo filosofo, e quindi della vasta influenza che ha esercitato sul mondo presente. Penso che l'influenza di Derrida si debba alla sua capacità di coniugare l'interesse quasi spasmodico per l'attualità con il riferimento ai temi eterni della filosofìa, il significato di «che cosa c'è», il nostro rapporto con la morte, cosa vuol dire essere presenti o scomparire, che cosa vuol dire pensare, che cos'è la tecnica, la natura, la spontaneità. Tutto questo è stato al centro della riflessione di Derrida, che è stato capace di parlare contemporaneamente di televisione e di Platone; in effetti, ha scritto di entrambe le cose, così come di tutto quello che si trova fra la televisione e Platone.
Per avere un'idea di che cos'è la decostruzione, quel tipo di operazione che Derrida cercava di fare rispetto al pensiero, prendiamo l'esempio di una cartolina di cui Derrida aveva preso tante copie e che usava per la corrispondenza, per piccole comunicazioni, che riproduce una miniatura della Bodleian Library di Oxford che raffigura Socrate e Platone. La cosa curiosa è che si
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Ai tre maestri del sospetto, Marx, Nietzsche, Freud, aggiugnerei un quarto: Kierkegaard.


sia per Nietzsche che per Marx Dio è morto o è "un grido di dolore" legato alle sofferenze umane in relazione alle disuguaglianze e allo sfruttamento sulla terra; per Freud Dio è la "nevrosi" dell'umanità... con Dio quindi non c'è dialogo possibile perché o è morto o non esiste...


Scusatemi, ci sarebbe qualcuno che ha la la pazienza di spiegarmi cosa intende Kierkegaard quando parla, in Timore e Tremore, di "sospensione teleologica dell'etica"? (vi prego di usare se possibile un linguaggio divulgativo, io mi occupo di mercati finanziari per cui chiedo la vs indulgenza, la filosofia non é davvero il mio forte).


Kiekkegaard ritiene che l'etica come legge generale, legata ad un telos (fine/finalità) che accomuna tutti in modo generale sfumi dinanzi alla decisione del singolo, che, nella sua scelta inevitabile, vedi Abramo, non ha appoggi, se non la fede in Dio e la sua coscienza.

credo che sia l'opposto - l'esperienza di Abramo è unica e non proponibile ad altri... quello che dici è giusto ma per lo stadio etico come esposto in Enten-Eller


Io l'ho letto due volte Timore e Tremore e lo trovo affascinante ma ovviamente di difficile comprensione per il sottoscritto. In effetti sempre nelle pagine del libro la domanda che l'autore pone é la seguente : esiste un dovere assoluto verso Dio?
E poi un'altro domanda: perché K. é considerato il precursore dell'esistenzialismo ?

esiste comunque un dovere assoluto verso Dio superiore a quello verso gli uomini...



per il concetto della scelta direi (se leggi Sartre, l'esistenza prima dell'essenza trovi una similitudine)



comunque secondo Salvatore Spera (Introduzione a Kierkegaard, Laterza) Kierkegaard non c'entra nulla con l'esistenzialismo; [...] il problema è che l'esistenzialismo di Sartre è ovviamente ateo, Kierkegaard è religioso invece...
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Per capire in che senso Kierkegaard si può considerare un maestro del sospetto, si legga a p. 24 di K. JASPERS, Psicologia delle visioni del mondo.


Andretta Cosimo Dal un punto di vista etico, nel momento in cui uccide Isacco - suo figlio - Abramo è un assassino; Kierkegaard con "sospensione teleologica dell'etica" vuole dunque indicare quel momento che permette di non giudicare Abramo un assassino ma un uomo (il Cavaliere della Fede) che ha avuto - appunto - Fede (è Dio che chiede lui di sacrificare suo figlio): Abramo si trova così in un "rapporto assoluto con l'Assoluto"; tale momento richiede una sospensione del giudizio etico. Se così non fosse, Abramo risulterebbe solamente un assassino, commettendo un gesto inammissibile di fronte all'Etica. Tant'è che Kierkegaard in "Timore e tremore" prova a ripercorrere il viaggio di Abramo, non riuscendo però ad agire come lui.


In effetti, Carolina (grazie della spiegazione ovviamente), la problematica che, se ricordo bene, il libro pone in maniera diretta é : può la fede trasformare il più orrendo dei delitti in una azione santa ?
Anche perché , sempre ripercorrendo Timore e Tremore, K. ringrazia Abramo perché non ha avuto esitazioni nell'alzare il coltello. Cosa ci sarebbe stato di sbagliato in una eventuale esitazione di Abramo?


se avesse esitato la sua Fede sarebbe stata fasulla e debole. 
Cosimo; esitazione comprensibile per il mondo della morale ma non per quello della fede.


Sul rapporto Kierkegaard e la filosofia delll'esistenza, ha fornito un grande contributo Pareyson sia in "Karl Jaspers e la filosofia dell'esistenza" sia in "Studi sull'esistenzialismo". Pareyson non é per niente d'accordo con Spera , ma nemmeno Jaspers, il più kierkegaardiano di tutti.


Credo che K. volesse porre l’accento sull’angoscia che ci invade nel provare realmente a capire il dramma di Abramo; rivivere quella vicenda nel suo aspetto tragico, in quella contraddizione che non ha risoluzione (in polemica con il pensiero sistematico). Il lettore stesso è chiamato a misurarsi con il problema. K. stesso lo fa, tramite De Silentio, in una comprensione empatico esistenziale. Lui mostra la difficoltà nel trovare una risoluzione a questo conflitto insanabile: ognuno è chiamato a misurarsi in quelle parole, ognuno deve specchiarsi nella propria interiorità; è una contraddizione che provoca dolore in chi si mette nei panni di Abramo. Kierkegaard mostra e dice “si tratta di cose tue”. Qualsiasi sia la domanda (etica, filosofica, ..) essa ci porrà dinnanzi a quell’angosciosa contraddizione e alla domanda “ed io?”.. Ecco perché la libertà, ecco perché l’Assoluto.









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