mercoledì 21 marzo 2012

Nietzsche. Che cos'è dunque la verità? Un mobile esercizio di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete.

"Se si vuol lottare per la pace dell'anima, si deve credere,
 ma se vuoi essere un devoto della verità, allora devi domandare."
Frase di Nietzsche alla sorella



È mitologia credere che troveremo il nostro vero io dopo aver lasciato o dimenticato questo e quello. Così ci sbrogliamo come una matassa, all'infinito: invece costruire noi stessi, modellare tutti gli elementi in una forma - questo è il nostro compito! Sempre quello di uno scultore, di un uomo creativo!
(Friedrich Nietzsche, FP, fine 1880


Che cos'è dunque la verità? Un mobile esercizio di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolantile verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete.
Friedrich Nietzsche


A quale scopo l’umanità sia qui non dovrebbe ancora riguardarci: perché tu sei qui, ecco cosa dovresti chiederti: e se non hai la risposta pronta, allora concentrati sui tuoi obiettivi, alti e nobili, e perisci per perseguirli! So che non c’è nessuno scopo di vita migliore che morire per tentare il grande e l’impossibile.
Friedrich Nietzsche



Non rimanere attaccato ad una persona, sia pure la prediletta tra tutte: ogni persona è un carcere, ed anche un nascondiglio. Non rimanere attaccato al suolo patrio, fosse anche, la tua patria, la più martoriata e bisognosa d’aiuto (è già meno difficile liberare il proprio cuore dai lacci di una patria vittoriosa). Non rimanere attaccato ad una compassione: fosse anche un tributo ad individui superiori, nel cui straordinario martirio e sconfortato abbandono un caso ti abbia permesso di figger lo sguardo. Non rimanere attaccato ad una scienza: dovesse pure ingannarti con le più preziose scoperte, in apparenza messe da parte perché a te riservate. Non rimanere attaccato nemmeno alla tua liberazione. Bisogna conoscere l’arte di conservarsi: suprema prova di indipendenza.
Friedrich Nietzsche


Ogni azione continua a creare noi stessi, ogni azione tesse il nostro abito multicolore.
Ogni azione è libera, ma l'abito è necessario. La nostra esperienza di vita, questo è il nostro abito.
Friedrich Nietzsche


Io amo gli spiriti liberi, purché siano anche cuori liberi.
Per me il cervello non è altro che le viscere del cuore.
Ciò che un cuore accetta, il cervello deve digerirlo e farne pensieri.
Friedrich Nietzsche


La verità è che la verità cambia.
Friedrich Nietzsche

Dove voi vedete ideali io vedo cose umane, troppo umane.
Friedrich Nietzsche

Non esistono fatti ma solo interpretazioni
Friedrich Nietzsche

Non esistono fenomeni morali, ma solo un'interpretazione morale dei fenomeni.
Friedrich Nietzsche


Una volta che si è trovato se stessi, bisogna essere in grado, di tanto in tanto, di perdersi... e poi di ritrovarsi
Friedrich Nietzsche


L'ideale è una menzogna che pesa sulla realtà
Friedrich Nietzsche


Non s'è ancora vista la verità a braccetto con un assoluto
Friedrich Nietzsche


"Ci sono solo fatti", io direi: no; proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni.
"Tutto é soggettivo", dite voi; ma già questa é un'interpretazione.
ll "soggetto"non é niente di dato, é solo qualcosa di aggiunto con l'immaginazione, qualcosa di appiccicato dopo. Nella misura in cui la parola"conoscenza" ha senso, il mondo é conoscibile; ma esso é interpretabile in modi diversi, non ha dietro di sé un senso, ma innumerevoli sensi."
Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887




In quanto la parola «conoscenza» abbia senso, il mondo è conoscibile; ma esso è interpretabile in modi diversi, e non ha dietro di sé un senso, ma innumerevoli sensi. «Prospettivismo». Sono i nostri bisogni, che interpretano il mondo: i nostri istinti e i loro pro e contro. Ogni istinto è una specie di sete di dominio, ciascuno ha la sua prospettiva, che esso vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri istinti
Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887



Tutto ciò che è abituale intesse intorno a noi una rete di ragnatele che diventa sempre più salda; e ben tosto ci accorgiamo che i fili sono divenuti corde e che noi stessi vi stiamo in mezzo come un ragno che vi si sia impigliato e che debba nutrirsi del suo stesso sangue. Perciò lo spirito libero odia tutte le abitudini e regole, tutto ciò che è durevole e definitivo, perciò lacera sempre di nuovo, con dolore, la rete intorno a sé: benché in conseguenza di ciò sia destinato a soffrire numerose, piccole e grandi ferite – giacché quei fili egli li deve strappare da sé, dal proprio corpo, dalla propria anima. Egli deve imparare ad amare là dove prima odiava, e viceversa.
Friedrich Nietzsche

Talvolta dobbiamo guardare in profondità dentro di noi da una distanza artistica; dobbiamo saper ridere e piangere di noi; dobbiamo scoprire l’eroe e anche il buffone che si nasconde nella nostra passione di conoscenza; dobbiamo ogni tanto essere contenti della nostra pazzia, se vogliamo poter essere ancora contenti della nostra saggezza
Friedrich  Nietzsche




‎"Quanto manca alla vetta?".. "Tu sali e non pensarci!"
Friedrich Nietzsche


Quanto più ci innalziamo, tanto più piccoli sembriamo a coloro che non possono volare
Friedrich Nietzsche

La follia è molto rara negli individui, ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola
Friedrich Nietzsche da: ''Al di là del bene e del male" 


Ogni anima ha il proprio mondo; per ogni anima ogni altra anima è un mondo di là
Friedrich Nietzsche


Ci troviamo così bene nella libera natura, perché essa non ha alcuna opinione su di noi.
Friedrich Wilhelm Nietzsche

Non puoi star bene con gli altri, se non stai bene con te stesso.
Friedrich Wilhelm Nietzsche


Non si deve restare attaccati a una persona, fosse pure la più amata: 
ogni persona è una prigione e pure un nascondiglio
Friedrich Wilhelm Nietzsche, Al di là del bene e del male


Dobbiamo proibirci di diventare l'ideale di un altro: in tal modo, costui sperpera l'energia per plasmare a se stesso il suo ideale peculiare, lo induciamo in errore e lo allontaniamo da se stesso: dobbiamo far di tutto per illuminarlo o cacciarlo via. Un matrimonio, un'amicizia, dovrebbe essere il mezzo (raro!!) di fortificare il nostro proprio ideale: dovremmo vedere anche l'ideale dell'altro e alla sua luce il nostro.
Friedrich Nietzsche


Che cosa distrugge più rapidamente del lavorare, del pensare, del sentire senza un'intima necessità, senza una scelta profondamente personale, senza un piacere? Come un automa del "dovere"?"
Friedrich Wilhelm Nietzsche


I fanatici sono pittoreschi, l'umanità preferisce vedere dei gesti all'ascoltare delle ragioni
Friedrich Nietzsche

Spesso contraddiciamo una opinione, mentre ci è antipatico soltanto il tono con cui essa è stata espressa
Friedrich Wilhelm Nietzsche


La logica è legata a questa condizione: 
supporre che si diano casi identici, perché senza costanti l'uomo non può sopravvivere.
Friedrich Nietzsche



Poco per volta comincio a vedere chiaro sul più universale difetto del nostro genere di formazione e di educazione: nessuno impara, nessuno tende, nessuno insegna a sopportare la solitudine.
Friedrich Wilhelm Nietzsche


Ciascuno di noi si sente al centro del mondo ed è il centro del mondo.
Dunque il centro è dappertutto e cioè in nessun luogo.
Ecco perché ciascuno vede il mondo e tutti gli individui a suo modo e perché la verità assoluta non esiste. Ciascuno ha la propria ed è questa la fatica del vivere e il suo valore»
Friedrich Nietzsche







INTERPRETAZIONE NON SPIEGAZIONE. NON C'È NESSUN FATTO CONCRETO, TUTTO È FLUIDO, INAFFERRABILE, CEDEVOLE; LE COSE PIÙ DURATURE SONO ANCORA LE NOSTRE OPINIONI. CONFERIRE SENSO ALLE COSE - NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI SI TRATTA DI UNA NUOVA INTERPRETAZIONE RIGUARDO AD UNA ANTICA DIVENUTA INCOMPRENSIBILE, CHE È ORA SOLO UN SEGNO.
Friedrich Nietzsche. Frammenti postumi


L’UOMO NON È LA CONSEGUENZA DI UNA SUA PROPRIA INTENZIONE, DI UNA VOLONTÀ, DI UNO SCOPO, con lui non si tenta di raggiungere un ‘ideale di uomo’ o un <ideale di felicità> o un <ideale di moralità>, È ASSURDO VOLER FARE ROTOLARE IL SUO ESSERE VERSO UN QUALSIASI SCOPO. Noi abbiamo inventato il concetto di ‘scopo’: NELLA REALTÀ LO SCOPO MANCA … SI È NECESSARI, SI È UN FRAMMENTO DI DESTINO, SI APPARTIENE AL TUTTO, SI È NEL TUTTO…
Friedrich Nietzsche





Ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l’intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate – insomma la musica che sta dietro alle parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro a questa passione: quindi tutto quanto non può essere scritto.
Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale




Potente genio costruttivo, che riesce – su mobili fondamenta, e, per così dire, sull’acqua corrente, - a elevare una cupola concettuale infinitamente complicata; certo, per raggiungere una stabilità su siffatte fondamenta, occorrerà una costruzione
fatta di ragnatele, tanto tenue da non essere trascinata via dalle onde e tanto solida da non essere spazzata via al soffiare di ogni vento. Come genio costruttivo, l’uomo si alza a questo modo al di sopra delle api: queste costruiscono con la cera che raccolgono ricavandola dalla natura, mentre l’uomo costruisce con la materia assai più tenue dei concetti che egli deve fabbricarsi da sé. 
Friedrich Nietzsche. Su verità e menzogna in senso extramorale



Le persone non vogliono ascoltare la verità,
perchè non vogliono vedere le proprie illusioni distrutte
Friedrich Nietzsche


Che differenza resta tra un convinto e un ingannato?
Nessuna, se è stato ben ingannato
Friedrich Nietzsche

Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità
Friedrich Wilhelm Nietzsche.


Le convinzioni profonde sono nemiche più pericolose della verità che non le menzogne
Friedrich Wilhelm Nietzsche



La più nobile specie di bellezza è quella che non trascina a un tratto, che non scatena assalti tempestosi e inebrianti (una tale bellezza suscita facilmente nausea), ma che si insinua lentamente, che quasi inavvertitamente si porta via con sé e che un giorno ci si ritrova davanti in sogno, ma che alla fine, dopo aver a lungo con modestia giaciuto nel nostro cuore, si impossessa completamente di noi e ci riempie gli occhi di lacrime e il cuore di nostalgia.
Friedrich Nietzsche


Le persone che ci donano la loro piena confidenza credono per questo di avere diritto alla nostra.
Ciò è un errore: coi regali non si acquistano diritti.
La familiarità del superiore irrita, perché non può essere ricambiata.
Friedrich Nietzsche

L'amicizia fra uomo e donna è possibilissima.
Ma perché si mantenga e non degeneri,
occorre che ci sia alla base una leggera antipatia fisica
Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano


Le medesime passioni hanno nell’uomo e nella donna un ritmo diverso
perciò uomo e donna continuano a fraintendersi.
Friedrich Nietzsche

Uno va dal prossimo perché cerca se stesso,
un altro, perché vorrebbe perdere se stesso.
Friedrich Nietzsche



"Non esistono fenomeni morali, ma solo interpretazioni morali dei fenomeni.
Cosa c'è di falso nella morale? La morale sostiene di sapere qualcosa, cioè che cosa sia "buono o cattivo". Questo significa voler sapere a quale scopo l'uomo esista, conoscerne la meta, la destinazione. Significa voler sapere che l'uomo ha uno scopo, una destinazione. L'incremento dei mali fisiologici e morali nel genere umano è la conseguenza di una morale inferma e innaturale. L'umanità ha abbracciato con ardore sempre crescente soltanto delle nuvole: e ha finito per chiamare "Dio" la propria disperazione, la propria impotenza.
La metamorfosi della schiavitù: il suo travestimento sotto il manto religioso, la sua trasfigurazione per opera della morale. Modesto, diligente, benevolo, moderato: volete che l'uomo sia così? Volete l'uomo "buono"? Ma questo mi sembra soltanto lo schiavo ideale, lo schiavo dell'avvenire. Ogni singolo viene sacrificato e serve da strumento. Si vada per strada: si incontrano solo "schiavi". Dove vanno? A che mirano?
Si deve volere il dominio sulle passioni, non il loro indebolimento e la loro estirpazione! Quanto maggiore è la forza dominatrice della volontà, tanto maggiore libertà è lecito concedere alle passioni. L'"uomo grande" è grande per la libertà con cui spaziano i suoi desideri e per la potenza, ancora maggiore, con cui sa asservire questi magnifici mostri. L'"uomo buono", qualsiasi livello abbia raggiunto la civiltà, è innocuo e al contempo utile: è una specie di media; è l'espressione, per la coscienza comune, di colui che non si deve temere e che tuttavia non è lecito disprezzare. L'uomo supremo deve avere in sè la massima molteplicità degli istinti, e la loro energia deve essere il massimo che si riesca a sopportare.
Quanto a lungo ci si può conservare contro le condizioni di conservazione della società e dei suoi pregiudizi? Fino a che punto si possono scatenare le proprie qualità terribili, per le quali la maggioranza degli uomini perisce? Fino a che punto si può affrontare la verità e prendersi a cuore i suoi lati più enigmatici? Fino a che punto si possono affrontare la sofferenza, il disprezzo di sé, la malattia, il vizio, chiedendosi se si possa diventarne padroni? (Ciò che non ci uccide ci rende più forti). Questa è la più grande prova di carattere: non lasciarsi rovinare dalla seduzione del bene. Il bene deve essere un lusso, una raffinatezza, un vizio.
Il fatto di mettere in pericolo la propria vita cedendo a un sentimento generoso per un impulso momentaneo ha poco valore e non basta nemmeno a caratterizzare un uomo. Tutti sono uguali nella capacità di farlo. il gradino più alto è: vincere anche questo impulso interiore, e compiere l'azione eroica non per un impulso - ma freddamente, in modo ragionevole, senza l'intervento di straripanti sensazioni di piacere. Lo stesso dicasi della compassione: prima si deve passarla al vaglio della ragione; in caso diverso la compassione è pericolosa quanto ogni altro affetto."
Friedrich Nietzsche




Nietzsche. Creare nuovi nomi per creare nuove cose.
“ Solo in quanto creatori! Questo mi è costato sempre e mi costa ancora il più grande sforzo: comprendere, cioè, che sono indicibilmente più importanti ‹i nomi dati alle cose› di quel che esse sono. La fama, il nome, l’aspetto esteriore, la validità, l’usuale misura e peso di una cosa – in origine, per lo più, un errore e una determinazione arbitraria buttati addosso alle cose come un vestito e del tutto estranei all’essenza e perfino all’epidermide della cosa stessa –, mediante la fede che si aveva in tutto questo e il suo progressivo incremento di generazione in generazione, sono gradatamente, per così dire, concresciuti con la cosa e si sono radicati in essa fino a divenire la sua carne stessa: fin dal principio la parvenza ha finito quasi sempre per diventare la sostanza, e come sostanza ‹agisce›. Chi pensasse che il rinvio a quest’origine e a questo nebbioso involucro dell’illusione basterebbe ad ‹annientare› questo mondo tenuto per sostanziale, questa cosiddetta «‹realtà›», non sarebbe altro che un bel pazzo! Solo come creatori noi possiamo annientare! – Ma non dimentichiamo neppure questo: che basta creare nomi nuovi e valutazioni e verosimiglianze per creare, col tempo, nuove «cose».”
FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE (1844 – 1900), “La gaia scienza («La gaya scienza»)” (1882 1887), in “Opere di Friedrich Nietzsche”, edizione condotta sul testo critico originale stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, volume V, tomo II, a cura di Mario Carpitella, versione di Ferruccio Masini, Adelphi, Milano 1991 (II ed., I ed. 1965), Libro secondo, 58. ‘Solo in quanto creatori’, p. 91.

“ ‹Nur als Schaffende!› — Diess hat mir die grösste Mühe gemacht und macht mir noch immerfort die grösste Mühe: einzusehen, dass unsäglich mehr daran liegt, ‹wie die Dinge heissen›, als was sie sind. Der Ruf, Name und Anschein, die Geltung, das übliche Maass und Gewicht eines Dinges — im Ursprunge zuallermeist ein Irrthum und eine Willkürlichkeit, den Dingen übergeworfen wie ein Kleid und seinem Wesen und selbst seiner Haut ganz fremd — ist durch den Glauben daran und sein Fortwachsen von Geschlecht zu Geschlecht dem Dinge allmählich gleichsam an- und eingewachsen und zu seinem Leibe selber geworden: der Schein von Anbeginn wird zuletzt fast immer zum Wesen und ‹wirkt als› Wesen! Was wäre das für ein Narr, der da meinte, es genüge, auf diesen Ursprung und diese Nebelhülle des Wahnes hinzuweisen, um die als wesenhaft geltende Welt, die sogenannte «‹Wirklichkeit›, zu vernichten!» Nur als Schaffende können wir vernichten! — Aber vergessen wir auch diess nicht: es genügt, neue Namen und Schätzungen und Wahrscheinlichkeiten zu schaffen, um auf die Länge hin neue «Dinge» zu schaffen.”
FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE, “Die fröhliche Wissenschaft. («la gaya scienza»)” (Erstausgabe Schmeltz1882, neue Ausgabe 1887, Kritische Studienausgabe herausgegeben von Giorgio Colli und Mazzino Montinari, Deutscher Taschenbuch Verlag de Gruyter, in 15 Bänden, Band 3, Berlin-New York 2011 (8. Auflage, Neuausgabe 1999, Erstauflage 1967), Zweites Buch, 58. ‘Nur als Schaffende’, S. 422.




Friedrich Nietzsche. Il linguaggio malato.
DAPPERTUTTO IL ʻLINGUAGGIOʼ È MALATO, e l’oppressione di questa mostruosa malattia pesa su tutto lo sviluppo umano. Il linguaggio ha dovuto percorrere tutta la scala delle sue possibilità, per ABBRACCIARE IL REGNO DEL PENSIERO, cioè l’esatto opposto del sentimento, ALLONTANANDOSI IN TAL MODO PROPRIO DALLE FORTI MANIFESTAZIONI DEL SENTIMENTO, che esso alle origini poteva esprimere in tutta la loro schiettezza. LA SUA FORZA SI È ESAURITA PER QUESTO STIRAMENTO ECCESSIVO NEL BREVE SPAZIO DI TEMPO DELLA CIVILTÀ MODERNA: SICCHÉ IL LINGUAGGIO ORA NON PUÒ PIÙ CONSEGUIRE IL SUO UNICO E VERO SCOPO: FAR SÌ CHE I SOFFERENTI SI INTENDANO TRA LORO SULLE AFFLIZIONI PIÙ ELEMENTARI DELLA VITA. L’UOMO NON PUÒ PIÙ FARSI CONOSCERE NEL BISOGNO MEDIANTE IL LINGUAGGIO, CIOÈ NON PUÒ PIÙ COMUNICARE VERIDICAMENTE: in questo stato oscuramente sentito, IL LINGUAGGIO È DIVENTATO DAPPERTUTTO UNA FORZA A SÉ, CHE ORA CON BRACCIA DI SPETTRO AFFERRA E RESPINGE GLI UOMINI DOVE ESSI NON VOGLIONO VERAMENTE ANDARE; non appena cercano di informarsi reciprocamente e di unirsi per un’opera, ESSI SONO PRESI DALLA FOLLIA DEI CONCETTI GENERALI, ANZI DEI PURI SUONI VERBALI, E IN CONSEGUENZA DI QUESTA INCAPACITÀ DI COMUNICARE, le creazioni del loro senso collettivo portano poi a loro volta il segno dell’incomprensione, in quanto non corrispondono ai bisogni reali, ma appunto soltanto alla vacuità di quelle dispotiche parole e concetti: COSÌ L’UMANITÀ AGGIUNGE A TUTTI I SUOI DOLORI ANCHE LA SOFFERENZA DELLA ‘CONVENZIONE’, OSSIA DEL CONCORDARE IN PAROLE ED AZIONI MA NON NEL SENTIMENTO. Come nella parabola discendente di ogni arte si attinge un punto in cui i mezzi e le forme di essa in morbosa crescita giungono a prevalere tirannicamente sulle anime giovani degli artisti e ne fanno le loro schiave, così OGGI, NELLA DECADENZA DELLE LINGUE, SI È SCHIAVI DELLE PAROLE; SOTTO QUESTA COSTRIZIONE, NESSUNO PIÙ PUÒ MOSTRARE SE STESSO, PARLARE INGENUAMENTE, E POCHI IN GENERE POSSONO PRESERVARE LA LORO INDIVIDUALITÀ, NELLA LOTTA CON UNA CULTURA CHE CREDE DI DIMOSTRARE IL SUO SUCCESSO NON ANDANDO INCONTRO IN MODO FORMATIVO A SENTIMENTI E BISOGNI CHIARI, BENSÌ IRRETENDO L’INDIVIDUO NEI LACCI DEI «CONCETTI DISTINTI» E INSEGNANDOLI A PENSARE CORRETTAMENTE: COME SE AVESSE QUALCHE VALORE IL FARE DI QUALCUNO UN ESSERE CHE PENSA E RAGIONA CORRETTAMENTE, SE PRIMA NON SI È RIUSCITI A FAR DI LUI UN ESSERE CHE SENTE CORRETTAMENTE.”
FRIEDRICH NIETZSCHE (1844 – 1900), “Richard Wagner a Bayreuth” – “Considerazioni inattuali”, IV, in “Opere di Friedrich Nietzsche”, ed. it. diretta da G. Colli e M. Montinari, vol. IV, tomo I, testo critico originale stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari con la collaborazione di Sossio Giametta e Maria L. Pampaloni, versione di Sossio Giametta, Adelphi, Milano 1967, 5., pp. 28 – 29.


vero! siamo "costretti" dalla necessità di condividere a ricorrere a parole per esprimere un'idea. ma spesso la condivisione si limita ad una convenzione semantica più o meno chiara. l'esperienza insegna che quando un'incomprensione giunge all'equivoco meglio lasciar perdere il tentativo di condivisione. l'equivoco certifica il fallimento del linguaggio.



Ogni simbolismo allontana dai sentimenti, ma il sentimento nei simboli ha ancora più forza. Il crescendo di un Bach ha una completezza maggiore di un passo romantico.



Se così fosse non esisterebbe la poesia. Le parole possono arrivare ai sentimenti, stimolare la riflessione, avvicinare o allontanare definitivamente. Hanno un grande potere quando sono sincere e dai sentimenti muovono. Se son vacue, ipocrite o mero esercizio di stile, allora non servono a nulla tranne che ha svelarti chi hai di fronte.



Dio è morto! Tutte le discipline, le dottrine,le filosofie.le teologie collegabili ad un ideale religioso sono limitative e supponenti se comparate al nostro stato esistenziale e cerebrale. Trapassato tra atroci sofferenze in un manicomio, seppur un elettivo esponente del pensiero critico moderno, Nietzsche si è sempre palesato un "pensatore" in antitesi con la scuola di Atene e un anti-Socrate. Non condivido il suo pensiero, vertice provocatorio della solitudine umana.




Il linguaggio è uno dei luoghi, senz'altro un luogo privilegiato, in cui si manifesta la crisi denunciata da Nietzsche; non è la "causa" della crisi. Come accade per tutte le τέχναι, a maggior ragione nel caso del linguaggio opera la 'volontà di potenza', come cifra metafisica fondamentale nell'epoca del nichilismo. Molti anni dopo Heidegger, nella "Lettera sull'umanismo", parlerà del linguaggio come 'casa dell'Essere', come luogo in cui l'Essere si svela, purché l'uomo sia hörig, si metta all'ascolto. Il nostro atteggiamento fa del linguaggio o lo strumento raffinato della più terribile delle condanne o il luogo della redenzione.




Nietzsche è il punto, decadente, di arrivo di un'intera tradizione di cui Aristotele ha costituito il culmine. Il linguaggio non è qualcosa che serve per ... comunicare, questa è una sua funzione accidentale e accessoria, e illusoria. Come ha mostrato Aristotele nella sua ontologia, il linguaggio è la ragione umana nella sua funzione costitutiva del mondo. E infatti il logos dell'ente, che Aristotele identifica con il tede-ti mostra in realtà la STRUMENTALITA' del tode-ti stesso, cioè dell'ente. Quindi il linguaggio, e la ragione, sono costitutivi del mondo, non nel senso che il linguaggio ci faccia accedere al mondo, ma che lo uomo riduce, tapinamente, il mondo al linguaggio ...  Il linguaggio e la ragione sono due facce della stessa medaglia, sono un'unica cosa, e come per il linguaggio si può parlare della 'parole' (Saussure), e della 'langue', lo stesso si deve fare per la ragione nel senso che la 'ragione individuale' si inserisce nella 'ragione collettivà alo stesso modo in cui la parole si inserisce nella langue, e solo in questo senso il linguaggio serve per comunicare, non perchè qualcosa si comunichi, ma perchè lo si vede riflesso sullo schermo, sul muro della caverna platonica della ragione. ovviamente lo uomme sullo schermo riflette anche se' stesso, cogito ergo sum ... Quindi, dire che il linguaggio serve alla comunicazione, al giorno d'oggi, e' idiota cosa che possono fare solo gli americani ...
























































Il nuovo realismo è un totalitarismo

     

di Fabio Milazzo
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Apologia della doxa.

APOLOGIA DELLA DOXA. Il “nuovo realismo” è letteralmente una trovata geniale. Il paradigma, reso recentemente famoso da Maurizio Ferraris, che ne è il promotore in Italia, e da quella fucina di idee progressiste che è il gruppo La Repubblica[1] […] Fondamentalmente è UN RITORNO AI FASTI DELLA DOXA (ΔΌΞΑ), L’OPINIONE COMUNE, CIÒ CONTRO CUI SI ERGE IL PENSIERO FILOSOFICO FIN DALLE SUE ORIGINI PRE-SOCRATICHE[3]. Detta in maniera brutale, ma forse anche efficace, IL NUOVO REALISMO AFFERMA LA CONSISTENZA OGGETTIVA DELLA REALTÀ, AL DI LÀ DI OGNI FENOMENO INTERPRETATIVO. Il suo principale avversario non può che essere il NIETZSCHE che nel noto frammento postumo dichiarava profeticamente:
«CONTRO IL POSITIVISMO, CHE SI FERMA AI FENOMENI: “CI SONO SOLTANTO FATTI”‘, DIREI: NO, PROPRIO I FATTI NON CI SONO, BENSÌ SOLO INTERPRETAZIONI. NOI NON POSSIAMO CONSTATARE NESSUN FATTO “IN SÉ”; È FORSE UN’ASSURDITÀ VOLERE QUALCOSA DEL GENERE. “TUTTO È SOGGETTIVO”, DITE VOI; MA GIÀ QUESTA È UN’INTERPRETAZIONE, IL “SOGGETTO” NON È NIENTE DI DATO, È SOLO QUALCOSA DI AGGIUNTO CON L’IMMAGINAZIONE, QUALCOSA DI APPICCICATO DOPO. È INFINE ANCORA NECESSARIO METTERE L’INTERPRETE DIETRO L’INTERPRETAZIONE? GIÀ QUESTA È INVENZIONE, IPOTESI. IN QUANTO ALLA PAROLA “CONOSCENZA” ABBIA SENSO IL MONDO È CONOSCIBILE; MA ESSO È INTERPRETABILE IN MODI DIVERSI, NON HA DIETRO DI SÉ UN SENSOMA INNUMEREVOLI SENSI. “PROSPETTIVISMO”. SONO I NOSTRI BISOGNI, CHE INTERPRETANO IL MONDO: I NOSTRI ISTINTI E I LORO PRO E CONTRO. OGNI ISTINTO È UNA SPECIE DI SETE DI DOMINIO, OGNUNO HA LA SUA PROSPETTIVA, CHE ESSO VORREBBE IMPORRE COME NORMA A TUTTI GLI ALTRI ISTINTI»[4].
Il baffone di Röcken, anche in questo frammento, NON NEGA L’ESISTENZA DI UN QUALCOSA POSTO LÀ FUORI, LA REALTÀ, ma sta sottolineando come il rapporto tra soggetto e mondo si dia sempre come dialettica orientata dal senso[5]. L’ingenuità del realismo che afferma l’inemendabilità del reale, vale a dire la consistenza immodificabile dell’oggetto-mondo posto davanti al soggetto, disconosce che questa relazione è sempre situata in una prospettiva attraverso la quale i “fatti” assumono un certo “valore”. In altre parole, non si nega la possibilità di riscontrare empiricamente qualcosa di inter-soggettivamente verificabile (“fatto”) ma che questo “qualcosa”, nel momento in cui entra a far parte del nostro universo mentale, assume un certo “senso”, un certo “posto”, che è a tutti gli effetti il prodotto della singolarità irriducibile che siamo. A Nietzsche interessa indagare questo “spazio vuoto” entro cui il mondo assume una certa dislocazione per il soggetto. Un’analitica della verità entro cui si dà la verità; o per essere più chiari: una ricerca delle condizioni che determinano la prospettiva attraverso la quale ci affacciamo sul mondo: il nostro belvedere.  «Il mondo apparente è un mondo considerato secondo certi valori: ordinato e sceverato in conformità a certi valori, ossia, in questo caso, dal punto di vista dell’utilità, in vista della conservazione e dell’aumento di potenza di un determinato genere di animale»[6] . Nietzsche problematizza l’a-priori irriflesso entro cui si dispone la nostra immagine del pensiero (per dirla con Deleuze) perché è convinto che l’uomo non si disponga davanti ad un inemendabile, come pensano gli ingenui, ma che viva innanzitutto singolarmente[7] il proprio mondo.
Il nuovo realismo, sostenendo la tesi secondo cui Nietzsche (e i suoi epigoni postmoderni)  avrebbe  esaltato il concetto di interpretazione a detrimento della verità, intesa quest’ultima nella forma corrispondentista di «adaequatio rei et intellectus», oltre ad operare una lettura banale del baffone, ha voluto cercare di smontare i due presunti dogmi del postmoderno così riassumibili: «che tutta la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile, e che la verità sia una nozione inutile perché la solidarietà è più importante dell’oggettività»[8]( p. XI). Affermare  l’inemendabilità di ciò che c’è, «il carattere saliente del reale»[9]  , è l’imperativo di questa condizione post- postmoderna. Ma siamo sicuri che questa sia un’operazione filosofica emancipatoria come in più parti si sbandiera nel Manifesto del nuovo realismo? Noi non ne siamo convinti, tutt’altro.
Come ho cercato di mostrare in Bentornata Ingenuità! L’oscena fantasia della ciabatta[10], il contributo preparato per il volume a più voci Il nuovo realismo è un populismo , la svolta realista del circolo di Ferraris è il tentativo più “facile” di andare incontro ad un’opinione pubblica che fa sempre più fatica  a star dietro a ragionamenti complessi e che, quindi, cerca le scorciatoie della conoscenza in pillole, ciò che “può essere facilmente compreso” e, magari, ridotto nella forma iconica cui tutti siamo abituati per le frequentazioni dei social network. Ma è, soprattutto, una procedura di esaltazione del senso comune e un tentativo di ridurre la filosofia a pratica di ratifica dell’ovvio, della doxa. Se il pensiero filosofico nasce per cercare di indagare i principi primi non immediatamente riscontrabili che organizzano la realtà, la sua trama, le sue leggi, il nuovo realismo si pone in netta anti-tesi a questo spirito primordiale sancendo l’inequivocabilità di ciò che appare davanti ai nostri occhi, del mondo “così come lo vediamo”, del dato bruto disponibile alla chiacchiera di qualunque signor Simplicius.
Apparentemente questo andare incontro all’uomo comune dovrebbe essere  favorire la democrazia di massa anche nell’ambito della riflessione teoretica. Non è così. Come ha più volte sottolineato Slavoj Žižek[11], le operazioni ideologiche più pericolose sono quelle che si delineano sotto altre vesti, magari facendo ricorso al consenso demagogico. E’ proprio il caso dell’operazione targata new realism in salsa italiana[12] che, attraverso il consenso del grande pubblico, mira a ridurre la filosofia a semplice operazione di ratifica dell’opinione comune. Prova ad accattivarsi il plauso delle masse svendendo slogan che tutti gli insofferenti la “fatica del concetto” anelano e, così operando, attacca il filosofo “grillo parlante”, quello che mette la “pulce nell’orecchio” proponendo e sollecitando la riflessione, l’attività critica, la messa in discussione del senso comune, di ciò che appare palese. Offre “ricette a buon mercato” che, in linea con i tempi (forse con tutti i tempi), provano ad aggirare l’ostacolo attraverso il ricorso alla soluzione più facile, la più ovvia, quella che semplifica tutto e tutto dispone sul piano orizzontale della chiacchiera; quel piano in cui si parla solo per affermare il diritto di aprire la bocca, anche solo per darle fiato e per riempire l’aria di flatulenze verbali. Si esalta l’opinione comune che tutti sappiamo quanto sia evanescente, soggetta agli umori del tempo, alle sollecitazioni strumentali alle varianti dell’emotività.  Quanto sia condizionabile.
L’opinione comune, la doxa, era la grande avversaria della filosofia presocratica, quella che si interrogava sulle condizioni di possibilità dell’esistente, diffidando profondamente dell’ovvio buon senso dell’uomo comune e ricevendo, in cambio, altrettanti sospetti; ci ricordiamo tutti della servetta di Talete… Compito di questa filosofia delle origini è scompaginare i valori comuni, le certezze dell’opinione pubblica, le chiacchiere da osteria, quel sapere inconsapevole cui si riferiva Braudel parlando di inconscio collettivo[13] ancora tutto da indagare.  Proprio questo sapere ingenuo che innerva l’opinione pubblica è alla base di ogni totalitarismo. La radice di quest’ultimo, il suo scopo principale, è quello di «costruire un uomo nuovo dal quale estirpare ogni tratto non sussumibile sotto una legge universale»[14] , di ridurre ogni singolo uomo ad un pezzo intercambiabile all’interno della specie, cancellandone la soggettività, intesa come singolare apertura al mondo. Elemento fondamentale per raggiungere questo scopo è la riduzione dell’immaginario collettivo ad Uno, sottrazione delle differenze singolari a vantaggio dell’omologazione. Ogni totalitarismo opera per riprodurre la specie umana sotto il segno dell’Unità:
«Il dominio totale, che mira ad organizzare gli uomini nella loro infinita pluralità e diversità come se tutti insieme costituissero un unico individuo, è possibile soltanto se ogni persona viene ridotta a un’immutabile identità di reazioni, in modo che ciascuno di questi fasci possa essere scambiato con qualsiasi altro. Si tratta di fabbricare qualcosa che non esiste.»[15]
In ogni totalitarismo la posta in gioco riguarda la creazione di un certo tipo di individuo, parte di un insieme più ampio contraddistinto dall’uniformità di quella che, con Deleuze, possiamo chiamare una certa “immagine presunta naturale del pensiero[16]”. Un uomo che non pensa ma che si limita a riconoscere il dato oggettivo che «appare impermeabile al sapere e fornisce un caso di patente divario tra conoscenza del mondo ed esperienza del mondo […].»[17]La presunta naturale corrispondenza tra pensiero e mondo sbandierata dal realismo ingenuo, lungi dall’essere una filosofia dell’emancipazione è, a ben vedere, un potente strumento a disposizione delle pratiche di governo che mirano alla cancellazione delle differenze. Uno spirito reazionario contraddistingue un pensiero, quello dei nuovi realisti, che  si propone di affermare la presunta oggettività del mondo e, implicitamente, l’inutilità della riflessione filosofica, di ogni procedimento teoretico che mira a mettere tra parentesi le certezze al fine di indagarle, di sottoporle a critica. Questo “oggettivismo” (lo possiamo chiamare così) da ragioniere si regge su quella che abbiamo definito l’ idiota fantasia del logos[18], l’irriflessa postura intellettuale che  «immagina il mondo esterno come il correlato di un’esperienza neutra»[19], di un semplice riconoscimento dello stato di cose. Il sogno che l’intero universo sia semplicemente quello che percepiamo, che non nasconda abissi, traumi, zone oscure, fenditure, pericoli, è, probabilmente, una delle fantasie fondamentali della specie umana, da sempre intimamente minacciata dall’insondabile e, quindi, sempre sulla difensiva. Un qualcosa di disponibile alle nostre pretese manipolative, ecco, cosa prospetta il nuovo realismo per sedare le paure indefinite della “società dell’ansia”. Ma questa ricetta di sicurezza, che sacrifica la verità per un pò di sicurezza, è proprio ciò che offrono tutti i totalitarismi, di qualunque colore. Si coltivano, si proteggono, si organizzano, le esigenze, i desideri e le istanze della doxa al fine di disporne l’addomesticamento di massa. Sembra una procedura già vista…
[1] Il dibattito sul Nuovo realismo è sorto e si è diffuso sulle pagine di La Repubblica che ha svolto la funzione di cassa di risonanza per una querelle inizialmente tutta torinese. E’ leggibile nella sua interezza qui: http://nuovorealismo.wordpress.com/rassegna/2013-2/
[2] Qui il programma del convegno: http://new-realism.de/program.php
[3] Sulle origini del pensiero greco ci sembra sempre attuale il rinvio a J.P.Vernant, Le origini del pensiero greco, trad.it. a cura di F.Codino, Se ed. 2005.
[4] Cfr. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, in Opere complete, vol. 8.1, Adelphi, Milano 1975, fr. 7[60], pp. 299-300.
[5] Come aveva compreso benissimo il Deleuze dei primi studi su Nietzsche; vedi: “Senso e valore in Nietzsche secondo DEleuze” su http://haecceitasweb.com/2010/05/30/senso-e-valore-in-nietzsche-secondo-deleuze/
[6] F.Nietzsche, La volontà di potenza, trad.it. di A.Treves, riveduta da P.Kobau e M.Ferraris, Bompiani, Milano 1992/2001, § 507, p.280.
[7] La precedenza è logica e non cronologica.
[8] Cfr. M.Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma-Bari 2012, p. XI
[9] Ivi, p.30
[10] Cfr. F.Milazzo, Bentornata Ingenuità! L’oscena fantasia della ciabatta, in (a cura di Regazzoni-Ocone. Di Cesare), Il nuovo realismo è un populismo, Il nuovo Melangolo, Genova 2013, pp. 25-40.
[11] Vedi le analisi portate avanti in S. Žižek, In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale, trad.it di C.Arruzza, Ponte alle Grazie, Firenze 2009.
[12] Come ho sostenuto in diverse occasioni, non tutte le analisi sul “nuovo realismo” sono da considerare delle operazioni commerciali riduttive. Per un interessante eccezione vedi Q.Meillasoux, Dopo la finitudine. Saggio sulla necessità della contingenza, trad.it. di M.Sandri, Mimesis ed, Milano 2012.
[13] Cfr. F.Braudel, La dinamica del capitalismo, Il Mulino, Bologna 1988, p.27.
[14] Cfr. S.Forti, Il grande corpo della totalità. Immagini e concetti per pensare il totalitarismo in (a cura di) M. Recalcati, Forme contemporanee del totalitarismo, Bollati Boringhieri, Torino 2007,p.31.
[15] Cfr. H.Arendt, Le origini del totalitarismo, ed. Comunità, Torino 1999, p.632.
[16] Cfr. G.Deleuze, Differenza e ripetizione,  ed. Raffaello Cortina, Milano, 1997, pp. 169-199.
[17] Cfr. M. Ferraris, Manifesto…, cit. p.52
[18] Cfr. F.Milazzo, Bentornata…, cit., p.40.
[19] Ibidem.

di Fabio Milazzo

http://haecceitasweb.com/2013/06/20/il-nuovo-realismo-e-un-totalitarismo/





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