Piantava querce.
[…] Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori o di tutto quel che c’è di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla
Da “L’uomo che piantava gli alberi” Jean Giono (1953)
Agostino Degas:
“Ho messo alberi sul campo, storie ne ho scritte che se ne vanno in giro tra le mani, ma i semi della vita non li ho rimessi al mondo. Sono in debito, ho mancato in spargimento.”
da “Sulla traccia di Nives” - Erri De Luca
“Ho messo alberi sul campo, storie ne ho scritte che se ne vanno in giro tra le mani, ma i semi della vita non li ho rimessi al mondo. Sono in debito, ho mancato in spargimento.”
da “Sulla traccia di Nives” - Erri De Luca
Luigi Luciano Piscitelli:
... molto bello il film d'animazione di Frédérick Back tratto dal romanzo di Jean Giono; vincitore del premio Oscar per il miglior cortometraggio d'animazione nel 1988 ... Buona visione :-)
... molto bello il film d'animazione di Frédérick Back tratto dal romanzo di Jean Giono; vincitore del premio Oscar per il miglior cortometraggio d'animazione nel 1988 ... Buona visione :-)
"L'arte è la scienza resa chiara"
Jean Cocteau
Masanobu Fukuoka:
“Quando un contadino lavora fa cultura”
“La vera cultura nasce dalla natura, ed è semplice, umile, pura.”
I principi rivoluzionari dell'agricoltura del non fare del metodo Fukuoka sono:
- non arare
- non diserbare
- non concimare
- non potare.
Masanobu Fukuoka
"Aveva continuato imperturbabilmente a piantare. Le querce del 19 10 avevano adesso dieci anni ed erano più alte di me e di lui. Lo spettacolo era impressionante. Ero letteralmente ammutolito e, poiché lui non parlava, passammo l'intera giornata a passeggiare in silenzio per la sua foresta. Misurava, in tre tronconi, undici chilometri nella sua lunghezza massima. Se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall'anima di quell'uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione. Se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall'anima di quell'uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione."
"L'uomo che piantava gli alberi" è un racconto di Jean Giono, pubblicato nel 1953, ma è anche un film d'animazione che nel 1987 vinse il Premio Oscar come migliore cortometraggio di animazione. Ma è soprattutto una favola dedicata all'ambiente per bambini ed adulti, un messaggio di riconciliazione dell'uomo con madre natura, un messaggio di rinascita della foresta e della vita là dove erano state incoscientemente annientate.
Durante una delle sue passeggiate in Provenza, Jean Giono incontra un uomo straordinario, un pastore solitario e tranquillo, di poche parole, che prova piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane.
Nonostante la sua semplicità e la totale solitudine in cui vive, quest'uomo inizia a compiere una grande azione, un'impresa che avrebbe cambiato la faccia della sua terra e la vita delle generazioni future: trasforma una terra desolata in uno spazio verde e fertile.
Ecco un brevissimo estratto del libro.
"Il pastore che non fumava prese un sacco e rovesciò sul tavolo un mucchio di ghiande. Si mise a esaminarle l'una dopo l'altra con grande attenzione, separando le buone dalle guaste. Gli proposi di aiutarlo. Mi rispose che era affar suo. In effetti, vista la cura che metteva in quel lavoro, non insistetti. Fu tutta la nostra conversazione. Quando ebbe messo dalla parte delle buone un mucchio abbastanza grosso di ghiande, le divise in mucchietti da dieci. Così facendo, eliminò ancora i frutti piccoli o quelli leggermente screpolati, poiché li esaminava molto da vicino. Quando infine ebbe davanti a sé cento ghiande perfette, si fermò e andammo a dormire".
Scarica libro pdf: http://www.webalice.it/orsettovirtuale/libro.pdf
"L'uomo che piantava gli alberi" è un racconto di Jean Giono, pubblicato nel 1953, ma è anche un film d'animazione che nel 1987 vinse il Premio Oscar come migliore cortometraggio di animazione. Ma è soprattutto una favola dedicata all'ambiente per bambini ed adulti, un messaggio di riconciliazione dell'uomo con madre natura, un messaggio di rinascita della foresta e della vita là dove erano state incoscientemente annientate.
Durante una delle sue passeggiate in Provenza, Jean Giono incontra un uomo straordinario, un pastore solitario e tranquillo, di poche parole, che prova piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane.
Nonostante la sua semplicità e la totale solitudine in cui vive, quest'uomo inizia a compiere una grande azione, un'impresa che avrebbe cambiato la faccia della sua terra e la vita delle generazioni future: trasforma una terra desolata in uno spazio verde e fertile.
Ecco un brevissimo estratto del libro.
"Il pastore che non fumava prese un sacco e rovesciò sul tavolo un mucchio di ghiande. Si mise a esaminarle l'una dopo l'altra con grande attenzione, separando le buone dalle guaste. Gli proposi di aiutarlo. Mi rispose che era affar suo. In effetti, vista la cura che metteva in quel lavoro, non insistetti. Fu tutta la nostra conversazione. Quando ebbe messo dalla parte delle buone un mucchio abbastanza grosso di ghiande, le divise in mucchietti da dieci. Così facendo, eliminò ancora i frutti piccoli o quelli leggermente screpolati, poiché li esaminava molto da vicino. Quando infine ebbe davanti a sé cento ghiande perfette, si fermò e andammo a dormire".
Scarica libro pdf: http://www.webalice.it/orsettovirtuale/libro.pdf
Film d'animazione di Frédérick Back tratto dal romanzo di Jean Giono. Vincitore del premio Oscar per il miglior cortometraggio d'animazione nel 1988.
Questo cortometraggio è meraviglioso. Lo rivedrei all'ìnfinito. Quell'inciso descrittivo del cane del pastore, "affettuoso senza bassezza" (5:55 circa), dice tutto, e molto di più.
L'uomo che piantava gli alberi. Un racconto di Jean Giono.
Una quarantina circa di anni fa stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza. Si trattava, quando intrapresi la mia lunga passeggiata in quel deserto, di lande nude e monotone, tra i 1200 e 1300 metri di altitudine, l'unica vegetazione che vi cresceva era la lavanda selvatica. Attraversavo la regione per la sua massima larghezza e dopo tre giorni di marcia mi trovavo in mezzo ad una desolazione senza pari. Mi accampai di fianco allo scheletro di un villaggio abbandonato, non avevo più acqua dal giorno prima e avevo necessità di trovarne. Quell'agglomerato di case, benché in rovina, simile ad un vecchio alveare, mi fece pensare che dovevano esserci stati, una volta, una fonte o un pozzo; c'era difatti una fonte, ma secca. Le cinque o sei case senza tetto, corrose dal vento e dalla pioggia, e la piccola cappella col campanile crollato, erano disposte come le case e le cappelle dei villaggi abitati, ma la vita era scomparsa. Era una bella giornata di giugno, molto assolata; ma, su quelle terre senza riparo e alte nel cielo il vento soffiava con brutalità insopportabile. I suoi ruggiti nelle casse delle case erano quelli di una belva molestata durante il pasto; dovetti riprendere la marcia.
Cinque ore più tardi non avevo ancora trovato acqua e nulla mi dava speranza di trovarne, dappertutto la stessa aridità, le stesse erbacce lignose. Mi parve di scorgere in lontananza una piccola sagoma nera, in piedi; la presi per il tronco di un albero solitario. Ad ogni modo mi avvicinai. Era un pastore, una trentina di pecore sdraiate sulla terra cocente si riposavano accanto a lui. Mi fece bere dalla sua borraccia, e poco più tardi mi portò nel suo ovile in una ondulazione del pianoro. Tirava su l'acqua, ottima, da un foro naturale, molto profondo, al di sopra del quale aveva installato un rudimentale verricello.
L'uomo parlava poco, com'è nella natura dei solitari, ma lo si sentiva sicuro di sé e confidente in quella sicurezza.
Una quarantina circa di anni fa stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza. Si trattava, quando intrapresi la mia lunga passeggiata in quel deserto, di lande nude e monotone, tra i 1200 e 1300 metri di altitudine, l'unica vegetazione che vi cresceva era la lavanda selvatica. Attraversavo la regione per la sua massima larghezza e dopo tre giorni di marcia mi trovavo in mezzo ad una desolazione senza pari. Mi accampai di fianco allo scheletro di un villaggio abbandonato, non avevo più acqua dal giorno prima e avevo necessità di trovarne. Quell'agglomerato di case, benché in rovina, simile ad un vecchio alveare, mi fece pensare che dovevano esserci stati, una volta, una fonte o un pozzo; c'era difatti una fonte, ma secca. Le cinque o sei case senza tetto, corrose dal vento e dalla pioggia, e la piccola cappella col campanile crollato, erano disposte come le case e le cappelle dei villaggi abitati, ma la vita era scomparsa. Era una bella giornata di giugno, molto assolata; ma, su quelle terre senza riparo e alte nel cielo il vento soffiava con brutalità insopportabile. I suoi ruggiti nelle casse delle case erano quelli di una belva molestata durante il pasto; dovetti riprendere la marcia.
Cinque ore più tardi non avevo ancora trovato acqua e nulla mi dava speranza di trovarne, dappertutto la stessa aridità, le stesse erbacce lignose. Mi parve di scorgere in lontananza una piccola sagoma nera, in piedi; la presi per il tronco di un albero solitario. Ad ogni modo mi avvicinai. Era un pastore, una trentina di pecore sdraiate sulla terra cocente si riposavano accanto a lui. Mi fece bere dalla sua borraccia, e poco più tardi mi portò nel suo ovile in una ondulazione del pianoro. Tirava su l'acqua, ottima, da un foro naturale, molto profondo, al di sopra del quale aveva installato un rudimentale verricello.
L'uomo parlava poco, com'è nella natura dei solitari, ma lo si sentiva sicuro di sé e confidente in quella sicurezza.
Dipinto di Gustave Courbet – La quercia di Flagey (1864)