Metabolizzare un lutto. Si può non volerlo?
Vorrei stimolare una riflessione che mi aiuti a comprendere (se possibile).
Secondo voi si può non voler superare un dolore?
Eppure la morte di un nostro caro sembra essere il dolore più straziante.
Ecco, allora perchè dopo la morte di qualcuno che ci è stato veramente molto vicino, si continua a (VOLER) ricordare perennemente quella persona e quindi a soffrire?
Si continua a voler soffrire.
Io credo anche che la separazione sia stata accettata,
e di fatti si riesce a parlarne tranquillamente.
Esiste allora un senso di colpa legato alla morte del nostro caro?
"Lui è morto, quindi il minimo che io possa fare è stare male,
ricordarlo in ogni momento e soffrire. "
Cosa dice la psicologia a proposito?
Ringrazio anticipatamente chiunque mi risponderà.
Questo discorso sembra nascondere da un lato un senso di colpa e di dovere ma in realtà non penso che sia il vero significato, il vero significato è: se smetto di soffrire, smetto di ricordare, se smetto di ricordare, perdo la persona per sempre. E' un modo di trattenerla vicino, di trattenere il tempo.
Se la vita ricomincia a scorrere e non è più scandita dal ricordo e dalla sofferenza, significa che di quella persona non c'è più traccia, è come se morisse di nuovo. Quindi si continua a trattenere.
Giusto quello che dice Elena, per me è stato così perlomeno. Avevo necessità di parlarne continuamente, NONOSTANTE il dolore, per continuare a sentirlo in qualche modo presente.
Sì è come se si mantenesse viva quella persona , anche se ricordarla sempre appunto provoca dolore .
Ma soffrire e ricordare il passato costantemente, significa non vivere un presente sereno.
Servirebbe un compromesso. Una scorciatoia del pensiero grazie alla quale se ne accetti il ricordo, ma serenamente. Il lutto non ha una data recentissima, ma nemmeno remota. Credete sia solo una questione di tempo?
sì, l'elaborazione del lutto ha il suo tempo, non si può forzare
Vado al dunque:
un mio caro soffre per questo dolore.
Io difronte alla morte sono tristemente sprovveduta.
Le parole diventano vacue ed io Vorrei fare qualcosa di reale, aiutare a varcare la soglia del dolore con la chiave giusta. Non riesco a vedere qualcuno che amo soffrire e stare con le mani in mano...
anticamente c'era il concetto di onorare la persona che era morta, quindi forse serviva in questo passaggio, magari fare una cosa bella che piaceva anche a questa persona e mandare un pensiero, dedicargliela. Ogni volta che viene in mente pensare con amore, forse questo lenisce la sofferenza.
Già. Un po' come nel caligola di camus, quando lui si accorge che per anni aveva mascherato i suoi comportamenti dietro l'idea che fosse tutta colpa della morte della sua bella; che non riuscisse a fare i conti cn tale morte, e quindi agisse da pazzo, pazzo per il dolore; quando infine scopre dentro se stesso che non era così
"Io rido, Cesonia, quando penso che per anni ed anni Roma ha evitato di pronunciare il nome di Drusilla. Perché, capisci?, Roma per anni ed anni è vissuta in questo errore. L’amore non mi basta: l’ho capito allora. E questo capisco oggi quando ti guardo. Amare una persona vuol dire accettare d’invecchiare con lei. Di questo amore io non sono capace. Una Drusilla vecchia sarebbe stata molto peggio di una Drusilla morta. Si crede che un uomo soffra perché un giorno gli muore quella che ama. No; la sua vera pena non è così futile : la vera pena è di accorgersi che neanche il dolore dura ; e che, allora, neanche il dolore ha più un senso. Vedi? Non avevo scuse.
Neanche l’ombra di un amore né l’amarezza della malinconia. Non ho alibi. Ma oggi eccomi già più libero di qualche anno fa : liberato come sono, oggi, dal ricordo e dall’illusione. (Ride d’un riso appassionato). Io so che nullasta. Sapere questo! Solo in due o tre nella storia, abbiamo fatto questa esperienza e raggiunto questa felicità demente"
Camus, Caligola
Meraviglioso. Camus non si smentisce mai
Mi hai fatto pensare ad un mio paziente che da tre anni non vuole pronunciare il nome della donna che l ha lasciato, e che non butta nulla in casa legato a lei persino il cibo in frigo confezionato chiuso da allora. Lui interpreta il non nominarla come un non volerle dare ulteriore importanza,naturalmente è esattamente il contrario e indica la sua difficoltà a lasciarla andare,a reificare questo abbandono facendo uscire da sé qualcosa di lei,anche solo il nome. Scherzo del destino,ma mica tanto, egli stesso non é mai stato chiamato da bambino col suo nome dal padre,ma "ragazzo"nel loro dialetto,perché il nome l aveva scelto la madre rifiutando di dare quello del nonno paterno. Il nome é l identità e tante altre cose. Si dovrebbe approfondire la portata psicologica di questo aspetto.
Direi proprio di si: il senso di colpa per chi rimane rispetto a chi se ne è andato; il "dover" continuare a vivere seppure nel dolore di chi non c'è più; l'espiare nel dolore dell'autoflagellazione la colpa di essere ancora vivi, sono tutti aspetti della fenomenologia del lutto. Il dolore serve alla elaborazione del lutto stesso, ma può anche servire a non staccarsi dal defunto, perché è solo nel dolore dello strappo della separazione che, paradossalmente, c'è e ci può essere un legame con chi non c'è più. Diventa necessario allora uscire dal dolore autopersecutorio, per trasfigurarlo secondo la logica di un sacrificio dell'amore irrassegnabile per l'altro, attraverso l'amore per se stessi. Non posso dimostrare a me stesso di amare l'altro facendomi del male, tentando in questa maniera di placare il senso di colpa per il mio essere ancora vivo; ma devo altresì onorare la sua memoria mediante il ricordo di ciò che di positivo mi ha lasciato nella sua vita, ciò che mi ha insegnato, e i sentimenti e le emozioni che mi ha permesso di vivere. Tra l'amore per l'altro che non c'è più e il senso di colpa rispetto ad esso, bisogna accettare non solo la morte dell'altro, ma l'impossibilità che i miei sentimenti abbiano un oggetto concreto, vivente, su cui dirigersi (vedi il saggio di Freud sul lutto e la melanconia), e quindi affrontare in un certo qual modo il lutto per se stessi e per i propri sentimenti. Riservando invece uno spazio mentale circoscritto all'immagine della persona amata, rispetto alla quale torneremo costantemente, comunque, più o meno per tutta la vita. Un conto è il pianto e la disperazione per chi non c'è più, come attività luttuosa che permette di scandire le diverse fasi del processo che permette il distacco dai ricordi dolorosi; un conto è la ricerca ossessiva e autopunitiva di quegli stessi ricordi, al fine di tenere aggrappato a sé, in un'immagine che oramai è solo il simulacro del proprio senso di colpa, la persona defunta.
Myriam è vero è triste vedere le persone che amiamo soffrire . Ma è un passaggio obbligato da fare e specie per questa persona che soffre per la morte di un suo caro . Le parole in questi casi non servono a molto visto che poi la morte è anche recente . Però la tua presenza con un abbraccio con una tua carezza e con il tuo affetto aiutano tanto in questi casi . Prima o poi passerà .
E' esattamente della "ricerca ossessiva e autopunitiva di quegli stessi ricordi" che parlo. Omar hai centrato il bersaglio...
sì ma sotto c'è il tentativo di trattenere proprio il dolore perché se il dolore è vivo, allora è vivo anche il ricordo e continui a far vivere dentro di te la persona.
per fare una considerazione di carattere generale posso dire che al di là di sensi di colpa o meno smettere di soffrire può apparire per chi resta come un tradimento . Si pensa ... io vorrei essere dimenticato , vorrei che nessuno soffrisse più per me ? dobbiamo invece pensare che il modo migliore per tenere in vita un nostro caro e quello di lasciarlo vivere fra noi come un vivo tra i vivi , come colui che ancora riesce ad a colorare la nostra quotidianità.
D'altro canto le culture più avanzate della nostra, cioè tutte fino a qualche secolo fa, avevano tutti il culto degli antenati, dei morti, dei lari; era un qualcosa di integrato nel sistema di vita; qualcosa resiste ancora nelle visite al cimitero durante i morti (ma sempre meno e meno convintamente): in questo modo i morti continuavano a vivere con noi, non c'era il rischio di eliminarli, dimenticarli, fare come se non ci fossero mai stati; oggi, che la morta è negata, anche i morti sono negati; e tutto viene demandato alla sensibilità del singolo, che deve ogni volta inventare soluzioni nuove per ricordare, non dimenticare; le tradizioni servivano a incanalare certe cose in sistemi condivisi, nel dare uno sviluppo "istituzionale" a certi bisogni fondamentali
Io sono terrorizzata dall'idea di perdere i miei genitori, per quanto abbia con loro un rapporto difficile per certi versi, non ho idea di come farò, penso che sia una delle prove più difficili della vita. Eppure nelle persone intorno a me ho visto che la vita continua. Il fatto del senso di colpa per la vita che continua è solo un mascheramento del terrore di fronte al distacco, dell'idea che il mondo continua anche se (qui) non ci sono più. Penso che sia superabile solo dal rito, come dice Lucia "lasciarlo vivere tra noi come un vivo tra i vivi" . E' la stessa sensazione che ho con le fotografie o i video o la voce registrata dove si vedono i miei nonni. serve per ricordare ma niente vince il distacco, il ricordo scivola via, la vita scorre comunque, rimane solo l'amore nel ricordare. Rimane se sento un profumo o vedo qualcosa che piaceva anche a loro ed ecco che improvvisamente sono vivi tra i vivi.
Ad esempio ora, mentre scrivevo, manco a farlo apposta è arrivata mia mamma a dirmi che in tv stanno facendo la maionese come la faceva il nonno, era una sua specialità e abbiamo riso ricordando come si è arrabbiato una volta in cui si è rotto il frustino ed è volata maionese ovunque.
Ho dei pensieri simili riguardo ai miei genitori; anzi no, riguardo mia madre perlopiù. Ho idea che la loro dipartita sarà un dramma apocalittico; tanto più se uno non riesce in qualche modo a formarsi una sua di famiglia, riformando quindi, in modo diverso ma simile, un qualcosa tipo quello che hai avuto. Perdere i genitori senza essersi formati una famiglia è, secondo me, come perdere tutto quel che ci radica al suolo; significa rimanere sul serio soli (qui si nota quanto faccia affidamento sugli amici, e quanto consideri permanenti le ragazze che frequento...)
Ho perso mio padre tre anni fa, oltre a non aver accettato la sua morte (preferisco pensare che si è allontanato, razionalmente so che non tornerà ma la sola idea mica distrugge), ricordarmi di lui mi fa soffrire molto e cerco questa sofferenza per rivivere la sofferenza che provavo quando lui si allontanava (spesso per lunghi periodi spariva), cerco di rivivere il dolore che mi arrecava allontanandosi.
Credo si possa, a me è successo quando è morto mio padre. Ho contato i giorni dal suo decesso per i primi due anni quasi. Gli scrivevo, gli parlavo... Poi mi sono auto accusato di "occultamento di cadavere", ho riconosicuto che non c'era più e gli ho dato degna sepoltura dentro il mio spirito.
quando ne perdi una,quando ne perdi quattro in poco tempo e mentre giaci già in una pessima situazione di tuo-aut aut-o reagisci o reagisci..alla fine capisci che è solo una questione di tempo,un attimo come qualche anno.L'importante è non buttarsi via ma tentare al significato,forse realizzarlo mai ma il tentarlo,almeno per me dà pace.Sensi di colpa come quelli di perdita,irrecuperabile.Pesano,come benzina nel serbatoio.
Chi soffre generalmente è convinto di essere l'unico a soffrire, ma se vogliamo vedere la cosa dal punto di vista del dipartito, così per andare un pochino oltre il nostro ego, per costui avere qualcuno che, non riuscendo a metabolizzarne la scomparsa, quotidianamente se ne strugge, non è affatto piacevole e può ritardarne l'ascesa verso i lidi a lui destinati. Ci sono teorie, che per quanto possano apparire estreme, (personalmente le seguo), consigliano addirittura di evitare di esporre nella propria casa, fotografie ed immagini dei propri cari defunti, ad evitare il continuum perpretarsi di legami e legacci,. In sintesi, un motivo in più per smettere di patire per i nostri trapassati, è questo di consentirgli di procedere serenamente nel proprio percorso ultraterreno.
accade spesso che chi subisce un lutto si aggrappi a quel dolore e ci costruisca intorno la sua identità.......come se la sofferenza fosse un abito cucito addosso che permette al soggetto di inibire ogni slancio deisiderante ...il dolore protegge
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