E’ così che muoiono le infanzie, quando i ritorni non sono più possibili perché i ponti tagliati inclinano verso l’instancabile acqua le travi sconnesse nello spazio estraneo. Non c’è allora altro rimedio che quello del serpente: abbandonare la pelle nella quale non entriamo più, lasciarla a terra, tra i cespugli, e passare all’età successiva. La vita è breve, ma in essa entra più di quel che siamo in grado di vivere.
José Saramago, Di questo mondo e degli altri
Perché le parole hanno cessato di comunicare. Ogni parola è detta perché non se ne oda un’altra. La parola, anche quando non afferma, si afferma. La parola non risponde, né domanda: accumula. La parola è l’erba fresca e verde che copre la superficie dello stagno. La parola è polvere negli occhi e occhi bucati. La parola non mostra. La parola dissimula.
Per questo urge mondare le parole perché la semina si muti in raccolto. Perché le parole siano strumento di morte - o di salvezza. Perché la parola valga solo ciò che vale il silenzio dell’atto.
C’è anche il silenzio. Il silenzio, per definizione, è ciò che non si ode. Il silenzio ascolta, esamina, osserva, pesa e analizza. Il silenzio è fecondo. Il silenzio è terra nera e fertile, l’humus dell’essere, la tacita melodia sotto la luce solare. Cadono su di esso le parole. Tutte le parole. Quelle buone e quelle cattive. Il grano e il loglio. Ma solo il grano dà il pane.
José Saramago, Di questo mondo e degli altri
E' questo il difetto delle parole. Stabiliamo che non c'è altro mezzo d'intenderci e di spiegarci, e finiamo con lo scoprire che restiamo a metà della spiegazione e così lontani dal comprenderci che sarebbe stato molto meglio lasciare agli occhi e al gesto il loro peso di silenzio. Forse anche il gesto è un di più. In fin de conti, non è altro che il disegno di una parola, il muoversi di una frase nello spazio. Ci restano gli occhi e il loro accesso privilegiato alle apparizioni.
José Saramago, Di questo mondo e degli altri
Perché le parole hanno cessato di comunicare. Ogni parola è detta perché non se ne oda un’altra. La parola, anche quando non afferma, si afferma. La parola non risponde, né domanda: accumula. La parola è l’erba fresca e verde che copre la superficie dello stagno. La parola è polvere negli occhi e occhi bucati. La parola non mostra. La parola dissimula.
Per questo urge mondare le parole perché la semina si muti in raccolto. Perché le parole siano strumento di morte - o di salvezza. Perché la parola valga solo ciò che vale il silenzio dell’atto.
C’è anche il silenzio. Il silenzio, per definizione, è ciò che non si ode. Il silenzio ascolta, esamina, osserva, pesa e analizza. Il silenzio è fecondo. Il silenzio è terra nera e fertile, l’humus dell’essere, la tacita melodia sotto la luce solare. Cadono su di esso le parole. Tutte le parole. Quelle buone e quelle cattive. Il grano e il loglio. Ma solo il grano dà il pane.
José Saramago, Di questo mondo e degli altri
Quante volte, per cambiare vita, abbiamo bisogno della vita intera, pensiamo lungamente, prendiamo la rincorsa e poi esitiamo, poi ricominciamo da capo, pensiamo e ripensiamo, ci spostiamo nei solchi del tempo con un movimento circolare, come quei mulinelli di vento che sui campi sollevano polvere, foglie secche, quisquilie, che per molto di più non gli bastano le forze, sarebbe meglio se vivessimo in un paese di tifoni.
Ma certe volte una parola basta.
José Saramago
José Saramago
Capita spesso che non facciamo le domande perché non saremmo ancora pronti per udire le risposte, o semplicemente perché ne avremmo paura.
José Saramago
José Saramago
Le risposte non vengono ogni qualvolta sono necessarie, come del resto succede spesse volte che il rimanere semplicemente ad aspettarle sia l'unica risposta possibile.
Josè Saramago
Non si può mai sapere in anticipo di cosa siano capaci le persone, bisogna aspettare, dar tempo al tempo, è il tempo che comanda, il tempo è il compagno che sta giocando di fronte a noi, e ha in mano tutte le carte del mazzo, a noi ci tocca inventarci le briscole con la vita, la nostra.
Josè Saramago
Non si può mai sapere in anticipo di cosa siano capaci le persone, bisogna aspettare, dar tempo al tempo, è il tempo che comanda, il tempo è il compagno che sta giocando di fronte a noi, e ha in mano tutte le carte del mazzo, a noi ci tocca inventarci le briscole con la vita, la nostra.
Josè Saramago
Si dice che ogni persona è un’isola, e non è vero, ogni persona è un silenzio, questo sì, un silenzio, ciascuna con il proprio silenzio, ciascuna con il silenzio che è.
José Saramago
José Saramago
Quindicimila giorni secchi sono passati,
quindicimila occasioni che si sono perse,
quindicimila soli inutili che sono nati,
ore su ore contate..
In questo solenne ma grottesco gesto
di dare corda ad orologi inventati
per cercare, negli anni smemorati,
la pazienza di andar vivendo il resto.
José Saramago
quindicimila soli inutili che sono nati,
ore su ore contate..
In questo solenne ma grottesco gesto
di dare corda ad orologi inventati
per cercare, negli anni smemorati,
la pazienza di andar vivendo il resto.
José Saramago
Penso che per gli studenti sarebbe molto meglio partire dalla contemporaneità. Si rimane sempre indietro di un secolo, nella scuola si vive come dentro una specie di capsula senza collegamento con il tempo presente, mancano i nessi.
José Saramago
"La fine del ventesimo secolo ha visto scomparire il colonialismo, mentre si ricomponeva un nuovo impero coloniale. Nel territorio degli Stati Uniti non c'è nessuna base militare straniera, mentre ci sono basi militari statunitensi in tutto il mondo."
Josè Saramago
Mi hanno chiesto: lei è in favore della liberalizzazione delle droghe?
Ho risposto: prima cominciamo con la liberalizzazione del pane.
E’ soggetto a proibizionismo feroce in metà del mondo
Jose Saramago
...Tutta la vita ho passato in attesa di assistere a uno sciopero in una fabbrica di armamenti, ho atteso invano, perché un simile prodigio non è mai accaduto né accadrà.. E questa era la mia povera e unica speranza che l'umanità fosse ancora capace di cambiare strada, rotta, destino.
José Saramago, L'ultimo quaderno
José Saramago
"La fine del ventesimo secolo ha visto scomparire il colonialismo, mentre si ricomponeva un nuovo impero coloniale. Nel territorio degli Stati Uniti non c'è nessuna base militare straniera, mentre ci sono basi militari statunitensi in tutto il mondo."
Josè Saramago
Mi hanno chiesto: lei è in favore della liberalizzazione delle droghe?
Ho risposto: prima cominciamo con la liberalizzazione del pane.
E’ soggetto a proibizionismo feroce in metà del mondo
Jose Saramago
...Tutta la vita ho passato in attesa di assistere a uno sciopero in una fabbrica di armamenti, ho atteso invano, perché un simile prodigio non è mai accaduto né accadrà.. E questa era la mia povera e unica speranza che l'umanità fosse ancora capace di cambiare strada, rotta, destino.
José Saramago, L'ultimo quaderno
Mi lascia indifferente il concetto di felicità, ritengo più importanti la serenità e l’armonia.
Il concetto di felicità presuppone che uno sia contentissimo, che se ne vada in giro ridendo, abbracciando tutti, dicendo sono felice, che meraviglia. È chiaro che anche un mal di denti gli toglierà la gioia e, quindi, la felicità. Penso che la serenità sia una cosa diversa. La serenità ha molto dell’accettazione, ma include anche un certo autoriconoscimento dei propri limiti. Vivere in armonia non significa non avere conflitti, ma poter convivere con gli stessi serenamente.
Il concetto di felicità presuppone che uno sia contentissimo, che se ne vada in giro ridendo, abbracciando tutti, dicendo sono felice, che meraviglia. È chiaro che anche un mal di denti gli toglierà la gioia e, quindi, la felicità. Penso che la serenità sia una cosa diversa. La serenità ha molto dell’accettazione, ma include anche un certo autoriconoscimento dei propri limiti. Vivere in armonia non significa non avere conflitti, ma poter convivere con gli stessi serenamente.
Josè Saramago
Le parole sono buone. Le parole sono cattive. Le parole offendono. Le parole chiedono scusa. Le parole bruciano. Le parole accarezzano. Le parole sono date, scambiate, offerte, vendute e inventate. Le parole sono assenti. Alcune parole ci succhiano, non ci mollano; sono come zecche: si annidano nei libri, nei giornali, nelle carte e nei cartelloni. Le parole consigliano, suggeriscono, insinuano, ordinano, impongono, segregano, eliminano. Sono melliflue o aspre. Il mondo gira sulle parole lubrificate con l’olio della pazienza. I cervelli sono pieni di parole che vivono in santa pace con le loro contrarie e nemiche. Per questo le persone fanno il contrario di quel che pensano, credendo di pensare quel che fanno.
Le parole hanno cessato di comunicare. Ogni parola è detta perchè non se ne oda un’altra. La parola,anche quando non afferma, si afferma. La parola non risponde nè domanda: accumula.
La parola è l’erba fresca e verde che copre la superficie dello stagno. La parola è polvere negli occhi e occhi bucati. La parola non mostra. La parola dissimula. Per questo urge mondare le parole perchè la semina si muti in raccolto. Perchè le parole siano strumento di morte o di salvezza. Perchè la parola valga ciò che vale il silenzio dell’atto.
C’è anche il silenzio. Il silenzio, per definizione, è ciò che non si ode.
Il silenzio ascolta, esamina, osserva, pesa e analizza. Il silenzio è fecondo. Il silenzio è terra nera e fertile, l’humus dell’essere, la tacita melodia sotto la luce solare. Cadono su di esso le parole. Tutte le parole. Quelle buone e quelle cattive. Il grano e il loglio. Ma solo il grano dà il pane.
José Saramago
"La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice"
José Saramago, L'anno della morte di Ricardo Reis
Il mondo dimentica a tal punto da non accorgersi neanche della mancanza di ciò che ha dimenticato.
José Saramago, “L’anno della morte di Riccardo Reis”
Il 16 novembre 1922 nasceva José Saramago.
Josè Saramago. IL POETA VISIONARIO ED ERETICO
Scomodo, eretico e dissidente in tutta la sua vita e nella sua intera produzione, il maestro di Azinhaga ha scolpito capolavori destinati a scuotere la coscienza individuale e collettiva per decenni.
DI PIER FRANCESCO MICCICHÈ - 16 FEBBRAIO 2015
L'Intellettuale Dissidente - Unico premio Nobel nella storia del Portogallo, José de Sousa Saramago nasce in una piccolissima frazione del comune di Golegã nel 1922, quattro anni prima del colpo di stato che avrebbe condotto il paese sotto il dispotismo fascista di Antonio Salazar. Sono anni difficili per la nazione ed in particolare per la famiglia dello scrittore che, costretto ad abbandonare gli studi tecnici, si dedica ad occupazioni precarie di ogni tipo (fabbro, meccanico, disegnatore) prima di divenire direttore di produzione nel campo dell’editoria. Saramago è convinto oppositore della dittatura, ed è costretto a subire la censura di Salazar prima come giornalista poi come autore, con il primo romanzo -presto ripudiato- Terra del peccato. Si iscrive poi clandestinamente al Partito Comunista, riuscendo ripetutamente ad evitare la cattura. Pubblica alcune raccolte di poesia, dedicandosi infine – a partire dalla Rivoluzione dei Garofani (1974)- interamente alla scrittura di romanzi e alla formazione di un nuovo stile magistrale destinato a segnare inevitabilmente la futura letteratura europea. Ma è solo negli anni novanta che giunge il riconoscimento internazionale per la sua opera, con capolavori quali Cecità, Il vangelo secondo Gesù Cristo e Storia dell’assedio di Lisbona. Nel 1998 l’Accademia Reale delle scienze decide di consegnare il più alto riconoscimento per la letteratura proprio a Saramago “che con parabole sostenute da immaginazione, compassione e ironia ci permette ancora una volta di afferrare una realtà illusoria”, come recita la motivazione ufficiale.
Saramago è stato spesso accusato di antisemitismo per non aver esitato a paragonare gli orrori del massacro palestinese da parte degli israeliani a quelli di Auschwitz, oltre a essere stato al centro di significative polemiche con la chiesa cattolica per aver dichiarato manifestamente il suo ateismo in alcune delle opere più controverse (da alcuni espressamente definite blasfeme) quali Caino e Il vangelo secondo Gesù Cristo. All’esplicito rifiuto della possibile candidatura di quest’ultimo romanzo ad un importante premio letterario europeo, l’autore portoghese risponde con l’esilio volontario alle Canarie, dove morirà tempo dopo per un malore all’età di ottantasette anni. Ma le polemiche del genio eretico investirono anche casa nostra quando, dopo aver più volte criticato dal suo diario virtuale l’attività dell’allora presidente Silvio Berlusconi, l’Einaudi (allora di proprietà dello stesso imprenditore) decise di non pubblicare Il quaderno, raccolta degli scritti sul suo Blog. La totalità dei diritti editoriali dell’opera di Saramago passerà successivamente alla Feltrinelli.
Tecnicamente la sua produzione è caratterizzata da un uso assolutamente irrituale della punteggiatura, da frasi dalla lunghezza anticonvenzionale e dalla totale assenza di virgolette durante i dialoghi, separati tutt’al più da virgole. Ma è soprattutto nel contenuto e nella dipanazione del processo narrativo che Saramago mostra la sua geniale invenzione dissidente, allorché ci presenta i personaggi attraverso un’umanità denudata da qualsiasi finzione o ipocrisia letteraria, nelle grandi imprese come nei piccoli gesti, nell’Eden cristiano come nel misterioso e macroscopico “Centro” de La caverna, incarnazione metaforica e straordinaria di una globalizzazione che inghiotte gli individui e la loro humanitas. I romanzi del premio Nobel di Azinhaga offrono una prospettiva immanente di vicende e storie altrimenti narrate con asetticismo biografico o viceversa, attraverso una finzione e una spettacolarizzazione quasi cinematografica. È ciò che avviene, infatti, nell’unica interpretazione (se si trascura “Enemy” tratto da L’Uomo duplicato) su pellicola mai realizzata di una sua opera, Blindness (Cecità), espressamente lontana da quell’ironico ma compassionevole ritratto dell’umanità che rende invece il romanzo di riferimento un capolavoro. La filosofia di Saramago a tratti Hobbesiana, talvolta espressamente Platonica come ne La caverna) trova spesso origine in un evento o in una situazione inaspettati, e che per questo costringono a riadattare i propri parametri di valutazione e ad acquisire una coscienza disillusa, e purtuttavia leggera e quasi distante da quella stessa concretezza dei fatti in cui precedentemente si era stati calati.
Ed è proprio un apologia del pensiero l’ultimo messaggio lasciato sul suo blog, la mattina della morte. “Penso che la società di oggi abbia bisogno di filosofia. Filosofia come spazio, luogo, metodo di riflessione, che può anche non avere un obiettivo concreto, come la scienza, che avanza per raggiungere nuovi obiettivi. Ci manca riflessione, abbiamo bisogno del lavoro di pensare, e mi sembra che, senza idee, non andiamo da nessuna parte”.
http://www.lintellettualedissidente.it/homines/jose-saramago/
Le parole sono buone. Le parole sono cattive. Le parole offendono. Le parole chiedono scusa. Le parole bruciano. Le parole accarezzano. Le parole sono date, scambiate, offerte, vendute e inventate. Le parole sono assenti. Alcune parole ci succhiano, non ci mollano; sono come zecche: si annidano nei libri, nei giornali, nelle carte e nei cartelloni. Le parole consigliano, suggeriscono, insinuano, ordinano, impongono, segregano, eliminano. Sono melliflue o aspre. Il mondo gira sulle parole lubrificate con l’olio della pazienza. I cervelli sono pieni di parole che vivono in santa pace con le loro contrarie e nemiche. Per questo le persone fanno il contrario di quel che pensano, credendo di pensare quel che fanno.
Le parole hanno cessato di comunicare. Ogni parola è detta perchè non se ne oda un’altra. La parola,anche quando non afferma, si afferma. La parola non risponde nè domanda: accumula.
La parola è l’erba fresca e verde che copre la superficie dello stagno. La parola è polvere negli occhi e occhi bucati. La parola non mostra. La parola dissimula. Per questo urge mondare le parole perchè la semina si muti in raccolto. Perchè le parole siano strumento di morte o di salvezza. Perchè la parola valga ciò che vale il silenzio dell’atto.
C’è anche il silenzio. Il silenzio, per definizione, è ciò che non si ode.
Il silenzio ascolta, esamina, osserva, pesa e analizza. Il silenzio è fecondo. Il silenzio è terra nera e fertile, l’humus dell’essere, la tacita melodia sotto la luce solare. Cadono su di esso le parole. Tutte le parole. Quelle buone e quelle cattive. Il grano e il loglio. Ma solo il grano dà il pane.
José Saramago
Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono.
E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione.
Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto:
"Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero.
Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto,
vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte,
con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo,
la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui passi già dati,
per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio.
Sempre. Il viaggiatore ritorna subito.
José Saramago, Viaggio in Portogallo.
E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione.
Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto:
"Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero.
Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto,
vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte,
con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo,
la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui passi già dati,
per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio.
Sempre. Il viaggiatore ritorna subito.
José Saramago, Viaggio in Portogallo.
«C'è chi passa la vita a leggere senza mai riuscire ad andare al di là della lettura, restano appiccicati alla pagina, non percepiscono che le parole sono soltanto delle pietre messe di traverso nella corrente di una fiume, sono lì solo per farci arrivare all'altra sponda, quella che conta è l'altra sponda».
José Saramago, “La caverna”
José Saramago, “La caverna”
Chiamami quando ti va, quando ne hai voglia, ma non come chi si sente obbligato a farlo, questo non sarebbe bene né per te né per me, a volte mi metto ad immaginare quanto sarebbe meraviglioso se mi telefonassi solo perché sì, semplicemente come uno che ha avuto sete ed è andato a bere un bicchiere d’acqua, ma so già che sarebbe chiederti troppo, con me non dovrai fingere mai una sete che non senti."
José Saramago, L’uomo duplicato
"La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice"
José Saramago, L'anno della morte di Ricardo Reis
Si dice che il tempo non si ferma, che nulla ne trattiene l'incessante avanzata, lo si dice sempre con queste trite e ritrite parole, eppure non manca chi si spazientisca per la sua lentezza, ventiquattr'ore per fare un giorno, pensate, e quando si arriva alla fine si scopre che non è servito a niente, il giorno dopo è di nuovo così, sarebbe meglio che saltassimo le settimane inutili per vivere una sola ora piena, un folgorante minuto, se tanto può durare la folgore.
José Saramago, L'anno della morte di Ricardo Reis
Il mondo dimentica, te l'ho già detto, il mondo dimentica tutto. Credi che ti abbiano dimenticato.Il mondo dimentica a tal punto da non accorgersi neanche della mancanza di ciò che ha dimenticato.
José Saramago, “L’anno della morte di Riccardo Reis”
Secondo me non siamo diventati ciechi,
secondo me lo siamo.
Ciechi che vedono.
Ciechi che,
pur vedendo,
non vedono.
José Saramago
Ciechi che vedono.
Ciechi che,
pur vedendo,
non vedono.
José Saramago
Anche dentro il corpo la tenebra è profonda, e tuttavia il sangue arriva al cuore, il cervello è cieco e può vedere, è sordo e sente, non ha mani e afferra, l'uomo è chiaro, è il labirinto di se stesso
José Saramago
Le parole sono buone - Le parole sono cattive - Le parole offendono - Le parole chiedono scusa - Le parole bruciano - Le parole accarezzano - Le parole sono date, scambiate, offerte, vendute e inventate - Le parole sono assenti. Alcune parole ci succhiano, non ci mollano; sono come zecche: si annidano nei libri, nei giornali, nelle carte e nei cartelloni. Le parole consigliano, suggeriscono, insinuano, ordinano, impongono, segregano, eliminano. Sono melliflue o aspre. Il mondo gira sulle parole lubrificate con l’olio della pazienza. I cervelli sono pieni di parole che vivono in santa pace con le loro contrarie e nemiche. Per questo le persone fanno il contrario di quel che pensano, credendo di pensare quel che fanno.
José Saramago
«[…] Ecco come sono le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano tra di loro, sembra non sappiano dove vogliono andare, e all’improvviso, per via di due o tre, o di quattro che all’improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbio, un verbo, un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti, a volte sono i nervi a non riuscire a reggere, sopportano molto, sopportano tutto, come se indossassero un’armatura».
José Saramago, “Cecità”
Ho passato la vita a guardare negli occhi della gente, è l'unico luogo del corpo dove forse esiste ancora un'anima
José Saramago, “Cecità”
"Ma come, non sai che c'è il seguito di Cecità?" E no, mica lo sapevo...
Ed è stato così, un po' per caso, che son venuta a conoscenza di quest'altra geniale opera firmata Saramago. A quattro anni dall'epidemia di cecità bianca che colpì l'intera città, ritroviamo la moglie del medico, col cane delle lacrime e gli altri ciechi da lei guidati, coinvolti in un'altra surreale vicenda. Siamo, infatti, di fronte ad una nuova forma di cecità dilagante, metaforica questa volta: quasi tutti i cittadini hanno votato scheda bianca alle elezioni. Da questo paradossale episodio, scaturiscono riflessioni terribilmente lucide sulle folli macchinazioni del potere, sugli imbrogli assurdi di cui la politica è capace, sulle sopraffazioni che è pronta a mettere in atto pur di trovare a tutti i costi un colpevole.
Ed è stato così, un po' per caso, che son venuta a conoscenza di quest'altra geniale opera firmata Saramago. A quattro anni dall'epidemia di cecità bianca che colpì l'intera città, ritroviamo la moglie del medico, col cane delle lacrime e gli altri ciechi da lei guidati, coinvolti in un'altra surreale vicenda. Siamo, infatti, di fronte ad una nuova forma di cecità dilagante, metaforica questa volta: quasi tutti i cittadini hanno votato scheda bianca alle elezioni. Da questo paradossale episodio, scaturiscono riflessioni terribilmente lucide sulle folli macchinazioni del potere, sugli imbrogli assurdi di cui la politica è capace, sulle sopraffazioni che è pronta a mettere in atto pur di trovare a tutti i costi un colpevole.
Ironico e a tratti beffardo, questo "Saggio sulla lucidità" non fa altro che sbatterci sotto gli occhi una realtà tristemente nota e fin troppo attuale.
José Saramago, Saggio sulla lucidità
La lampada del corpo è l’occhio; se dunque l’occhio tuo è puro, tutto il tuo corpo sarà illuminato.
Ma se l’occhio tuo è viziato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso, se dunque la luce che è in te è tenebre, quanto grandi saranno quelle tenebre. (Vangelo di Matteo 6, 22-23)
“CECITÀ” ROMANZO DI JOSÉ SARAMAGO
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Due elementi fondamentali del romanzo di Saramago, vengono da lontano:
uno –letterario – è l’epidemia che, isolando dal resto del mondo, fa affiorare istinti primordiali.
L’altro – storico -è la la creazione di un ghetto da parte delle autorità.
In merito al tema dell’epidemia, il pensiero va subito a “La peste” il romanzo di Albert Camus del 1947 ambientato nella città algerina di Orano - sotto la dominazione francese.
Come ne “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni, la peste avviene come per caso, nella grande disattenzione di tutti che sottovalutano i primi indizi mentre le autorità preposte addirittura si affannano a negarne la pericolosità (e qui la realtà storica supera la fantasia letteraria: il virus aviario H10N8 in Cina, Chernobil in Ucraina, Fukushima in Giappone…).
Il morbo proustiano/manzoniano diviene la normalità in un decadimento morale scandito da indifferenza e cinismo, rispetto alla tragedia che pure collettivamente si vive. 03
Come Manzoni, Camus guarda alla psicologia della diffusione della epidemia a livello di massa, ai meccanismi antropologici che essa scatena.
La peste non può essere considerata castigo, né misericordia come fa dire Manzoni a padre Cristoforo, ma bensì è conseguenza dell’indifferenza.
Solo quando l'epidemia degenererà dalla forma bubbonica a quella polmonare, molto più contagiosa, da Parigi verrà ordinato di chiudere la città con un cordone sanitario e le scuole saranno convertite in lazzaretti.
Gli abitanti reagiranno in modi differenti.
Alcuni non rinunciando alla vita di ogni giorno:
i bar e i ristoranti resteranno aperti, mentre a teatro verrà riproposta di continuo la rappresentazione di un gruppo di attori rimasti bloccati nell’enclave.
Altri, invece, temendo il contagio si barricheranno in casa.
Il protagonista, Bernard Rieux, medico francese che narra i fatti come cronaca in terza persona, sarà tra i pochi che non si tirereranno indietro, prestando le cure agli appestati.
« J’ai compris alors que moi, du moins, je n’avais pas cessé d’être un pestiféré, pendant toutes ces longues années où pourtant, de toute mon âme, je croyais lutter justement contre la peste»
«Ho capito allora che io, almeno, non avevo finito di essere un appestato durante i lunghi anni in cui, tuttavia, con tutta la mia anima, credevo appunto di lottare contro la peste».
[...] Dal romanzo di Saramago è stato tratto il film “Blindness” di Fernando Meirelles e interpretato da Julianne Moore.
L'autore portoghese era restio a cedere i diritti cinematografici, temendo che - per via dei temi trattati – divenisse una sorta di Zombie-movie e pose precise condizioni, come ad esempio non specificare in quale Paese si svolgesse la vicenda.
Si optò su San Paolo in quanto per il pubblico statunitense ed europeo è una metropoli poco conosciuta.
Antesignano è il romanzo “The Day of the Triffids” (Il giorno dei trifidi), di John Wyndham del 1951 da cui venne tratto nel 1962 il film omonimo (uscito in Italia come “L'invasione dei mostri verdi”).
In esso il protagonista, temporaneamente bendato per un incidente agli occhi, si risveglia in un ospedale deserto, scoprendo che tutti coloro che hanno assistito allo spettacolo di una pioggia di meteore che ha illuminato il cielo di verde, sono diventati ciechi. Egli si ritroverà quindi a vagare per la città di Londra, silenziosa e brancolante, in mezzo a nuovi “gruppi etnici”: vedenti che forti della propria condizione di superiorità ricercano un personale tornaconto. Vedenti altruisti che cercano di salvare la vita ai ciechi procurando loro del cibo (salvo rendersi conto della impossibilità pratica nel lungo termine). Vedenti disposti a mantenere in vita solo donne fertili e capaci di procreare figli vedenti.E poi, con un ribaltamento dei ruoli: Ciechi che schiavizzano i vedenti per sopravvivere.
In questa situazione di caos e di impotenza dei poteri militari e civili, la disgregazione sociale si completa a causa di una nuova “peste”: i “Trifidi”. Nuova specie vegetale carnivora di origine artificiale che - grazie alla capacità di sfilarsi dal terreno e muoversi lentamente su tre steli – è in grado di colpire il malcapitato non vedente con un aculeo velenoso, aspettando quindi che la vittima cominci a decomporsi per nutrirsene.
Per quanto concerne l’altro tema:
la reazione prevaricatrice delle autorità ad una necessità di contenimento, essa ha – sempre - come facile soluzione la creazione di un ghetto. E’ utile ricordarne la definizione: ghetto è un'area nella quale persone considerate di un determinato retroterra etnico, o unite da una determinata cultura o religione, vivono in gruppo, in regime di reclusione più o meno stretto. Il termine nasce dal Ghetto di Venezia del XIV secolo, il quartiere della città in cui gli ebrei erano anticamente confinati ad abitare, e rinchiusi durante la notte. (NdA: il termine deriva dal veneziano geto, pronunziato ghèto dai locali ebrei Aschenaziti, ed indicare il getto, la gettata di metallo fuso di una fonderia di ferro). Qui ci limitiamo a ricordare che il nazismo ripristinò il sistema dei ghetti come contenitori di un forzoso processo di concentramento della popolazione ebraica, prima della “soluzione finale”.
Un ultimo esempio che porta il concetto della segregazione all’estremo, viene dal film del 1981 per la regia di John Carpenter “Escape from New York” (1997 – Fuga da New York) . 08
Qui, veniamo informati che l’intera isola di Manhattan a New York è divenuta un carcere di massima sicurezza e che…:
http://www.wow-wordsoftheworld.it/numeri-precedenti/giugno-agosto-2014/13-cecita-romanzo-di-jose-saramago?showall=&start=1
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Due elementi fondamentali del romanzo di Saramago, vengono da lontano:
uno –letterario – è l’epidemia che, isolando dal resto del mondo, fa affiorare istinti primordiali.
L’altro – storico -è la la creazione di un ghetto da parte delle autorità.
In merito al tema dell’epidemia, il pensiero va subito a “La peste” il romanzo di Albert Camus del 1947 ambientato nella città algerina di Orano - sotto la dominazione francese.
Come ne “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni, la peste avviene come per caso, nella grande disattenzione di tutti che sottovalutano i primi indizi mentre le autorità preposte addirittura si affannano a negarne la pericolosità (e qui la realtà storica supera la fantasia letteraria: il virus aviario H10N8 in Cina, Chernobil in Ucraina, Fukushima in Giappone…).
Il morbo proustiano/manzoniano diviene la normalità in un decadimento morale scandito da indifferenza e cinismo, rispetto alla tragedia che pure collettivamente si vive. 03
Come Manzoni, Camus guarda alla psicologia della diffusione della epidemia a livello di massa, ai meccanismi antropologici che essa scatena.
La peste non può essere considerata castigo, né misericordia come fa dire Manzoni a padre Cristoforo, ma bensì è conseguenza dell’indifferenza.
Solo quando l'epidemia degenererà dalla forma bubbonica a quella polmonare, molto più contagiosa, da Parigi verrà ordinato di chiudere la città con un cordone sanitario e le scuole saranno convertite in lazzaretti.
Gli abitanti reagiranno in modi differenti.
Alcuni non rinunciando alla vita di ogni giorno:
i bar e i ristoranti resteranno aperti, mentre a teatro verrà riproposta di continuo la rappresentazione di un gruppo di attori rimasti bloccati nell’enclave.
Altri, invece, temendo il contagio si barricheranno in casa.
Il protagonista, Bernard Rieux, medico francese che narra i fatti come cronaca in terza persona, sarà tra i pochi che non si tirereranno indietro, prestando le cure agli appestati.
« J’ai compris alors que moi, du moins, je n’avais pas cessé d’être un pestiféré, pendant toutes ces longues années où pourtant, de toute mon âme, je croyais lutter justement contre la peste»
«Ho capito allora che io, almeno, non avevo finito di essere un appestato durante i lunghi anni in cui, tuttavia, con tutta la mia anima, credevo appunto di lottare contro la peste».
[...] Dal romanzo di Saramago è stato tratto il film “Blindness” di Fernando Meirelles e interpretato da Julianne Moore.
L'autore portoghese era restio a cedere i diritti cinematografici, temendo che - per via dei temi trattati – divenisse una sorta di Zombie-movie e pose precise condizioni, come ad esempio non specificare in quale Paese si svolgesse la vicenda.
Si optò su San Paolo in quanto per il pubblico statunitense ed europeo è una metropoli poco conosciuta.
Antesignano è il romanzo “The Day of the Triffids” (Il giorno dei trifidi), di John Wyndham del 1951 da cui venne tratto nel 1962 il film omonimo (uscito in Italia come “L'invasione dei mostri verdi”).
In esso il protagonista, temporaneamente bendato per un incidente agli occhi, si risveglia in un ospedale deserto, scoprendo che tutti coloro che hanno assistito allo spettacolo di una pioggia di meteore che ha illuminato il cielo di verde, sono diventati ciechi. Egli si ritroverà quindi a vagare per la città di Londra, silenziosa e brancolante, in mezzo a nuovi “gruppi etnici”: vedenti che forti della propria condizione di superiorità ricercano un personale tornaconto. Vedenti altruisti che cercano di salvare la vita ai ciechi procurando loro del cibo (salvo rendersi conto della impossibilità pratica nel lungo termine). Vedenti disposti a mantenere in vita solo donne fertili e capaci di procreare figli vedenti.E poi, con un ribaltamento dei ruoli: Ciechi che schiavizzano i vedenti per sopravvivere.
In questa situazione di caos e di impotenza dei poteri militari e civili, la disgregazione sociale si completa a causa di una nuova “peste”: i “Trifidi”. Nuova specie vegetale carnivora di origine artificiale che - grazie alla capacità di sfilarsi dal terreno e muoversi lentamente su tre steli – è in grado di colpire il malcapitato non vedente con un aculeo velenoso, aspettando quindi che la vittima cominci a decomporsi per nutrirsene.
Per quanto concerne l’altro tema:
la reazione prevaricatrice delle autorità ad una necessità di contenimento, essa ha – sempre - come facile soluzione la creazione di un ghetto. E’ utile ricordarne la definizione: ghetto è un'area nella quale persone considerate di un determinato retroterra etnico, o unite da una determinata cultura o religione, vivono in gruppo, in regime di reclusione più o meno stretto. Il termine nasce dal Ghetto di Venezia del XIV secolo, il quartiere della città in cui gli ebrei erano anticamente confinati ad abitare, e rinchiusi durante la notte. (NdA: il termine deriva dal veneziano geto, pronunziato ghèto dai locali ebrei Aschenaziti, ed indicare il getto, la gettata di metallo fuso di una fonderia di ferro). Qui ci limitiamo a ricordare che il nazismo ripristinò il sistema dei ghetti come contenitori di un forzoso processo di concentramento della popolazione ebraica, prima della “soluzione finale”.
Un ultimo esempio che porta il concetto della segregazione all’estremo, viene dal film del 1981 per la regia di John Carpenter “Escape from New York” (1997 – Fuga da New York) . 08
Qui, veniamo informati che l’intera isola di Manhattan a New York è divenuta un carcere di massima sicurezza e che…:
There are no guards inside the prison:
only prisoners and the worlds they have made.
Non vi sono guardie dentro il carcere.
Solo i prigionieri e i mondi che si sono creati.
CECITÀ di José Saramago © Einaudi - pag. 316
In un città qualunque, di una Nazione qualsiasi, in un tempo indefinito, (e per questo spazio e tempo divengono universali) all'improvviso, nel tran-tran quotidiano (tanto è vero che il primo ad essere colpito è un uomo fermo ad un semaforo), esplode un'epidemia di CECITÀ.
Una cecità contagiosa che si trasmette non si sa come.
Il Governo correrà immediatamente ai ripari e, pur ignorando in che modo si diffonde l'epidemia, isolerà i primi ciechi (che ben presto diverranno centinaia), in un ex manicomio, impedendo loro qualsiasi contatto con l'esterno.
Questa cecità non solo è più contagiosa e si diffonde più rapidamente di un'influenza, ma per di più è BIANCA.
"E' come essere immersi in un mare di latte ad occhi aperti", dirà uno dei ciechi.
Già…."uno dei ciechi" . Ma chi?
Cosa importa? Sono, (siamo !?!?!?) tutti ciechi. Non solo gli uomini, anche Dio (leggete e capirete cosa intendo).
Già…."uno dei ciechi" . Ma chi?
Cosa importa? Sono, (siamo !?!?!?) tutti ciechi. Non solo gli uomini, anche Dio (leggete e capirete cosa intendo).
I personaggi del romanzo, infatti, rimarranno sempre "anonimi": niente Bruno, Mario, Lucia, Carla... no, no! Saranno semplicemente il primo cieco, il medico, la ragazza con gli occhiali scuri, il bambino strabico, il vecchio con la benda nera….
Il lettore accompagnerà questi ed altri personaggi guidato dagli occhi della moglie del medico, l'unica misteriosamente scampata al "mal bianco". Ella, infatti, per stare accanto al marito, si unirà agli altri ciechi, nascondendo loro di non aver perso la vista.
Non intendo dirvi cosa accadrà all'interno dell'ex manicomio e poi fuori (perché i reclusi abbandoneranno quella specie di lager e scopriranno che TUTTO IL MONDO è divenuto cieco). Né se recupereranno la vista…
Dovrete avere l'amabilità di leggere il libro.
Vi basti sapere che sarà un autentico inferno.
I ciechi vivranno nell'orrore senza vederlo, gli passeranno accanto forse solo intuendolo.
A chi legge, invece, non andrà altrettanto liscia atteso che quell'orrore lo vedrà attraverso gli occhi della moglie del medico.
E, infatti, il lettore "vedrà" come si perde l'etica, il rispetto, la dignità e come nascono i soprusi e la violenza.
Non sono una campionessa nelle "somiglianze" ma ci trovo un po' dell'ansia, dell'attesa de "Il deserto dei Tartari" di Buzzati e un po' della violenta trasformazione-involuzione dei ragazzi de "Il signore delle mosche" di Golding.
"E' una vecchia abitudine dell'umanità, passare accanto ai morti e non vederli….Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo…. Ciechi che, pur vedendo, non vedono…. Il mondo è pieno di ciechi vivi". Può sembrare, (ed è di certo), una metafora fin troppo banale e scontata.
Il classico "Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere" . Ma è magnificamente resa, (e forse la grandezza di uno scrittore sta anche in questo: rendere grande una cosa semplice fino quasi alla banalità).
Tenendo presente che il titolo originale del libro è "Saggio sulla cecità" , probabilmente si capisce meglio l'intento di Saramago che, sono parole sue, dice: "Volevo raccontare le difficoltà che abbiamo a comportarci come esseri razionali, collocando un gruppo umano in una situazione di crisi assoluta. La privazione della vista è, in un certo senso, la privazione della ragione. Quello che racconto in questo libro, STA SUCCEDENDO IN QUALUNQUE PARTE DEL MONDO IN QUESTO MOMENTO".
Insomma : un vero e proprio incubo, angosciante ma bello e ben raccontato.
Due parole sulla punteggiatura: non esiste. Pochi paragrafi, solo punti e virgole e niente virgolette a "circoscrivere" il racconto diretto. In altri termini : tutto di fila, tutto di un fiato.
Proprio come si legge il romanzo.
CECITÀ di José Saramago
© Einaudi - pag. 316
Genere: drammatico
A cura di Chebarbachenoia (2006)
© Einaudi - pag. 316
Genere: drammatico
A cura di Chebarbachenoia (2006)
Cecità
«C'era un vecchio con una benda nera su un occhio, un ragazzino che sembrava strabico [...] una giovane dagli occhiali scuri, altre due persone senza alcun segno visibile, ma nessun cieco, i ciechi non vanno dall'oculista»
Cecità (titolo originale, in lingua portoghese: Ensaio sobre a Cegueira, Saggio sulla cecità) è un romanzo dello scrittore e premio Nobel per la letteratura portoghese José Saramago, pubblicato nel 1995. In Italia, il titolo è stato tradotto eliminando parte di quello in lingua originale per esigenze editoriali; si è ritenuto infatti che Saggio sulla cecità avrebbe scoraggiato i lettori.
In un romanzo successivo di Saramago, Saggio sulla lucidità, si ritrovano personaggi presenti in Cecità. I fatti raccontati nei due romanzi sono legati, al punto che Saggio sulla lucidità può essere considerato come il "seguito" di Cecità.
In una città mai nominata, un automobilista fermo al semaforo si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. La sua malattia, però, è peculiare: infatti egli vede tutto bianco. Tornato a casa con l'aiuto di un altro uomo (che ben presto si rivelerà un ladro) racconta l'accaduto a sua moglie. I due si recano da un medico specialista, dove trovano un vecchio con una benda nera su un occhio, un ragazzino che sembrava strabico, accompagnato da una donna e una ragazza dagli occhiali scuri.
Il medico, dopo aver esaminato l'uomo (che, nel seguito della storia, sarà chiamato il primo cieco), si accorge di non avere spiegazioni per quella improvvisa cecità. Ben presto, però, la cecità comincia a diffondersi. Il ladro di automobili, il medico, la moglie del primo cieco, sono tutti colpiti dalla strana malattia. La moglie del medico sembra l'unica a non essere contagiata. L'epidemia si diffonde in tutta la città e il governo del paese decide, provvisoriamente, di rinchiudere i gruppi di ciechi in vari edifici, allo scopo di evitare il contagio. Ogni giorno le guardie avrebbero fornito il cibo agli internati.
« Fra i ciechi c'era una donna che dava l'impressione di trovarsi contemporaneamente dappertutto, aiutando a caricare, comportandosi come se guidasse gli uomini, cosa evidentemente impossibile per una cieca, e più di una volta, o per caso o di proposito, si girò verso l'ala dei contagiati »
Il medico, la moglie del medico (l'unica dotata della vista), il primo cieco e sua moglie, la ragazza dagli occhiali scuri, il ladro di automobili e il ragazzino strabico si ritrovano tutti nello stesso edificio, un ex manicomio. Inizialmente, la distribuzione degli alimenti avviene regolarmente, ma ben presto i ciechi si ritrovano abbandonati, perché la cecità si diffonde anche tra i soldati e i politici, fino a colpire tutto il paese (tranne la moglie del medico). All'interno del manicomio, inoltre, un gruppo di ciechi (i "ciechi malvagi") si impossessa di tutte le razioni di cibo provenienti dall'esterno per poter ricattare gli altri malati e ottenere potere e altri vantaggi, compresi rapporti sessuali con le donne. Proprio durante uno di questi stupri collettivi, la moglie del medico uccide il capo dei "ciechi malvagi". Nel tentativo di rendere inoffensivi questi ultimi, un'altra donna dà fuoco ad un mucchio di coperte nella loro camerata, ma il fuoco si diffonde e finisce per avvolgere tutto l'edificio. Molti ciechi muoiono, ma una parte di loro (tra questi, il gruppo della moglie del medico), riesce a uscire all'aria aperta.
All'esterno dell'ex manicomio, la moglie del medico vedrà i risultati dell'epidemia. Morti per le strade, la città in totale abbandono, gruppi di ciechi che occupano le case altrui e lottano l'uno contro l'altro per assicurarsi del cibo. Mentre il gruppo della moglie del medico cerca di organizzare la vita del gruppo, tutti i ciechi guariscono inspiegabilmente, senza alcuna ragione apparente, proprio come all'inizio della vicenda era sopraggiunta l'epidemia.
Stile e tematiche [modifica]
In questa opera, come in altre opere di Saramago, viene utilizzato uno stile che prevede l'assenza di nomi propri per i personaggi, identificati tramite espressioni impersonali (come la ragazza dagli occhiali scuri, il vecchio con la benda e il ragazzino strabico, e così via). I dialoghi non sono introdotti dai due punti, né vengono utilizzate le virgolette. I dialoghi vedono le frasi dei vari partecipanti separate da una virgola, seguita da una parola che inizia con una lettera maiuscola.
« Il medico gli domandò, Non le era mai accaduto prima, voglio dire, la stessa cosa di adesso, o qualcosa di simile, Mai , dottore, io non porto neanche gli occhiali »
(Un esempio di come si svolgono i dialoghi nell'opera)
Il tema fondamentale del romanzo è quello dell'indifferenza, che esplode con il dilagare della cecità, ma che era già presente prima degli avvenimenti in questione.
« Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono »
(La moglie del medico)
Lo stesso scrittore, nel discorso fatto in seguito all'assegnazione del Premio Nobel, ha sottolineato come la società contemporanea sia cieca poiché si è perso il senso di solidarietà fra le persone.
Inoltre, il romanzo indaga a fondo la nostra società e le sue strutture di potere; essendo ambientato in un tempo e un luogo indefiniti, questa vicenda può riguardare chiunque. Durante la reclusione dei malati nel manicomio, infatti, essi si ritrovano in una situazione che ha fatto tabula rasa di tutte le condizioni sociali precedenti, lasciando loro la libertà di una organizzazione nuova e più equa, etica. Il pessimismo antropologico dell'autore, però, non fa sì che gli internati creino una società idillica, ma che attuino invece una regressione, che li porta a vivere in uno stato di natura hobbesiano in cui l'unica legge che conta è quella del più forte, e in cui viene messa in atto una guerra di tutti contro tutti per la sopravvivenza. L'unica organizzazione possibile risulta essere una dittatura di pochi che, tramite la violenza, tengono in scacco la maggior parte dei malati.
Nell'episodio del razionamento del cibo da parte dei ciechi malvagi si può inoltre notare la profonda riflessione dell'autore riguardo al problema della fame nel mondo: i ciechi malvagi infatti tengono gli altri internati in uno stato di fame perenne, accentrando nella loro camerata tutti i cibi che vengono portati dall'esterno e lasciando deperire quelli che per loro sono di troppo: la fame nella struttura non è dunque dovuta ad una mancanza reale di cibo, quanto piuttosto alla brutalità e all'egoismo di chi detiene il potere di distribuirlo.
Infine, fra i personaggi del romanzo non si sviluppa mai una vera solidarietà, che rimane circoscritta alle donne, le quali, in seguito al trauma collettivo dello stupro da parte dei ciechi malvagi, formano un nuovo noi, una comunità che assume una valenza salvifica nella figura della moglie del medico. Nonostante questo sia il personaggio più positivo della vicenda, però, anch'essa si macchia di alcuni crimini legati alla necessità della sopravvivenza, benché, nel suo caso, questi non siano rivolti solo alla sua persona ma al gruppo di cui ha deciso di farsi carico.
http://it.wikipedia.org/wiki/Cecit%C3%A0_(romanzo)
Duro? No. Sono fragile, mi creda. Ed è la certezza della mia fragilità che mi porta a sottrarmi ai legami. Se mi abbandono, se mi lascio catturare, sono perduto.
José Saramago. Lucernario
Se questo è sovversivo, tutto è sovversivo, persino respirare.
Io sento e penso proprio come respiro, con la stessa naturalezza, la stessa necessità.
Se gli uomini si odieranno, non si potrà fare nulla. Saremo tutti vittime degli odi.
Ci uccideremo tutti nelle guerre che non desideriamo e di cui non siamo responsabili.
Ci agiteranno davanti agli occhi una bandiera, ci riempiranno le orecchie di parole.
E per che cosa, in definitiva? Per creare la semente di una nuova guerra, per creare nuovi odi, per creare nuove bandiere e nuove parole. E' per questo che viviamo? Per fare figli e lanciarli nella fornace? Per costruire città e raderle al suolo? Per desiderare la pace e avere la guerra?
- E l'amore sarà la soluzione a tutto questo? - domandò Abel, sorridendo con una tristezza in cui c'era una punta di ironia. - Non lo so. E' l'unica cosa che ancora non si è sperimentata...
José Saramago, Lucernario
Ho cominciato a vivere così per capriccio, ho continuato per convinzione e continuo per curiosità.|
«Ma perchè vive così? Scusi se sono indiscreto…» «Non è indiscreto. Vivo così perchè lo voglio. Vivo così perchè non voglio vivere in un altro modo. La vita come la intendono gli altri per me non ha valore. Non mi piace essere intrappolato e la vita è un polpo dai mille tentacoli. Uno solo basta per imprigionare un uomo. Quando mi sento imprigionato, io taglio il tentacolo. A volte fa male, ma non c’è altro modo. Capisce?» «Capisco benissimo. Ma questo non porta a niente di utile.» «L’utilità non mi preoccupa.» «Sicuramente avrà avuto dei dispiaceri…» «Ho fatto il possibile perchè non accadesse. Ma quando è accaduto, non ho esitato». «È duro!» «Duro? No. Sono fragile, mi creda. Ed è la certezza della mia fragilità che mi porta a sottrarmi ai legami. Se mi abbandono, se mi lascio catturare, sono perduto». «Finchè un giorno… Io sono vecchio. Ho una certa esperienza…» «Anche io». «Ma la mia è l’esperienza di anni…» «E che cosa le dice?» «Che la vita ha molti tentacoli, come ha detto lei poco fa. E per quanti se ne taglino, ce n’è sempre uno che resta e che finisce per acchiapparla». «Ho cominciato a vivere così per capriccio, ho continuato per convinzione e continuo per curiosità». «Non capisco. «Ora capirà. Ho la sensazione che la vita sia lì, dietro una tenda, a farsi risate dei nostri sforzi per conoscerla. Io voglio conoscerla». Silvestre accennò un sorriso tenero, in cui c’era una punta di scoramento: «C’è tanto da fare al di qua della tenda, amico mio… Anche se vivesse mille anni e avesse le esperienze di tutti gli uomini, non riuscirebbe a conoscere la vita!»
José Saramago, da Lucernaio
“Lucernario”: il Saramago che mancava
Il 16 novembre 1922 nasceva José Saramago.
Josè Saramago. IL POETA VISIONARIO ED ERETICO
Scomodo, eretico e dissidente in tutta la sua vita e nella sua intera produzione, il maestro di Azinhaga ha scolpito capolavori destinati a scuotere la coscienza individuale e collettiva per decenni.
DI PIER FRANCESCO MICCICHÈ - 16 FEBBRAIO 2015
L'Intellettuale Dissidente - Unico premio Nobel nella storia del Portogallo, José de Sousa Saramago nasce in una piccolissima frazione del comune di Golegã nel 1922, quattro anni prima del colpo di stato che avrebbe condotto il paese sotto il dispotismo fascista di Antonio Salazar. Sono anni difficili per la nazione ed in particolare per la famiglia dello scrittore che, costretto ad abbandonare gli studi tecnici, si dedica ad occupazioni precarie di ogni tipo (fabbro, meccanico, disegnatore) prima di divenire direttore di produzione nel campo dell’editoria. Saramago è convinto oppositore della dittatura, ed è costretto a subire la censura di Salazar prima come giornalista poi come autore, con il primo romanzo -presto ripudiato- Terra del peccato. Si iscrive poi clandestinamente al Partito Comunista, riuscendo ripetutamente ad evitare la cattura. Pubblica alcune raccolte di poesia, dedicandosi infine – a partire dalla Rivoluzione dei Garofani (1974)- interamente alla scrittura di romanzi e alla formazione di un nuovo stile magistrale destinato a segnare inevitabilmente la futura letteratura europea. Ma è solo negli anni novanta che giunge il riconoscimento internazionale per la sua opera, con capolavori quali Cecità, Il vangelo secondo Gesù Cristo e Storia dell’assedio di Lisbona. Nel 1998 l’Accademia Reale delle scienze decide di consegnare il più alto riconoscimento per la letteratura proprio a Saramago “che con parabole sostenute da immaginazione, compassione e ironia ci permette ancora una volta di afferrare una realtà illusoria”, come recita la motivazione ufficiale.
Saramago è stato spesso accusato di antisemitismo per non aver esitato a paragonare gli orrori del massacro palestinese da parte degli israeliani a quelli di Auschwitz, oltre a essere stato al centro di significative polemiche con la chiesa cattolica per aver dichiarato manifestamente il suo ateismo in alcune delle opere più controverse (da alcuni espressamente definite blasfeme) quali Caino e Il vangelo secondo Gesù Cristo. All’esplicito rifiuto della possibile candidatura di quest’ultimo romanzo ad un importante premio letterario europeo, l’autore portoghese risponde con l’esilio volontario alle Canarie, dove morirà tempo dopo per un malore all’età di ottantasette anni. Ma le polemiche del genio eretico investirono anche casa nostra quando, dopo aver più volte criticato dal suo diario virtuale l’attività dell’allora presidente Silvio Berlusconi, l’Einaudi (allora di proprietà dello stesso imprenditore) decise di non pubblicare Il quaderno, raccolta degli scritti sul suo Blog. La totalità dei diritti editoriali dell’opera di Saramago passerà successivamente alla Feltrinelli.
Tecnicamente la sua produzione è caratterizzata da un uso assolutamente irrituale della punteggiatura, da frasi dalla lunghezza anticonvenzionale e dalla totale assenza di virgolette durante i dialoghi, separati tutt’al più da virgole. Ma è soprattutto nel contenuto e nella dipanazione del processo narrativo che Saramago mostra la sua geniale invenzione dissidente, allorché ci presenta i personaggi attraverso un’umanità denudata da qualsiasi finzione o ipocrisia letteraria, nelle grandi imprese come nei piccoli gesti, nell’Eden cristiano come nel misterioso e macroscopico “Centro” de La caverna, incarnazione metaforica e straordinaria di una globalizzazione che inghiotte gli individui e la loro humanitas. I romanzi del premio Nobel di Azinhaga offrono una prospettiva immanente di vicende e storie altrimenti narrate con asetticismo biografico o viceversa, attraverso una finzione e una spettacolarizzazione quasi cinematografica. È ciò che avviene, infatti, nell’unica interpretazione (se si trascura “Enemy” tratto da L’Uomo duplicato) su pellicola mai realizzata di una sua opera, Blindness (Cecità), espressamente lontana da quell’ironico ma compassionevole ritratto dell’umanità che rende invece il romanzo di riferimento un capolavoro. La filosofia di Saramago a tratti Hobbesiana, talvolta espressamente Platonica come ne La caverna) trova spesso origine in un evento o in una situazione inaspettati, e che per questo costringono a riadattare i propri parametri di valutazione e ad acquisire una coscienza disillusa, e purtuttavia leggera e quasi distante da quella stessa concretezza dei fatti in cui precedentemente si era stati calati.
Ed è proprio un apologia del pensiero l’ultimo messaggio lasciato sul suo blog, la mattina della morte. “Penso che la società di oggi abbia bisogno di filosofia. Filosofia come spazio, luogo, metodo di riflessione, che può anche non avere un obiettivo concreto, come la scienza, che avanza per raggiungere nuovi obiettivi. Ci manca riflessione, abbiamo bisogno del lavoro di pensare, e mi sembra che, senza idee, non andiamo da nessuna parte”.
http://www.lintellettualedissidente.it/homines/jose-saramago/
Il 16 novembre 1922 nasceva José Saramago.
Le religioni, tutte, senza eccezione, non serviranno mai per avvicinare e riconciliare gli uomini e, al contrario, sono state e continuano a essere causa di sofferenze inenarrabili, di stragi, di mostruose violenze fisiche e spirituali che costituiscono uno dei più tenebrosi capitoli della misera storia umana.
José Saramago
Le religioni, tutte, senza eccezione, non serviranno mai per avvicinare e riconciliare gli uomini e, al contrario, sono state e continuano a essere causa di sofferenze inenarrabili, di stragi, di mostruose violenze fisiche e spirituali che costituiscono uno dei più tenebrosi capitoli della misera storia umana.
José Saramago
"Ratzinger è nulla più che un dettaglio. Un dettaglio di una istituzione mastodontica che pesa come un macigno sulla coscienza dell’uomo. Che Ratzinger abbia il coraggio di invocare Dio per rafforzare le sue mire di un neo-medievalismo universale, un Dio che non ha mai visto, con il quale non si è mai seduto a prendere un caffè, dimostra solamente l’assoluto cinismo intellettuale del personaggio. Mi sono sempre considerato un ateo tranquillo perché l’ateismo come militanza pubblica mi sembrava qualcosa di inutile, ma ora sto cambiando idea. Alle insolenze reazionarie della Chiesa Cattolica bisogna rispondere con l’insolenza dell’intelligenza viva, del buon senso, della parola responsabile. Non possiamo permettere che la verità venga offesa ogni giorno dai presunti rappresentati di Dio in terra ai quali in realtà interessa solo il potere. Alla Chiesa nulla importa del destino delle anime, quello che ha sempre voluto è il controllo sui corpi. La ragione può essere una morale. Usiamola."
Josè Saramago
Ci sarebbe da essere grati se la Chiesa Cattolica Apostolica Romana smettesse di
intromettersi in quello che non la riguarda, cioè, la vita civile e la vita privata delle persone.
José Saramago. L'ultimo quaderno, 2010
Dimentichiamo troppo spesso che gli uomini sono fatti di carne facilmente rassegnata. È dall'infanzia che i maestri ci parlano di martiri, che diedero esempi di civiltà e di morale a loro spese, ma non ci dicono quanto doloroso fu il martirio, la tortura. Tutto rimane in astratto, filtrato come se guardassimo, a Roma, la scena attraverso spesse pareti di vetro che ammortizzano i suoni, e le immagini perdessero la violenza del gesto per opera, grazia e potere di rifrazione. E allora possiamo dirci tranquillamente l'un l'altro che Giordano Bruno fu bruciato. Se gridò, non lo sentiamo. E se non lo sentiamo, dove sta il dolore?
José Saramago
Josè Saramago
Ci sarebbe da essere grati se la Chiesa Cattolica Apostolica Romana smettesse di
intromettersi in quello che non la riguarda, cioè, la vita civile e la vita privata delle persone.
José Saramago. L'ultimo quaderno, 2010
Dimentichiamo troppo spesso che gli uomini sono fatti di carne facilmente rassegnata. È dall'infanzia che i maestri ci parlano di martiri, che diedero esempi di civiltà e di morale a loro spese, ma non ci dicono quanto doloroso fu il martirio, la tortura. Tutto rimane in astratto, filtrato come se guardassimo, a Roma, la scena attraverso spesse pareti di vetro che ammortizzano i suoni, e le immagini perdessero la violenza del gesto per opera, grazia e potere di rifrazione. E allora possiamo dirci tranquillamente l'un l'altro che Giordano Bruno fu bruciato. Se gridò, non lo sentiamo. E se non lo sentiamo, dove sta il dolore?
José Saramago
Caino
José Saramago
Quando il signore, noto anche come dio, si accorse che ad adamo ed eva, perfetti in tutto ciò che presentavano alla vista, non usciva di bocca una parola né emettevano un sia pur semplice suono primario, dovette prendersela con se stesso, dato che non c'era nessun altro nel giardino dell'eden cui poter dare la responsabilità di quella mancanza gravissima, quando gli altri animali, tutti quanti prodotti, proprio come i due esseri umani, del sia-fatto divino, chi con muggiti e ruggiti, chi con grugniti, cinguettii, fischi e schiamazzi, godevano già di voce propria. In un accesso d'ira, sorprendente in chi avrebbe potuto risolvere tutto con un altro rapido fiat, corse dalla coppia e, uno dopo l'altro, senza riflessioni e senza mezze misure, gli cacciò in gola la lingua. Dagli scritti a cui sono stati via via, nel corso dei tempi, consegnati un po' a caso gli avvenimenti di queste epoche remote, vuoi di possibile certificazione canonica futura о frutto d'immaginazioni apocrife e irrimediabilmente eretiche, non si chiarifica il dubbio su che lingua sarà stata, se il muscolo flessibile e umido che si muove e rimuove nel cavo orale e a volte anche fuori, о la parola, detta anche idioma, di cui il signore si era deprecabilmente dimenticato e che ignoriamo quale fosse, dato che non ne è rimasta la minima traccia, neppure un semplice cuore inciso sulla corteccia di un albero con una legenda sentimentale, qualcosa sul tipo ti-amo, Eva. Siccome una cosa, teoricamente, non dovrebbe andare senza l'altra, è probabile che un secondo fine del violento spintone dato dal signore alle lingue mute dei suoi rampolli fosse di metterle in contatto con le interiorità più profonde dell'essere corporale, le cosiddette parti scomode dell'essere, perché in avvenire, ormai con qualche cognizione di causa, potessero parlare della loro oscura e labirintica confusione alla cui finestra, la bocca, già cominciavano a spuntare. Tutto può essere. Chiaramente, per uno scrupolo da buon artefice che andava unicamente a suo favore, oltre che compensare con la dovuta umiltà la precedente negligenza, il signore volle accertarsi che l'errore fosse stato corretto, e quindi domandò ad Adamo, Tu, come ti chiami, e l'uomo rispose, Sono adamo, tuo primogenito, signore. Il creatore, poi, si rivolse alla donna, E tu, come ti chiami tu, Sono eva, signore, la prima dama, rispose lei superfluamente, dato che altre non ce n'erano. Il signore si ritenne soddisfatto, si congedò con un paterno Arrivederci, e riprese la sua vita. Allora, per la prima volta, adamo disse a eva, Andiamo a letto.
Set, il terzogenito della famiglia, verrà al mondo solo centotrent'anni dopo, non perché la gravidanza materna richiedesse tanto tempo per ultimare la fabbricazione di un nuovo discendente, ma perché le gonadi del padre e della madre, i testicoli e l'utero rispettivamente, avevano tardato più di un secolo a maturare e a sviluppare sufficiente potenza generativa. C'è da dire ai precipitosi che il fiat ci fu una volta e mai più, che un uomo e una donna non sono mica delle macchine automatiche, gli ormoni sono una cosa piuttosto complicata, non si producono così da un giorno all'altro, non si trovano in farmacia né al supermercato, bisogna dare tempo al tempo. Prima di set erano venuti al mondo, a breve intervallo di tempo fra l'uno e l'altro, dapprima caino e poi abele. Quello cui non si può non fare immediatamente cenno è la profonda noia che erano stati tanti anni senza vicini, senza distrazioni, senza un bambino lì a gattonare tra la cucina e il salotto, senz'altre visite al di fuori di quelle del signore, e anche queste rarissime e brevi, intervallate da lunghi periodi di assenza, dieci, quindici, venti, cinquant'anni, immaginiamo che poco ci sarà mancato che i solitari occupanti del paradiso terrestre si vedessero come dei poveri orfanelli abbandonati nella foresta dell'universo, ancorché non sarebbero stati in grado di spiegare cosa fosse questa storia di orfani e abbandoni. E pur vero che, un giorno sì, un giorno no, e anche quel giorno no con altissima frequenza sì, adamo diceva a eva, Andiamo a letto, ma la routine coniugale, aggravata, nel loro caso, da nessuna varietà nelle posizioni per mancanza di esperienza, già allora si dimostrò altrettanto di un'invasione di tarli lì a rodere le travature della casa. All'esterno, salvo un po' di polverina che fuoriesce qua e là da minuscoli orifizi, l'attentato si coglie a stento, ma all'interno la processione è ben altra, non ci vorrà molto che venga giù tutto ciò che era parso tanto solido. In situazioni del genere, c'è chi sostiene che la nascita di un figlio può avere effetti rivitalizzanti, se non della libido, che è opera di chimiche assai più complesse che imparare a cambiare un pannolino, almeno dei sentimenti, il che, bisogna riconoscerlo, già non è poco. Quanto al signore e alle sue visite sporadiche, la prima fu per vedere se adamo ed eva avevano avuto problemi nell'installazione domestica, la seconda per sapere se avevano tratto qualche beneficio dall'esperienza della vita campestre e la terza per avvisare che tanto presto non si aspettava di tornare, giacché aveva da far la ronda negli altri paradisi esistenti nello spazio celeste. In effetti, sarebbe riapparso solo molto più tardi, in una data di cui non è rimasta traccia, per scacciare la sventurata coppia dal giardino dell'eden per il nefando crimine di aver mangiato del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Questo episodio, che diede origine alla prima definizione di un peccato originale fino ad allora ignorato, non è mai stato ben spiegato. In primo luogo, persino l'intelligenza più rudimentale non avrebbe alcuna difficoltà a com [...]
José Saramago
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