Aristotele, Stagira, 384 a.C. – Calcide, 322 a.C., è stato un filosofo greco antico, noto come il "filosofo dell'immanenza". È considerato uno dei più innovativi e prolifici uomini di cultura del mondo antico e una delle menti filosofiche più stimate e influenti, nonché un precursore di scoperte in vari campi della conoscenza.
Aristotele al contrario di Platone non ritiene che l'anima sia immortale, ma piuttosto che sia l'essenza formale di ogni corpo vivente. Anche le piante hanno perciò la loro anima, che serve a vivere e riprodursi. Gli animali hanno un'anima sensibile che consente loro di muoversi e percepire. Soltanto l'uomo ha un'anima razionale in grado di pensare. Ma in nessun caso per Aristotele l'anima sopravvive al corpo, poiché anima e corpo sono due facce della stessa medaglia
è come domandarsi se sono la stessa cosa la cera e la forma della candela.
Aristotele
Bisognerà dar credito alle osservazioni piuttosto che alle teorie,
e alle teorie solo se ciò che esse affermano si accorda con i fatti osservati.
Aristotele, De generatione animalium, 760b 30-33
La nozione di prassi, che avrà poi grande fortuna con Marx, nasce proprio con Aristotele.
Le virtù, o "perfezioni", come sarebbe opportuno tradurre il greco aretai,
sono disposizioni generali all`azione in rapporto a situazioni tipiche, come, per esempio,
il pericolo per il coraggio o la tentazione degli eccessi in ordine al piacere e al dolore.
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/aristotele-e-letica-la-virt%C3%B9/4388/default.aspx
Il saggio cerca di conseguire l'assenza del dolore, non il piacere.
Aristotele
Aristotele
IL VALORE DELLA SCHOLE’
Disse Aristotele che le repubbliche incapaci di vivere una vita di scholè sono destinate al collasso. Per questo al centro di ogni sistema sociale dovrebbe esserci una scholè, un luogo di rigenerazione continua della conoscenza, di aggiornamento delle mappe, di ricostruzione dei modelli e delle narrazioni, di raccolta delle sensazioni e dei sentimenti generati dai viventi, di rielaborazione delle eredità del passato, di ordinamento armonico, in una parola di creazione dell’essere. Una vita di scholè ci protegge dalle insidie alla nostra libertà, in primo luogo epistemiche, nate all’incapacità di rapportarsi col reale che nasce dall’ascholia.Robert Del Sol "Storia della Filosofia"
LE CATEGORIE
Per categorie, il filosofo di Stagira intende le caratteristiche fondamentali e strutturali dell’essere, cioè quelle determinazioni generalissime che ogni essere ha e non può fare a meno di avere.
Dal punto di vista ontologico, le categorie sono i modi fondamentali in cui la realtà si presenta; da un punto di vista logico, esse sono i vari modi con cui noi attribuiamo un predicato ad un soggetto. Esse sono:
1. SOSTANZA
2. QUALITA’
3. QUANTITA’
4. RELAZIONE
5. AGIRE
6. SUBIRE
7. DOVE
8. QUANDO
9. AVERE
10. GIACERE.
Ad esempio: diciamo che questo individuo è un uomo (SOSTANZA), che è bello o brutto (QUALITÀ), alto o basso (QUANTITÀ), vicino o lontano (RELAZIONE), che sta facendo o subendo qualcosa (AGIRE e SUBIRE), che è in un determinato posto (DOVE), che è in un determinato tempo (QUANDO), che porta le scarpe (AVERE) e che sta seduto (GIACERE).
"Privato della percezione e dell'intelligenza, l'uomo diventa simile ad una pianta; se gli si sottrae l'intelligenza soltanto, si trasforma in un animale; se è liberato, invece, dall'irrazionale, ma persiste nell'intelletto, diventa simile a un dio."
Aristotele, 'Protreptico'
Chi per natura non appartiene a se ma ad altri pur essendo uomo, é per natura uno schiavo essendo taluni destinati a comandare ed altri ad obbedire
Aristotele
Aristotele
La filosofia è la scienza che ha per oggetto la verità
Aristotele
Chiamiamo libero colui che esiste per se stesso e non per un altro
Aristotele
La filosofia non serve a nulla, dirai;
ma sappi che proprio perché priva del legame di servitù è il sapere più nobile.
ma sappi che proprio perché priva del legame di servitù è il sapere più nobile.
Aristotele
«Se rimanga qualche cosa dopo l'individuo, è una questione ancora da esaminare. In alcuni casi, nulla impedisce che qualcosa rimanga: per esempio, l'anima può essere una cosa di questo genere, non tutta, ma solo la parte intellettuale; perché è forse impossibile che tutta l'anima sussista anche dopo».
Aristotele, Metafisica, Λ 3, 1070 a 24-26
Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli altri astri, o i problemi riguardanti la generazione dell'intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicchè, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è evidente che ricercano il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando già c'era pressochè tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all'agiatezza ed al benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. E' evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa.
Aristotele, Metafisica I,2,982b
Il principio di tutte le cose.
"La maggior parte di coloro che primi filosofarono pensarono che PRINCÍPI DI TUTTE LE COSE fossero solo quelli MATERIALI. Infatti essi affermano che CIÒ DI CUI TUTTI GLI ESSERI SONO COSTITUITI e ciò da cui derivano originariamente e in cui si risolvono da ultimo, è ELEMENTO ED È PRINCIPIO DEGLI ESSERI, in quanto È UNA REALTÀ CHE PERMANE IDENTICA pur nel trasmutarsi delle sue affezioni. E, per questa ragione, essi CREDONO CHE NULLA SI GENERI E CHE NULLA SI DISTRUGGA, dal momento che una TALE REALTA' SI CONSERVA SEMPRE. E come non diciamo che SOCRATE si genera in senso assoluto quando diviene bello o musico, né diciamo che perisce quando perde questi modi di essere, per il fatto che il sostrato – ossia Socrate stesso – continua ad esistere, cosí dobbiamo dire che NON SI CORROMPE, in senso assoluto, nessuna delle altre cose: infatti deve esserci qualche REALTÀ NATURALE (o una sola o piú di una) DALLA QUALE DERIVANO TUTTE LE ALTRE COSE, MENTRE ESSA CONTINUA AD ESISTERE IMMUTATA. Tuttavia, QUESTI FILOSOFI NON SONO TUTTI D’ACCORDO CIRCA IL NUMERO E LA SPECIE DI UN TALE PRINCIPIO. TALETE, iniziatore di questo tipo di filosofia, dice che quel PRINCIPIO È L’ACQUA (per questo afferma anche che la Terra galleggia sull’acqua), desumendo indubbiamente questa sua convinzione dalla constatazione che il NUTRIMENTO DI TUTTE LE COSE È UMIDO, e che perfino il caldo si genera dall’umido e vive nell’umido. Ora, CIÒ DA CUI TUTTE LE COSE SI GENERANO è, appunto, il PRINCIPIO DI TUTTO. Egli desunse dunque questa convinzione da questo fatto e dal fatto che I SEMI DI TUTTE LE COSE HANNO UNA NATURA UMIDA e l’acqua è il principio della natura delle cose umide".
Aristotele, Metafisica 983 b
Aristotele. Il vero non è nelle cose ma solo nel pensiero.
Per quanto concerne l’essere come vero ed il non-essere come falso, dobbiamo dire che essi riguardano la connessione e la divisione di nozioni e l’uno e l’altro insieme abbracciano le due parti della contraddizione. Il vero è l’affermazione di ciò che è realmente congiunto e la negazione di ciò che è realmente diviso; il falso è, invece, la contraddizione di questa affermazione e di questa negazione. In quale modo, poi, avvenga che noi pensiamo cose unite o separate, e unite in modo da formare non una semplice consecuzione, ma qualcosa di veramente unitario è questione che esula da quella che stiamo trattando. Infatti, il vero ed il falso non sono nelle cose (quasi che il bene fosse il vero e il male fosse senz’altro il falso), ma solo nel pensiero; anzi, per quanto concerne gli esseri semplici e le essenze, non sono neppure nel pensiero.
ARISTOTELE (384 a.C. – 322 a.C.), “Metafisica”, introd., trad., note e apparati di Giovanni Reale, app. bibliografica di Roberto Radice, Rusconi, Milano 1993, libro E (sesto), 4, 1027 b, p. 281.
Per Aristotele «tutti coloro che hanno raggiunto l’eccellenza nella filosofia, nella poesia, nell’arte e nella politica, inclusi Socrate e Platone, avevano un habitus malinconico; di fatto alcuni soffrivano anche di malattia malinconica».
Aristotele in La metafisica dice che le api sono intelligenti perché sono sorde. Basta loro la vista e la propria essenza per sapere esattamente quali azioni compiere e come compierle. Sarebbe cosa buona che anche noi per conoscere i fatti, le persone e la vita non ascoltassimo ciò che ci dicono.
E' infatti dentro noi ciò che dobbiamo capire.
Considero più valoroso colui che sopraffà i propri desideri che non colui che conquista i propri nemici; perché la vittoria più dura è contro se stessi.
Aristotele
Aristotele, un aneddoto:
"Ad un cicalone che gli aveva versato addosso un fiume di parole e che gli chiedeva se le sue ciance lo avessero offeso, rispose: Nient'affatto, per Zeus! Mentre parlavi, ad altro badavo"
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, V, I, 20)
L'UOMO È ANIMALE POLITICO PER NATURA.
Gli uomini, anche quando nessun bisogno di aiuto reciproco li spinga, desiderano nondimeno vivere insieme; del resto a ciò li sollecita anche l'interesse comune, in quanto così ciascuno vive meglio. Questo è il fine precipuo degli uomini che vivono in comune e di ciascuno preso individualmente. Ma gli uomini formano e mantengono le associazioni politiche anche soltanto per salvaguardare la vita, nella quale forse, anche a considerarla solamente in sé, c'è qualcosa di bello, quando le difficoltà non eccedono. Ed è chiaro che molti sopportano numerosi disagi per il loro attaccamento alla vita, quasi che questa contenesse una sorta di letizia e dolcezza naturale.
Aritotele, "Politica", III, 6, 1278b 19-29
Aristotele, La città è la comunità naturale.
“Risulta subito evidente che ogni città è una comunità e che ogni comunità si costituisce proponendosi per scopo un qualche bene (perché tutti compiono ogni loro azione per raggiungere ciò che ad essi sembra essere un bene). Ciò posto, possiamo dire che soprattutto vi tende e tende al più eccellente di tutti i beni quella comunità che regge e comprende in sé tutte le altre: e questa è quella che si chiama città e comunità politica. […] La comunità perfetta di più villaggi costituisce ormai la città che ha raggiunto quello che si chiama il livello di autosufficienza e che sorge per render possibile la vita e sussiste per produrre le condizioni di una buona esistenza. Perciò ogni città è un’istituzione naturale, se lo sono anche i tipi di comunità che la precedono, in quanto essa è il loro fine e la natura di una cosa è il suo fine; cioè diciamo che la natura di una cosa è quello che essa è quando si è conclusa la sua generazione, come avviene per l’uomo, il cavallo, la casa. Ora, lo scopo ed il fine sono ciò che vi è di meglio; e l’autosufficienza è un fine e quanto vi è di meglio. Da ciò dunque è chiaro che la città appartiene ai prodotti naturali, che l’uomo è animale che per natura deve vivere in una città.”
ARISTOTELE (384/383 a.C. – 322 a.C.), “Politica”, a cura, introduzione, nota biografica e bibliografica, trad. di Carlo Augusto Viano, UTET, Torino 1955, Libro I, ɪ 1252, p. 49 e 1252-1253, p. 53.
“ Ἐπειδὴ πᾶσαν πόλιν ὁρῶμεν κοινωνίαν τινὰ οὖσαν καὶ πᾶσαν κοινωνίαν ἀγαθοῦ τινος ἕνεκεν συνεστηκυῖαν (τοῦ γὰρ εἶναι δοκοῦντος ἀγαθοῦ χάριν πάντα πράττουσι πάντες), δῆλον ὡς πᾶσαι μὲν ἀγαθοῦ τινος στοχάζονται, μάλιστα δὲ καὶ τοῦ κυριωτάτου πάντων ἡ πασῶν κυριωτάτη καὶ πάσας περιέχουσα τὰς ἄλλας. Αὕτη δ’ ἐστὶν ἡ καλουμένη πόλις καὶ ἡ κοινωνία ἡ πολιτική. […] Ἡ δ’ ἐκ πλειόνων κωμῶν κοινωνία τέλειος πόλις, ἤδη πάσης ἔχουσα πέρας τῆς αὐταρκείας ὡς ἔπος εἰπεῖν, γινομένη μὲν τοῦ ζῆν ἕνεκεν, οὖσα δὲ τοῦ εὖ ζῆν. Διὸ πᾶσα πόλις φύσει ἔστιν, εἴπερ καὶ αἱ πρῶται κοινωνίαι. Τέλος γὰρ αὕτη ἐκείνων, ἡ δὲ φύσις τέλος ἐστίν· οἷον γὰρ ἕκαστόν ἐστι τῆς γενέσεως τελεσθείσης, ταύτην φαμὲν τὴν φύσιν εἶναι ἑκάστου, ὥσπερ ἀνθρώπου ἵππου οἰκίας. Ἔτι τὸ οὗ ἕνεκα καὶ τὸ τέλος βέλτιστον· Ἡ δ’ αὐτάρκεια καὶ τέλος καὶ βέλτιστον. Ἐκ τούτων οὖν φανερὸν ὅτι τῶν φύσει ἡ πόλις ἐστί, καὶ ὅτι ὁ ἄνθρωπος φύσει πολιτικὸν ζῷον, καὶ ὁ ἄπολις διὰ φύσιν.”
ΑΡΙΣΤΟΤΕΛΟΥΣ “Πολιτικά”, “The politics of Aristotle”, a revised text with introduction, analysis and commentary by Franz Susemihl and R. D. Hicks, Macmillan, London-New York (printed by C. J. Clay, University Press, Cambridge) 1894, Πολιτικὼν Α. 1. 1252a, pp. 138 – 139 e A. 2. 152b-1253a, pp. 146 – 147.
Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono.
Aristotele
Allora non bisogna forse dire che, in assoluto e secondo verità,
oggetto del volere è il bene, ma che per ciascuno è il bene apparente;
che per l'uomo eccellente è il bene secondo verità, mentre per l'uomo dappoco è ciò che capita, proprio come capita anche per i corpi: per quelli in buone condizioni di salute sono salutari le cose veramente tali, per quelli malate cose diverse, e lo stesso vale per ciò che è amaro, dolce, caldo, pesante e tutto il resto? Infatti l'uomo eccellente giudica ogni cosa in modo corretto, e a lui appare la verità in ogni singolo caso.
Aristotele, Etica Nicomachea, 1113a, 23-30
Il pusillanime, pur essendo degno di beni, priva se stesso di cose di cui è degno e sembra possedere un vizio, dal fatto di non reputarsi degno dei beni; ma sembra anche non conoscere se stesso: chè altrimenti bramerebbe le cose delle quali è degno, poichè si tratta di beni. Ciondimeno siffatti individui non passano per essere degli stolti, ma piuttosto dei timidi. Ma tutti convengono che la cattiva opinione che essi hanno di se stessi li rende, inoltre, peggiori. Infatti ogni categoria di persone tende alle cose di cui si giudica degna; ora, i pusillanimi si astengono sia dalle azioni che dalle occupazioni che son buone nella convinzione di esserne indegni, e parimenti anche dai beni esteriori. I vanitosi, al contrario, sono degli stolti e sono persone che non conoscono se stesse, ed hanno queste prerogative in maniera manifesta. Infatti pur non essendone degni mettono mano a cose onorevoli, ma poi si confondono. Essi si danno ornamento con la veste e con l'aspetto e con le cose di questo genere, e vogliono che i loro doni della sorte siano manifesti, e ne parlano, pensando che per essi saranno onorati. Alla magnanimità si oppone maggiormente la pusillanimità della vanità, giacchè si verifica di più ed è cosa peggiore
Aristotele, Etica Nicomachea
Ciò che impariamo a fare, lo impariamo facendolo.
Aristotele
Un saggio non dice tutto quello che pensa ma pensa a tutto quello che dice
Aristotele
Aristotele
Non è possibile o non è facile mutare col ragionamento ciò che da molto tempo si è impresso nel carattere
Aristotele, Etica Nicomachea
Un saggio non dice tutto quello che pensa ma pensa a tutto quello che dice
Aristotele
Aristotele
Dal compiere azione giuste si genera il giusto, e dal compiere azione sagge il saggio:
a partire dal non compiere azioni nessuno mai potrà nemmeno avvicinarsi a diventare saggio.
a partire dal non compiere azioni nessuno mai potrà nemmeno avvicinarsi a diventare saggio.
La gente invece non compie queste cose, e si rifugia nei semplici discorsi,
credendo di filosofare e che in questo modo ciascuno diventerà una persona eccellente;
con ciò fa qualcosa di simile ai malati che ascoltano con attenzione le cose che dicono i medici,
ma non fanno nulla di quello che viene loro prescritto. E, quindi, proprio come quelli non sono sani nel corpo, se si curano in modo simile, nemmeno questi sono sani nell'animo, filosofando in tal modo.
credendo di filosofare e che in questo modo ciascuno diventerà una persona eccellente;
con ciò fa qualcosa di simile ai malati che ascoltano con attenzione le cose che dicono i medici,
ma non fanno nulla di quello che viene loro prescritto. E, quindi, proprio come quelli non sono sani nel corpo, se si curano in modo simile, nemmeno questi sono sani nell'animo, filosofando in tal modo.
Aristotele, “Etica Nicomachea”, II, 1105b 10-19
oggetto del volere è il bene, ma che per ciascuno è il bene apparente;
che per l'uomo eccellente è il bene secondo verità, mentre per l'uomo dappoco è ciò che capita, proprio come capita anche per i corpi: per quelli in buone condizioni di salute sono salutari le cose veramente tali, per quelli malate cose diverse, e lo stesso vale per ciò che è amaro, dolce, caldo, pesante e tutto il resto? Infatti l'uomo eccellente giudica ogni cosa in modo corretto, e a lui appare la verità in ogni singolo caso.
Aristotele, Etica Nicomachea, 1113a, 23-30
Il pusillanime, pur essendo degno di beni, priva se stesso di cose di cui è degno e sembra possedere un vizio, dal fatto di non reputarsi degno dei beni; ma sembra anche non conoscere se stesso: chè altrimenti bramerebbe le cose delle quali è degno, poichè si tratta di beni. Ciondimeno siffatti individui non passano per essere degli stolti, ma piuttosto dei timidi. Ma tutti convengono che la cattiva opinione che essi hanno di se stessi li rende, inoltre, peggiori. Infatti ogni categoria di persone tende alle cose di cui si giudica degna; ora, i pusillanimi si astengono sia dalle azioni che dalle occupazioni che son buone nella convinzione di esserne indegni, e parimenti anche dai beni esteriori. I vanitosi, al contrario, sono degli stolti e sono persone che non conoscono se stesse, ed hanno queste prerogative in maniera manifesta. Infatti pur non essendone degni mettono mano a cose onorevoli, ma poi si confondono. Essi si danno ornamento con la veste e con l'aspetto e con le cose di questo genere, e vogliono che i loro doni della sorte siano manifesti, e ne parlano, pensando che per essi saranno onorati. Alla magnanimità si oppone maggiormente la pusillanimità della vanità, giacchè si verifica di più ed è cosa peggiore
Aristotele, Etica Nicomachea
I collerici rapidamente montano in collera con coloro con i quali non si deve e per le cose per le quali non si deve e più di quanto si deve, ma rapidamente cessano: il che è l'aspetto migliore che hanno. Questo accade loro poichè non trattengono la collera, ma reagiscono in quanto sia chiaro che sono capaci di reagire, per la vivacità del loro carattere, e poi smettono. Gli irascibili sono vivaci all'eccesso e collerici verso tutto e per ogni cosa; donde anche il loro nome. I caratteri pungenti sono difficili a riconciliarsi e restano in collera per molto tempo: giacchè essi trattengono la loro impetuosità. La tranquillità ritorna loro quando abbiano reso il contraccambio. Infatti la vendetta fa cessare loro la collera, ingenerando piacere invece di dolore. Ma se questo non avviene, essi hanno un peso opprimente, giacchè, per il solo fatto che non è manifesto, nessuno neppure li persuade, e per digerire in sè la collera c'è bisogno di tempo. Gli individui di questo genere sono i più fastidiosi per se stessi e per i loro amici più cari. Chiamiamo infine caratteri difficili coloro che si adirano per cose per le quali non si deve e più di quanto si deve e per più tempo, e che non cambiano sentimento senza vendetta e punizione. Alla mitezza noi poniamo come maggiormente contrario l'eccesso, giacchè è più diffuso: infatti il vendicarsi è cosa più umana; ed è in relazione al vivere assieme i caratteri difficili sono i peggiori.
Aristotele, Etica Nicomachea
Aristotele, Etica Nicomachea
I malvagi cercano persone con cui passare il loro tempo, ma fuggono sé stessi, giacché si ricordano delle loro molte cattive azioni, anzi prevedono che ne commetteranno altre di simili, se rimangono soli con sé stessi, ma se ne dimenticano se sono in compagnia d’altri. Non avendo nulla di amabile, non provano alcun sentimento amorevole verso sé stessi.
Aristotele, Etica Nicomachea, IV sec. a.e.c.
Ciò che impariamo a fare, lo impariamo facendolo.
Aristotele
Gli uomini acquisiscono qualità particolari agendo costantemente in modi particolari
Aristotele
Aristotele
Un saggio non dice tutto quello che pensa ma pensa a tutto quello che dice
Aristotele
La caratteristica di una mente evoluta è di essere in grado di intrattenere un pensiero senza doverlo per forza fare proprio
Aristotele
Aristotele
AMICIZIA e RICCHEZZA
È preferibile ciò che in sé è più bello, più pregevole e maggiormente degno di lode, così come l'amicizia è più desiderabile della ricchezza e la giustizia lo è del vigore; in effetti, amicizia e giustizia sono per sé degli oggetti pregevoli e degni di lode, mentre ricchezza e vigore non lo sono per sé, ma a causa di qualcos'altro. Nessuno invero ritiene pregevole la ricchezza a causa di essa stessa, bensì lo fa a causa di qualcos'altro; l'amicizia invece è apprezzabile per se stessa, quand'anche null'altro debba derivarne a noi.
[Ἔτι τὸ κάλλιον καθ´ αὑτὸ καὶ τιμιώτερον καὶ ἐπαινετώτερον, οἷον φιλία πλούτου καὶ δικαιοσύνη ἰσχύος· τὰ μὲν γὰρ καθ´ αὑτὰ τῶν τιμίων καὶ ἐπαινετῶν, τὰ δ´οὐ καθ´ αὑτὰ ἀλλὰ δι´ ἕτερον. Οὐδεὶς γὰρ τιμᾷ τὸν πλοῦτον δι´ ἑαυτόν, ἀλλὰ δι´ ἕτερον· τὴν δὲ φιλίαν καθ´ αὑτό, καὶ εἰ μηδὲν μέλλει ἡμῖν ἕτερον ἀπ´ αὐτῆς ἔσεσθαι.] Aristotele, "Topici", III, 117a
L’amicizia è un’anima sola che vive in due corpi
Aristotele
Platone è mio amico, ma la verità è ancora più mia amica.
Amicus Plato, sed magis amica veritas
Aristotele
Ci si dovrebbe comportare con i propri amici come noi vorremmo che si comportassero con noi.
Aristotele
Ci si dovrebbe comportare con i propri amici come noi vorremmo che si comportassero con noi.
Aristotele
Chi è incapace di vivere in società, o non ne ha bisogno perché è sufficiente a se stesso, deve essere una bestia o un dio.
Aristotele
Gli inferiori si ribellano per ottenere l'uguaglianza e coloro che hanno ottenuto l'uguaglianza si ribellano per ottenere dei privilegi.
Aristotele
Gli inferiori si ribellano per ottenere l'uguaglianza e coloro che hanno ottenuto l'uguaglianza si ribellano per ottenere dei privilegi.
Aristotele
I malvagi obbediscono per paura, i buoni per amore
Aristotele
I giovani non sono sospettosi perchè di male non ne hanno ancora visto molto; sono fiduciosi perchè non hanno ancora avuto il tempo di essere ingannati.
Aristotele
Le persone oneste e intelligenti difficilmente fanno una rivoluzione, perchè sono sempre in minoranza.
Aristotele
Considero più coraggioso chi vince i propri desideri che chi vince i propri nemici, perché la battaglia più difficile è quella con sé stessi.
Aristotele
Le persone che fanno le guerre agli altri non sono riuscite a conquistare se stesse.
Aristotele
Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e... non esistono!
Aristotele
Comune alla democrazia, all'oligarchia, e ad ogni costituzione è la necessità di badare a che nessuno si innalzi in potenza tanto da superare la giusta misura.
"...È NELL'INTERESSE DEL TIRANNO
DI TENERE LA
SUA GENTE IN POVERTÀ,
così che non possano
permettersi il costo delle
armi con cui proteggersi da soli,
e che siano così occupati dal lavoro quotidiano che non abbiano tempo di pensare
a ribellarsi."I giovani non sono sospettosi perchè di male non ne hanno ancora visto molto; sono fiduciosi perchè non hanno ancora avuto il tempo di essere ingannati.
Aristotele
Le persone oneste e intelligenti difficilmente fanno una rivoluzione, perchè sono sempre in minoranza.
Aristotele
Considero più coraggioso chi vince i propri desideri che chi vince i propri nemici, perché la battaglia più difficile è quella con sé stessi.
Aristotele
Le persone che fanno le guerre agli altri non sono riuscite a conquistare se stesse.
Aristotele
Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e... non esistono!
Aristotele
Comune alla democrazia, all'oligarchia, e ad ogni costituzione è la necessità di badare a che nessuno si innalzi in potenza tanto da superare la giusta misura.
Aristotele
Aristotele
"... Egli infatti, constatando che la pòlis era spesso in contrasto, e che ciascun cittadino per INDIFFERENZA pensava solo a se stesso, stabilì una legge particolare contro costoro: "Chi durante una guerra civile non prende le armi né si schiera con una delle due parti, sarà accusato di atimia e non avrà alcun diritto politico".
Solone, Cit. da: Aristotele, La Costituzione degli Ateniesi.
I due principali testimoni della legge di Solone, la quale puniva con l'ATIMIA coloro che, in caso di STASIS, non si fossero schierati con nessuno dei due partiti, sono Aristotele [...] e Plutarco [...] i quali menzionano la legge nel quadro della ricostruzione della figura e dell'attività legislativa di Solone. A queste due testimonianze si aggiungono Cicerone [...] e Alessandro di Afrodisia [...]. In questi ultimi casi il riferimento alla legge è [...] per lo più, motivato dal suo contenuto paradossale: Cicerone allude alla legge per dire ad Attico che non intende schierarsi né con i Cesanani né con i Pompeiani (ego vero Solonis ... legem neglegam), Plutarco, nei tre passi dei Moralia, la definisce assurda, quasi il parto di una mente insana, diverso è il caso di Gellio che le dedica un intero capitolo intitolato "considerata perpensaque lex quaedam Solonis speciem habens primorem iniquae iniustaeque legis, sed ad usum et emolumentum salubritatis penitus reperta". Lo sconcerto degli antichi è condiviso dai moderni che dubitano della sua autenticità o cercano di dame un'interpretazione che ne stemperi la bizzarria. Certo proprio per il suo contenuto paradossale questa legge, fosse essa autentica o no, poteva fornire un buon soggetto per esercitazioni di retorica, volte a svelare il senso, non immediatamente evidente, di una norma attribuita ad uno dei massimi legislatori e uno dei sette sapienti.
Amneris Roselli. Istituto Universitario Orientale, Napoli.
Cuadernos de Filología Clásica: Estudios griegos e indoeuropeos. Vol. 12, 2002, 137-144.
Amneris Roselli. Istituto Universitario Orientale, Napoli.
Cuadernos de Filología Clásica: Estudios griegos e indoeuropeos. Vol. 12, 2002, 137-144.
[...]
Per prevenire le lotte intestine e le rivoluzioni, egli aveva prescritto a tutti i membri della città, come obbligo in cambio dei loro diritti, di schierarsi in caso di torbidi in uno dei partiti opposti, pena l’atimia che comportava l’esclusione dalla comunità: sperava che uscendo dalla neutralità gli uomini esenti da passione avrebbero costituito una maggioranza in grado di contrastare i perturbatori della pace pubblica. I timori erano esatti; le precauzioni furono vane. Solone non aveva soddisfatto né i ricchi né la massa dei poveri e diceva con tristezza: “Quando si fanno grandi cose, è difficile piacere a tutti.” Ancora arconte, era tempestato dalle invettive degli scontenti; quando ebbe lasciato la carica, fu uno scatenarsi di rimproveri e di accuse. Solone si difese, come sempre, con dei versi: è allora che chiamò a testimone la Madre Terra. Lo si subissava di insulti e di scherni perché “gli era mancato il coraggio” per farsi tiranno, perché non aveva voluto, “per essere il padrone di Atene, non fosse che per un giorno, che si facesse un otre della sua pelle scorticata e che la sua stirpe fosse cancellata”. Circondato di nemici, ma deciso a non cambiare niente di quanto aveva fatto, forse anche credendo che la sua assenza avrebbe calmato gli animi, decise di abbandonare Atene. Viaggiò, si fece vedere a Cipro, andò in Egitto a ritemprarsi alle fonti della saggezza. Quando tornò, la lotta fra le fazioni era più viva che mai. SI ritirò dalla vita pubblica e si rinchiuse in un inquieto riposo: “invecchiava imparando sempre e molto”, senza cessare di tendere l’orecchio ai rumori dell’esterno e di prodigarsi in avvertimenti di un patriottismo preoccupato. Ma Solone non era che un uomo; non era in suo potere arrestare il corso degli eventi. Visse abbastanza per assistere alla rovine della costituzione che credeva di avere consolidata e vide spandersi sulla sua cara città la cupa ombra della tirannia.
(cit. da: Benveniste, E., 1966, Problèmes de linguistique génèrale, Paris, Gallimard; trad. it. Problemi di linguistica generale, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 298-299).
(cit. da: Benveniste, E., 1966, Problèmes de linguistique génèrale, Paris, Gallimard; trad. it. Problemi di linguistica generale, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 298-299).
Aristotele. I popoli d’Asia (ma non solo) e gli Elleni.
“Quanto alla massa dei cittadini, quale debba esserne il limite, l’abbiamo detto prima*, quale conviene che sia il loro carattere, lo diciamo adesso. Più ο meno lo si potrebbe intender bene, gettando uno sguardo agli stati più famosi degli Elleni e alla terra tutta abitata, com’essa risulta distinta tra i diversi popoli. I popoli che abitano nelle regioni fredde e quelli d’Europa sono pieni di coraggio ma difettano un pò d’intelligenza e di capacità nelle arti, per cui vivono sì liberi, ma non hanno organismi politici e non sono in grado di dominare i loro vicini: i popoli d’Asia al contrario hanno natura intelligente e capacità nelle arti, ma sono privi di coraggio per cui vivono continuamente soggetti e in servitù: la stirpe degli Elleni, a sua volta, come geograficamente occupa la posizione centrale, così partecipa del carattere di entrambi, perché, in realtà, ha coraggio e intelligenza, quindi vive continuamente libera, ha le migliori istituzioni politiche e la possibilità di dominare tutti, qualora raggiunga l'unità costituzionale. Allo stesso modo differiscono anche i popoli greci gli uni dagli altri: il carattere di questi presenta una sola qualità, di quelli, invece, una buona mistione di tutt’e due. È chiaro dunque che deve avere intelligenza e cuore chi intende essere ben guidato dal legislatore alla virtù.
* Cfr. 1326 a 9-b 24”
Il proverbio è un avanzo dell'antica filosofia,
conservatosi fra molte rovine per la sua brevità e opportunità.
Aristotele (384/3 a.C. - 322 a.C.) Filosofo greco
La cultura è un ornamento nella buona sorte, un rifugio nell'avversa
Aristotele
Sbagliare è possibile in molti modi,
ma riuscire è possibile in un modo solo.
ma riuscire è possibile in un modo solo.
Aristotele
La filosofia è la scienza che ha per oggetto la verità.
Aristotele
Chiamiamo libero colui che esiste per se stesso e non per un altro
Aristotele
La filosofia non serve a nulla, dirai; ma sappi che proprio perché priva del legame di servitù è il sapere più nobile.
Aristotele
Aristotele
Aristotele. La carne non esiste indipendentemente dalla materia.
“ Poiché altro è la grandezza dall’essenza della grandezza e l’acqua dall’essenza dell’acqua (e così per molte altre cose, ma non per tutte: in alcune sono lo stesso), l’anima giudica l’essenza della carne e la carne ο con facoltà differenti ο con la stessa ma altrimenti atteggiata: in realtà la carne non esiste indipendentemente dalla materia, ma, come il camuso*, è una particolare forma in una particolare materia. Quindi mediante la facoltà sensitiva giudica il caldo e il freddo e le qualità di cui la carne costituisce in qualche modo una proporzione, ma la quiddità della carne la giudica con un’altra facoltà, separata da quella sensitiva ο che ad essa si riporta come la linea curva si riporta a se stessa, quand’è drizzata.
*II camuso è la concavità nel naso, κοιλότης ἐν ῤινί, e dunque stretta unione di forma e materia. Cfr. BONITZ, ‹Ind. Ar.› 680 a 40. ”
ARISTOTELE (384 a.C. – 322 a.C.), “Dell’anima”, trad. di Renato Laurenti, in ID., “Opere”, Mondadori, Milano 2008 (su licenza di Laterza, Roma-Bari 2007 (VIII ed., I ed. 1973), 2 voll., vol. I, Libro III (Γ), 4, 429b, pp. 500 – 501.
“Che ciò che è sia, quando è, e che ciò che non è non sia, quando non è, risulta certo necessario; non è però necessario, che tutto ciò che è sia, né che tutto ciò che non è non sia. In effetti, l’essere per necessità di tutto ciò che è, quando è, non equivale all’essere per necessità, assolutamente, di tutto ciò che è. Similmente si dica per ciò che non è. Del pari, lo stesso discorso vale per i giudizi contraddittori in proposito. Certo, per necessità ogni oggetto è o non è, come pure, sarà o non sarà, ma non è davvero necessario dire una delle due cose, separata dall’altra. Con ciò intendo dire, ad esempio, che necessariamente domani vi sarà una battaglia navale, oppure non vi sarà, ma che non è tuttavia necessario che domani vi sia una battaglia navale, né d’altra parte è necessario che domani non vi sia una battaglia navale. Ciò che invece risulta necessario, è che domani avvenga o non avvenga una battaglia navale. Di conseguenza, dal momento che i discorsi sono veri analogamente a come lo sono gli oggetti, è chiaro che a proposito di tutti gli oggetti, costituiti così da accadere indifferentemente in due modi, secondo delle possibilità contrarie, anche la contraddizione si comporterà necessariamente in maniera simile.”
ARISTOTELE (384 a.C. – 322 a.C.), “ Dell’espressione”, in ARISTOTELE, “ Organon “, a cura e trad. it. di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 2003, capitolo nono, 19a pp. 68 – 69.
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