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LinguaItaliana - Jobs Act, voluntary disclosure, stepchild adoption...
Perchè chi ci governa sceglie di usare anglicismi?
Per alcuni è un modo per rendere incomprensibili concetti che si potrebbero esprimere facilmente anche in italiano; per altri si tratta, più banalmente, di subordinazione culturale ovvero di incapacità di riflettere sulla funzione del linguaggio.
Le comunicazioni istituzionali e il rischio dell'inglese farlocco
di Licia Corbolante*
Jobs Act, voluntary disclosure, stepchild adoption, spending, coding, Il mese delle STEM, formazione on the job… La tendenza pare ormai inarrestabile: per presentare leggi, provvedimenti e iniziative che riguardano i cittadini italiani, chi ci governa sceglie di usare anglicismi.
Da cosa sono motivati e cosa ci dicono delle competenze linguistiche di chi li usa?
Inglesorum...
È opinione diffusa che l’ostentazione di anglicismi dimostri la volontà di rendere incomprensibili concetti o fenomeni che si potrebbero esprimere facilmente anche in italiano. È l’inglesorum, un aggiornamento del latinorum manzoniano: confonde le idee e distrae dalla realtà.
Per altri invece si tratta più banalmente di subordinazione culturale. Gli anglicismi riflettono un’emulazione pigra di modelli altrui, scarsa sensibilità linguistica e incapacità di riflettere sulla funzione del linguaggio.
… e “maledizione della conoscenza”
Potrebbe anche trattarsi di “maledizione della conoscenza” (curse of knowledge), un concetto popolarizzato dallo scienziato cognitivo Steven Pinker: la difficoltà del comunicatore di immaginare che gli altri non sappiano ciò che lui conosce bene. È la causa principale di testi poco comprensibili anche se scritti da persone competenti. Manifestazioni tipiche sono informazioni e riferimenti dati per scontati, terminologia da addetti ai lavori e forestierismi.
Qualche esempio? Good law, matching, co-design, jams, barcamp, Social Impact Bonds, School Guarantee, life-long e life-wide, Fab Lab, fluent typing, Tech Hire, Open Courseware, hacklab e molti altri anglicismi in La buona scuola e nel Piano nazionale scuola digitale, due documenti rivolti a tutti i cittadini, senza però alcuna definizione o spiegazione dei termini usati.
Il mito della maggiore precisione.
Una breve panoramica di anglicismi istituzionali può farci capire meglio come sono motivati.
Si nota innanzitutto che spesso acquisiscono significati univoci e molto specifici che sono inesistenti in inglese.
Un esempio tipico è coding, promosso dal MIUR come alternativa al concetto informatico di programmazione e giustificato con la presunta mancanza di un equivalente italiano altrettanto efficace, comprensibile, ricco ed evocativo. Questa scelta tradisce una conoscenza superficiale dell’inglese: il verbo code, da cui deriva coding, ha infatti significati molteplici e piuttosto generici, come assegnare un codice, tradurre in un codice, codificare, scrivere codice.
Stepchild adoption ci è stato presentato come un istituto del diritto anglosassone ma in inglese è una descrizione generica (“adozione del figliastro”). La politica italiana ha attribuito un significato arbitrario ben presto reinterpretato, con grande confusione per tutti. È indicativo che i media di lingua inglese che ne hanno parlato abbiano usato l’espressione tra virgolette e spiegato gli usi peculiari italiani.
Pseudoanglicismi.
Un’altra caratteristica della locuzione stepchild adoption è l’abbreviazione in stepchild.
È un accorciamento improprio che privilegia il determinante anziché il determinato e dà origine a uno pseudoanglicismo, una parola che in inglese ha tutt’altro significato.
Lo stesso meccanismo interviene nella revisione e razionalizzazione della spesa pubblica, spending review, che viene trasformata in un’azione di spesa, spending.
Stessa sorte per voluntary disclosure che diventa voluntary e per focus, che nei siti ministeriali significa documento di approfondimento (da focus document o focus report) mentre in inglese indica cosa, persona o situazione a cui si presta particolare attenzione, punto focale oppure enfasi.
Non più leggi ma Act... o così pare
Dopo il Jobs Act il governo ha annunciato altri Act, tra cui il Digital Act, il Green Act e il Food Act. In inglese la parola Act, soprattutto se scritta con l’iniziale maiuscola, identifica un atto legislativo approvato dal parlamento e promulgato dal capo dello stato. Nell’uso italiano Act è diventato uno pseudoanglicismo sinonimo di proposte di legge, provvedimenti e anche iniziative non legislative – il Food Act o Foodact, ad esempio, è il nome di alcune attività promozionali per valorizzare la cucina italiana nel mondo, mentre l’impronunciabile Growth Act è un pacchetto di misure economiche della Regione Liguria (inizialmente era stato presentato come Grow Act, poi qualcuno deve aver capito che pareva il marchio di un fertilizzante).
Va comunque sottolineato che il nome “pubblico” dei vari Act non viene incluso nei testi di leggi e decreti corrispondenti. Con il doppio nome viene a mancare il principio di univocità referenziale, si crea inutile confusione e per i cittadini diventa più complesso reperire informazioni.
Inglese “farlocco”.
Il vecchio nome Grow Act mostra che anche le istituzioni sono vittime dell’inglese “farlocco”, brevi comunicazioni o nomi composti con parole facilmente riconoscibili ma che per un madrelingua sono poco idiomatici o addirittura errati. Esempi: Young & Road, un progetto per la sicurezza stradale, e JOB&Orienta, un salone su formazione e lavoro. Sono nomi formati senza considerare che lo schema X & Y si comporta come un binomio lessicale, caratterizzato da coesione strutturale e semantica: le due variabili X e Y devono appartenere alla stessa categoria grammaticale.
Un esempio dal sito del MIUR: per più di un anno è stata in evidenza la sezione Orientamento long life (“a lunga durata”, come batterie e latte a lunga conservazione) anziché lifelong, “lungo tutto l’arco della vita”.
Aspetti culturali.
Le parole non vivono isolate ma fanno parte di un sistema concettuale e di un contesto multidimensionale che comprende aspetti linguistici, situazionali e cognitivi. Negli Stati Uniti, ad esempio, si porta a casa il cibo avanzato al ristorante in una doggy bag, nome che però non implica alcun cane. È un’informazione ignorata dal Ministero dell’Ambiente che ha cercato di nobilitare il contenitore sostituendo doggy con family, come ha spiegato il suo sottosegretario:
“Il Family Bag è l’upgrade semantico del più noto doggy bag, e permette non solo di svecchiare il termine ma anche di affrancare il concetto dal ghetto del nostro immaginario e dal pudore di richiederlo a fine pasto” (in inglese però family bag ha già un altro significato: è una confezione di prodotti in formato famiglia).
Quando si adotta un anglicismo va considerato l’uso metaforico ed evocativo nella lingua di origine e vanno riconosciute eventuali differenze culturali che possono caricare le parole di connotazioni specifiche. La preferenza per gli anglicismi può creare interferenze e frammentare l’evoluzione del lessico della propria lingua, specialmente se mancano connessioni tra il prestito e i termini già esistenti [Villa].
Pare non ne abbiano tenuto conto i funzionari del MIUR che hanno promosso lo studio delle materie scientifiche tra le ragazze con l’acronimo americano STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Probabilmente non si sono resi conto che a parole apparentemente equivalenti non corrispondono gli stessi concetti: un engineer americano e un ingegnere italiano, ad esempio, non sono equiparabili. Interpellato, l’ufficio stampa del MIUR ha spiegato:
“abbiamo scelto di utilizzare l’acronimo STEM perché ormai conosciuto e riconosciuto dalla nostra comunità di riferimento (docenti, studenti, interlocutori e partner esterni) e efficace, secondo noi, per sintetizzare gli ambiti toccati. Non trattandosi di un termine, ma di un acronimo non abbiamo ritenuto di tradurlo o ‘ritoccarlo’ visto che ben assorbito dalla comunità internazionale e compreso anche da noi”. Se però ci si rivolge a docenti e studenti si ha un’impressione diversa: la riconoscibilità dell’acronimo è molto bassa tra chi non è stato coinvolto in iniziative specifiche. Pochi sanno identificare materie o facoltà etichettabili come Technology, chiarire perché la matematica non sia considerata Science o perché sia preferibile questa ripartizione alla separazione italiana tra discipline umanistiche e scientifiche. È significativo che il portale del Parlamento britannico dedichi un’intera pagina alla disambiguazione del concetto di STEM e che invece in italiano lo si ritenga del tutto trasparente. Maledizione della conoscenza?
Nella comunicazione pubblica.
Le osservazioni del MIUR ci ricordano che in molti linguaggi tecnico-scientifici e settoriali i prestiti possono essere la scelta più efficace, grazie al valore monosemico, alla concisione e alla riconoscibilità globale del termine. L’inglese ha il ruolo che aveva una volta il latino ed è inevitabile che ci sia una convergenza internazionale della terminologia, soprattutto per concetti chiave che si diffondono contemporaneamente da canali diversi.
Negli ambiti istituzionali però l’interlocutore privilegiato non è la comunità internazionale ma il cittadino, a cui si dovrebbe garantire chiarezza e precisione e quindi un uso più consapevole e responsabile della lingua. Gli anglicismi istituzionali presi ad esempio dimostrano che la loro scelta non è sempre ben motivata, anzi, spesso è dettata da conoscenze linguistiche e culturali superficiali.
Il MIUR, responsabile dell’istruzione e della ricerca, ha una grande opportunità che ora forse sta sprecando: per i nuovi concetti dovrebbe promuovere la formazione di terminologia italiana. Se invece privilegia gli anglicismi da addetti ai lavori, senza spiegarli, comunica il messaggio che l’italiano non ha le risorse lessicali adeguate e marginalizza ancora di più chi non conosce l’inglese.
Dovrebbe invece riconoscere la propria responsabilità per un uso consapevole della lingua, “rispettoso sia della sua storia, sia del diritto di ciascuno a riconoscersi appieno nelle parole che ascolta o legge negli interventi di chi opera in un ambito pubblico” e “dare il buon esempio” anche alle altre istituzioni [Serianni].
Riferimenti
Carofiglio, G., Con parole precise. Breviario di scrittura civile, Laterza, 2015.
Corbolante, L., Elenco di anglicismi istituzionali in Terminologia etc.
Fanfani, M., Anglicismi, in Enciclopedia dell’Italiano Treccani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2010.
Marazzini, C., e Petralli, A. (a cura di), La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi, Accademia della Crusca, 2015.
Pinker, S., The Sense of Style, Allen Lane, 2014.
Serianni, L., Per una neologia consapevole, in Marazzini e Petralli, 2015
Villa, M.L., L’inglese non basta, Mondadori, 2013.
*Licia Corbolante è una terminologa che opera in ambiti informatici e tecnici, occupandosi in particolare di formazione e comunicazione interculturale. Ha studiato traduzione alla SSLMIT di Trieste e linguistica applicata, marketing e linguistica computazionale a Salford (GB) e Dublino. Fa parte della REI, Rete per l’eccellenza dell′italiano istituzionale, e scrive regolarmente sul blog Terminologia etc. con annotazioni su lingua, terminologia e traduzione.
http://www.treccani.it/lingua_italiana/speciali/ok/Corbolante.html
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