lunedì 9 gennaio 2012

Demostene. Nulla è più facile che illudersi. Perché l'uomo crede vero ciò che desidera

Nulla è più facile che illudersi. Perché l'uomo crede vero ciò che desidera.
Demostene, Olintiache, 348/49 a.e.c.


Nulla è più facile che illudersi,
perché ciò che ogni uomo desidera,
crede anche che sia vero.
Demostene, Orazioni

Demostene. Democrazia e diffidenza nei riguardi dei tiranni.
“Dissi allora: Non credete, o Messeni, che i cittadini di Olinto avrebbero contestato violentemente chi si fosse presentato a parlare contro Filippo all’epoca in cui questi cedeva loro la città di Antemunte, che sempre in precedenza era stata oggetto delle rivendicazioni dei re macedoni; e consegnava loro Potidea, cacciandone i coloni ateniesi; e consentiva loro di sfruttare quel territorio, attirandosi così la nostra ostilità? Credete che immaginassero le sofferenze che li attendevano, o che avrebbero prestato fede a chi glielo avesse detto? Ma pure – dissi – dopo aver goduto per breve tempo la terra altrui, essi sono stati ormai privati della terra loro: messi vergognosamente al bando, non solo sconfitti da Filippo, ma anche traditi e venduti dai loro stessi concittadini. Non sono certo sicure, per i governi democratici, queste amicizie così strette con i tiranni. E i Tessali, poi: credete – dissi – che quando lo liberò dai governi tirannici, e restituì loro Nicea e la Magnesia, si attendessero l’avvento della decadarchia che si è ora imposta su di loro? O che quello stesso che li aveva fatti ammettere nel Consiglio Anfizionico si sarebbe poi appropriato delle loro rendite? Chi lo avrebbe detto? Pure è accaduto: chiunque lo può constatare. Filippo, dissi, vi appare ora nelle vesti di chi distribuisce doni e promesse. Ma auguratevi, se avete buon senso, di non doverlo conoscere come traditore e mentitore. Per Zeus - ebbi ancora a dire – si sono escogitati mezzi di ogni genere per la protezione della città: terrapieni, mura, fossati e altre simili difese. Sono tutte cose che esigono lavoro materiale e spesa. Ma c’è un mezzo di difesa comune a tutti gli esseri, naturalmente generato dall’istinto di conversazione. È un mezzo salutare, utile a tutti ma specialmente alle democrazie nei riguardi dei tiranni. Qual è questo mezzo? È la diffidenza. Questa dovete conservare, e non dovete abbandonarla mai. Se la terrete sempre viva non avrete nulla da temere. Che cosa volete? – dissi – Essere liberi. E allora non vedete che persino i titoli che Filippo si è attribuiti sono incompatibili con la libertà? [Ogni re, ogni tiranno è nemico della libertà, è fuori della legge.] Nel momento in cui cercate di evitare una guerra – conclusi – badate a non incappare in un padrone.” 
DEMOSTENE (384 a.C. – 322 a.C.), “Seconda filippica” (344 a.C.), a cura, introduzione, bibliografia e note di Sergio Aprosio in Id., “Orazioni scelte”, Mondadori, Milano 2008, §§ 20 – 25, pp. 151 e 153. 

 “ ‘Πῶς γὰρ οἴεσθ’, ’ ἔφην, ‘ ὦ ἄνδρες Μεσσήνιοι, δυσχερῶς ἀκούειν Ὀλυνθίους, εἴ τίς τι λέγοι κατὰ Φιλίππου κατ’ἐκείνους τοὺς χρόνους, ὅτ’ Ἀνθεμοῦντα μὲν αὐτοῖς ἀφίει, ἧς πάντες οἱ πρότερον Μακεδονίας βασιλεῖς ἀντεποιοῦντο, Ποτείδαιαν δ’ἐδίδου τοὺς Ἀθηναίων ἀποίκους ἐκβάλλων, καὶ τὴν μὲν ἔχθραν τὴν πρὸς ἡμᾶς αὐτὸς ἀνῄρητο, τὴν χώραν δ’ἐκείνοις ἐδεδώκει καρποῦσθαι; ἆρα προσδοκᾶν αὐτοὺς τοιαῦτα πείσεσθαι, ἢ λέγοντος ἄν τινος πιστεῦσαι οἴεσθε; ἀλλ’ὅμως, ’ ἔφην ἐγώ, ‘ μικρὸν χρόνον τὴν ἀλλοτρίαν καρπωσάμενοι πολὺν τῆς αὑτῶν ὑπ’ἐκείνου στέρονται, αἰσχρῶς ἐκπεσόντες, οὐ κρατηθέντες μόνον, ἀλλὰ καὶ προδοθέντες ὑπ’ἀλλήλων καὶ πραθέντες· οὐ γὰρ ἀσφαλεῖς ταῖς πολιτείαις αἱ πρὸς τοὺς τυράννους αὗται λίαν ὁμιλίαι. τί δ’οἱ Θετταλοί; ἆρ´ οἴεσθ’, ’ ἔφην, ‘ ὅτ’αὐτοῖς τοὺς τυράννους ἐξέβαλλε καὶ πάλιν Νίκαιαν καὶ Μαγνησίαν ἐδίδου, προσδοκᾶν τὴν καθεστῶσαν νῦν δεκαδαρχίαν ἔσεσθαι παρ’αὐτοῖς; ἢ τὸν τὴν πυλαίαν ἀποδόντα, τοῦτον τὰς ἰδίας αὐτῶν προσόδους παραιρήσεσθαι; οὐκ ἔστι ταῦτα. ἀλλὰ μὴν γέγονεν ταῦτα καὶ πᾶσιν ἔστιν εἰδέναι· ὑμεῖς δ’, ’ ἔφην ἐγώ, ‘ διδόντα μὲν καὶ ὑπισχνούμενον θεωρεῖτε Φίλιππον, ἐξηπατηκότα δ’ἤδη καὶ παρακεκρουμένον ἀπεύχεσθε, εἰ σωφρονεῖτε δή, ἰδεῖν. ἔστι τοίνυν νὴ Δί’, ’ ἔφην ἐγώ, ‘ παντοδαπὰ εὑρημένα ταῖς πόλεσιν πρὸς φυλακὴν καὶ σωτηρίαν, οἷον χαρακώματα καὶ τείχη καὶ τάφροι καὶ τἄλλ’ὅσα τοιαῦτα. καὶ ταῦτα μέν ἐστιν ἅπαντα χειροποίητα καὶ δαπάνης προσδεῖται· ἓν δέ τι κοινὸν ἡ φύσις τῶν εὖ φρονούντων ἐν αὑτῇ κέκτηται φυλακτήριον, ὃ πᾶσι μέν ἐστ’ἀγαθὸν καὶ σωτήριον, μάλιστα δὲ τοῖς πλήθεσι πρὸς τοὺς τυράννους. τί οὖν ἐστι τοῦτο; ἀπιστία. ταύτην φυλάττετε, ταύτης ἀντέχεσθε· ἂν ταύτην σῴζητε, οὐδὲν μὴ δεινὸν πάθητε. τί ζητεῖτ’; ’ ἔφην. ‘ ἐλευθερίαν; εἶτ’οὐχ ὁρᾶτε Φίλιππον ἀλλοτριωτάτας ταύτῃ καὶ τὰς προσηγορίας ἔχοντα; [βασιλεὺς γὰρ καὶ τύραννος ἅπας ἐχθρὸς ἐλευθερίᾳ καὶ νόμοις ἐναντίος]. οὐ φυλάξεσθ’ὅπως, ʼ ἔφην, ‘ μὴ πολέμου ζητοῦντες ἀπαλλαγῆναι δεσπότην εὕρητε; ’ ” ΔΗΜΟΣΘΕΝΟΥΣ “Κατὰ Φιλίππου Β”, testo di S. H. Butcher, Clarendon Press, Oxford 1903, in op. cit., §§ 20 – 25, pp. 150 e 152.

2 commenti:

  1. Da dove è tratta questa frase di Demostene?

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    1. Nulla è più facile che illudersi. Perché l'uomo crede vero ciò che desidera.

      Demostene, Olintiache, 348/49 a.e.c.

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