lunedì 31 luglio 2017

Fëdor Dostoevskij, L’adolescente. Era un signore vestito bene, grazie, evidentemente, a uno dei migliori sarti; vestiva come si suol dire in modo “signorile“, eppure non c’era in lui nulla di signorile nonostante il suo evidente desiderio di averne l’aria. La sua non era disinvoltura, ma piuttosto naturale sfacciataggine e dava l’impressione di uno che poco prima allo specchio si fosse preparato a recitare la sua parte. I suoi capelli scuri erano leggermente brizzolati, le sopracciglia nere; la barba lunga e gli occhi grandi non soltanto non gli davano un carattere personale, ma gli conferivano piuttosto un aspetto comune, simile a quello della maggioranza. Un uomo simile ride ed è disposto a ridere, ma chissà perché, non provate trovandovi con lui la minima allegria. Il suo aspetto canzonatorio si trasformava di colpo in un atteggiamento pieno di importanza, da importante diventava scherzoso o ammiccante, ma tutto questo in modo slegato e disordinato. Del resto, non vale la pena di descriverlo anticipatamente. Lo conobbi più tardi assai meglio e perciò involontariamente lo presento come se lo conoscessi più di come in realtà lo conoscevo in quel momento, quando aprì la porta ed entrò nella stanza. Tuttavia anche ora proverei difficoltà a dire di lui qualcosa di preciso e definitivo, poiché il carattere essenziale di tipi simili è appunto la mancanza di qualsiasi tratto definito e preciso.

http://www.writingshome.com/ebook_files/222.pdf

L’incipit del romanzo è sorprendente: 
«Spinto da un impulso irresistibile, mi misi a scrivere questa storia dei miei primi passi sul cammino della vita (…) Ho ultimato il corso liceale e ho già ventun anno (...) so perfettamente quanto sia stupida simile inesperienza in un giovanottone ventenne.» 

Dostoevskij sa perfettamente che i vent’anni non sono i “primi passi sul cammino della vita”, e molto probabilmente egli conosce l’incipit della Commedia dantesca (“Nel mezzo del cammin di nostra vita”). La sua è dunque un’affermazione che vuole cancellare ben quattro lustri di vita e pensiero: 
sia i primi due, che siamo soliti chiamare infanzia, sia il terzo lustro che coincide grosso modo con la pubertà, quindi i teenage years. L’adolescenza non coincide con la pubertà, ma ne è il prolungamento via complicazione psicopatologica. E Dostoevskij, scrivendo il romanzo in prima persona, ci introduce come meglio non si potrebbe nel vivo del pensiero del protagonista, il “giovanottone” Arkadij Dolgorukij. 
http://www.culturacattolica.it/educazione/father-son/tutta-colpa-di-dostoevskij-1-l-invenzione-dell-adolescenza



 «Fin dalle primissime classi del ginnasio, appena uno dei compagni mi sorpassava o nel sapere o nelle risposte argute o in forza fisica, subito smettevo di aver relazioni e di parlare con lui. Non già che l’odiassi o gli augurassi del male; gli voltavo semplicemente le spalle, poiché tale era la mia indole». Né gli va meglio con il gentil sesso: «sputo sempre quando mi imbatto in una signora. (…) anch’io a tredici anni ho visto la donna completamente nuda, e da allora ne ho provato schifo
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.



L'epoca attuale, è l'epoca dell'aurea mediocrità e dell'insensibilità, dell'amore dell'ignoranza, della pigrizia, dell'inettitudine all'azione e della pretesa di trovare tutto pronto. Nessuno riflette; raramente qualcuno matura una propria idea.
Non è che sia cambiato molto...
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


La mia idea consiste proprio nell’essere lasciato in paceFintanto che avrò due rubli voglio vivere solo, non dipendere da nessuno e non fare niente, nemmeno per quella grande, futura umanità a lavorare per la quale mi invitava il signor Kraft. La libertà individuale, cioè la mia, prima di tutto, e non voglio sapere di nient’altro. (...) Io non devo niente a nessuno, pago alla società del denaro sotto forma di tasse per non essere derubato, schiacciato e ucciso, e nessuno ha il diritto di pretendere da me nient’altro. Forse sarei anche di idee diverse, e potrei voler servire l’umanità, e lo farò, magari lo farò dieci volte di più di tutti i predicatori; ma voglio soltanto che nessuno abbia il diritto di pretendere questo da me, di forzarmi; la totale libertà, e anche quella di non alzare nemmeno un dito.”
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


«La mia idea è di diventare Rothschild. (…) non semplicemente ricco, ma ricco come Rothschild (…) la mia norma principale sarà di non rischiare nulla e la seconda di guadagnare a ogni costo e ogni giorno qualche cosa oltre a quel che spendo per mantenermi, affinché non passi un solo giorno senza ch’io accumuli denaro.» 
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.



Loro sono capaci di continuare a vivere alla propria maniera nelle situazioni per loro più innaturali e di rimanere se stesse nelle situazioni a loro più estranee. Noi non abbiamo questa capacità.
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


Era un signore vestito bene, grazie, evidentemente, a uno dei migliori sarti; vestiva come si suol dire in modo “signorile“, eppure non c’era in lui nulla di signorile nonostante il suo evidente desiderio di averne l’aria. La sua non era disinvoltura, ma piuttosto naturale sfacciataggine e dava l’impressione di uno che poco prima allo specchio si fosse preparato a recitare la sua parte. I suoi capelli scuri erano leggermente brizzolati, le sopracciglia nere; la barba lunga e gli occhi grandi non soltanto non gli davano un carattere personale, ma gli conferivano piuttosto un aspetto comune, simile a quello della maggioranza. Un uomo simile ride ed è disposto a ridere, ma chissà perché, non provate trovandovi con lui la minima allegria. Il suo aspetto canzonatorio si trasformava di colpo in un atteggiamento pieno di importanza, da importante diventava scherzoso o ammiccante, ma tutto questo in modo slegato e disordinato. Del resto, non vale la pena di descriverlo anticipatamente. Lo conobbi più tardi assai meglio e perciò involontariamente lo presento come se lo conoscessi più di come in realtà lo conoscevo in quel momento, quando aprì la porta ed entrò nella stanza. Tuttavia anche ora proverei difficoltà a dire di lui qualcosa di preciso e definitivo, poiché il carattere essenziale di tipi simili è appunto la mancanza di qualsiasi tratto definito e preciso.
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


E' sufficiente un granello o un peluzzo per dissipare nel mio animo il buono e sostituirlo col cattivo. Le cattive impressioni, invece, con mio cruccio, non si dissolvono tanto in fretta, sebbene non sia una persona che serba rancore.
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


Ma chissà, forse fanno meglio quelli che offendono la gente: 
per lo meno risparmiano agli altri la disgrazia di amarli.
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


Le cose più semplici si comprendono soltanto verso la fine, 
quando è stato già sperimentato tutto ciò che è più complicato o più stupido.
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.



Amico mio, lascia sempre che un uomo menta un po', è una cosa innocente. Permettigli perfino di mentire molto. In primo luogo ciò dimostrerà la tua delicatezza, e in secondo luogo, in compenso, verrà consentito anche a te di mentire: due enormi vantaggi in un sol colpo. Que diable!
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


Amico mio, amare gli uomini, così come essi sono, è impossibile. E tuttavia bisogna
Perciò fai loro del bene reprimendo i tuoi impulsi, turandoti il naso e chiudendo gli occhi. Sopporta il male che ti fanno possibilmente senza adirarti contro di loro, "ricordando che anche tu sei un uomo". Naturalmente, sei tenuto a essere severo con loro, se ti è toccato in sorte di essere appena appena più intelligente della media. Gli uomini sono per loro natura bassi e amano amare per paura; non lasciarti conquistare da un simile amore e non cessare di disprezzarli.
Sappi disprezzarli anche quando sono buoni, poiché, il più delle volte, anche in questo caso sono malvagi. Oh, mio caro, è pensando a me stesso che ho detto questo! Chi appena appena non è stupido non può vivere senza disprezzare se stesso, non importa se è onesto oppure no.
Amare il proprio prossimo e non disprezzarlo è impossibile. A mio giudizio l'uomo è stato creato fisicamente incapace di amare il proprio prossimo.
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


Le donne non sono davvero maestre nella valutazione degli intelletti degli uomini, se hanno un debole per quella persona, e scambiano volentieri i paradossi per conclusioni rigorose, se questi sono conformi ai loro desideri.
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


Tuttavia porrei come precetto per ogni persona evoluta di rendere immancabilmente felice in qualche modo almeno una creatura, ma praticamente, cioè realmente, così come imporrei per legge oppure come corvée, a ogni contadino, di piantare almeno un albero nel corso della propria vita vista la distruzione che sta avendo luogo in Russia; d'altronde, un albero solo non basterebbe, si potrebbe anche ordinare che ne piantassero uno all'anno.
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


Vi sono dei ricordi penosi, mio caro, che provocano una sofferenza autentica; quasi ognuno ne ha, soltanto, la gente se ne dimentica, ma accade che improvvisamente li rammenta, magari anche un tratto soltanto, e non riesce più a liberarsene. 
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


Oh, lo giuro, io non serbo rancore e non sono vendicativo. 
Senza dubbio desidero sempre vendicarmi, persino in maniera morbosa, quando mi offendono, ma, lo giuro, soltanto e unicamente con la generosità. Sia pure così, io lo ripagherò soltanto con la generosità, ma a patto che egli ciò lo senta, che lo capisca, e io sarò vendicato!
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


Lo sapete che esistono i colpevoli senza colpa? 
Sono queste le colpe più imperdonabili e quasi sempre subiscono una punizione.
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.



Dai dodici anni, credo cioè più o meno dal sorgere di una normale coscienza, ho cominciato a non amare gli uomini. Non che non li amassi, ma diciamo che mi pesavano. A volte mi sentivo tanto triste nei miei momenti puri, perché non potevo in nessun modo dire tutto nemmeno a chi mi era vicino, cioè avrei potuto, ma non volevo, chissà perché, mi trattenevo; il fatto è che sono diffidente, scontroso e non comunicativo. (...) Per non dover affrontare simili questioni, naturalmente, cercavo la solitudine. Inoltre non ci trovavo nulla nella compagnia della gente, per quanto mi sforzassi, e mi sforzavo; perlomeno tutti i miei coetanei, tutti i miei compagni, tutti fino all’ultimo, risultavano inferiori a me nei pensieri, non ricordo nemmeno un’eccezione.”
Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.


Arkadij Dolgorukij, l'io narrante, è il figlio naturale di Versilov, 
"un uomo, asciutto e superbo, nei miei riguardi altezzoso e negligente e che .... dopo avermi generato e abbandonato tra gli estranei, non solo non mi conosceva affatto ma non se ne pentiva neanche mai". 

"Ero come un escluso... e avevo deciso di ripudiarli tutti e di rinchiudermi definitivamente nella mia vita". 

A togliere dall'isolamento il ragazzo, che ha ormai concluso gli studi liceali, è una lettera di Versilov, che lo invita a Pietroburgo. La prima parte del romanzo narra la conoscenza da parte di Arkadij della figura complessa e sfuggente del padre: è un rapporto difficile anche perché 
"quell'uomo non era che il mio sogno, il sogno degli anni dell'infanzia. Così lo avevo inventato io stesso, mentre in realtà si era dimostrato diverso, caduto tanto al di sotto della mia fantasia". 



[...] E' difficile muoversi nell'intrigo, soprattutto quando non si ha la percezione del bene e del male e quando le persone non sono né chiaramente cattive né nettamente buone. Domina "l'anima del ragno", ossia che l'uomo "possa accarezzare nella propria anima un altissimo ideale accanto alla più grande bassezza, e tutto in perfetta buona fede". 
Ma anche Arkadij si fa catturare da "ignominiosi pensieri", per esempio, utilizzare il documento in suo possesso per conquistare l'amore di Katerina. 
"Di dove mai, dunque, era venuto tutto ciò, già così pronto? E questo, perché avevo l'anima del ragno! Vuol dire che tutto era germogliato da un pezzo e giaceva nel mio cuore corrotto, giaceva nel mio desiderio". 
Ed è proprio la debolezza di Arkadij, il suo lasciarsi attirare dal male, a far precipitare la situazione nella terza parte del romanzo. Il giovane si fa a sua volta ingannare da alcuni criminali, che gli rubano di nascosto il documento e cercano di ricattare Katerina. Con orrore il giovane deve poi scoprire che essi sono d'accordo con Versilov.. La doppia personalità di Versilov si pone dinanzi al giovane come una " immagine spezzata", tanto più dopo un intenso e tante volte atteso colloquio, nel quale Versilov aveva dichiarato al figlio il suo amore per la madre, salvo poi inviare a Katerina una richiesta ufficiale di matrimonio. Ma allora chi è veramente il padre ? Forse solo un uomo spinto dal capriccio, da una vanità senza freni, pensa Arkadij. La disillusione della figura paterna si è compiuta. Arkadij non è più un adolescente.
http://www.rikipedia.it/recensioni/Ladolescente


Fëdor Dostoevskij, L’adolescente.
Questo romanzo rappresenta una tappa fondamentale nel percorso creativo dell'autore. 
La disperazione del giovane Arkadij, umiliato dalla propria nascita illegittima e angosciato all'idea di "diventare Rothschild", anticipa uno dei grandi temi che saranno sviluppati ne "I fratelli Karamazov": il sentimento forte e contraddittorio nei confronti della figura paterna è il fulcro dei tormenti esistenziali di Arkadij, addolciti dalla mitezza della giovane Sof'ja Andrèevna.
http://www.anobii.com/books/L'adolescente/9788881833009/01c4235b824c946111



La cronaca famigliare che Dostoevskij inventa ispirandosi alle rubriche dei giornali è molto diversa da quella cui ci aveva abituato Tolstoj, con la sua rappresentazione di un solido mondo patriarcale. Lacerata e divisa, la famiglia di Dostoevskij è lo specchio dei tempi nuovi, dei traffici di una società avida e iniqua che non esita a lanciarsi nelle imprese più spregiudicate, a perdersi in tormentosi conflitti con i demoni che la agitano. [...] Figlio naturale di un proprietario terriero, Arkadij coltiva sogni di potere e rivincita, ma non riuscirà a sottrarsi al giro di ricatti e intrighi.
https://www.ibs.it/adolescente-libro-fedor-dostoevskij/e/9788806175672


[...] Uno dei personaggi più riusciti del romanzo è la mamma di Arkadij, Sofia Andréevna, donna di umili origini, sposa di Makar Ivanov Dolgorouki, giardiniere di Versilov. Dostoevskij ce la presenta con questa intrigante premessa: «certe donne seducono con la loro bellezza o con altri loro modi in un attimo; altre, invece bisogna avvicinarle almeno per sei mesi prima di capire cosa realmente siano, e per innamorasi di loro [...] occorre, anzitutto, esser dotati di un certo acume». Con rara sensibilità Dostoevskij riesce poi ad entrare nell’animo di questa tenera donna, nella sua semplicità dotata di grandissima amorevolezza e sensibilità; l’unico personaggio che rimane saldo nel vortice degli eventi.

«L’idea» di Arkadij è quella di puntare tutto su «tenacia e continuità» per diventare un giorno ricco come Rothschild. Dostoevskij ne approfitta per darci una bella lezione sulla forza di volontà: 
«C’è al mondo una gran differenza di forze, specialmente di forza di volontà. 
Esiste la temperatura dell’acqua a bollore e quella del ferro incandescente». 

Arkadij avendo messo alla prova la sua volontà sa di poter raggiungere la sua meta, anzi qualunque meta. In queste righe non possiamo non scorgere, in controluce, il “segreto” di Dostoevskij stesso che, resistendo a quattro anni di lavori forzati in Siberia, riuscì, con una determinazione suprema, a diventare uno dei più grandi scrittori della letteratura occidentale

In un altro passo Arkadij ci sorprende con una osservazione ancora più illuminante: 
«la coscienza solitaria e sicura [corsivo dell’autore] della mia forza! 
Ecco la definizione della libertà che il mondo cerca con tanta ansia». 
Ai giorni nostri un cantante che viene tuttora considerato un “genio” in una canzone cantava che «la libertà è partecipazione»; vedete che antitesi con «la libertà è la coscienza solitaria e sicura della mia forza»; spero notiate che differenza di spessore! c’è “genio” e genio... (Se fossi stato un giornalista avrei intitolato questo post "Dostoevskij contro Gaber"!).

E quanto alla meschinità del sogno di “diventare ricco come Rothshild” Arkadij risponde facendo eco al principe Myŝkin: «Beato colui che ha l’ideale della bellezza seppur errato!» È questo un concetto tipico di Dostoevskij, e che torna spesso lungo tutto il romanzo.

Quanto alla classe dirigente, Versilov ‒ che è un po’ il Dr Jekyll e Mr Hide della situazione ‒ in una delle sue impennate più alte dice, a proposito dell’aristocrazia: 
«L’idea dell’onore e della cultura come obbligo per chiunque voglia entrar a far parte d’una classe non chiusa e che senza tregua si rinnova è certamente un’utopia, ma perché non dovrebbe essere attuabile? Se questa idea vive sia pure soltanto in pochi cervelli, non è ancora perita e illumina, come un barlume di luce in una tenebra fitta». 

E di fronte al più prosaico principe Sergei, Versilov ribatte con un affondo: 
«Perché vivere secondo un’idea è difficile, mentre è facilissimo invece vivere senza idee».

Notevolissima è anche la “favola” della conversione di Maksim Ivanovic, una breve parentesi all’interno del romanzo, che costituisce un racconto a sé di grande impatto emotivo. Questa è una di quelle “resurrezioni morali” che più di una volta si incontrano in Dostoevskij e che penso abbiano pure ispirato l’ultimo grande romanzo di Tolstoj, Resurrezione.

Di grande fascino è il personaggio dell’ex giardiniere, poi pellegrino, Makar Ivanovic, una sorta di monaco errante senza essere monaco, una specie di santo incapace di provare odio o rancore per chicchessia, ingenuo e saggio allo stesso tempo, col sorriso gioioso di un bambino. Qui riceviamo anche un’altra lezione sul riso: «nel riso è la più sicura rivelazione dell’anima» conclude Dostoevskij dopo una lunga e profonda analisi.

Detto ciò, mi sembra di non avere ancora neanche incominciato a parlare di questo libro-miniera. Considerate questo: è come se, volendo mostrarvi una spiaggia grandissima, vi avessi portato solo qualche granello di sabbia.
Pubblicato da Marco Pizzi a 12:43
http://marcopizziparalipomena.blogspot.it/2012/01/ladolescente-di-dostoevskij-alcune.html



Fëdor Dostoevskij, L’adolescente, 1875
“[...] Arkadij Dolgorukij, figlio illegittimo del nobile Versilov e di un’umile serva, abbandonato dai genitori a pochi anni di vita, condannato ad un’infanzia solitaria costellata di umiliazioni e discriminazioni proprio per quel cognome principesco che stride così tanto a fronte della sua misera condizione di “bastardo”.
Il desiderio di rivalsa cresce con Arkadij ed esplode in un fermo proposito, in un’ ”idea” segreta covata con dedizione per lunghi anni che Dostoevskij sapientemente non rivela nell’immediato, tenendo i lettori incollati alle pagine fino al V capitolo quando il mistero è svelato: 
La mia idea è diventare Rotschild (...) di diventare, cioè, ricco quanto Rotschild” 
Lo scopo della mia “idea” è l’isolamento (…) oltre che dell’isolamento io ho bisogno anche del potere.” Arkadij esprime, con tutta l’ingenuità e la foga che si può avere solo a vent’anni, il suo ambizioso progetto: il potere fine a se stesso, il denaro per il denaro, non già per poter godere dei piaceri della vita, che a quelli anche una volta divenuto ricco rinuncerà, ma per poter imporsi, vendicarsi dei tanti torti subiti, per essere finalmente liberoSe fossi Rotschild, andrei vestito d’un vecchio cappotto e con un ombrellaccio. (…) La coscienza d’essere Rotschild mi metterebbe di buon umore.” 
E’ ossessionato da tutto ciò, ha rinunciato all’università per raggiungere il suo fine e si dice pronto a vivere di pane e acqua se necessario.

Ma ecco che nella seconda parte del romanzo tutto è cambiato: 
Arkadij si trova a Pietroburgo da circa due mesi, chiamato dal padre legittimo Versilov, e come egli stesso ammette non senza vergogna, la vita cittadina e il susseguirsi di fatti sorprendenti tutti legati ad una lettera compromettente per molte persone e conservata gelosamente dallo stesso Arkadij, gli hanno fatto accantonare l’”idea”: ora veste elegantemente, ha un parrucchiere francese, un cocchiere privato, sperpera i soldi alla roulette…insomma non proprio la vita morigerata che si prefiggeva

Ed è a questo punto del romanzo che si ha la conferma che il perno attorno al quale ruota tutta la concezione del romanzo, non è l’adolescente Arkadij, nonostante il lettore continui ad avere una percezione della realtà filtrata dalla sua personalità influenzabile, debole e altamente impressionabile, bensì l’enigmatico Versilov. I personaggi che mano a mano vengono introdotti magistralmente nell’intreccio (e sono come al solito davvero tanti!) sono tutti tesi nello sforzo di decifrare la personalità di quest’uomo misterioso, “sdoppiato”, con una storia passata oggetto di continuo pettegolezzo e un presente non meno turbolento.

Il lettore, parallelamente ad Arkadij, accecato dal complesso rapporto di odio-amore verso il padre, fino alla fine è disorientato: si convince che Versilov sia un uomo meschino, crudele, senza scrupoli, un fedifrago, un nichilista, un ateo poi ecco che un dialogo, un gesto, un’espressione lo scaraventa dal punto di vista opposto e improvvisamente gli sembra di aver frainteso ogni cosa perché Versilov è in realtà il marito amorevole, l’uomo saggio e generoso, dai forti valori, legato alla “madre russia” e alla famiglia. In ogni caso un uomo dotato di un forte magnetismo ed il personaggio più indecifrabile e umano che io abbia mai incontrato leggendo Dostoevskij

Ci sarebbero ancora troppi aspetti di questo capolavoro, come premettevo, su cui varrebbe la pena soffermarsi e dei quali invece non ho neanche accennato come ad esempio le “tirate” di Arkadij o di Versilov nelle quali si riconosce tutta la finezza intellettuale di Dostoevskij su temi politici, religiosi, sociologici.

Troppa “carne al fuoco”, come gli editori spesso ripetevano a Fedor , ma per fortuna ha sempre fatto di testa sua.

Pubblicato da Viviana

Nicola Ruffo
http://fahrenheit70.blogspot.it/2008/06/ladolescente-fdostoevskij-1875.html

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