sabato 19 settembre 2015

Orhan Pamuk. Il mio nome è rosso. Sento che vi domandate cosa vuol dire essere rosso? Il colore è il tocco dell'occhio, la musica dei sordi,un grido nel buio. Dato che sono decine di migliaia di anni che ascolto,di libro in libro,di oggetto in oggetto,quel che dicono le anime,come il ronzio del vento, lasciatemi dire che il mio tocco somiglia a quello degli angeli. Parte di me richiama i vostri occhi, è la mia parte pesante. L'altra parte vola in aria con i vostri sguardi, è la mia parte leggera. Sono così contento di essere rosso! Mi brucia dentro,sono forte,so di attirare l'attenzione, so anche che non riuscite a resistermi.

Incipit.
Adesso io sono un morto, un cadavere in fondo a un pozzo.
Ho esalato l'ultimo respiro ormai da tempo, il mio cuore si è fermato, ma, a parte quel vigliacco del mio assassino, nessuno sa cosa mi sia successo. Lui, il disgraziato schifoso, per essere sicuro di avermi ucciso ha ascoltato il mio respiro, ha tastato il mio polso, mi ha dato un calcio nel fianco, mi ha portato al pozzo e mi ha preso in braccio per poi buttarmici dentro. La testa me l'aveva già spaccata a colpi di pietra, e cadendo nel pozzo è andata in pezzi, la mia faccia, la fronte e le guance, è rimasta schiacciata, è scomparsa, le ossa si sono spezzate, la bocca si è riempita di sangue.
Orhan Pamuk, Il mio nome è Rosso


Sento che vi domandate cosa vuol dire essere rosso? 
Il colore è il tocco dell'occhio, la musica dei sordi,un grido nel buio
Dato che sono decine di migliaia di anni che ascolto, di libro in libro, di oggetto in oggetto, quel che dicono le anime, come il ronzio del vento, lasciatemi dire che il mio tocco somiglia a quello degli angeli. Parte di me richiama i vostri occhi, è la mia parte pesante. L'altra parte vola in aria con i vostri sguardi, è la mia parte leggera. Sono così contento di essere rosso! Mi brucia dentro, sono forte, so di attirare l'attenzione, so anche che non riuscite a resistermi.
Orhan Pamuk, Il mio nome è Rosso

   
mi resi conto che pian piano stavo dimenticando il viso del mio amore bambino rimasto a Istanbul. Preso dall’agitazione feci enormi sforzi per ricordarlo, ma poi capii che, per quanto si possa amare, alla fine, lentamente, un viso che non si vede mai lo si scorda.
Orhan Pamuk, Il mio nome è Rosso



Lo stato e la burocrazia si intrufolano avidamente ovunque si produca ricchezza.
(libro Istanbul)


Quando il giardino della memoria inizia a inaridire, si accudiscono le ultime piante e le ultime rose rimaste con un affetto ancora maggiore. Per non farle avvizzire, le bagno e le accarezzo dalla mattina alla sera: ricordo, ricordo, in modo da non dimenticare. 
Orhan Pamuk, Il libro nero


E’ soltanto quando non resta più nulla da raccontare che si arriva vicini a essere sé stessi.
Solo quando i fatti da narrare si sono esauriti, quando si avverte nell'intimo un silenzio profondo perché libri, ricordi, storie e la stessa memoria si sono spenti, solo allora si può udire la propria vera voce, quella che può davvero farci emergere dagli abissi dell’anima, dal buio degli interminabili labirinti del nostro essere.
Orhan Pamuk, Il libro nero



Quando scoprì, leggendolo su alcuni libri, che dal momento in cui il fiocco di neve si cristallizza in cielo a forma di una stella a sei braccia, e poi scende a terra e scompare perdendo il suo aspetto, passano circa otto, dieci minuti, e venendo a sapere che ogni fiocco di neve si modella grazie al vento, al freddo, all’altezza delle nuvole, ma anche a tanti altri fattori misteriosi e incomprensibili, intuì che tra i fiocchi di neve e gli uomini c’era una relazione.
(…) Per questo, utilizzando i libri dove c’erano forme di fiocchi di neve, aveva disegnato il suo fiocco, e su di esso aveva sistemato tutte le poesie che gli erano venute in mente a Kars. In questo modo, oltre alla struttura del suo nuovo libro di poesie, segnava su un fiocco di neve anche tutto ciò che aveva fatto lui. Ogni persona doveva avere un suo fiocco di neve, in cui c’era una mappa interna della sua vita.
Orhan Pamuk, Neve


Ka si fece prendere da una sensazione di fatalismo. Intuiva chiaramente che la vita ha una segreta geometria di cui non riusciva a spiegare la logica e sentiva una profonda nostalgia per la felicità che la scoperta di questa logica gli avrebbe dato, tuttavia in quel momento gli sembrava di essere abbastanza forte per questo desiderio di felicità.
Orhan Pamuk, Neve


Ka disse che Kars era una città straordinariamente silenziosa.
- Perchè noi abbiamo paura anche della nostra voce- disse Hande
- Questo è il silenzio della neve- aggiunse Ipek
Orhan Pamuk, Neve


Il silenzio della neve, pensava l’uomo seduto dietro all’autista del pullman. Se questo fosse stato l’inizio di una poesia, avrebbe chiamato "silenzio della neve" ciò che sentiva dentro.
Orhan Pamuk, Neve

La poesia era fatta di tante cose che gli erano passate per la mente poco prima. La neve, i cimiteri, il cane nero che correva allegro dentro la stazione, molti ricordi d’infanzia e Ipek che gli appariva davanti agli occhi, mentre i suoi passi si affrettavano a tornare in albergo, sospesi tra la felicità e l’agitazione. Intitolò la poesia: Neve.
Orhan Pamuk, Neve


Passammo davanti alle saracinesche abbassate, alle sale da tè chiuse, alle case armene abbandonate e alle vetrine luminose ghiacciate, sotto i castagni e i pioppi coperti di neve, e camminando ascoltavamo il rumore dei nostri passi per le strade tristi illuminate da poche luci al neon.
Orhan Pamuk, Neve


Tutti abbiamo una cosa, una cosa che vogliamo veramente nella vita, giusto?
-Giusto
-Lei cosa vuole?
Ka sorrise e tacque.
-Quello che voglio io è molto semplice -disse Necip con orgoglio- voglio sposarmi con Kadife, vivere a Instabul ed essere il primo scrittore di fantascienza islamico al mondo. So che tutto questo è impossibile, ma lo voglio!
Orhan Pamuk, Neve


Ma Ipek non arrivò subito. E questo fu per Ka una delle torture più grandi della sua vita.
Ricordò che aveva paura d’innamorarsi proprio per questo struggente dolore dell’attesa.
Orhan Pamuk, Neve


A volte succede che si abbia voglia di raccontare tutta la propria storia, dall’inizio alla fine,
a una persona che non si conosce affatto e che si è sicuri non si vedrà mai più..
Orhan Pamuk, Neve


Invecchiare riconciliandosi ed essere tanto intelligenti da non chiedere nulla al mondo:
Ka sentì che poteva riuscire a farlo..
Orhan Pamuk, Neve




Se amiamo profondamente qualcuno, se per questo qualcuno doniamo quanto di più prezioso abbiamo, possiamo essere certi che non ci farà del male. Questo è il sacrificio. 
Tu a questo mondo chi ami di più?
Orhan Pamuk, Il museo dell'innocenza, pag. 42



Sarò ingenuo, ma sono sinceramente convinto che tali sensazioni non appartengano solo a me: 
anche il visitatore del museo, venendo a contatto con questi oggetti, proverà quello che sento io.
Orhan Pamuk, Il museo dell'innocenza, pag. 357


Entrare, guardare e sentire negli oggetti il tumulto di altre vite. Di un'altra vita. 
La vita della persona amata. Perché alla fine, quando si arriva al dunque, non ci sono dubbi:
"La felicità è stare accanto alla persona che si ama."
Orhan Pamuk, Il museo dell'innocenza, pag. 280


Si cade continuamente ed alla caduta sembra non ci sia fine. L'ossessione diventa la casa della propria esistenza e gli oggetti i muri che quello spazio delimitano. La vita scandita da un solo ritmo...
Gli istanti che quegli oggetti mi facevano rivivere componevano dentro di me un altro tempo, un tempo più vasto.
Orhan Pamuk, Il museo dell'innocenza, pag. 435


Era l'istante più felice della mia vita e non me ne rendevo conto. 
Se l'avessi capito, se allora l'avessi capito, avrei forse potuto preservare quell'attimo in modo tale che le cose sarebbero andate diversamente? Sì, se avessi intuito che quello era l'istante più felice della mia vita, non mi sarei lasciato sfuggire una felicità così grande per nulla al mondo.
Orhan Pamuk, “Il museo dell’innocenza”


Di cosa parla Il museo dell’innocenza di Orhan Pamuk
Kemal, protagonista del libro Il museo dell’innocenza di Orhan Pamuk, è un ragazzo di trent’anni benestante che per comprare una borsa alla fidanzata, entra in un negozio di Istanbul e viene rapito dal fascino di una ragazza di diciotto anni, Fusun, che è sua cugina alla lontana.
Nasce da subito, tra i due, un rapporto molto intenso, sessualmente appagante, che supera le norme morali turche degli anni ’70.
Nonostante il grande trasporto che Kemal prova nei confronti della ragazza, non vuole lasciare Sibel, la sua fidanzata, forse ancora legato ai valori tradizionali e all’esigenza di avere un’amante bella, ma anche una donna ricca con cui andare a feste aristocratiche.
Decide di fidanzarsi con la compagna preparando un ricevimento costoso all’Hilton. Ma i suoi calcoli sono sbagliati e per questo gesto azzardato perde entrambe le donne.
Fusun delusa dal suo comportamento si allontana e Kemal sofferente inizia a trascurare se stesso, fino a decide di sciogliere il fidanzamento.
Quando dopo molto tempo Kemal ritrova la sua vecchia amante, le cose sono cambiate e non ci può essere più quel rapporto come prima, legato alla passione e al coinvolgimento. I due, però, continuano a frequentarsi, senza più consumare il loro amore e in questi otto anni, Kemal non smette di conservare tutti gli oggetti che le ricordano Fusun: orecchini, mozziconi di sigarette, mutandine, cani di porcellana.
A questo punto Kemal crea un Museo dell’innocenza, luogo in cui raccoglie tutte le cose che appartengono al suo amore passato, lo fa perché odorare, toccare e stare a guardare quei pezzi da museo, gli rendono gioia e un po’ di conforto.
Il museo dell’innocenza di Orhan Pamuk è un libro molto particolare, in cui si mescola una storia legata ai sentimenti a quella che racconta del modo di vivere dei turchi e delle loro tradizioni.
https://www.recensionelibro.it/trama-romanzo-il-museo-dellinnocenza-orhan-pamuk

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 Nel romanzo Kemal precisa: 
“Il Museo dell’Innocenza sarà sempre aperto per gli innamorati che non trovano un posto a Istanbul dove baciarsi”.



A volte leggiamo in modo logico, a volte con gli occhi, a volte con l'immaginazione, a volte con una piccola porzione della mente, a volte nel modo che vogliamo noi, a volte nel modo che il libro ci impone, e a volte con ogni fibra del nostro essere.
Orhan Pamuk, Romanzieri ingenui e sentimentali


Mi fu chiaro ancora una volta che il passato penetra negli oggetti e li riempie come un'anima.
Orhan Pamuk


L’incipit.
Volevo fare lo scrittore. Ma, dopo i fatti che mi accingo a raccontare, sono diventato un geologo e un costruttore. Non credano i miei lettori che questi eventi siano morti e sepolti, che questi fatti appartengano al passato solo perché ho deciso finalmente di narrarli. Ogni volta che torno a pensarci, ogni volta, sento addosso il peso di quei momenti. Per questo sono sicuro che anche voi, come me, vi lascerete trascinare nella spirale dei misteri del rapporto tra padre e figlio.  
Nel 1985 vivevamo in un appartamento vicino a Palazzo Ihlamur, alle spalle di Besiktas. Mio padre aveva una piccola farmacia: il nome sull’insegna era Hayat, vita. Una volta alla settimana, quand’era di turno, teneva aperto fino al mattino dopo. In quelle notti ero io a portargli la cena. Era un bell’uomo, alto, magro… Mentre lui consumava il suo pasto accanto alla cassa, io mi lasciavo inebriare dall’odore dei medicinali. Ancora oggi, all’età di quarantacinque anni – ne sono trascorsi trenta da allora –, amo l’odore delle vecchie farmacie in legno. L’Hayat non era molto frequentata. Quando restava aperta per ventiquattro ore di fila, mio padre passava il tempo a guardare un televisore portatile, tanto di moda in quegli anni. A volte venivano a trovarlo degli amici, attivisti politici. Li sentivo parlare a bassa voce, ma non appena notavano la mia presenza interrompevano i loro discorsi per dirmi che ero un bel ragazzo, proprio come mio padre, e finivano per farmi le solite domande: che classe fai? Ti piace studiare? Cosa vuoi fare da grande?  
Orhan Pamuk «La donna dai capelli rossi»



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