venerdì 30 marzo 2012

Ovidio. Crudelitas in animalia est tirocinium crudelitatis contra homines - La crudeltà verso gli animali è tirocinio della crudeltà contro gli uomini

I buoi che rifiutano il giogo prendono più bastonate di quelli che si adattano subito all'aratro.
Il cavallo ribelle si rovina la bocca sul duro morso, mentre quello che accetta i finimenti, lo sente meno. Così Amore grava molto più acerbamente e crudelmente su chi non si piega che su chi gli si sottomette.
Publio Ovidio Nasone


"Crudelitas in animalia est tirocinium crudelitatis contra homines."
La crudeltà contro gli animali è apprendistato della crudeltà contro gli umani
Publio Ovidio Nasone
(43 a .c.-17/18 d.c.) - poeta latino

Causa latet, vis est notisima
La causa è nascosta, l'effetto notissimo
Ovidio

Tendiamo sempre verso ciò che è proibito,
e desideriamo quello che ci è negato.
Ovidio

La porta della curia rimane chiusa per i poveri
Ovidio

Se si scuote la fiaccola, la fiamma agitata divampa più forte:
invece se nessuno la scuote, la fiamma muore
Ovidio


L'amore è una milizia: via di qui,
o gente fiacca, ché le sue bandiere
non impugni la mano di chi è vile!
La notte, la tempesta, il lungo andare,
il più crudo dolore, ogni fatica,
attendono chi vuol questa battaglia."
Ovidio, L'arte di amare


Ego nec sine te nec tecum vivere possum
Non riesco a vivere nè con te nè senza di te.
Publius Ovidius Naso, Amores 3.11 b
Ovidio, Gli Amori

Lottano tra loro e tirano il mio debole cuore in opposte direzioni
l’amore e l’odio ma (penso) vince l’amore.
Ti odierò se potro; altrimenti, ti amerò controvoglia:
anche il toro non ama il giogo che porta, eppure porta il giogo che che odia.
Fuggo dalla tua infedeltà, ma mi riporta indietro la tua bellezza;
detesto la tua condotta colpevole,ma amo il tuo corpo.
Così non riesco a vivere nè con te nè senza di te,
e mi sembra di non sapere che cosa voglio davvero.
  Vorrei che tu fossi meno bella o meno impudica:
una bellezza così incantevole non si accorda con costumi corrotti.
Le tue azioni meritano l'odio, il tuo bel viso induce all'amore:
o me infelice, esso è più potente delle tue colpe!
Rispàrmiami, te ne prego, per i diritti del letto che ci unisce,
in nome di tutti gli dèi, che spesso si lasciano ingannare da te,
in nome della tua bellezza, che per me ha potere divino,
in nome dei tuoi occhi, che hanno conquistato i miei!
Comunque ti comporterai, sarai sempre mia; tu scegli soltanto
se vuoi che io ti ami perché anch'io lo desidero, oppure perché vi sono costretto!
Piuttosto alzerei le vele e mi affiderei al soffio dei venti
e vorrei una donna che, s'io non volessi, mi costringesse ad amarla.

Luctantur pectusque leve in contraria tendunt hac amor hac odium, sed, puto, vincit amor. odero, si potero; si non, invitus amabo. nec iuga taurus amat; quae tamen odit, habet. nequitiam fugio -- fugientem forma reducit; aversor morum crimina -- corpus amo. sic ego nec sine te nec tecum vivere possum, et videor voti nescius esse mei. aut formosa fores minus, aut minus inproba, vellem; non facit ad mores tam bona forma malos. facta merent odium, facies exorat amorem -- me miserum, vitiis plus valet illa suis! Parce, per o lecti socialia iura, per omnis qui dant fallendos se tibi saepe deos, perque tuam faciem, magni mihi numinis instar, perque tuos oculos, qui rapuere meos! quidquid eris, mea semper eris; tu selige tantum, me quoque velle velis, anne coactus amem! lintea dem potius ventisque ferentibus utar, ut, quam, si nolim, cogar amare, velim.





"Corri più piano, ti prego, rallenta la tua fuga e anch'io t'inseguirò più piano". Senza più forze, vinta dalla fatica di quella corsa allo spasimo, Dafne si rivolge alle correnti del Peneo: «Aiutami, padre», dice.
«Se voi fiumi avete qualche potere,dissolvi, mutandole, queste mie fattezze.
"Allora un torpore profondo pervade le sue membra,il petto morbido si fascia di fibre sottili,
i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami;
i piedi, così veloci un tempo, s'inchiodano in pigre radici, il volto svanisce in una chioma.
Ovidio, Le Metamorfosi


L'anno si snoda in quattro stagioni diverse, come se cercasse d'imitare la nostra vita. Tenero, come un bambino che succhi ancora il latte, è l'anno a primavera: allora l'erba fresca e ancora elastica è turgida, morbida, e incanta di speranze i contadini; allora tutto fiorisce e del colore dei fiori sorride la campagna in sboccio, ma nelle fronde ancora non c'è forza. Dopo primavera, l'anno invigorito si trasforma in estate crescendo in baldo giovane: non c'è infatti stagione più robusta, stagione più feconda o ardente dell'estate. E viene l'autunno che, perduto il fervore della giovinezza, è maturo e mite, giusto in equilibrio fra un giovane e un vecchio, con qualche capello bianco sparso sulle tempie. Infine con passo incerto, senile e squallido, giunge l'inverno, spoglio dei suoi capelli o, se qualcuno gliene rimane, canuto. Anche il nostro corpo si modifica senza sosta, continuamente, e domani più non saremo ciò che siamo stati o che siamo.
Publio Ovidio Nasone, Metamorphoseon


Prima del mare e della terra e del cielo che tutto ricopre, unico e indistinto era l'aspetto della natura in tutto l'universo, e lo dissero Caos, mole informe e confusa, nient'altro che peso inerte, ammasso di germi discordi di cose mal combinate. Nessun Titano ancora donava al mondo la luce, né Febe ricolmava crescendo la sua falce, né la terra, creato il proprio equilibrio, stava immersa e sospesa nell'aria, né Anfitrite aveva proteso le braccia a ricingere i lunghi orli della terraferma. E per quanto lì ci fosse la terra, e il mare, e l'aria priva di luce: nulla riusciva a mantenere la sua forma, ogni cosa contrastava le altre, poiché nello stesso corpo il freddo lottava col caldo, l'umido con l'asciutto, il molle col duro, il peso con l'assenza di peso
Ovidio, Le metamorfosi


Presi un pugno di sabbia e glielo porsi, scioccamente chiedendo un anno di vita per ogni granello; mi scordai di chiedere che fossero anni di giovinezza.
Ovidio, Le metamorfosi


Apollo l'ama, e abbraccia la pianta come se fosse il corpo della ninfa; ne bacia i rami, ma l'albero sembra ribellarsi a quei baci. Allora il dio deluso così le dice:
"Poichè tu non puoi essere mia sposa, sarai almeno l'albero mio: 
di te sempre, o lauro, saranno ornati i miei capelli, la mia cetra, la mia faretra"
Ovidio, Le metamorfosi.  I, 555-559

«Astenetevi, o mortali, dal contaminarvi il corpo con pietanze empie
Ci sono i cereali, ci sono i frutti che piegano con il loro peso i rami, grappoli d’uva turgidi sulle viti. Ci sono verdure deliziose, ce n’è di quelle che si possono rendere più buone con la cottura. E nessuno vi proibisce il latte, e il miele che profuma di timo. La terra generosa vi fornisce ogni ben di dio e vi offre banchetti senza bisogno di uccisioni e di sangue.
Ah, che delitto enorme è cacciare visceri nei visceri, ingrassare il corpo ingordo stipandovi dentro un altro corpo, vivere della morte di un altro essere vivente!
In mezzo a tutta l’abbondanza di prodotti della Terra, la migliore di tutte le madri, davvero non ti piace altro che masticare con dente crudele povere carni piagate, facendo il verso col muso ai Ciclopi? E solo distruggendo un altro potrai placare lo sfinimento di un ventre vorace e vizioso?»
Ovidio, Le metamorfosi, XV, 75-95

Ermafrodito, come è stato chiamato, che era nato da Ermes e di Afrodite e ha ricevuto un nome che è una combinazione di quelli di entrambi i genitori. Alcuni dicono che questo è un dio e appare in certi momenti tra gli uomini, e che egli è nato con un corpo fisico che è una combinazione di quella di un uomo e quella di una donna, in quanto egli ha un corpo che è bello e delicato come quello di una donna, ma ha la qualità maschile e il vigore di un uomo.
Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi libro IV

Figlio di Hermes e Afrodite, Ermafrodito è un bellissimo giovane dai lunghi capelli ("aveva un aspetto così bello che potevano esservi riconosciuti il padre e la madre; persino il nome era tratto dai loro") di cui si innamora follemente la ninfa Salmace ("vide il ragazzo e, alla sua vista, decise di averlo"). Respinta ("un rossore si diffuse in volto al ragazzo -non sa cosa sia l'amore- Smettila! -urlò- altrimenti me ne vado e ti abbandono qui!"), la ninfa gli tende un agguato sulla riva del laghetto in cui il giovane, nudo, si bagna ("e allora, ammirata, s'infiamma di desiderio per quella nuda bellezza! Di fiamma le si accendono gli occhi... ormai smania d'abbracciarlo, ormai fuori di sé non può frenarsi"). Posseduta dal furore della passione erotica, lo assale ("Ho vinto! E' mio!"), ingaggia con lui una lotta corpo a corpo ("afferra l'adolescente che si dibatte e a viva forza gli strappa baci, lo accarezza sotto il ventre, gli palpa il petto"), gli si avvinghia stretta e supplica gli dèi di non venirne mai separata ("Dibattiti, dibattiti, tanto, infame, non mi sfuggirai! Fate che mai venga il giorno, o dèi, che da me lui si stacchi ed io da lui!"). Gli dèi accolgono la sua implorazione e da quel momento Ermafrodito sarà nel corpo e nell'anima un unico essere maschile e femminile ("così, quando le loro membra si fusero in quel tenace abbraccio, non furono più due, ma un essere doppio che femmina non è o giovinetto, che ha l'aspetto di entrambi e di nessuno dei due").
Ovidio, Metamorfosi, IV, 46-47


E, disgustato dai vizi che la natura
diede in così gran numero all’indole femminile, visse a lungo
celibe senza moglie, senza compagna di letto.
Nel frattempo scolpì con arte mirabile
il candido avorio, e gli diede una forma con cui non può nascere
nessuna donna, e s’innamorò della sua opera:
l’aspetto è quello di una ragazza vera, e si crederebbe
che sia viva e voglia muoversi, salvo il pudore;
a tal punto l’arte nasconde l’arte. La guarda
e si consuma d’amore per il corpo finto.
Spesso avvicina le mani per tastare se sia
carne o avorio, e neanche allora si persuade che è avorio.
La bacia e crede di essere a sua volta baciato,
le parla, la tocca e crede che le sue dita
s’imprimano sulle membra, teme che restino lividi.
Ora usa blandizie, ora i regali che piacciono
alle ragazze, conchiglie e pietruzze lisce,
uccellini e fiori di mille colori,
gigli, palline colorate e le lacrime
delle Eliadi cadute dall’albero; veste la statua,
le mette anelli alle dita, lunghi monili al collo,
perle alle orecchie e pendenti sul petto:
tutto le sta bene, ma nuda non è meno bella.
La mette in un letto coperto di porpora,
la chiama sua compagna, le adagia il capo
sulle morbide piume, come potesse sentirle.
Era venuto il giorno della festa di Venere,
celebrata in tutta Cipro, e le giovenche dalle ampie corna dorate
erano cadute, colpite nel candido collo;
fumavano gli incensi e Pigmalione, compiute
le offerte, rimase in piedi e disse con voce esitante:
«Se voi potete tutto, fate che sia mia moglie», e non osò dire
“la ragazza d’avorio”, ma disse «qualcuna che le somigli».
Ma l’aurea Venere, che era presente alla sua festa,
capì il vero senso della preghiera, ed in segno
del suo favore la fiamma si accese tre volte e guizzò la punta nell’aria.
Tornato a casa, andò dalla statua della sua ragazza,
si gettò sul letto a baciarla, e gli parve che si riscaldasse.
Di nuovo la bacia, le tocca il petto,
e l’avorio toccato s’ammorbidisce dalla sua durezza
e cede alle dita come la cera d’Imetto
s’ammorbidisce al sole e, trattata dal pollice,
assume moltissime forme e con l’uso diventa usabile.
Mentre stupisce e gode, ma la sua gioia è dubbiosa, temendo l’inganno,
l’innamorato tocca e ritocca l’oggetto del suo desiderio.
Era davvero un corpo: le vene toccate pulsavano.
Allora l’eroe di Pafo pensò le parole più piene
per rendere grazie alla dea, e intanto con le sue labbra
preme quelle altre labbra finalmente vere, e la ragazza
sentì i baci e arrossì e, sollevando alla luce
gli occhi timidi, vide insieme il cielo e l’amante.
La dea fu presente alle nozze che aveva volute,
e quando la luna fu piena per la nona volta,
partorì Pafo, da cui l’isola ebbe il suo nome.
Ovidio, Metamorfosi X, 243-297



Da chi avete imparato ad amare, ora imparate a guarire.
Ovidio, da Rimedi dell’amore


Giove dall'alto sorride degli spergiuri degli amanti e
lascia che i venti di Eolo se li portino via  senza effetto.
Ovidio, Ars amatoria, I, 633-634


"Lottano fra loro e straziano il mio debole cuore l’amore e l’odio: e so che vincerà l’amore.
Ti odierò se potrò, altrimenti, ti amerò mio malgrado.
Anche il toro non ama il giogo, eppure ne è schiavo.
Fuggo la tua infedeltà, ma mi riporta indietro la tua bellezza;
detesto la tua malizia, ma amo il tuo corpo.
E quindi non riesco a vivere, né con te, né senza di te.
E non capisco cosa voglio davvero.”
Publio Ovidio Nasone,43 a.C./18 d.C, "Amores"


Nella vita ci sono, abbiamo sempre gli opposti;
ciò che ci allontana e avvicina, schiavizza e libera,
ci addolora e guarisce, ci insegue e ci abbandona,
ci vuole liberi e al tempo stesso dimoranti
Publio Ovidio Nasone



.......Un dolce sonno si insinuò di nascosto negli occhi vinti, e la mano, ormai languida, le cadde dal mento. Marte la vede, desidera colei che ha visto e prende colei che ha desiderato, e con divino inganno le cela il furto d'amore. Se ne va nel sonno, lei giace gravida. Ormai nelle sue viscere era il fondatore di Roma.
Ovidio, Fasti III 11-24. Trad. Carandini



ARACNE TRASFORMATA IN RAGNO DA MINERVA
“Aracne, fanciulla d'umili origini nativa della Lidia, tesseva tele mirabilmente e le ricamava con l'ago in modo splendido. Un giorno Aracne, con gran superbia in pubblico s'era paragonata a Minerva, dea delle arti. Allora la dea, saputolo, si recò in Lidia dalla giovinetta in sembianze d'una vecchia e l'ammonì: "Nessuna delle mortali ti supera nell'arte del tessere, ma certamente non sei all'altezza di Minerva!". Ma Aracne rispose arrogantemente a Minerva "Le mie tele sono meravigliose; neppure la dea Minerva supera la mia perizia". Allora la dea adirata cancellò da sè le sembianze senili, si rivelò e disse "Scellerata, quando sperimenterai il castigo per la tua superbia, invano invocherai il mio perdono! Sempre penderai da un filo, trarrai fili in giù e tesserai in eterno!" e subito trasformò in ragno la misera ragazza”.
Ovidio



In quel giorno è anche consuetudine che la Vestale getti dal ponte
di quercia immagini di vecchi uomini fatte di giunchi.
Chi crede che fossero davvero immolati in tal modo uomini
di più di sessant'anni, accusa gli avi di una colpa scellerata.
E' di antica tradizione, quando la terra fu chiamata Saturnia,
che il fatidico Giove abbia detto queste parole:
"Gettate nelle acque del Tosco fiume due del popolo
in qualità di sacrificio al vecchio portatore di falce"
Finché il Tirinzio venne in questi campi, ogni anno
l'atroce rito fu compiuto così, come a Leucade*:
ma egli gettò nel fiume, invece di Quiriti, fantocci di paglia:
seguendo l'esempio di Ercole si gettano corpi finti.
Alcuni ritengono che i giovani precipitassero dai ponti
i vecchi ammalati per essere soli a votare.
Ma tu, o Tevere, rivela la verità…
Ovidio,  Fasti, V, 620 ss.

*Leucade: isola e città omonima sulle coste occidentali della Grecia.






Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-1625, 
Roma, Galleria Borghese, marmo, cm 243


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