martedì 7 febbraio 2012

Goethe. I dolori del giovane Werther. Il povero Werther si dispera quando la rozza moglie del borgomastro del paese abbatte un bel noce per motivi miseri, il noce sporcava e faceva troppa ombra.... Werther era un giovane intelligente e istruito, sensibile e capiva che tutto, proprio tutto è contenuto nella natura. Werther non sosteneva che la natura produce sempre il bene. Werther pensava che ciò che è naturalmente bello, è sacro. Il sacro naturale. I mali di Werther iniziano con il noce amputato dalla moglie grossolana del sindaco del villaggio.




I più felici son quelli che come i bambini vivono alla giornata,
trascinano in giro le loro bambole, le svestono e le rivestono,
con gran rispetto girano intorno al cassetto dove la mamma ha serrato i dolci;
e quando infine ottengono quanto desiderano, lo divorano a piena bocca gridando: «Ancora!...».
Johann Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther: L. I, 22 maggio 1771



[...] O piuttosto il malumore non deriva da una intima coscienza della nostra inferiorità,
da una scontentezza di noi stessi unita all'invidia derivante da una nostra sciocca vanità?
Vediamo intorno a noi felici degli esseri che non debbono a noi la loro felicità, 
e non riusciamo a sopportarlo
Johann Wolfgang Von Goethe, I dolori del giovane Werther



Ah voi gente razionale!,- esclamai sorridendo. – Passione! Ebbrezza! Delirio!
Voi siete così impassibili, così estranei a tutto questo, voi uomini per bene! 
Condannate l’ubriaco, inorridite del pazzo passate dinanzi a loro come il sacrificatore e ringraziate Dio, come il fariseo, perché‚ non vi ha fatto simili a loro!
Più di una volta io sono stato ebbro, le mie passioni non sono lontane dal delirio, e di queste due cose io non mi pento perché‚ ho imparato a capire che tutti gli uomini straordinari che hanno compiuto qualcosa di grande, e che pareva impossibile, sono stati in ogni tempo ritenuti ebbri o pazzi. Ma anche nella vita comune, è insopportabile sentir dire ogni volta che qualcuno sta per compiere un’azione libera, nobile, inattesa: quell’uomo è ubriaco, è pazzo! Vergognatevi voi sobri, vergognatevi voi savi!”
Johann Wolfgang Von Goethe, I dolori del giovane Werther


“Ecco le tue solite fantasie, disse Alberto, tu esageri tutto, e in questo caso hai per lo meno il torto di paragonare il suicidio di cui ora è questione, con delle grandi gesta, mentre esso non può esser considerato che come una debolezza. Poiché‚ certo è più facile morire che sopportare con fermezza una vita dolorosa”.[...] “Tu lo chiami una debolezza? Ti prego, non lasciarti ingannare dall’apparenzaPuoi chiamare debole un popolo che geme sotto il giogo di un tiranno se infine, fremendo, spezza le sue catene? Un uomo che nel terrore di vedere la sua casa in preda alle fiamme sente le sue forze centuplicate, e solleva facilmente dei pesi che a mente calma potrebbe appena muovere? e uno che nel calore dell’offesa ne affronta sei, e li vince, tu lo chiami debole? E, mio caro, se lo sforzo costituisce la forza, perché‚ lo sforzo supremo dovrebbe essere il contrario?”. Ibidem


Ho tanto, e il sentimento di lei divora tutto;
ho tanto e senza di lei di tanto non mi resta niente.
Johann Wolfgang Von Goethe, I dolori del giovane Werther





Un libro bellissimo, dove Goethe, cioè Werther, mostra un desiderio di infelicità, di morte... 
Il romanticismo diventa così una descrizione di infelicità dove si sprofonda sempre di più



I prati e i boschi sono la farmacia di Dio
Goethe


Mirate dunque con modesti sguardi /
il gran capolavoro della tessitrice eterna, /
come di un colpo sol di piedi muove mille fili, /
e schizzan le navette a destra e a manca, /
i fili ondeggiano incontrandosi, /
un colpo solo stringer mille nodi; /
e tutto ciò lei non ha raccattato, /
ordito l'ha fin dall'eternità, /
perché così l'eterno maschio artefice/
sicuro v'inserisca la sua trama.
Johann Wolfgang von Goethe


Il povero Werther si dispera quando la rozza moglie del borgomastro del paese abbatte un bel noce per motivi miseri, il noce sporcava e faceva troppa ombra.... Werther era un giovane intelligente e istruito, sensibile e capiva che tutto, proprio tutto è contenuto nella natura. Werther non sosteneva che la natura produce sempre il bene. Werther pensava che ciò che è naturalmente bello, è sacro. Il sacro naturale. I mali di Werther iniziano con il noce amputato dalla moglie grossolana del sindaco del villaggio. 
Giorgio Todde. Il Noce




[…] breve estratto da “I dolori del giovane Werther” di Goethe:
non ci sono parole migliori per descrivere il mio stato d’animo, e PER RICORDARE CHE UN ALBERO NON È SOLO UN OGGETTO FASTIDIOSO PER LUOGHI DA CEMENTIFICARE, UTILE SOLO A FAR LEGNA DA ARDERE:
“Il vecchio era del tutto rianimato e poiché io non seppi trattenermi dal LODARE I BEGLI ALBERI DI NOCE CHE CI DAVANO OMBRA COSÌ GRATA, egli cominciò, benché con qualche difficoltà, a narrarcene la storia. “NON SAPPIAMO CHI ABBIA PIANTATO IL PIÙ VECCHIO, – disse – chi nomina l’uno e chi l’altro pastore. Ma il più giovane ha proprio l’età di mia moglie: cinquant’anni in ottobre. SUO PADRE LO PIANTÒ LA MATTINA, E LEI NACQUE LA SERA. Fu il mio predecessore nel presbiterio e non si può dire quanto l’albero gli fosse caro: né lo è meno a me. “
Per poi finire con il triste epilogo: – conclude Ulivieri sempre citando Goethe:
”C’È DA DIVENTAR FURIOSI, GUGLIELMO, VEDENDO CHE CI SONO DEGLI UOMINI INCAPACI DI COMPRENDERE E DI SENTIRE IL POCO CHE C’È ANCORA DI BUONO SULLA TERRA. Ricorderai gli alberi di noce sotto i quali mi sedetti con Carlotta nel cortile del buon parroco (…); SPLENDIDI ALBERI CHE, DIO LO SA, MI RIEMPIVANO DI UNA GRANDE GIOIA SPIRITUALE. Quale pace, quale ombra fresca essi diffondevano sul presbiterio! Com’erano splendidi i loro rami. Ebbene, IL MAESTRO AVEVA LE LACRIME AGLI OCCHI, TI ASSICURO, DICENDOMI IERI CHE LI HANNO ABBATTUTI. ABBATTUTI! (…) IO CHE SAREI CAPACE DI PRENDERE IL LUTTO SE AVESSI NEL MIO GIARDINO UNA COPPIA D’ALBERI SIMILI A QUELLI, E UNO DOVESSE MORIRE DI VECCHIAIA, io devo vedere una cosa simile.” [...]
http://murlo.blogolandia.it/2011/01/13/murlo-troppi-alberi-abbattuti/







Goethe: la misura dell’uomo
(Una modernità annunciata)

Dal 28 Agosto a Roma ha preso l’avvio una serie di programmi culturali volti a commemorare il 250simo anniversario della nascita del poeta, scrittore, drammaturgo tedesco Johann Wolfgang Goehte (1749 – 1832).  Tale continuo movimento esteriore ed interiore, di vita e pensiero, azione e meditazione fa sì che la produzione proceda, si evolva come la vita dell’autore e che un’esperienza particolare, come quella italiana nel caso di Goehte, possa diventare determinante, rappresentare l’inizio di una svolta nello sviluppo della personalità umana ed artistica.

Fino a quell’avvenimento Goehte era stato l’uomo e l’autore dello "Sturm und Drang", il fenomeno culturale e artistico promosso, alla fine del ‘700, da un gruppo di autori tedeschi che, risentendo di influenze francesi e inglesi e contrapponendosi alla tradizione del razionalismo illuministico, inneggiavano alla rivolta contro le convenzioni sociali, alla libertà di pensiero ed espressione, alla forza del sentimento, alla rivalutazione della natura e dell’arte popolare poiché sinonimi di spontaneità e immediatezza, alla superiorità ed unicità dello spirito rispettoa alla materia, dell’idea rispetto alla realtà, alla potenza del genio, dell’arte, al titanismo, al superomismo. Le opere, nelle quali Goethe aveva espresso tanta e tale passionalità e che si collocano nel periodo degli anni universitari e della prima permanenza a Weimar, erano state, oltre a ballate, inni e liriche ispirategli dai frequenti innamoramenti, i drammi "Gö tz von Berlichingen", "Clavigo", "Stella", i frammenti del "Prometeo" e del "Maometto" mai compiuti, la prima versione del "Faust", detta "Urfaust", e del romanzo di "Wilhelm Meister" e soprattutto il romanzo epistolare "I dolori del giovane Werther", che gli aveva procurato un immenso successo e lo aveva fatto conoscere in tutti gli ambienti culturali europei.

Soprattutto tramite questo personaggio Goethe aveva rappresentato i suoi tormenti dovuti all'impossibilità di conciliare l’esplosione dei propri ardori con le regole del vivere quotidiano, l’esuberanza del suo spirito con la dilagante mediocrità, la sua prepotente soggettività e idealità con la comune oggettività. Questa tensione spirituale attraversa anche le altre suddette opere, in particolare " Gö tz" e "Urfaust", e ovunque porta la vicenda o situazione ad esiti estremi quali l’accettazione o la ricerca della sofferenza o della morte pur di non rinunciare alle proprie idee ed aspirazioni.

In un momento simile la rivelazione, a Roma, della classicità attraverso i monumenti, gli autori, le opere dell’antichità latina si era identificata, per Goethe, con un senso di compostezza, di equilibrio, con quella misura che gli mancava e dalla quale ora si sentiva attratto. S’inizierà un processo volto, tranne qualche ricaduta, non più a detestare, rifiutare, escludere la quotidianità o realtà ma a comprenderla, accoglierla poiché ritenuta inevitabile ed a comporla, combinarla con l’idea. Questa si mostrerà disposta a rinunciare ad alcune delle sue esigenze od urgenze per far posto a quelle provenienti dall’esterno, cercherà di armonizzarsi, di completarsi con esse, ridurrà le proprie punte estreme e tenderà ad una dimensione più vicina a quella umana. Il dramma "Ifigenia in Tauride", le modifiche apportate all’ "Egmont", il rifacimento del "Torquato Tasso", la ripresa, rielaborazione e ultimazione del "Faust" e del "Wilhem Meister", l’idillio in esametri "Arminio e Dorotea", i drammi "La figlia naturale" e "Pandora", il romanzo "Le affinità elettive" ed altre opere in prosa e in versi testimoniano della nuova direzione intrapresa da Goethe e in lui rafforzata, una volta rientrato a Weimar, dalla lunga collaborazione con lo Schiller. Quella precedente separazione tra spirito e materia, idea e realtà, singolo e comunità che necessariamente era diventata tra bene e male, virtù e vizio, affermazione e negazione, infinito e finito tendeva ora a comporsi in una sintesi comprensiva di tali opposti. L’uomo di Goethe non era più l’eroe unico, il titano che campeggiava solitario sulla scena della storia, lo spregiatore di tutto ciò che non fosse suo ma quello che aveva acquisito coscienza della necessità dell’altro, del diverso da sé, che si sentiva composto anche di questo come di ogni elemento o aspetto dell’esistenza e che in questa interezza riconosceva la possibilità di quell’armonia, di quell’equilibrio necessari per vivere, sentire, essere. La varietà e la diversità erano state ed erano, del resto, nel destino dell’uomo ed accettarle significava riconoscere l’ineluttabilità di questo, ammetterlo regolato da leggi proprie come quelle del mondo vegetale o animale che in un’infinità di forme e modi trova la sua ragione d’essere, significava pensare l’uomo come totalità e farne motivo d’arte.
Se si tiene conto che quella dell’ "uomo totale" sarà un’acquisizione alla quale perverrà il contemporaneo neoumanesimo con autori quali Camus o Borges, per dire dei più noti, si deduce quanto sia da ritenere moderna o precorritrice di modernità la posizione di Goethe. A questa egli era giunto dopo un certo percorso di vita, cultura ed arte ed essa gli aveva comportato infiniti rifacimenti e revisioni del contenuto e della forma di opere precedenti o in corsi di svolgimento sicchè della sua produzione definitiva si può dire come di una sola immensa opera e vedervi identificata la vastità delle sue esperienze e dei suoi interessi. Oltre che artista Goethe è stato uomo tra gli uomini, si è interessato di scienze soprattutto naturali, di arte figurativa, di architettura, di cultura popolare, si è proposto, in molte opere finalità didattiche, è stato attivista culturale, uomo di corte, precettore e amministratore, amante, marito, padre: la sua è una figura dalla straripante vitalità, versatilità ed applicazione ed è difficile comprenderla, esaurirla in una definizione unica, ricondurla ad un solo denominatore. Soltanto seguendo l’uomo, le sue azioni ed i suoi pensieri, si possono scoprire gli umori e gli intenti dell’artista giacchè ogni particolare biografico aveva trovato espressione nelle opere, era stato trasfigurato in una loro vicenda o personaggio. Soltanto la conoscenza della vita può aiutare, quindi, a tracciare una linea di sviluppo tra tanta complessità, a spiegare come le contraddizioni in essa rilevabili sono proprie di una condizione umana cercata e vissuta al naturale, cioè istintivamente, senza alcun artificio ed in molteplici situazioni materiali e morali. Una vita lunga e intensa quella di Goethe ed un’attività artistica estesa, varia e profonda poiché da quella determinata e promossa e come quella esposta a sviluppi, maturazioni, cambiamenti, come quella passata dall’inquietudine e insofferenza della giovinezza alla saggezza e rassegnazione della maturità.
Antonio Stanca
Espresso Sud – Novembre 1999


http://www.edscuola.it/archivio/antologia/recensioni/goethe.html

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