"LA CASA PIU' STRETTA DEL MONDO SI TROVA A PETRALIA ED HA UNO SPESSORE DI SOLO UN METRO. VIENE CHIAMATA "A CASA DU CURRIVU" PERCHE' COSTRUITA PER RIPICCA PER OSCURARE LA VISUALE DEL COGNATO"
(Luigi Sghembri)
Ecco, c'è gente al mondo che vive per ripicca.
Che agisce per ripicca. Che parla per ripicca.
Non ti curar di lor, ma guarda e passa.
L'altra faccia della bellezza.
Però è un vero capolavoro, per chi l'ha voluta e per chi ha l'autorizzata. Qualcuno l'ha autorizzata?
Sì, è larga un solo metro proprio perché per legge (che il cognato ha voluto far applicare alla lettera), il proprietario non ha potuto farla più larga. E lui l'ha fatta ugualmente. Per currivu.
Atteggiamento pre-mafioso .... Non è la casa più piccola del mondo perché non è una casa (unità abitativa...) , è solo un muro con le finestre ... giusto architetta?
Quei soldi li avrei utilizzati più per abbellire la mia che per oscurare quella di mio cognato. Brutte bestie l'invidia degli arroganti e il menefreghismo civico dei nostri politici.
Costosetta, come ripicca.
Per le ripicche non si bada a spese. [...]
Ma la cosa sorprendente, al di là dei motivi, è che qualcuno abbia potuto realizzare una simile bizzarria. Che c'è ed esiste. Già la ripicca ci starebbe, se invece è solo senza motivo, il costruire una casa larga un metro beh, è che qualcuno, amministrazione e uffici tecnici l'abbiano permesso, con licenza, abitabilità,etc..a meno che non sia abusiva; allora la storia si fa ancora più incomprensibile. Perché il succo della vicenda non è tanto il motivo, ma il fatto in se. E il fatto c'è.
La casa del currivo
non è una bufala esiste davvero a Petralia. Il racconto è più articolato: io ricordo che il tipo avrebbe voluto costruire una casa quasi normale appoggiandosi al muro esterno del parente. Al suo diniego ha costruito lo stesso alla distanza minima consentita dalla legge, per non dargliela vinta ...
a torino c'è la fetta di polenta
Casa Scaccabarozzi, comunemente nota ai torinesi come Fetta di polenta
(Fëtta 'd pölenta in piemontese), è un edificio storico di Torino situato nel quartiere Vanchiglia, all'angolo tra corso San Maurizio e via Giulia di Barolo; in passato fu nota anche come casa Luna.
Progettata da Alessandro Antonelli, il nome ufficiale deriva dal cognome della moglie dell'architetto, Francesca Scaccabarozzi, nobildonna originaria di Cremona[1]. La coppia visse nell'edificio per alcuni anni.
La sua particolarità e l'origine del suo soprannome risiedono nella singolare pianta trapezoidale dell'edificio, che fa sì che uno dei prospetti laterali misuri appena cinquantaquattro centimetri.[2] [...]
Progettata da Antonelli stesso nel 1840 come "casa da reddito", pare che l'edificio sia stato costruito più per sfida che per una vera esigenza. Il terreno trapezoidale su cui sorge corrispondeva all'area residua occupata da un precedente edificio ubicato lungo l'asse dell'attuale corso San Maurizio e demolito per fare spazio al tracciato dell'attuale via Giulia di Barolo. A seguito delle fallite trattative per acquistare il terreno confinante, Antonelli, noto per la sua caparbietà e stravaganza, con questo progetto volle dimostrare la capacità di realizzare un edificio abitabile con un appartamento per ciascun piano malgrado l'esiguo spazio a disposizione, recuperando in altezza ciò che non poteva sfruttare in larghezza.[3]
L'edificio venne costruito in più fasi:
nel 1840 vennero realizzati i primi quattro piani e in un secondo tempo ne vennero aggiunti altri due; nel 1881, come ulteriore dimostrazione di destrezza tecnica, venne aggiunto l'attuale ultimo piano.[4]
Ormai divenuto il simbolo del quartiere, l'edificio, che per l'epoca si opponeva alle regole classiche in fatto di costruzioni, si guadagnò presto il soprannome "Fetta di polenta" in virtù dell'inconsueta planimetria trapezoidale e per il prevalente colore giallo. Inoltre divenne noto anche per ospitare al pian terreno il caffè del Progresso, storico ritrovo torinese di carbonari e rivoluzionari.[5]
Per fugare i dubbi sulla sua stabilità e per sfidare chi sosteneva che l'edificio sarebbe crollato, Antonelli vi si trasferì ad abitarci con la moglie per qualche anno. Ad ulteriore conferma di questa comune diceria contribuì anche la capacità di resistere indenne all'esplosione della regia polveriera di Borgo Dora, avvenuta il 24 aprile 1852, che lesionò gravemente molti edifici della zona. Inoltre, successivamente, resistette anche al sisma del 23 febbraio 1887, che danneggiò parte del quartiere; infine fu risparmiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale che colpirono duramente gli isolati circostanti.
Nel 1974, in occasione del centenario della morte di Niccolò Tommaseo, il Comune di Torino pose una lapide in memoria del suo presunto soggiorno nell'edificio nel 1859. Tra il 1979 e il 1982, l'edificio fu oggetto di un primo importante restauro e di una particolare decorazione dei suoi interni ad opera dell'architetto e scenografo Renzo Mongiardino, che operò su tutti i nove piani dell'edificio trasformandolo in un'unica unità abitativa.[6]
Annoverato tra gli edifici tutelati dalla Soprintendenza per i Beni architettonici del Piemonte, nel marzo del 2005 l'edificio fu oggetto di un'asta giudiziale disposta dal Tribunale di Torino[7] e venne definitivamente aggiudicata alla terza tornata d'asta nel gennaio del 2006. Tra l'estate del 2007 e la primavera del 2008, lo stabile è stato interessato da un globale intervento di ristrutturazione interna e da un attento restauro conservativo commissionato dalla nuova proprietà. Dal marzo 2008 al maggio 2013 ha cambiato destinazione d'uso diventando il contenitore dei progetti della galleria Franco Noero, ritornando quindi allo stato di abitazione privata nell'estate del 2013, pur mantenendo al suo interno installazioni di arte contemporanea visitabili privatamente.
Sezione e pianta dell'edificio.
Per comprendere ancor meglio la sfida che Antonelli si prefissò di vincere, basta osservare le dimensioni dei lati di questo curioso edificio a pianta trapezoidale: circa 16 metri su via Giulia di Barolo, 4,35 metri su corso San Maurizio e appena 54 centimetri di parete dalla parte opposta a quella del corso.[2][8]
L'edificio, costruito interamente in pietra e mattoni, è composto complessivamente da 9 piani di altezze differenti, tutti collegati da una stretta scala a forbice in pietra, per un'altezza complessiva di 24 metri. Sette piani sono fuori terra, mentre due sono sotterranei ed è proprio la profondità delle fondamenta che conferisce all'edificio la sua proverbiale stabilità. Nel lato di 54 centimetri, per ottimizzare al massimo lo spazio, Antonelli ha ricavato un cavedio per collocarvi il condotto della canna fumaria, parte delle condutture idriche e, originariamente, locali per i servizi igienici a tutti i piani, per ciascun appartamento;[3] il prospetto retrostante, opposto a via Giulia di Barolo, è invece completamente privo di finestre mentre, osservandolo dal corso, l'edificio presenta una lieve pendenza verso la via attigua.
Antonelli dedicò particolare cura ai dettagli e dotò l'edificio di ampie finestre e numerosi balconi; essi sono aggettanti come i cornicioni e le finestre stesse appaiono come estroflesse. L'utilizzo di quest'espediente è una soluzione progettuale che Antonelli attuò per guadagnare il maggior spazio possibile all'interno dell'edificio. A causa delle strette rampe della scala, è impossibile condurre carichi ingombranti ai vari piani. A tal proposito, originariamente, per effettuare traslochi ed eventuali spostamenti venne installata una carrucola all'ultimo piano, ancora visibile da via Giulia di Barolo.[9]
I prospetti principali sono caratterizzati da uno stile eclettico, con decorazioni neoclassiche e lesene con rilievi geometrici ripetuti a tutt'altezza. La vistosa cornice in corrispondenza del quarto piano svela la propria precedente funzione di cornicione sottotetto nella prima fase di elevazione dell'edificio; complessivamente sono presenti otto balconi[10] e all'ultimo piano il ballatoio, che corre ininterrottamente lungo i prospetti delle facciate principali, è stato realizzato sulla base del cornicione del precedente tetto risalente alla seconda fase di elevazione.
Fino all'importante intervento di decorazione degli interni operato dall'architetto Renzo Mongiardino nel 1979, l'edificio era suddiviso in singole unità immobiliari per ciascun piano. Fu proprio ad opera dell'architetto, amico dell'allora proprietario, che gli interni e gli arredi assunsero un aspetto omogeneo, donando all'abitazione una linearità e organicità di per sé improbabili proprio in virtù delle sue caratteristiche fisiche. Lo stesso Mongiardino ammise che la sensazione finale fu quella di «abitare in una torre formata dalla sovrapposizione di molti vagoni ferroviari»[11], autonomi ma sapientemente connessi.
Tra il 2007 e il 2008 gli interni sono stati radicalmente ristrutturati, esaltando e valorizzando tutti gli elementi architettonici originali del progetto antonelliano e mantenendo alcuni degli elementi decorativi di pregio realizzati da Mongiardino, tra cui la nicchia dell'ultimo piano, che ospita una singolare vasca da bagno in muratura rivestita a mosaico collocata in cima all'ultima rampa di scale, il bagno turco del secondo piano interrato,[12] la bellissima cucina, la decorazione delle scale e altri accessori.
Contestualmente a questi ultimi lavori di ristrutturazione è stato eseguito anche un restauro conservativo conclusosi nel marzo 2008; nell'ottica di riconfigurare il disegno del prospetto originario affacciato su corso San Maurizio e di restituire l'accesso diretto al locale commerciale del piano stradale, è stato ripristinato il portone d'accesso che venne chiuso durante la ristrutturazione della fine degli anni settanta per ospitare una finestra.
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