IL SILLOGISMO:
Sillogismo è propriamente un discorso in cui, posti alcuni elementi, risulta per necessità, attraverso gli elementi stabiliti, alcunché di differente da essi.
Aristotele, "Topici", I, 1, 100a
La forchetta ha tre denti
Mia nonna ha tre denti
Mia nonna è una forchetta
Tutti gli uomini sono mortali.
Socrate è un uomo.
Dunque Socrate è mortale
E’ POSSIBILE UNA DIMOSTRAZIONE RIGOROSA DELL’ESISTENZA DI
UNA DIVINITA’?
Aristotele: discepolo dell’Accademia di Platone,
fondatore del “Liceo”, uno dei più grandi geni dell’antichità, un pensatore che
è stato un punto di riferimento per svariati secoli. E’ lui che fa un grosso
sforzo per “salvare” il divenire, per salvarlo cioè dalla “contraddizione”
denunciata da Parmenide. Quale potrebbe essere questo sforzo?
Il divenire è un dato di fatto e contro un
fatto... non c'è logica che tenga.
La tua è un'osservazione pertinente. Aristotele, però, si
sente in dovere di battere Parmenide sul terreno della logica, sullo stesso
terreno cioè di Parmenide.
Aristotele usa una… macchina concettuale
complessa. Io ti presento i suoi termini-concetti chiave e poi ti invito ad
applicarli. Vediamoli. Aristotele, in contrasto con Parmenide e in sintonia con
Platone, ritiene che vi siano più significati di “essere”. Il concetto di
essere, cioè, per lui, non è "univoco", ma ha una molteplicità di significati.
L’essere, ad esempio, può “essere in potenza”. Cioè?
Si tratta – immagino - di possibilità: il seme è in
potenza pianta, cioè ha la possibilità di diventare pianta.
E' il significato che dà Aristotele: tu, ad esempio, sei
in potenza più vecchio; tu che in questo momento sei seduto, sei in potenza in
piedi.
Aristotele usa il termine "potenza” per indicare la
possibilità di una materia di assumere una determinata forma (forma di bambino,
di pianta...). Si può dire che ogni cosa è in potenza?
Immagino di sì: un bambino è in potenza grande,
il legno è in potenza cenere...
E' quanto pensa Aristotele. Questo almeno per le realtà
che appartengono al mondo della nostra osservazione.
Naturalmente non ogni cosa è in potenza qualsiasi altra
cosa: il seme di pianta non può essere in potenza bambino. Un altro termine che
fa da coppia con essere in potenza: essere in atto. Si tratta della
realizzazione della potenza: la pianta, quindi, è in atto rispetto al seme di
pianta.
Abbiamo parlato di “materia”. Esattamente è il materiale di cui è
costituita una cosa, materiale che può assumere forme diverse: il legno, ad
esempio, può assumere le forme di tavolo, di armadio, di sedia. Possiamo dire
che la “forma” è l’equivalente di “atto” come la “materia” è l’equivalente di
“potenza”: è materia tutto ciò che è in potenza di assumere una forma, di
passare cioè dalla potenza all'atto. Aristotele usa un altro termine sinonimo
per dire forma: entelechia, un termine tecnico che significa realizzazione della
potenza.
La “forma” (l’equivalente dell’“idea” di Platone) è
l’essenza, ciò che fa sì che una cosa sia quella cosa e non un’altra: la forma
di "tavolo" è ciò che fa sì che quel legno sia un tavolo e non, ad esempio, una
sedia. Ogni cosa del mondo sensibile è una unità ("sinolo" è il termine tecnico)
di "materia" e "forma". Il termine "forma" ha una qualche analogia con l'"idea"
platonica (ha come oggetto l’”essenza”), ma anche una differenza vistosa:
Aristotele - discepolo ribelle di Platone - sostiene che l'essenza di una cosa
sia immanente alla cosa stessa e non appartenga ad un mondo trascendente. In
altre parole – per lui - ciò che fa sì che un determinato uomo sia “uomo” (abbia
la “forma-essenza” di uomo) non è esterno all’uomo in carne ed ossa in questione
(non è un “modello” esterno, trascendente), ma interno, appunto “immanente”.
Aristotele parla anche di “materia prima”: cosa
vorrà dire?
Immagino che sia una materia del tutto priva di
forma: penso, ad esempio, all'argilla.
L'argilla la chiami così perché ha la forma di... argilla,
è quindi già un'unità di materia e forma, come del resto tutte le cose
sensibili.
La “materia prima” è una materia totalmente priva di
forma, è qualcosa che non appartiene al mondo sensibile. Oltre ad una materia
prima Aristotele introduce l’Atto Puro, un Atto cioè che non presenta alcuna
potenza. Vediamo più avanti il perché.
Aristotele introduce quattro tipi di “causa”: causa
formale (che si identifica con la "forma"), causa materiale (che si identifica
con il materiale di cui è composta una cosa), causa efficiente (ad esempio, lo
scultore rispetto alla statua) e causa finale (ad esempio, lo scopo del lavoro
dello scultore).
Un nuova coppia di termini: sostanza e accidenti.
Si tratta di termini che forse hai già sentito. Il termine "sostanza" ha tecnicamente il
significato di qualcosa che ha una sua esistenza autonoma, cioè di qualcosa che
non ha bisogno di appoggiarsi ad altro per esistere: esemplificando, se diciamo
"Giorgia è bella", Giorgia è una sostanza, mentre "bella" esiste solo come
qualità di Giorgia, cioè è un accidente. Sostanza è anche ciò che permane nel
mutamento: Giorgia da piccola diventa grande, assume nel tempo, cioè, accidenti
diversi permanendo però come Giorgia.
Aristotele definisce anche il principio di non
contraddizione. Di che si tratta? Prova ad intuire sulla base di quanto hai già
incontrato.
Immagino sia il principio formulato per la prima
volta da Parmenide, principio cioè secondo il quale l'essere è essere e non può
non essere.
Il punto di riferimento è sicuramente Parmenide.
Aristotele, però, sgancia il principio dall'essere parmenideo ed afferma
(riporto la formulazione di E. Berti, Introduzione alla metafisica, Utet, 1993,
pag. 75) che "è impossibile che A sia B e A non sia B nello stesso tempo e sotto
il medesimo aspetto". In altre parole sostiene che un soggetto non può avere
attributi opposti, naturalmente nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto:
uno può benissimo essere alto rispetto a Caio e piccolo rispetto a Sempronio, ma
in questo caso i due opposti non sarebbero predicati sotto il medesimo
aspetto.
Le definizioni sono finite. Sono "ferri del mestiere” che
ora devi usare bene. Cominciamo. Per Aristotele il divenire non è
contraddittorio. Perché mai?
Il divenire non implica alcuna contraddizione in
quanto non è un semplice passaggio dal non essere all'essere, ma dall'essere in
potenza all'essere in atto.
Hai applicato bene i primi concetti di Aristotele: per
Aristotele il divenire non è per nulla un passaggio dal non essere all'essere e
viceversa, ma un semplice passaggio dall'essere in potenza all'essere in
atto.
Il divenire non può essere spiegato solo come passaggio
dall’essere in potenza all’essere in atto o come passaggio – come direbbe
Aristotele – dalla “privazione della forma” all’acquisizione di tale forma. In
questi termini, infatti, si avrebbe comunque una contraddizione: avremmo, ad
esempio, una “non grandezza” che ad un certo punto è “grandezza”. Quale potrebbe
essere il passo successivo di Aristotele? Prova ad intuire.
Credo di applicare il concetto corretto: il
divenire non è mai un semplice passaggio dall'essere in potenza (o dalla
privazione della forma) all'essere in atto, ma è il divenire di “qualcosa” che
si chiama soggetto.
Stai entrando nella logica aristotelica. Se vuoi usare un
termine tecnico, potresti parlare di "sostanza” : è questa che passa dalla
potenza (o dalla privazione di una forma) all'atto.
Il divenire, anche con l’introduzione del concetto di
“sostanza” che diviene (il divenire è di un soggetto diveniente), non è ancora
del tutto salvo dalla contraddizione. Per Aristotele la forma che nel diveniente
passa dalla potenza all'atto non può che provenire da una realtà che contiene
tale forma già in atto, in definitiva da una Forma pura, in altre parole da un
Atto Puro. E’ qui che Aristotele introduce il concetto di “Dio”: Dio viene
introdotto per “salvare” il divenire. In altre parole, se non ci fosse Dio, il
divenire sarebbe contraddittorio, assurdo.
E’ quanto si diceva prima. Se il fuoco a sua volta
passasse dalla potenza all’atto, avrebbe bisogno di una realtà già in atto, ecc.
Ora, per evitare il processo all’infinito, dobbiamo dire che – in ultima analisi
– il divenire è spiegato solo se introduciamo un Essere che è solo Atto, solo
Forma, Atto e Forma senza alcuna potenza.
L'Atto Puro è visto da Aristotele anche come Motore
Immobile. Puoi intuire come Aristotele argomenta l'esigenza di affermare
l'esistenza di un Motore Immobile?
Ci provo. Ciò che muta ha bisogno di qualcosa che
lo muove; se a sua volta ciò che muove, muta, ha bisogno di qualcosa d'altro che
muove e così all'infinito.
Il tuo discorso sarebbe corretto se non avessi introdotto
il processo all'infinito: non ti sembrano due concetti (Motore immobile e
processo all'infinito) che fanno a pugni tra loro?
Riprendiamo il discorso. Ciò che muta ha bisogno di
qualcosa che lo muove e così via fino ad un Motore che muove, ma senza mutare.
Si tratta di una causa efficiente?
E' ovvio: come farebbe a muovere, se non fosse
causa efficiente?
Aristotele è convinto che il Motore Immobile non sia causa
efficiente perché se così facesse, muterebbe.
Per Aristotele il Motore Immobile muove non in quanto
causa “efficiente”, ma in quanto causa “finale” (attira - dice Aristotele - come
l'amato attira l'amante). La concezione aristotelica, quindi dell'universo è
"finalistica”. Esattamente in che cosa consisterà detto finalismo?
Immagino che abbia in qualche modo a che fare con
la concezione finalistica del Cristianesimo: l'universo è il prodotto di un
progetto divino e quindi ha un fine.
Non è proprio così. Il Dio di Aristotele non progetta
l'universo (questo non risulta), ma solo lo attira come fine ultimo
dell'universo stesso.
Allora, dato che l'Atto Puro non progetta il mondo, in che
cosa consisterà mai detto finalismo (o concezione "teleologica”, come si dice in
gergo)?
Credo che il finalismo abbia in qualche modo a
che fare col concetto di ordine (se c'è un ordine, ci sarà pure un fine!): mi
sembra quindi che l'Atto puro attiri in quanto ordine (l'universo, in altre
parole, aspira all'ordine).
Infatti. Per Aristotele la forma è... perfezione, cioè in
altre parole ordine. Non è un caso che la chiami anche "entelechia" (ti
ricordi?) che significa "essere compiuto". In altre parole la forma è la
realizzazione (cioè il diventare compiuta) di una potenza. Ecco allora il senso
del finalismo aristotelico: la materia prima (priva di ogni forma, di ogni
ordine) aspira ad assumere forme, ad assumere cioè ordine. Non è quindi Dio che
ordina, ma la materia che in qualche modo ordina se stessa.
L'Atto Puro (o Motore Immobile) non è solo eterno,
immutabile, perfetto, ma è anche “spirito”. Puoi ricavare quest'ultimo
attributo?
Certo: l'Atto puro è spirito perché è pura
razionalità.
L'Atto Puro è sicuramente razionalità, ma... tale
razionalità da dove la ricavi? Il concetto di Atto Puro implica che l'Atto Puro
sia razionalità? Allora da dove è deducibile la spiritualità di Dio?
Ci provo: l'Atto Puro è senza potenza e quindi è senza
materia.
E' vero. Per Aristotele potenza e materia - nei loro
significati tecnici che già conosci - sono sinonimi: la “potenza” non è la
possibilità che ha una “materia” di assumere una forma? Se Dio, quindi, è senza
potenza, è anche senza materia e, quindi... è immateriale.
Per Aristotele l'Atto Puro, proprio perché è senza
potenza, è senza materia, cioè è spirito. Lo definisce come "pensiero di
pensiero". Ti sembra questo un attributo nuovo rispetto a quelli predicati del
divino dai pensatori precedenti?
Non ricordo nessun autore precedente che ha
definito il divino in questo modo.
Il Nous in qualche modo sembra anticipare il concetto di
"Pensiero di pensiero". Va osservato, tuttavia, che il Nous pare non sia inteso
come spirituale.
Un break. So che ti sto chiedendo un grande sforzo
intellettuale. Lo ritengo indispensabile. A me interessa che tu abbia a
"riflettere", che tu provi a vedere se Aristotele, con la sua macchina
concettuale, ti può dire qualcosa oggi. Ma per fare questo, occorre che tu non
voli basso, ma alto: occorre, cioè, che tu comprenda bene le argomentazioni -
anche se complesse - di questo grande pensatore. Ti raccomando: non gettare la
spugna! La ricerca comporta fatica.
Proseguiamo. Dimmi: perché mai Aristotele
introduce il concetto di “materia prima”?
Da quanto detto prima credo che si debba
introdurre il concetto di materia prima con lo stesso ragionamento per cui si
introduce l'esistenza dell'Atto Puro: se non ci fosse, si cadrebbe in un
processo all'infinito.
Aristotele introduce tale concetto per evitare il processo
all'infinito. Il ragionamento, comunque, è proprio questo. La casa è sintesi di
“materia” (mattoni) e “forma” (ciò che fa sì che la casa sia tale), i mattoni a
loro volta sono sintesi di materia (l'argilla) e la forma di mattoni: se non ci
fosse in ultima analisi una materia prima, si procederebbe all'infinito, il che
è impossibile.
Aristotele introduce il concetto di materia prima anche
per spiegare le trasformazioni “sostanziali”.
In una trasformazione (ti ho anticipato il concetto nella definizione di
sostanza) c'è qualcosa che permane. Ora in caso di trasformazione di una
sostanza in un'altra (ad esempio, il legno nella cenere) che cosa permarrebbe,
se non ammettessimo una materia prima? Che rapporto c'è tra Dio e la materia
prima?
Immagino che la materia prima sia eterna come
Dio. Lo dico perché tale materia, essendo priva di potenza, non può mutare e
quindi non può derivare da altro.
La materia prima, proprio perché materia, è potenza e
quindi può assumere forme diverse. Per Aristotele è eterna come Dio perché non
ha alcuna forma e quindi non è passata dalla potenza all'atto.
Dio e materia prima sono coeterni: da qui quella che si
chiama "dualismo metafisico" di Aristotele (analogo al dualismo di Platone).
Procediamo. Aristotele smantella il mondo "divino" di Platone, un mondo, cioè,
di Modelli, di Paradigmi eterni, immutabili, spirituali. Come? Applica concetti, collega, intuisci.
Ci provo: dimostrando che i Modelli di Platone
(il bello in sé...) non sono affatto realtà in sé, ma accidenti.
Hai tirato fuori il concetto giusto: per Aristotele il
bello è solo il bello di qualcosa o di qualcuno (cioè è un accidente), non
qualcosa che esiste in sé. E’, questo, tuttavia, un argomento che non si
potrebbe applicare agli oggetti della geometria.
Un ultimo concetto. Il Motore Immobile (ti potrà sembrare
strano) non è unico: Dio è il motore del primo cielo, ma ci sono altri cieli in
movimento che hanno bisogno di altri motori immobili (Aristotele ammette 47 o 55
Intelligenze motrici). Siamo di fronte ad un politeismo? Non è chiaro il
rapporto tra il Motore del primo cielo e gli altri. Aristotele definisce “primo
motore immobile eterno” il motore che muove la sfera delle stelle fisse.
Qualche riflessione. Senti: ritieni originale la
concezione aristotelica di Dio rispetto a quella platonica?
Certo: ci troviamo, infatti, di fronte ad un Dio
“Pensiero”, ad un Dio “Persona”.
Di sicuro il Dio aristotelico è Pensiero di Pensiero. E'
anche Persona? Se per Persona intendi dire chi può prendere una decisione, ha
una volontà, sarebbe indubbiamente forzato attribuire al Dio aristotelico il
concetto di Persona.
Senti:
il Dio aristotelico può avere volontà?
Non credo: se l'Atto Puro è spirito, se, cioè,
non è composto, non vedo come possano convivere in Dio la Volontà distinta dal
Pensiero.
E' una considerazione pertinente. E' una tesi che sarà
formulata anche da un pensatore cristiano: ti sembra paradossale?
Non vi
è nulla, secondo te, di comune tra la concezione aristotelica di Dio e quella
cristiana?
Ambedue sono "spirito".
Mi pare corretto il tuo confronto. Tieni, comunque,
presente che il Dio Cristiano è un po’ più complesso: vi è Dio Padre che è puro
spirito e vi è il figlio Gesù Cristo che si è “incarnato”.
Riprendiamo il discorso di Dio-Spirito. Per Aristotele
l'Atto Puro è Pensiero di Pensiero. Cosa ne dici?
Non mi commuove per nulla: cosa me ne faccio di
un Dio che ha come oggetto del Suo pensiero solo se stesso?
Un punto di vista legittimo: tu dici che non sai cosa
farne di un Dio “pensiero di pensiero”. Non ti sembra, però, il tuo un punto di
vista egoistico? Perché mai Dio dovrebbe essere utile a te?
Cosa
dici del rapporto tra Dio e il mondo secondo la concezione aristotelica?
Mi pare poco coerente col suo sistema: proprio
perché il Dio aristotelico ha accanto a sé la materia eterna, siamo di fronte ad
un Dio che, in qualche misura, ha la possibilità di abbracciare tutto e, quindi,
è in qualche misura in potenza, e, quindi, non è Atto Puro!
E' un'obiezione che è stata di fatto mossa contro
Aristotele: dato che Dio ha al di fuori di sé la materia, Dio in qualche misura
è in potenza rispetto a tale materia (ha la possibilità di abbracciarla) e
quindi non è Atto Puro.
ESISTONO PROPOSIZIONI LA CUI NEGAZIONE
E’ UNA CONTRADDIZIONE?
Anche Aristotele è convinto, come Platone, che l'uomo può
accedere alla verità assoluta. Per lui c'è un principio, in particolare, che è
tanto forte da essere innegabile. Ti ricordi qual è?
Il principio di non contraddizione (penso proprio
di non sbagliarmi).
Non ti sbagli. Si tratta di un principio (il principio di non contraddizione) di cui
abbiamo parlato tante, tantissime volte.
Aristotele non dimostra il principio di non contraddizione
(per lui è un principio "primo” che quindi non è deducibile da niente altro), ma
confuta chi lo nega. Vediamo con precisione in che consiste questa
"confutazione” (elenchos, in greco).
Chi nega il principio, non afferma il principio,
ergo afferma di fatto che A=A.
Dici bene (chi nega il principio non afferma il
principio), ma non è del tutto esplicito il significato di A=A.
Chi nega il principio di non contraddizione non l'afferma
e quindi per lui la proposizione "nego il principio di non contraddizione” non
si identifica con "affermo il p. d.n.c”, dunque utilizza di fatto il principio
stesso (secondo cui E' IMPOSSIBILE CHE A SIA E NON SIA , NELLO STESSO TEMPO E
SOTTO LO STESSO ASPETTO, B).
Per Aristotele si tratta di un principio (il principio di
identità "A=A” e il principio del terzo escluso "A è B o non B" non sono
espliciti in Aristotele) che non ha solo un valore logico, ma ontologico,
cioè...
nel senso che non è solo una legge del pensiero
(una qualsiasi affermazione, per chiunque, non è la sua negazione), ma riguarda
anche ogni cosa.
E' vero. Per Aristotele vale anche per tutte le cose - che
per Aristotele sono enti, sono cioè essere.
Il p.d.n.c. è valido per ogni cosa (ogni ente): è
impossibile, dice Aristotele, che A (una qualsiasi cosa) sia e insieme non sia,
nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto, B. Prima di proseguire vorrei che
tu leggessi direttamente da Aristotele (data la sua fondamentale importanza) la
presentazione del principio di non contraddizione.
In Aristotele non si trova lo stile immaginifico di
Platone, ma solo un grande rigore logico. Le grandi opere di Aristotele che sono
arrivate a noi non sono altro che trascrizioni dei suoi corsi tenuti prima
all'Accademia, poi nel Liceo (non hanno quindi un'impostazione letteraria).
Proseguiamo. Aristotele contribuisce, come sai, a
smantellare le "confusioni” di Parmenide: per lui l'essere ha più significati.
Te ne ricordi alcuni?
Certo: essere potenza, essere atto, essere
materia, essere forma.
E' vero. L'elenco, però, non è completo (le voci che hai
citato non sono tutte).
Per Parmenide l'essere ha un unico significato (non viene
distinto neanche l'essere come copula dall'essere come esistere). Per Aristotele
ha una pluralità di significati: in primo luogo sostanza e accidenti: Si tratta
delle celebri "categorie" di Aristotele, cioè delle fondamentali modalità
dell'essere. Hai presente il concetto di "sostanza"?
Sì (l'ho, tra l'altro, trovato in una lunga argomentazione
che Manzoni mette in bocca a don Ferrante nei "Promessi Sposi"): ciò che sta
sotto - questo, almeno, il suo significato etimologico.
Si tratta solo del suo significato etimologico (ciò che
sta sotto), un significato che andrebbe chiarito, esplicitato: cosa significa
"stare sotto”? Sotto che cosa?
Per Aristotele la sostanza è ciò che esiste in sé, mentre
l'accidente ha bisogno per esistere della sostanza. Vuoi fare alcuni esempi di
accidente?
Bello, alto, essere in un luogo, essere in uno
spazio, essere figlio di...
E' vero. C'è, però, nel tuo elenco una ripetizione: essere
in un luogo ed essere in uno spazio non ti sembra la stessa cosa?
La qualità, la quantità, la relazione, l'agire, il subire,
il dove, il quando...sono per Aristotele accidenti perché, questi, per esistere
devono... stare sopra la sostanza. Questo significa, allora, che le idee di
bello, di giusto, di uguale non esistono in sé (come pensa Platone)?
Non hanno alcuna esistenza in sé (altro che
Modelli eterni, immutabili!): senza la sostanza su cui si appoggiano non
potrebbero esistere.
E' vero. Per Aristotele il mondo trascendente delle idee
non esiste: non esiste il Bello in sé, ma il bello di qualcosa, di una
donna...
Aristotele nega il mondo platonico delle idee non solo
perché - come abbiamo detto - considera il bello, il giusto... come accidenti,
ma anche perché da una parte non capisce come la natura delle cose debba essere
al di fuori delle cose stesse e dall'altra...
non capisce (cerco di intuire) come mai dei
Modelli immutabili (quali sono le idee) possano spiegare il mondo
sensibile.
E' effettivamente questa l'obiezione di Aristotele: non si
capisce come dei Modelli immutabili possano spiegare il mutamento delle cose
sensibili. Vedo che sei entrato nella logica della ricerca.
La critica aristotelica al mondo platonico delle idee
sembra piuttosto ingenerosa: sembra, cioè, che Aristotele abbia visto nelle idee
platoniche solo ciò che gli serviva per la demolizione. Come le vede Aristotele
le idee platoniche e cosa non vede (o fa finta di non vedere)?
Aristotele vede nelle idee platoniche solo i
Valori (vedi, appunto, i Modelli) e non, invece, i valori matematici.
Vi è qualcosa nella tua risposta che non convince :
Aristotele - avresti dovuto capirlo dal discorso appena fatto - vede nelle idee
solo il ruolo di modelli delle cose naturali (gli argomenti che demoliscono tali
idee non hanno tutti come oggetto le idee come modelli delle cose?) e non invece
i valori morali e matematici.
Torniamo alle categorie. Queste sono pure per Aristotele
le varie modalità in cui l'essere viene predicato delle cose: di Mario, ad es.
si può dire che e' uomo (sostanza), studioso (qualità)... Quale, secondo
Aristotele, la modalità di essere che ha la maggiore importanza?
Mi pare scontata la risposta (non ci vuole una
particolare intuizione). Si tratta della sostanza: l'essere come potenza, come
atto, come forma, come qualità, come relazione... ha come punto di riferimento
esclusivamente la sostanza.
Era infatti... scontata, troppo scontata: vero? Dove
potrebbe essere, ad esempio, l'essere in potenza se non in una "sostanza”?
Gli accidenti... accadono (possono esserci o no senza
cambiare la sostanza), mentre la sostanza no: è un che di necessario nel senso
che non può essere diversa da come è (Mario può essere alto o basso, ma non può
non essere animale ragionevole).
La sostanza, in altre parole, è il principio di non
contraddizione incarnato nella realtà. La metafisica (la "filosofia prima” come
la chiama Aristotele) è la scienza che ha come oggetto l'essere come sostanza e,
in generale, l’essere in quanto essere. In che cosa si distingue dalle altre
scienze? Prova ad intuire.
La matematica ha come oggetto i numeri,
l'astronomia gli astri... , in altre parole le altre scienze studiano qualcosa
di determinato, mentre la metafisica no.
Hai colto nel segno: le scienze studiano qualcosa di
determinato, la metafisica, no. Vedo che sei entrato nella logica di
Aristotele.
La metafisica è la scienza della sostanza - abbiamo detto
-. Sostanza, per Aristotele, è Dio, ma anche qualsiasi cosa naturale. Tutte le
scienze (dunque anche quelle "naturali"), in quanto scienze della sostanza,
hanno pari dignità. In che senso, in questo, Aristotele, è distante da
Platone?
E' distante nel senso che per Platone la vera
scienza ha come oggetto solo ciò che è immutabile.
Hai colto nel segno: per Platone la vera scienza ha come
oggetto solo ciò che è immutabile, stabile, eterno.
Aristotele non crede alla concezione piramidale del sapere
tipica di Platone (la conoscenza sensibile, la matematica, la filosofia). Come
non crede al primato della politica. Per Aristotele ogni scienza ha pari dignità
e il sapere non è finalizzato alla politica, ma al sapere stesso (un sapere
disinteressato). La metafisica, però, ha un ruolo un po’ speciale: in che senso?
Prova ad intuire.
Nel senso che la metafisica ha come oggetto il
divino (e in questo vi e' analogia tra discepolo e maestro).
Hai evidenziato ciò che accomuna il discepolo al maestro.
Questo è vero, ma è anche vero che Aristotele, in contrasto con Platone,
sottolinea come l'essere in quanto essere - oggetto della metafisica - è ciò che
accomuna tutte le cose e quindi tutti gli oggetti di ogni scienza.
La metafisica, oltre ad avere come oggetto la sostanza,
l'essere in quanto essere e Dio, è definita anche la scienza che studia le cause
e i principi primi. A proposito di cause, ti ricordi i tipi di causa che
Aristotele ha evidenziato?
Certo: si tratta della causa finale, causa
efficiente (mi ricordo bene che Dio è considerato causa efficiente - in sintonia
con Anassagora -), causa materiale e causa formale.
C'e' proprio una piccola trappola: l'Atto Puro - come
dovresti ricordare - è considerato da Aristotele causa finale, non
efficiente.
E la verità, secondo Aristotele? Per ora abbiamo preparato
la strada evidenziando in che modo Aristotele ha sciolto (o pensa di aver
sciolto) le ambiguità di Parmenide e - a suo parere - le incongruenze dello
stesso Platone. Proseguiamo, allora. Per lui la verità e la falsità stanno solo
nei giudizi. Perché? Prova ad intuire.
Perché non si può dichiarare vera o falsa ad es.
una preghiera.
Hai colto nel segno: preghiere, esclamazioni, ordini non
possono essere definiti veri o falsi.
Cosa intende allora Aristotele per proposizione (una
proposizione è una combinazione di termini) vera?
Intende vera - immagino - una proposizione che
esprime un rapporto tra soggetto e predicato che è conforme alla realtà.
Hai colto nel segno: si può dire vera una proposizione che
esprime un rapporto che corrisponde alla realtà.
La verità, per Aristotele, è nel discorso, ma per dire che
un discorso è vero o falso bisogna riferirsi alla realtà. Proseguiamo. Una
proposizione può essere universale affermativa (tutti gli uomini sono bianchi),
universale negativa (nessun uomo è bianco), particolare affermativa (qualche
uomo è bianco) e particolare negativa
(qualche uomo non è bianco). I concetti, poi, sono più o meno universali,
cioè...
quanto detto sui concetti mi sembra una grande
bestemmia: come si può dire che i concetti hanno più o meno universalità quando
ogni concetto è astratto e universale?
La tua reazione è, forse, un po' spropositata. Tutti i
concetti sono universali, ma ci sono concetti che si applicano a più individui
ed altri a meno.
Vi sono concetti che sono applicabili ad un numero
maggiore di individui (hanno un più alto grado di universalità) ed altri che si
applicano ad un numero inferiore. Facciamo degli esempi: il "genere" ha un grado
di universalità più o meno elevato rispetto a "specie”?
Mi sembra offensiva per la mia intelligenza
(tanto è banale): il genere è più esteso rispetto a specie perché ha un maggior
numero di caratteristiche.
E' vero che il genere (ad esempio, animale, se ci
riferiamo all'uomo) è applicabile ad un maggior numero di individui rispetto
alla specie (uomo), ma è anche vero che il genere ha un minor numero di
caratteristiche rispetto alla specie.
Maggiore è il numero di individui a cui si applica un
concetto, minore è la sua ricchezza (nel senso di caratteristiche) e viceversa.
Quali sono i concetti più generali e quindi anche più... poveri?
Ovviamente le categorie, cioè l'essere in
potenza, l'essere in atto, l'essere sostanza, l'essere accidente qualità,
l'essere accidente quantità...
C'è un "cioè” che è fuori luogo: le categorie abbracciano
la sostanza e gli accidenti. E' comunque vero che l'essere in potenza e l'essere
in atto sono concetti generalissimi applicabili praticamente a tutti gli enti.
Senti: quali sono gli enti a cui non sono applicabili tali concetti?
La risposta mi sembra troppo facile: solo alla
materia prima e all'Atto puro non sono applicabili ambedue i concetti di essere
in potenza ed essere in atto, in quanto la prima è potenza senza atto e il
secondo è atto senza potenza.
Hai colto nel segno. La tua è una risposta coerente con
quanto hai acquisito di Aristotele: la materia prima è potenza senza atto e
l'Atto Puro è atto senza potenza.
Cos'è
che invece che - nel contesto di cui prima - ha la minima estensione?
Mi sembra fin troppo ovvio: la sostanza - cioè ad
es. questo albero -. Questa, infatti, non è applicabile a nessun altro
individuo.
Hai colto nel segno. La sostanza (intesa come hai
precisato con un esempio) è ciò che esiste in sé e non in altro.
La sostanza (prima, come la chiama Aristotele) è l'ente
che non può essere predicato di un soggetto, ma solo soggetto. Una volta
chiariti i concetti - cioè i termini - di una proposizione, riprendiamo l'esame
delle proposizioni. Consideriamo "tutti gli uomini sono intelligenti", "nessun
uomo è intelligente", "alcuni uomini non sono intelligenti", "alcuni uomini sono
intelligenti”: quali sono le proposizioni tra loro "contrarie" e quelle tra loro
"contraddittorie”?
"Tutti gli uomini sono intelligenti" è,
naturalmente, contraria a "nessun uomo è intelligente", mentre "tutti gli uomini
sono intelligenti" è contraddittoria rispetto a "alcuni uomini non sono
intelligenti" (mi sbaglio?).
Hai colto nel segno: "tutti gli uomini volano" è una
proposizione contraria a "nessun uomo vola"; "tutti gli uomini volano" è una
proposizione contraddittoria rispetto a "alcuni uomini non volano" .
Contrarie, quindi, sono due proposizioni di cui una è
universale affermativa e l'altra universale negativa; contraddittorie sono
l'universale affermativa e la particolare negativa o l'universale negativa e la
particolare positiva. Senti: quando si hanno di fronte due proposizioni
contrarie l'una e' necessariamente vera e l'altra necessariamente falsa?
Certo. Se sono contrarie, dato che una è vera,
l'altra è necessariamente falsa: se dico che tutti gli uomini sono animali
ragionevoli e nessun uomo è animale ragionevole, è ovvio che la prima è vera e
l'altra è falsa.
Hai prodotto un esempio che giustifica la tua scelta, ma
ce ne sono mille altri che la smentiscono: basterebbe scegliere come predicato
un accidente.
E le
proposizioni contraddittorie? Se una è vera, l'altra è necessariamente
falsa?
Sì: tra "alcuni uomini sono intelligenti" e "nessun
uomo è intelligente", è chiaro che se l'una è vera, l'altra è necessariamente
falsa.
Hai intuito bene: se una è vera, l'altra è necessariamente
falsa.
Proseguiamo. Le proposizioni sono costituite da concetti.
I concetti non sono né veri né falsi. La verità o la falsità risiede solo nelle
proposizioni. Più proposizioni concatenate formano un "ragionamento”. Il
ragionamento, a sua volta, può essere "deduttivo" o "induttivo". La forma tipica
di deduzione è il sillogismo. Un
esempio?
Provo far riferimento ai ragionamenti matematici:
se A appartiene a tutto B e B appartiene a tutto C, allora A appartiene a tutto
C.
E' un sillogismo... perfetto. Vediamo subito, pero’, che
la formulazione di Aristotele ha caratteristiche peculiari.
Vediamo l'esatta formulazione di Aristotele. Per lui il
sillogismo è dato da due premesse (maggiore e minore) e da una conclusione
necessaria. In esso vi sono tre termini: uno maggiore (che ha l'estensione
maggiore), uno minore (che ha l'estensione minore) e il medio che fa da
cerniera. Un esempio concreto?
Tutti gli animali volano; tutti gli uomini sono
animali; tutti gli uomini volano.
E' un sillogismo non vero, ma correttissimo: la
conclusione non è il risultato necessario delle premesse?
Stiamo esponendo la cosiddetta "logica" di Aristotele. E
la logica indica le regole del corretto ragionare (e un corretto ragionare non
e' necessariamente vero). Senti: qual è - nell'esempio precedente - il termine
medio? Tieni presente la definizione data.
Mi sembra evidente: il termine che fa da cerniera
non può che essere "volano".
Perché gli uomini volano? Perché sono animali. Perché,
cioè, il termine "uomini" e' incluso nel termine "animali". E' quest'ultimo che
funge da "medio", da cerniera: dato che tutti gli "animali" volano e dato che
gli uomini sono "animali", allora gli uomini volano.
L'essere vero o no di un sillogismo, naturalmente, dipende
dalle premesse: se le premesse sono vere, la conclusione necessaria è vera. Puoi
fare un esempio di sillogismo vero?
Semplice: gli animali sono mortali (chi può
contestarlo?); gli uomini sono animali (chi può contestarlo?); allora gli uomini
sono mortali.
E' certamente vero per Aristotele. Ma... su cosa poggia la
premessa maggiore? Questo il problema. Un problema tutt'altro che facile da
risolvere.
Una premessa universale (vedi quella dell'esempio
precedente) ha bisogno di essere fondata. Su che cosa? E' possibile partire da
casi particolari (gli animali di cui si è accertata la morte) ed arrivare
all'universale? Aristotele è convinto che partendo dal particolare non si possa
arrivare ad una universalità necessaria. E allora?
Allora non vi è altra possibilità - se si vuole
fondare la premessa (e quindi renderla "vera") - che la seguente: abbiamo una
sorta di illuminazione divina (l'Atto Puro non è "pensiero di pensiero"?).
E' un po’ azzardata la tua risposta. Da dove mai la puoi
ricavare? Non certo da quanto abbiamo finora affrontato. L'idea
dell'illuminazione divina sarà di S. Agostino.
Aristotele sostiene che la proposizione "tutti gli animali
sono mortali” (tanto per riferirci allo stesso esempio) è vera non perché basata
su un determinato numero di casi, non perché è l'oggetto di un'illuminazione
divina, ma perché noi cogliamo con un'intuizione intellettuale la mortalità come
caratteristica della natura (essenza) degli animali. Ma... anche se vero, il
sillogismo che utilità ha? La conclusione non è contenuta nelle premesse?
Certo: la conclusione "tutti gli uomini sono
mortali" è già tutta nelle premesse.
Formalmente no (non vi è alcuna premessa che racchiude la
conclusione la quale è solo il risultato delle due premesse grazie al termine
medio).
Aristotele e' consapevole che il sillogismo non è di per
sé il metodo più idoneo per la ricerca per la quale è, invece, utile il
ragionamento induttivo (che parte dai casi particolari per arrivare - grazie
all'intuizione intellettuale di cui prima - all'universale). Il sillogismo,
pero', ha un suo valore peculiare: quale? Prova ad intuire.
E' semplice: tradurre un ragionamento in una
forma sillogistica serve a... inchiodare l'avversario: chi si rifiuta di
accettare la necessaria consequenzialità di un sillogismo?
E' la convinzione di Aristotele il quale quindi non ha mai
abusato del sillogismo (è la scolastica che ne ha fatto un vero e proprio
abuso). Per Aristotele il metodo della ricerca naturale è quello induttivo.
Noi abbiamo presentato un tipo di sillogismo. Vuoi
conoscere gli altri tipi (quelli che si chiamano le "figure" e i "modi")? Ti
consiglio di consultare la "Storia del pensiero filosofico e scientifico" di
Geymonat, primo volume (fatti aiutare dall'indice). E' un'opera che trovi in
tutte le biblioteche. Se non la trovi, consulta un'enciclopedia o - perché no? -
un libro di storia della logica.
Per Aristotele in ogni scienza non è possibile "dedurre"
tutto, cioè dimostrare tutto. Lo sai perché?
Mi sembra ovvio: se si dimostrasse tutto, si
cadrebbe in un processo all'infinito (ormai ho mangiato la foglia!).
E' quanto pensa Aristotele. L'hai proprio mangiata la
foglia! Se si dimostrasse tutto, anche le premesse, si cadrebbe in un processo
all'infinito.
Ogni
scienza parte da assiomi, definizioni (è impossibile, in ogni scienza dimostrare
tutto).
Senti: quali sono gli ingredienti di una "definizione"?
Tieni presente che Aristotele fa leva sui concetti di "genere" e di specie".
Con la precisazione di cui prima mi pare di
essere... invitato a nozze: si deve scegliere il genere più vicino a ciò che si
vuole definire e poi evidenziare quello che la specie a cui appartiene l'oggetto
da definire si differenzia dal genere prossimo.
E' quanto pensa Aristotele: per definire, ad esempio, il
concetto "uomo" occorre scegliere il genere prossimo (animale) e la "differenza
specifica” rispetto all'animale cioè "ragionevole”.
Sulla base di quanto detto (che cioè gli ingredienti di
una definizione sono il "genere prossimo" e la "differenza specifica") sapresti
"definire" una qualsiasi delle categorie?
Non è possibile: qual è il genere prossimo di
sostanza o di qualità e qual è la differenza specifica se si tratta di generi
sommi ?
E' quanto afferma Aristotele: essendo generi sommi (i più
generali) , sono indefinibili. Può sembrare paradossale, ma il discorso è
coerente.
Allora
non è possibile definire neanche il concetto "essere”?
Come no? L'essere si definisce - l'ha insegnato
bene Parmenide sulla scia dell'unità degli opposti di Eraclito - in
contrapposizione al non essere.
La tua risposta è indubbiamente intelligente (hai...
scomodato perfino Eraclito e Parmenide), ma non si tratta di una definizione
secondo il "modello" di Aristotele in quanto il "non essere" non è certo il
genere prossimo (il genere prossimo di essere, naturalmente, non esiste).
Anche Aristotele, come Platone, parla di dialettica.
Aristotele, però, da' al termine un significato diverso: per Platone è la
scienza più elevata, per Aristotele, invece, è un tipo di ragionamento che parte
da premesse non necessarie, ma solo "probabili" e in quanto tale non approda a
nessuna conclusione vera. Siamo alla fine. Ti ha un po’ "tormentato" la logica
di Aristotele? Forse sì. Sappi che è stata considerata "la logica" per tanti
secoli. E comunque ti ha sicuramente... allenato mentalmente.
COME
POTREBBE LA MENTE AGIRE SENZA I SENSI?
Se Platone ha diviso l'uomo, Aristotele lo ricompone:
secondo lui, infatti, l'uomo è sinolo - termine tecnico che significa unità
inscindibile - di “materia” (corpo) e di forma (l'anima; la “forma” è ciò che fa
sì che ogni cosa sia quella cosa e non un’altra). Questo significa che
Aristotele distrugge quell'elemento divino - l'anima spirituale - tanto esaltato
da Platone? Prova ad intuire.
Ci provo. Credo di sì: la forma, infatti, essendo
intrinsecamente legata alla materia, non può che esserle omogenea.
La tua opzione è coerente, direi... logica: la forma è
strutturalmente legata alla materia. Scoprirai, comunque, che il discorso di
Aristotele è più complesso.
Chiariamo. Per Aristotele l'uomo possiede un'anima
vegetativa - che è il principio che regola la nutrizione, l'accrescimento e la
riproduzione -, un'anima sensitiva - il principio che è alla base della
percezione e del movimento volontario -
e l'anima razionale che è tipica dell'uomo -. La prima e la seconda non
hanno alcuna autonomia dal corpo. La terza, invece, sì. Vediamo il perché. Una
premessa: Aristotele non crede affatto che esistano idee innate. Come riesce
allora a spiegare le nostre idee?
Non vedo come le possa spiegare: se le idee sono
astratte ed universali e le cose sono particolari e concrete, come potrebbero le
prime derivare dalle seconde?
La tua è un'osservazione pertinente. E' un'osservazione di
tipo platonico: se le idee sono astratte ed universali, come farebbero a
derivare dalle cose che sono particolari e concrete?
Per
Aristotele il materiale della conoscenza viene dai sensi: non vi è nulla
nell’intelletto che prima non sia stato percepito dai sensi. Ora tale materiale
- l'immagine sensibile o “fantasma” come lo chiama Aristotele - è qualcosa di
concreto e particolare. Com'è che allora nella mente umana si forma l'idea
astratta ed universale? Aristotele tira fuori dal suo cilindro due intelletti.
Intuisci il perché?
Se vi fosse un solo intelletto, questo passerebbe
dalla possibilità di avere le idee - considerato che per Aristotele non vi è
nulla nella mente che prima non sia stato nei sensi - all'atto di avere idee. Ma
come farebbe un qualcosa in potenza – che ha cioè una semplice possibilità - a
diventare atto da solo?
Hai colto nel segno: sei entrato nella logica di
Aristotele: come farebbe la "potenza" a diventare "atto" da sola?
Se ci fosse, quindi, un solo intelletto, questo passerebbe
dalla potenza all'atto. Ma come farebbe una realtà in potenza a passare da sola
all'atto? Questo è quanto abbiamo detto. Scaviamo ancora un po'. Perché quindi
l'intelletto in potenza (“possibile” o “passivo”) passi dalla potenza all'atto -
dalla possibilità, cioè, di cogliere le idee astratte ed universali all'atto di
coglierle, è necessario che...
vi sia un altro intelletto che abbia in atto tali
idee astratte.
E' questa la conclusione coerente - coerente con le sue
premesse - di Aristotele: ci deve essere un intelletto (che è chiamato “agente”
o “attivo”) che contiene già in atto le idee astratte, come per spiegare il
passaggio dall'acqua fredda all'acqua calda ci vuole qualcosa (il fuoco) che ha
già il caldo in atto.
L'intelletto agente (o attivo), quindi, è introdotto da
Aristotele per spiegare il passaggio dalla potenza all'atto: un passaggio
dell'intelletto possibile, ma anche un passaggio delle essenze delle cose - le
forme - che nelle cose sono solo in potenza di essere colte nella loro
astrattezza. E l'intelletto attivo rende possibile tale passaggio perché conosce
già in atto le idee astratte, le forme svincolate dalla materia.
E'
questo intelletto agente l'anima immateriale. Perché? Dove c'è potenza, c'è
materia. L'intelletto attivo è sempre in atto, ergo non è materia. Aristotele lo
presenta non solo come separato dalla materia (viene "dal di fuori”), ma anche
come eterno. Non è tutto chiarissimo il discorso di Aristotele, tant'è che c'è
stato chi ha messo in dubbio che tale intelletto appartenga a ciascun uomo: vi è
chi lo ha identificato con l'Atto Puro stesso.
Quale,
secondo Aristotele, il rapporto tra anima e corpo? Prova solo ad applicare
quanto hai acquisito.
Non esistendo, per Aristotele, alcuna conoscenza innata,
l'anima non ha nessuna autonomia rispetto alla conoscenza sensibile.
Non ha nessuna autonomia solo nel senso che la conoscenza
ha come materiale di base le immagini sensibili. Se però ci riferiamo all'anima
intesa come "intelletto agente”, allora l'autonomia c'è: l'anima è tanto
autonoma – ci riferiamo all’intelletto attivo - che viene "dal di fuori" della
materia, che è immortale, eterna.
IL
COMUNISMO PLATONICO?
E’
CONTRO NATURA!
Lessico. Partiamo da un termine di uso corrente, ma che in
Aristotele ha un significato peculiare, molto diverso da quello che tu conosci:
cosa intende Aristotele per "economia"?
La sfera che ha come oggetto il mondo della
produzione e degli scambi
commerciali.
Questo è il significato corrente (grosso modo). Per
Aristotele, invece, l'economia è la sfera che ha come oggetto la... casa (forse
lo sai che in greco "oikos" significa "casa”), la famiglia, in altre parole il
privato.
Aristotele, quindi, usa il termine "economia” non nel suo
significato corrente oggi, ma nella sua accezione etimologica: la sfera che ha
come oggetto la casa, la famiglia, in definitiva quello che possiamo chiamare il
privato: Proseguiamo. Cosa intende Aristotele per "convenzionale”? Niente di
strano: usa la tua cultura personale (applicando anche un concetto che hai già
incontrato nel presente viaggio sulla politica).
L'equivalente di "artificiale".
Certamente. Artificiale si contrappone a naturale e
significa quindi qualcosa di costruito dall'uomo. Ora una "convenzione" tra gli
uomini è qualcosa che è prodotto dall'uomo.
Cosa intende Aristotele per "vita contemplativa" (l'unica
degna del filosofo)? Usa la tua intuizione.
Una vita ascetica - presumo - una vita penso
analoga a quella degli asceti cristiani.
E' vero che gli asceti cristiani dedicavano tutta la loro
vita a Dio e quindi Dio era l'oggetto numero uno del loro pensiero, ma e' anche
vero che l'ascetismo ha a che fare (vedi l'etimologia greca) con sacrificio,
sforzo, penitenza, concetti che non rientrano necessariamente in una vita
contemplativa. Per Aristotele la vita contemplativa è una vita che privilegia la
contemplazione della verità, la conoscenza rispetto alla prassi, all'azione,
all'attività.
Per VITA CONTEMPLATIVA, quindi, Aristotele intende una
vita che privilegia la conoscenza, la ricerca e la contemplazione della verità
rispetto all'attività, all'impegno ad es. di tipo politico. Cosa intende
Aristotele per "democrazia"? Prova ad intuire. Ti premetto che il concetto
aristotelico non è né equivalente al concetto che abbiamo noi, né al concetto
della democrazia ateniese del tempo di Pericle.
Ci provo: ad uno Stato in cui i molti che sono al
governo non fanno l'interesse di tutti, ma solo dei non abbienti.
Col termine "democrazia" Aristotele intende proprio il
governo della moltitudine povera che fa gli interessi non di tutti ma solo dei
poveri.
Passiamo alle problematiche. Aristotele prende le distanze
dal comunismo platonico. Perché mai? Prova ad intuire.
Ci provo: perché si tratta di un tipo di società
che non esiste da nessuna parte.
Ti sembra sensato dire che Aristotele polemizza nei
confronti di Platone a proposito di un tipo di società che è dichiarato un
Modello dallo stesso Platone? La Repubblica di Platone non è un Modello di
Stato, cioè lo Stato come deve essere e non com'è?
Aristotele, quindi, non si limita a dire che la società di
Platone è un semplice Modello che non esiste da nessuna parte, ma sostiene che
l'abolizione della famiglia e della proprietà privata sono una vera e propria
violenza alla natura umana. Puoi intuire il perché?
Perché la famiglia e la proprietà privata sono...
umane, create cioè convenzionalmente dall'uomo al fine della convivenza
comune.
Non convince proprio l'opzione che hai scelto: come
potrebbe l'abolizione della famiglia e della proprietà privata essere una
violenza alla natura umana se la famiglia e la proprietà privata sono
semplici... convenzioni umane?
Aristotele, quindi, RITIENE CHE IL COMUNISMO PLATONICO SIA
UNA VIOLENZA ALLA NATURA UMANA non certo perché va contro semplici convenzioni
umane. Egli sostiene che va contro l'affetto e l'interesse che sono due molle
potenti della natura umana. Aristotele e' pure contro i filosofi al potere? Puoi
intuire il perché?
Perché i filosofi non sanno governare in quanto
conoscono le Cause prime, ma non ciò che
è bene e ciò che è male.
Se ti ricordi la filosofia si occupa dell'Intero, di
scoprire cioè il significato dell'intera realtà e quindi anche del senso della
vita e quindi anche di ciò che è bene e di ciò che è male.
Aristotele, quindi, è contrario ai filosofi al potere non
perché questi non conoscono il bene (in questo caso il bene di una comunità), ma
perché è convinto che un conto è la "sapienza teorica” che è tipica dei filosofi
e un conto la "saggezza pratica" che è tipica dell'uomo politico, la capacità,
cioè, di prendere giorno per giorno le decisioni più opportune. Ma c'è anche un
altro motivo: lo puoi intuire?
Aristotele - immagino da quanto ho appreso dal
viaggio linguistico appena affrontato - è convinto che i filosofi devono puntare
ad una vita contemplativa, non pratica.
Ti ricordi benissimo. Per Aristotele il filosofo deve
puntare ad una vita contemplativa.
Aristotele, quindi, E' CONTRO I FILOSOFI AL POTERE anche
perché ritiene che la vita contemplativa - la conoscenza della verità - abbia un
primato sulla vita pratica essendo la stessa vita divina (Dio non è
conoscenza?). Ma c'è di più. Aristotele è convinto che i filosofi al potere non
siano di per sé la razionalità al potere: puoi intuire il perché?
Perché i filosofi sono uomini e in quanto tali - anche nel Modello platonico -
hanno interessi privati da difendere.
Nel Modello platonico i filosofi al potere non dovrebbero
esprimere interessi privati in quanto non hanno né beni né figli da proteggere.
Aristotele sostiene che anche i filosofi al potere, proprio perché uomini non
sono privi di...
passionalità: cosa potrebbe limitare la
razionalità umana se non la passionalità?
Hai colto bene nel segno.
Per Aristotele, quindi, I FILOSOFI AL POTERE RIMANGONO
SEMPRE UOMINI e in quanto tali sono sempre soggetti alla passionalità umana,
passionalità che può condizionare le loro scelte (che dovrebbero essere
espressione di razionalità pura). Proseguiamo. Aristotele polemizza anche contro
la concezione organicistica di Platone: puoi intuire il perché?
Perché Platone non ha distinto la sfera pubblica
(la sfera che ha come oggetto principale l'economia: non sono economiche le più
importanti decisioni di un governo?), da quella privata.
Sei proprio caduto nella trappola! Non ti ricordi che per
Aristotele l'economia (si veda il senso etimologico) è la sfera della famiglia,
del privato?
Secondo Aristotele, quindi, PLATONE NON HA DISTINTO LA
SFERA PRIVATA DA QUELLA PUBBLICA ed ha preteso ridurre la società che per sua
natura è un organismo molteplice al modello unitario della famiglia approdando,
in questo modo, ad un vero e proprio statalismo. Continuiamo. Aristotele è
contrario a costruire modelli di Stato. Non si limita tuttavia a descrivere le
istituzioni esistenti, ma esprime giudizi, indica preferenze. Ad esempio per
lui..
l'aristocrazia è una degenerazione
dell'oligarchia: la concezione platonica non è oligarchica, un governo cioè di
una élite?
Non ti ricordi che l'aristocrazia è il governo dei
migliori (quello delineato da Platone, quindi, non è... aristocratico?), mentre
l'oligarchia ha una valenza negativa (il governo dei ricchi contro i
poveri)?
Per Aristotele, quindi, L’OLIGARCHIA E' UNA DEGENERAZIONE
DELL'ARISTOCRAZIA e la tirannide una degenerazione della monarchia. Il governo
di uno (monarchia) e il governo di pochi (se questi sono i migliori) di per sé
non hanno una connotazione negativa. E' la loro degenerazione che diventa
negativa (quando il monarca diventa tiranno e i pochi guardano solo ai propri
interessi). E cosa pensa della democrazia? Prova ad intuire.
Ci provo: potrebbe essere per lui la migliore
forma di governo perché esprime - essendo il governo di tutti - gli interessi
generali e non particolari.
Per Aristotele la "democrazia" è una degenerazione della
"politeia”: rispetto alla politeia la democrazia esprime gli interessi di parte
(anche se si tratta del governo di molti).
Aristotele, quindi, DA' UN SIGNIFICATO NEGATIVO AL TERMINE
"DEMOCRAZIA". In altre parole per lui "democrazia” è la degenerazione di quel
governo che lui chiama "politeia”: politeia è il governo dei molti che guardano
all'interesse generale, democrazia è governo dei molti che invece guardano a
interessi di parte. Aristotele è favorevole ad una via intermedia tra oligarchia
e democrazia, cioè...
Dovrebbe essere un mix di governo di molti e di
governo di pochi, ma non riesco ad afferrare come possa realizzarsi.
Indubbiamente non è facile, sulla base di quanto hai in
mano, pensare ad una formula che metta insieme le due forme di governo.
Aristotele, quindi, AVVERTE L'ESIGENZA DI SUPERARE GLI
INTERESSI DI PARTE (dei ricchi contro i poveri e dei poveri contro i ricchi) ed
arriva ad una sorta di governo di "centro" (diremmo noi oggi), di un governo
cioè di cui i molti hanno diritto di essere partecipi, ma che di fatto è gestito
da persone più agiate, meno pressate dal lavoro quotidiano. Proseguiamo. Per
Aristotele l'uomo è un "animale politico”. Cosa intende dire? Prova ad
intuirlo.
La risposta mi pare semplice (tra l'altro
l'espressione l'ho già sentita più volte): l'uomo è un animale politico nel
senso che è per sua natura capace di fare il politico, di prendere decisioni
politiche (sulla stessa lunghezza d'onda di Protagora).
In base alle tue conoscenze storiche dovresti sapere (o mi
sbaglio) che polis significa grosso modo città, comunità, società. Per
Aristotele l'uomo è animale politico nel senso che ha un bisogno naturale di
vivere in società.
L'UOMO, quindi, per Aristotele, è ANIMALE POLITICO nel
senso che per natura ha bisogno (non solo per soddisfare i suoi bisogni , ma
anche per essere buono e felice) di vivere in una società. Il fondamento quindi
della società non e' convenzionale. Ti sembra corretta questa definizione?
Sì: se la società risponde alla natura dell'uomo,
ovviamente la società non è frutto di una convenzione.
Ragioni bene: proprio perché l'uomo è un "animale
politico”, la società non ha nulla di convenzionale, ma è qualcosa di
"naturale”, esprime il bisogno "naturale” dell'uomo.
Aristotele, quindi, è LONTANO DALLA CONCEZIONE
CONVENZIONALISTICA DELLA SOCIETA' (la sua e' una concezione "naturalistica”). A
proposito di "natura”, Aristotele sostiene che gli schiavi sono tali per natura.
Puoi intuire il perché?
Lo schiavo è schiavo per natura in quanto senza
lo schiavo (allora non esistevano macchine) non potrebbero essere autonomi gli
uomini liberi - questo almeno mi pare possa essere un argomento del tempo.
E' un argomento presente in Aristotele (come farebbero ad
essere autonomi gli uomini liberi se non ci fossero gli schiavi?). Aristotele,
però, usa pure l'altro argomento (l'uomo è per sua natura incapace di
autonomia).
Aristotele quindi RITIENE CHE LO SCHIAVO SIA SCHIAVO PER
NATURA non solo perché lo considera incapace di decidere in nodo autonomo, ma
anche perché senza lo schiavo non potrebbero vivere gli uomini liberi (uomini
liberi - maschi - che hanno diritto di comandare anche sulle mogli e sui figli
in quanto questi sono per natura incapaci di decidere autonomamente).
Aristotele, in un contesto, naturalmente, molto diverso,
anticipa in qualche modo la divisione dei poteri dello Stato. Quali poteri?
La risposta è semplice. I poteri di uno stato
sono i seguenti: il potere di legiferare che è dell'assemblea popolare, il
potere esecutivo che è dei magistrati ed il potere giudiziario che è
dell'assemblea giudiziaria.
Hai colto nel segno e non ti sei fatto ingannare dal
termine "magistrati” che allora non aveva il significato attuale (magistrati
erano gli arconti, gli strateghi...).
Aristotele, quindi, in un contesto diverso,
anticipa in qualche modo la divisione dei poteri: legislativo, esecutivo e
giudiziario, poteri in mano a tre organismi diversi.
Qualche riflessione in chiave attuale. Aristotele è
convinto che gli uomini non siano affatto uguali per natura tant'è che teorizza
la "schiavitù per natura". Anche all'interno del pensiero sofista vi è chi
ritiene che in natura siamo tutt'altro che uguali, ma vi è pure chi la pensa in
modo opposto. Tu cosa ne pensi?
Ritengo che la tesi della disuguaglianza naturale
degli uomini sia pericolosissima, perché potrebbe giustificare dei veri e propri
olocausti.
La tua
preoccupazione è più che legittima.
Prescindiamo dalle conseguenze possibili.
Esaminiamo la tesi della disuguaglianza naturale degli uomini. C'è
un'argomentazione che ti convince?
Non mi convince Aristotele (la sua mi pare una
vera e propria giustificazione di un "fatto" - cioè la schiavitù del tempo:
perché gli schiavi non dovrebbero avere una capacità autonoma di decidere? -).
Mi sembra convincente, invece, Callicle che sostiene che in natura vi sono
uomini forti e altri deboli, uomini scaltri ed altri tonti...Non è un fatto? Chi
lo può negare?
Il tuo
giudizio su Aristotele è condivisibile. Che poi gli uomini presentino
delle differenze è un fatto. Ma ci si deve limitare a queste
differenze oppure andare a cercare un'uguaglianza più
profonda?
Ti propongo. A questo proposito, un libro curato da Piero
Angela. Il Titolo: "INTELLIGENTI SI NASCE O SI DIVENTA?” La Casa editrice:
Laterza. Sono messe a confronto due tesi opposte (la tesi secondo cui incide di
più l'intelligenza di tipo genetico e l'altra che sostiene che conta di più
invece l'ambiente in cui un bambino viene educato. Lo puoi leggere tutto (lo
puoi... sbranare in una sera). Se sei un tipo pigro ti suggerisco di leggere
almeno la prefazione di Piero Angela
Riprendiamo il discorso. Gli uomini presentano
disuguaglianze naturali (a livello genetico) anche rilevanti. Ma vi è, al di la'
delle differenze, qualcosa di più profondo per cui si può sostenere la loro
uguaglianza naturale?
Certo: al di là delle differenze, tutti gli
uomini sono (vedi la definizione di Aristotele che condivido) "animali
ragionevoli", sono accomunati, quindi, dal possedere la ragione.
La tua tesi è - credo
- universalmente riconosciuta.
Abbiamo impostato un problema esaminandone le tesi a
confronto. E abbiamo avvertito l'esigenza di andare oltre la dimensione
prettamente "politica”. Ma... non potrebbe essere l'uguaglianza degli uomini una
semplice convenzione stabilita dagli uomini stessi per ragioni di utilità?
Non ci voglio credere. Non voglio credere, cioè,
che l'uguaglianza l'abbiano stabilita "artificialmente" gli uomini. Piuttosto mi
rifugio in una spiegazione di tipo religioso.
Il tuo credere che l'uguaglianza degli uomini abbia un
qualche fondamento è apprezzabile. Ti può stimolare a cercare questo fondamento.
Del resto, se non lo si trovasse, non si sarebbe in grado di controbattere con
tesi convincenti le aberranti teorie sull'inferiorità di determinate razze.[2]
[1] Nasce a
Stagira - città della Calcidica - (è chiamato anche "Stagirita") nel 384 a. C.
Suo padre, Nicomaco, è medico di corte del re di Macedonia Aminta III e muore
quando Aristotele è ancora un fanciullo. Si presume abbia avuto un'educazione di
ottimo livello. Entra nell'Accademia di
Platone a 17 anni e vi rimane per 20 anni. E' costretto a lasciare Atene per
ragioni politiche (dopo l'occupazione da parte di Filippo il Macedone della
città alleata di Atene, Olinto, ad Atene prevale il partito antimacedone ed
Aristotele, a causa dei suoi legami con i Macedoni, deve andarsene). Dopo alcuni
anni ad Asso (ospite di Ermia, esponente dell'Accademia e tiranno della città) e
a Mitilene nell'isola di Lesbo, viene chiamato a corte da Filippo re di
Macedonia come educatore di Alessandro. Alessandro, succeduto al padre
assassinato, riesce ad avere presto il controllo delle città greche. In queste
nuove condizioni Aristotele, dopo 13 anni, torna ad Atene dove fonda il Liceo.
Ha - dalla moglie Pizia (sorella di Ermia) - due figli: Pizia e Nicomaco. Dopo
la morte di Alessandro (Magno), gli ateniesi insorgono contro i Macedoni.
Aristotele, nella nuova situazione, ritiene prudente lasciare la città. Si reca
a Calcide dove muore un anno dopo, nel 322 a. C. Scrive opere destinate al
pubblico (dialoghi di tipo platonico che sono andati perduti). Di lui sono
rimasti i trattati "scientifici": si tratta di trascrizioni dei suoi corsi
tenuti prima all'Accademia e poi al Liceo. Sono opere di carattere logico
(Organon), fisico, metafisico (Metafisica - sarà chiamata così più tardi - ),
biologico, etico politico (vedi Etica nicomachea) e psicologico (Anima).
[2] Se ti interessa il pensiero etico di
Aristotele, vedi il percorso sull’etica. Se ti interessa il pensiero astronomico
di Aristotele, vedi il percorso sull’astronomia.
http://www.swif.uniba.it/lei/scuola/carelli/aristotele.htm
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