sabato 17 marzo 2012

Erwin Schrodinger. Eternamente e sempre esiste soltanto l’adesso, l’unico ed eterno adesso. Il presente è l’unica entità che non ha fine

Eternamente e sempre esiste soltanto l’adesso, l’unico ed eterno adesso.
Il presente è l’unica entità che non ha fine
Erwin Schrodinger.  Fisico, padre della Fisica Quantistica


Il grande spettacolo della natura assume un grande significato solo in relazione allo spirito che lo contempla
Erwin Schròdinger


Schrödinger, uno dei padri della fisica quantistica (nacque a Vienna il 12 agosto 1887), famoso per il paradosso del gatto con cui voleva sottolinearne le bizzarrie. Lo spieghiamo qui, in maniera semplice, insieme ad altre "stranezze" della fisica che forse però ci inducono a ripensare al concetto stesso di realtà: 


Può un gatto essere vivo o morto allo stesso tempo? 
Può un oggetto essere in due posti diversi nello stesso momento? 
La realtà esiste se noi non la osserviamo? 
E infine: esiste un solo Universo o infiniti universi paralleli?

Il “gatto di Schrödinger” è un famoso paradosso scientifico che illustra le “stranezze” della meccanica quantistica
Normalmente si crede che la scienza e gli scienziati abbiano a che fare con ciò che è certo, esatto: o bianco o nero. Lo stesso aggettivo “scientifico” nella sua accezione più comune è sinonimo di “rigoroso”. Eppure, da ormai un secolo gli scienziati (o almeno una parte) devono accettare il fatto che non solo la risposta esatta ad alcune domande (quali ad esempio alcune di quelle scritte sopra) non esiste, ma che lo stesso porsi certe domande non ha significato.
Tutto cominciò a cavallo tra ‘800 e ‘900, quando i fisici furono costretti a ripensare completamente la loro disciplina per spiegare alcuni fenomeni che la fisica classica non era in grado di spiegare. Nacque così la meccanica quantistica, una teoria che descrive il comportamento del mondo microscopico (come ad esempio ciò che accade negli atomi). Il fatto è che, nonostante il suo evidente successo, questa teoria porta con sè stranezze e stramberie che appaiono assurde agli occhi dell’uomo comune, ma anche ad alcuni stessi fisici, tra cui lo stesso Einstein che non ne accettò mai alcuni aspetti, venendo poi smentito dagli esperimenti (sì, avete capito bene: Einstein si sbagliò, almeno su alcune cose).
Nel 1906 al fisico inglese J. J. Thomson venne assegnato il premio Nobel per la fisica per aver scoperto l’elettrone, dimostrando che si trattava di una particella. Trentuno anni dopo, suo figlio, G. P. Thomson venne insignito del premio Nobel per aver dimostrato che l’elettrone era un’onda. Chi aveva ragione? Tutti e due, padre e figlio, entrambi i premi Nobel sono meritati. Perché l’elettrone è sia un’onda, sia una particella (così come qualsiasi altra cosa…compresi noi stessi). Ciò che accade è che se prepariamo un esperimento per verificare che l’elettrone è una particella, esso ci si rivela come tale, ma se l’esperimento è volto a dimostrare che si tratta di un’onda, l’elettrone si comporta come un’onda. Qual è la realtà? Entrambe le cose o nessuna delle due cose. Siamo noi osservatori a determinare come la realtà ci appare. Di più: la realtà – come noi la concepiamo normalmente – semplicemente non esiste fino a quando noi non la osserviamo: siamo noi – osservandola ossia interagendo con essa – a “crearla”. Non solo quindi non è possibile rispondere alla domanda: le cose sono onde o particelle?, ma la domanda stessa è priva di senso. Tra parentesi: nel mondo macroscopico le cose non mostrano il loro comportamento ondulatorio per questioni “tecniche”, ma qualsiasi cosa, anche noi stessi, è allo stesso tempo una “particella” e anche un’onda.

Una parentesi: qui non si sta parlando delle idee strambe di qualche ciarlatano o di extra-terrestri che hanno costruito le piramidi, bensì di teorie ricavate da equazioni matematiche, in molti casi confermate da evidenze sperimentali e quotidianamente trattate dai maggiori fisici al mondo, rigorosissimi e serissimi scienziati.
Anche se è difficile da accettare, un’altra stranezza è che un elettrone può essere in due posti diversi nello stesso momento. Non si tratta solo di una teoria, bensì di un fatto confermato da numerosi esperimenti. Questo fenomeno è osservabile solo per oggetti molto, molto piccoli, ma è vero per qualsiasi oggetto: anche noi – matematicamente – non siamo esattamente in un posto preciso dello spazio. Come detto all’inizio, diversi tra gli stessi fisici che contribuirono all’inizio del secolo scorso allo sviluppo di questa teoria, rimasero esterrefatti e scettici a riguardo, e provarono a dimostrare di essersi sbagliati (!) o perlomeno a cercare spiegazioni più intuitive che risolvessero questi paradossi. Senza peraltro riuscirci.
Il fisico Erwin Schrödinger (Vienna, 12 agosto 1887 – Vienna, 4 gennaio 1961)
La bizzarria secondo cui la realtà come noi la intendiamo prende forma solo quando noi la osserviamo condusse Schrödinger (uno dei padri della meccanica quantistica) ad immaginare un esperimento mentale che è il simbolo di queste assurdità. Immaginiamo di mettere un gatto dentro ad una scatola insieme ad un atomo radioattivo, un rivelatore di particelle e una capsula che contiene veleno. In un dato momento, per la sua natura radioattiva, l’atomo emetterà una particella che verrà registrata da un rivelatore che a sua volta farà scattare un meccanismo che libererà il veleno che ucciderà il gatto. Tutto dentro la scatola.
Fino a quando noi non osserviamo cosa è accaduto nella scatola, la meccanica quantistica (rigorose equazioni matematiche) ci dice che l’atomo ha emesso e non ha emesso la particella, ossia il veleno si è liberato e non si è liberato, ossia il gatto è vivo e morto allo stesso tempo. Solo quando noi apriamo la scatola, la realtà ci si svela in una della due possibilità: il gatto sarà vivoo morto. Finché noi non osserviamo, ciò che è dentro la scatola è due cose allo stesso tempo. In altre parole – ci sono esperimenti raffinatissimi che lo dimostrano – basta guardare un oggetto per fargli cambiare comportamento. E’ assurdo, ma è così. Più tecnicamente si dice che la probabilità che il gatto sia vivo o morto è rappresentata da una descrizione matematica chiamata funzione d’onda. Appena guardiamo cosa fa il gatto, questa funzione collassa in uno dei due stati (stato “vivo” e stato “morto”), ossia il gatto (o qualsiasi oggetto) decide come mostrarsi a noi, ma prima entrambe le possibilità sono vere.
Questa interpretazione della meccanica quantistica è detta interpretazione di Copenhagenperché in quella città venne sviluppata intorno agli anni ’30 del secolo passato. Nonostante contenga concetti strampalati, questa visione tuttavia, introducendo l’idea del collasso della funzione di onda, ci riporta ad un mondo “rassicurante”, dove il gatto, alla fine, è vivo o morto, e non due cose allo stesso tempo.
Esistono però altre interpretazioni per spiegare questi fenomeni così stravaganti, ma il prezzo da pagare per accettarle è molto alto. Una tra queste è l’interpretazione degli universi paralleli, inizialmente formulata da un fisico americano di nome Everett nel 1957. Secondo questa idea – per rimanere all’esempio del gatto – quello che accade non è che il gatto ci si sveli essere vivo o morto quando noi lo osserviamo, ma la realtà si divide in tanti mondi paralleli. Uno di questi contiene il gatto vivo e l’altro 
Foto di Jumpi
il gatto morto. In altre parole, esiste un numero enorme – forse infinito – di universi e qualsiasi cosa che ha avuto la possibilità di accadere in un certo modo nel passato, ma non è accaduta nella realtà in cui viviamo, è successa in qualcuno dei possibili universi. La realtà non è quindi interpretata come un’unica storia che si muove su un unico cammino, bensì come un albero a molti rami dove l’esito di ogni evento ha preso forma nel “suo mondo”, con la “sua storia”. Ogni cosa nel nostro Universo – inclusi noi stessi e anche l’Undici – ha un equivalente in altri universi che vivono “parallelamente” al nostro.

La teoria degli universi paralleli – qui spiegata in termini “colloquiali” – ha fondamenti matematici e fisici assai complessi e profondi che richiederebbero spiegazioni troppo complicate, ma resta il fatto che concettualmente ci richiede uno sforzo mentale ai limiti e anzi, direi oltre le nostre possibilità.
La storia della scienza è un continuo porre in discussione teorie e costruzioni mentali che appaiono “rassicuranti” e tutto sommato alla portata delle capacità immaginative della nostra mente. Tuttavia i fisici moderni cominciano a pensare che le domande che ci facciamo siano troppo “piccole” rispetto alle risposte che possiamo trovare e che semplicemente sia poco sensato porsele nei termini “rassicuranti” a cui siamo abituati.
Centinaia di anni dopo Galileo tendiamo ancora a spiegarci il mondo con visioni “atropo-centriche” e con interpretazioni che risolvano i paradossi della realtà, riconducendoci a concetti “afferrabili” dalla nostra mente. La meccanica quantistica da cent’anni sfida le nostre capacità mentali e la nostra “piccola” rappresentazione del mondo e forse le ha già lasciate indietro. Forse dovremmo accettare che le cose sono molto più complicate o perlomeno meno “afferrabili” e che i paradossi non sono paradossi…ma, per usare le parole del famoso fisico Feynman, sono “solo un conflitto tra la realtà com’è e come noi pensiamo che dovrebbe essere”.

I 10 paradossi più incredibili della scienza
Dal famoso gatto di Schrodinger al paradosso dei gemelli di Einstein, fino ai viaggi nel tempo.

Quanti di noi si sono lasciati convincere dalla storia della tartaruga che batte Achille nell’immaginaria gara podistica descritta dal filosofo greco Zenone? Ben pochi. E una ragione c’è: Zenone si sbagliava. L’eminente fisico della Royal Society di origine irachena, Jim Al-Khalili, lo spiega nel best-seller La fisica del diavolo, dove elenca i 10 più curiosi e incredibili paradossi della scienza, “esperimenti mentali” che dimostrano le bizzarrie della scienza ma in cui non mancano, a volte, degli errori logici. Vi presentiamo quest’affascinante top ten senza però svelarvi le eventuali soluzioni individuate da Al-Khalili, per non togliervi il piacere di leggere il suo libro.


1. Il gioco a quiz
Chi ha visto qualche puntata del celebre show televisivo Affari tuoi avrà familiarità con questo paradosso, nato infatti da un’analoga trasmissione popolare negli Stati Uniti: Let’s Make a Deal. Il concorrente ha tre scatole, in una sola delle quali ci sono le chiavi della nuovissima auto messa in palio. Sceglie la B, con una possibilità su tre di sbagliare. Il conduttore gli offre cento dollari per abbandonare il gioco; al rifiuto del giocatore, alza la posta fino a 500 dollari. Quindi, decide di mettere il concorrente in una situazione più chiara: apre una delle due scatole rimanenti, la A, che si rivela vuota. Le chiavi sono quindi o nell’altra o nella scatola B scelta dal concorrente. Ma anche davanti a un’offerta di mille dollari, questi rifiuta e decide piuttosto di scambiare la sua scatola con la C. Perché lo fa? Perché è convinto che così facendo la probabilità di vincere raddoppia. E, che ci crediate o no, ha ragione. Anche se un trucco c’è. Se volete candidarvi come concorrenti ad Affari tuoi, dovreste davvero scoprirlo!


2. Achille e la tartaruga
Il mitologico eroe della Guerra di Troia era noto non solo per la sua invulnerabilità, ma anche per la sua velocità: lo chiamavano Achille pie’ veloce. Il filosofo greco Zenone nel V secolo a.C. sostenne però che avrebbe perso in una gara di velocità con una tartaruga, nel caso in cui alla tartaruga fosse stato dato anche solo un piccolo vantaggio partendo un paio di minuti prima. Zenone vuole dimostrare che Achille avrebbe impiegato un tempo infinito per raggiungere la tartaruga, in quanto la distanza tra A e B, cioè tra la sua posizione e quella della tartaruga, si sarebbe certo dimezzata in pochi istanti, ma nel frattempo la tartaruga sarebbe avanzata di un passo, fino al punto C. Achille avrebbe dovuto impiegare altro tempo per coprire il segmento B-C, e nel frattempo la tartaruga sarebbe arrivata nel punto D. E così via all’infinito. Perché nella realtà ciò non avviene? Perché Zenone, pur nella sua intelligenza, non aveva le idee chiare sul concetto fisico di velocità. Altrimenti, avrebbe di sicuro puntato tutto sulla vittoria di Achille.


3. Il paradosso di Olbers
Se l’universo è infinito, e così anche il numero di stelle che contiene, perché la luce delle stelle che arriva sulla Terra non è tale da illuminare il cielo a giorno? Il dubbio era venuto a parecchi astronomi e uomini di scienza finché non venne presentato in tutta la sua problematicità da Heinrich Olbers nel XIX secolo. Olbers presentò una soluzione: gli spazi interstellari non sono vuoti ma ricchi di gas e polveri che bloccano la luce delle stelle. La tesi però non reggeva: dopo pochi milioni di anni, tali nebulose di gas si sarebbero surriscaldate per via dell’energia assorbita e avrebbero preso anch’esse a emettere luce. La vera soluzione al problema è arrivata negli anni ’30 del secolo scorso, quando alcune sensazionali osservazioni sulla reale natura dell’universo hanno portato a scoprire qualcosa che nessun astronomo avrebbe immaginato prima di allora: l’universo è in espansione.


4. Il diavoletto di Maxwell
Il secondo principio della termodinamica costituisce probabilmente la legge più ferrea e inviolabile della fisica. Nella sua formulazione classica, prevede che un corpo più caldo può trasferire calore a un corpo più freddo, ma non viceversa senza apporto di energia. James Maxwell, il grande fisico della termodinamica, immaginò però un esperimento mentale capace di mettere in crisi questo principio. In una scatola divisa in due da una chiusa c’è un gas la cui temperatura, da entrambe le parti, è uguale. Un diavoletto microscopico, non più grande di una molecola, ha però la capacità di distinguere le singole molecole del gas. Quando ne vede una più veloce, apre la chiusa e la fa passare dall’altra parte. Alla lunga, il gas sarà ora diviso: da una parte tutte le molecole veloci, che imprimono energia e quindi producono calore; dall’altra tutte le molecole lente, che quindi lasciano il gas freddo. Sembra davvero che, senza apporto di energia dall’esterno, ci sia stato trasferimento di calore in un modo che in natura non è possibile osservare. Il paradosso ha fatto impazzire generazioni di fisici, ma oggi il campo dell’informazione quantistica dimostra che il diavoletto non potrebbe barare come aveva immaginato Maxwell.

Potendo agire sulle singole molecole, il diavoletto di Maxwell crea l'ordine dal caos senza dispendio di energia, violando (apparentemente) il secondo principio della termodinamica.


5. L’asta nel fienile
La teoria della relatività di Einstein è piena di situazioni che vanno oltre il senso comune. Una di esse è nota come il paradosso dell’asta nel fienile e deriva dall’ipotesi che, a velocità prossime a quelle della luce, un oggetto diventa più corto rispetto allo stato di quiete. Un’astronave che viaggi a velocità relativistiche apparirà molto più corta di quando è partita. Ora, ipotizziamo di avere un atleta con un’asta lunga esattamente quanto un fienile. L’atleta prende a correre verso il fienile, che è aperto, a una velocità vicina a quella della luce. L’asta si accorcia per cui ci sarà un momento in cui sparirà all’interno del fienile prima di riapparire dal lato opposto. Ma per l’atleta, è il fienile che si avvicina a velocità relativistiche, ed è il fienile che si riduce: per cui egli sperimenterà che l’asta esce dall’altra parte prima ancora di essere completamente entrata nel fienile. I due punti di vista sono ugualmente corretti e questo dimostra fino a che punto può spingersi il concetto di “relatività”.


6. Il paradosso dei gemelli
Anche questo proveniente dalla teoria della relatività, è sicuramente più famoso del precedente. Il vostro fratello gemello parte su un’astronave che viaggia a velocità vicine a quelle della luce verso Alpha Centauri, il sistema stellare più vicino. Lo raggiunge in cinque anni, e torna dopo altrettanti. In tutto, sulla Terra sono passati dieci anni e voi avete in effetti dieci anni in più di quando vostro fratello è partito. Ma ora che è tornato, scoprite che per lui gli anni trascorsi sono solo sei, perché a quelle velocità il tempo rallenta, in questo caso del 60%. Vostro fratello è tornato più giovane, rispetto a voi, di quattro anni! Ma un momento: per l’astronauta, il viaggio è durato sì sei anni, invece di dieci, ma dal suo punto di vista è sulla Terra che il tempo è rallentato, per cui per voi che siete rimasti qui sono passati solo tre anni e mezzo! Chi ha ragione? Non certo tutti e due. Vi diciamo solo che sarà il vostro fortunato fratello astronauta a invecchiare più lentamente, non voi qui sulla Terra.

Il gemello che viaggia a velocità relativistiche invecchia più lentamente.





7. Il paradosso del nonno
Chi non ha mai visto Ritorno al futuro? Il protagonista torna indietro nel tempo e cambia la storia ma così facendo mette in moto una serie di conseguenze che impediranno la sua nascita nel futuro, per cui non sarebbe mai nato e non sarebbe mai potuto tornare indietro nel tempo. La versione classica di questo paradosso suggerisce che torniate nel passato per uccidere vostro nonno quando è ancora in fasce. Un plot davvero drammatico, non solo per il nonno ma anche per voi: così facendo, impedite la vostra nascita. Un circolo vizioso difficile da sbrogliare, ma i fisici hanno cercato di individuare delle soluzioni. Secondo Stephen Hawking, si può viaggiare nel futuro – la relatività lo permette – ma non nel passato proprio perché tali paradossi sono proibiti dalle leggi della natura. Secondo altri, se anche riusciste a cambiare il passato, creereste solo un’altra linea narrativa, un altro universo in cui il presente è diverso da quello che avete lasciato.


8. Il diavoletto di Laplace
C’è un altro diavoletto nella storia dei paradossi della fisica. A immaginarlo fu il grande fisico e matematico francese dell’età napoleonica, Pierre Laplace: convinto determinista, sostenne che un intelletto sufficientemente ampio da conoscere tutte le forze della natura e tutte le posizioni di tutti gli oggetti dell’universo, e capace di analizzare tali dati, conoscerebbe tutto il passato e tutto il futuro. Come vediamo, in realtà Laplace non parla di diavoli, ma di intelletti straordinariamente estesi, diabolici se vogliamo; non parla nemmeno di paradossi: la sua è una constatazione. Ma certo è paradossale l’ipotesi per cui, vivendo in un universo deterministico, non esisterebbe il libero arbitrio: tutto quello che facciamo è il frutto di situazioni precedenti e leggi preesistenti, e non il prodotto delle nostre scelte. Ma Laplace visse prima della scoperta della matematica del caos, che dimostrò l’imprevedibilità di molti fenomeni fisici, e prima dell’avvento della meccanica quantistica, che affossò per sempre il sogno di un mondo deterministico perfettamente comprensibile e prevedibile.


9. Il gatto di Schrodinger
La fisica quantistica ha introdotto una serie di paradossi tra i più incredibili. Per esempio il paradosso EPR, su cui si sono scontrati i grandi padri della teoria dei quanti, da Einstein a Bohr. Ma anche questo famoso esperimento mentale che inquadra perfettamente il problema dell’indeterminazione e della dipendenza di un sistema dall’osservatore. Il fisico Erwin Schrodinger immagina una scatola con all’interno un gatto. Nella scatola c’è una minuscola quantità di materiale radioattivo, che potrebbe o meno emettere nel giro di un’ora una particella alfa. Se lo facesse, un contatore Geiger all’interno della scatola lo rileverebbe. Il contatore attiverebbe un martello che rompe una fiala di cianuro, uccidendo il gatto all’interno della scatola. Fin qui tutto bene, tranne per il gatto. Il problema è che non sappiamo se il materiale radioattivo decadrà emettendo la particella alfa finché non apriremo la scatola per scoprire se il gatto è ancora vivo. E poiché la teoria dei quanti sostiene che, finché non viene effettuata l’osservazione, l’atomo incriminato si trova in uno stato di indeterminazione, è proprio la nostra osservazione a produrre – retroattivamente – l’eventuale decadimento. Il che implica che, finché non apriremo la scatola, al suo interno il gatto è vivo e morto contemporaneamente. Non c’è da stupirsi che questo sia forse il più noto dei paradossi. Ma non cercate di usarlo per far colpo sul vostro partner, come il protagonista di The Big Bang Theory: alla gente non piace affatto parlare di gatti zombie!
I 10 paradossi più incredibili della scienza.
Lo sventurato gatto di Schrodinger.


10. Il paradosso di Fermi
Dove sono tutti quanti? Era questa la domanda che il fisico Enrico Fermi rivolse ai suoi colleghi a Los Alamos durante una chiacchierata in mensa sugli extraterrestri. Se davvero l’universo è così grande, con miliardi di pianeti come il nostro, e se su di essi esistono davvero civiltà intelligenti, perché non ci hanno ancora fatto visita? In tanti milioni di anni, almeno una di esse si sarà spinta al punto da indagare buona parte dei sistemi stellari dell’intera galassia. E probabilmente anche più di una: secondo Fermi, qui fuori dovrebbe essere pieno di turisti alieni. Invece niente, non ce ne sono. Siamo soli? Il grande fisico italiano credeva di sì. Esistono tante possibili soluzioni più ottimistiche a questo paradosso, che spiegano perché E.T. c’è ma non si è ancora fatto vivo. Ma esiste almeno una soluzione ancora più pessimista di quella di Fermi: tutte le civiltà intelligenti della galassia finiscono per autodistruggersi dopo poche migliaia di anni, e noi presto le seguiremo. 


http://scienze.fanpage.it/i-10-paradossi-piu-incredibili-della-scienza/


"La fisica del diavolo", ed. Bollati Boringhieri.






















  La finestra sul cielo interiore




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