mercoledì 26 ottobre 2016

Mosè Maimonide. La guida dei perplessi. IL MALE SI IDENTIFICA ALLA MANCANZA DI CONOSCENZA. Questi grandi mali che gli individui umani provocano gli uni agli altri per i loro fini, le loro brame, le loro opinioni e le loro credenze, sono tutti conseguenti ad una privazione, perché sono tutti conseguenze dell'ignoranza - ossia, della privazione della conoscenza. Come il cieco, per la sua mancanza di vista, continua a mettere il piede in fallo, a ferirsi e a ferire anche gli altri, perché non ha nessuno che lo guidi sulla sua via, così accade ai vari gruppi umani

Nel mondo delle yeshiva Maimonide è citato come "haNesher haGadol" (la Grande Aquila) a riconoscimento del suo eccezionale status di esponente bona fide della Torah Orale.

Moshe ben Maimon, più noto nell'Europa medievale col nome di Mosè Maimònide (in ebraico: משה בן מימוּן‎?, Mōsheh ben Maymōn; in arabo: أبو عمران موسى بن ميمون بن عبيد الله القرطبي‎, Mūsā ibn Maymūn ibn ʿAbd Allāh al-Qurṭubī al-Isrāʾīlī; in greco antico: Μωησής Μαϊμονίδης, Mōēsēs Maimonidēs; Cordova, 30 marzo 1135 – Il Cairo, 12 dicembre 1204), è stato un filosofo, rabbino, medico, talmudista, giurista e teologo spagnolo, una delle personalità di spicco dell'Andalusia sotto il dominio arabo, tra i più importanti pensatori nella storia dell'ebraismo.

Conosciuto anche con l'acronimo di Rambam (RaMBaM, in ebraico: הרמב"ם‎?, ovvero Rabbī Mōsheh ben Maymōn), Mosè Maimonide divenne, grazie al suo enorme lavoro di analisi del Talmud e sistematizzazione dell'Halakhah, il rabbino e filosofo ebreo di maggior prestigio ed influenza del Medioevo; le sue opere di diritto ebraico vengono ancora oggi ritenute le migliori nell'ortodossia, e sono, insieme al commentario di Rashi, un caposaldo indispensabile della letteratura rabbinica. https://it.wikipedia.org/wiki/Mos%C3%A8_Maimonide

Filosofia.
Mediante La guida dei perplessi (che inizialmente fu scritta in arabo col titolo Dalālat al-Hā'yrīn), introduzioni filosofiche a particolari sezioni dei suoi commentari sulla Mishnah, Maimonide esercitò un'influenza determinante sui filosofi scolastici, specialmente su Alberto Magno, Tommaso d'Aquino e Duns Scoto. Era egli stesso un ebreo scolastico. Istruitosi più leggendo le opere dei filosofi arabi mussulmani che dal contatto personale con insegnanti arabi, acquisì una conoscenza intima non solo della filosofia arabo-mussulmana, ma anche delle dottrine di Aristotele. Maimonide si sforzò di conciliare la filosofia aristotelica e la scienza con gli insegnamenti della Torah.[31]

Il principio che ha ispirato l'attività filosofica di Maimonide è identico al principio fondamentale della Scolastica: non ci può essere contraddizione tra le verità che Dio ha rivelato e le conclusioni della mente umana nel campo della scienza e della filosofia. Il Rambam si basava principalmente sulla scienza di Aristotele e gli insegnamenti del Talmud, trovando comunemente nel primo le basi per il secondo. In alcuni punti importanti, però, si scostò dall'insegnamento di Aristotele: per esempio, respinse la dottrina aristotelica secondo cui la cura provvidenziale di Dio si rivolge solo all'umanità, e non all'individuo.

Il problema del male.

Maimonide ha scritto sulla teodicea (il tentativo filosofico di conciliare l'esistenza di un Dio con l'esistenza del male). Ha preso la premessa che esiste un Dio onnipotente e buono. Ne La guida dei perplessi, Maimonide scrive che tutto il male che esiste negli esseri umani dipende dagli attributi dell'individuo, ma tutti i meriti dell'umanità sono dovuti alle sue caratteristiche generali (Guida 3:8).
Applica questo principio al male affermando che il male è semplicemente l'assenza del bene, così Dio non ha creato una cosa che si chiama male, bensì Dio ha creato il bene, e il male è qualcosa che esiste dove il bene è assente (Guida 3:10). Dio dunque ha creato solo le cose buone e non le cose cattive - le cose cattive vengono secondariamente. Maimonide contesta anche l'opinione comune che nel mondo il male supera bene sostenendo che, se si guardano alcuni casi particolari ciò può esser vero, ma se si guarda a tutto l'universo, il bene è molto più comune del male (Guida 3:12). Questo accade perché l'essere umano è minimo rispetto al resto dell'universo e quando si prende in considerazione l'abbondanza di male, ci si concentra solo su sé stessi senza tener conto della totalità dell'universo, che è in grande preponderanza bene in quanto contiene tutta la vita e tutti i cieli.


Maimonide crede anche che ci siano tre tipi di male nel mondo:
il male causato dalla natura, il male che le persone portano agli altri e il male apportato a sé stessi (Guida 3:12). Il primo tipo di male Maimonide lo riconcilia come molto raro ma, allo stesso tempo, necessario per la sopravvivenza della specie - se l'uomo non cambia e le vecchie generazioni non muoiono per fare spazio alle nuove, allora l'uomo non può esistere nella sua ultima forma. Il Rambam scrive che il secondo tipo di male è relativamente raro e che l'umanità stessa se lo causa. Il terzo tipo di male gli esseri umani lo portano a sé stessi ed è fonte della maggior parte delle disgrazie del mondo, per lo più il risultato di persone vittime dei propri desideri fisici. Per evitare la maggior parte del male che deriva dai danni che facciamo a noi stessi, dobbiamo imparare ad ignorare le nostre pulsioni corporali.


Carità (Tzedakah]
Una delle sezioni più ampiamente citate della Mishneh Torah è quella che tratta della "Tzedakah" (carità). In Hilkhot Matanot Aniyim (Leggi sulle offerte ai poveri), capitolo 10:7-14, Maimonide elenca i suoi famosi Otto Livelli del Dare (dove il primo livello è il preferibile, e l'ottavo il meno):[30]


  1. Dare un prestito senza interessi a una persona bisognosa; formare una società con una persona in difficoltà; dare un contributo a una persona indigente; trovare un lavoro per una persona bisognosa; purché tale prestito, concessione, associazione, o lavoro dia modo alla persona di non vivere più basandosi sull'aiuto degli altri.
  2. Fare carità tzedakah anonimamente a un destinatario sconosciuto tramite una persona (o un fondo pubblico), che sia degno di fiducia, saggia e in grado di compiere atti di tzedakah con i tuoi soldi nel modo più impeccabile.
  3. Fare carità tzedakah anonimamente a persona conosciuta.
  4. Fare carità tzedakah pubblicamente a un destinatario sconosciuto.
  5. Fare carità tzedakah prima che venga chiesta.
  6. Dare adeguatamente dopo averne ricevuto richiesta.
  7. Dare volentieri, ma non adeguatamente.
  8. Dare "con tristezza" (offrire per pietà): si pensa che Maimonide si riferisse ad un tipo di dare provocato dai tristi sentimenti che si potrebbero provare nel vedere le persone in stato di bisogno (in contrapposizione al dare perché obbligo religioso). Altre traduzioni dicono "Dare a malincuore".

https://it.wikipedia.org/wiki/Mos%C3%A8_Maimonide#cite_ref-25




«Non accettare una prova solo perché è scritta nei libri, poiché il bugiardo che inganna con la lingua, non esiterà a fare lo stesso con la penna.»
Maimonide



Una massima giuridica spesso citata e scritta da Maimonide, dice:
"È meglio e più soddisfacente assolvere mille persone colpevoli che mandarne a morte una sola innocente." Sosteneva che l'esecuzione di un imputato senza avere la certezza assoluta della sua colpevolezza, porterebbe ad una china decrescente per il ruolo delle prove, fino ad arrivare ad una condanna solo in base al capriccio del giudice.
 Maimonide, The Commandments, Neg. Comm. 290, alle pp. 269–71 (trad. ingl. di Charles B. Chavel, 1967).
https://it.wikipedia.org/wiki/Mos%C3%A8_Maimonide#cite_ref-25


«Ora, l’uomo ha come proprietà qualcosa di molto strano, che non si trova in nessuno degli enti che stanno sotto la sfera della luna: è la comprensione intellettualenella quale non interviene né un senso, né una mano, né un braccio, e che è paragonabile alla comprensione divina, che non si serve di un organo – anche se non le è simile nella realtà, ma solo a prima vista. Pertanto, a proposito dell’uomo, a causa di quest’ultima cosa, ossia a causa dell’intelletto divino a lui congiunto, si dice che egli è “ad immagine di Dio e a Sua somiglianza”.»
Guida dei perplessi, Parte I, Cap. I



"Sappi che in questa mia opera non è mia intenzione comporre un trattato di fisica, o sintetizzare alcuni concetti della metafisica (…). Il fine di quest’opera è solo (…) quello di spiegare le difficoltà della Legge [la Torah ebraica, i cui fondamenti si trovano nel Pentateuco] e di mostrare i veri significati dei suoi segreti, che sono superiori alle menti del volgo"
Mosè Maimonide, Guida dei perplessi, Introduzione.


Nell'introduzione della Guida dei perplessi, Maimonide prende l'insolita iniziativa di comandare ai suoi lettori i seguenti termini:

« Io comando — per Dio, che Egli sia glorificato — a ciascun lettore di questo mio Trattato di non commentare una sola parola [del testo] e di non spiegare ad un altro nessuna cosa che esso contenga ad eccezione di quello che è stato spiegato e commentato sulle parole dei famosi Saggi della nostra Legge che mi hanno preceduto. Ma qualsiasi cosa egli comprenda di questo Trattato, di quelle cose che non sono state dette da nessuno dei nostri famosi Saggi oltre a me, non deve essere spiegata ad un altro; né si deve affrettare a confutarmi, poiché ciò che egli ha capito che io abbia detto potrebbe essere contrario alla mia intenzione. »
(Guida dei perplessi, p. 15)



IL MALE SI IDENTIFICA ALLA MANCANZA DI CONOSCENZA.
Questi grandi mali che gli individui umani provocano gli uni agli altri per i loro fini, le loro brame, le loro opinioni e le loro credenze, sono tutti conseguenti ad una privazione, perché sono tutti conseguenze dell'ignoranza - ossia, della privazione della conoscenza
Come il cieco, per la sua mancanza di vista, continua a mettere il piede in fallo, a ferirsi e a ferire anche gli altri, perché non ha nessuno che lo guidi sulla sua via, così accade ai vari gruppi umani: ogni individuo, in ragione della sua ignoranza, arreca a se stesso e agli altri grandi mali, per quanto riguarda gli individui della sua specie; invece, se ci fosse la conoscenza, che sta alla forma umana come la potenza visiva sta all'occhio, si asterrebbe dall'arrecare tutti quei danni a sé e agli altri, perché con la conoscenza della verità l'inimicizia e l'odio verrebbero meno, e il danno che gli uomini si fanno reciprocamente cesserebbe.
Mosè Maimonide, "La guida dei perplessi", a c. di M. Zonta, UTET, Parte III, Capitolo XI.


Maria Russo

Il padre della psicoanalisi. E' stato il primo a teorizzare la profonda scissione che ognuno di noi si trova a dover affrontare ogni secondo, la scelta tra bene e male, e l'enorme attrattiva che ha il male sull'uomo. L'anima di ognuno di noi è retta dall'equilibro che queste due forze raggiungono, e la molteplicità dei comportamenti è data dalle varie possibilità di svolta che l'uomo ha per risolvere una situazione.




Mah?! Mi ricorda l'intellettualismo etico di Socrate volto a trasformare ogni dissidio in una dialettica di conciliazione delle polarità attraverso il raziocinio...”Basta conoscere il bene per farlo”, ma sappiamo che non sempre é così, e anzi che spesso non é così!




LA GUIDA DEI PERPLESSI
E L’ETICA MAIMONIDEA
Manuela Girgenti
https://girgenti.files.wordpress.com/2013/10/la-guida-dei-perplessi-1.pdf




La guida dei perplessi e l’interpretazione allegorica 
La Guida dei perplessi è dedicata a un suo allievo, Joseph Ibn-aknin, che si trovava in una situazione di perplessità: ebreo osservante e religioso era anche attratto dalla filosofia, ma il contrasto tra la Torah e le conclusioni aristoteliche gli creavano non poche perplessità
Con la Guida dei perplessi Maimonide vuole dimostrare al suo allievo che non c’è contraddizione tra i dogmi della fede e il razionalismo filosofico, perché si tratta di due piani diversi, che vertono sullo stesso oggetto: un piano più diretto è quello della rivelazione e un piano più indiretto è quello della filosofia
In poche parole, pur con qualche eccezione e con linguaggi diversi, sia la filosofia aristotelica sia la Torah affermano le stesse verità. È un concetto che Maimonide ribadisce più volte nella sua opera. 

“Sappi che in questa mia opera non è mia intenzione comporre un trattato di fisica, o sintetizzare alcuni concetti della metafisica ... Il fine di quest’opera è solo quello di spiegare le difficoltà della Legge (la Torah) e di mostrare i veri significati dei suoi segreti che sono superiori alle menti del volgo … Il fine di quest’opera non è di far comprendere tutte queste cose al volgo, e nemmeno ai principianti, e neppure di insegnarle a chi non studia altro che la scienza della Legge … Il fine di quest’opera è di dare un avvertimento ad ogni uomo religioso che abbia conseguito una credenza certa nella nostra Legge, sia perfetto nella pratica religiosa e nella morale, ed abbia studiato le scienze filosofiche e i loro contenuti … ma al quale crea problemi il senso letterale della Legge”(11) .
11 Maimonide, La guida dei perplessi, cit, pag. 329


“Un sovrano è nel suo palazzo, mentre i suoi sudditi stanno parte in città, parte fuori della città.

Di quelli che stanno nella città, gli uni voltano le spalle alla dimora del sovrano, dirigendosi da un’altra parte; gli altri si volgono verso la dimora del sovrano e, dirigendosi verso di essa, cercano di entrare nella sua dimora e di comparire alla sua presenza, ma, finora, non hanno neppure scorto le mura del palazzo.

Altri, tra quanti cercano di raggiungerlo, una volta giunti al palazzo, gli girano attorno per individuare l’entrata; altri sono entrati e passeggiano nei vestiboli; altri, ancora, sono riusciti a penetrare nel cortile interno del palazzo, giungendo al luogo ove si trova il sovrano, ossia alla sua dimora. Tuttavia, per quanto arrivati a questa dimora, costoro non possono né vedere il re, né parlargli. Dopo essere giunti all’interno della sua dimora, devono ancora fare altri passi indispensabili, e solo allora potranno presentarsi al sovrano, vederlo da lontano o da vicino, ascoltare la sua parola, o parlargli.
Ora spiegherò questa parabola che ho escogitato:

Coloro che stanno al di fuori della città sono tutti gli uomini che non hanno alcuna fede religiosa, né speculativa, né tradizionale, come i Turchi più lontani dell’estremo Nord, i negri all’estremo Sud, e quanti sono come loro, nei nostri paesi. Costoro vanno considerati alla stregua di animali irrazionali. Non li colloco al livello degli uomini, perché, tra gli esseri, occupano un rango inferiore a quello dell’uomo nè superiore a quello della scimmia: hanno, infatti, la figura e i tratti dell’uomo e un discernimento superiore a quello della scimmia.

Coloro che stanno nella città, ma voltano le spalle alla dimora del sovrano, sono gli uomini che hanno un’opinione e che pensano, ma hanno concepito idee contrarie alla verità, sia in conseguenza di un grave errore in cui sono incorsi nella loro speculazione, sia per avere seguito chi era in errore. Costoro, a motivo delle loro opinioni, quanto più procedono, tanto più si allontanano dalla dimora del sovrano. Essi sono ben peggio dei primi, e possono presentarsi occasioni in cui diventa addirittura necessario ucciderli, cancellando le tracce delle loro opinioni, affinchè non sviino gli altri.

Coloro che si dirigono verso la dimora del sovrano e cercano di entrarvi, ma non hanno neppure scorto il muro del palazzo, sono la folla degli uomini religiosi, intendo dire gli ignoranti che osservano i precetti.

Coloro che, giunti al palazzo, gli girano attorno, sono i giuristi che, per tradizione, ammettono le opinioni vere, che discutono sulle pratiche del culto, ma non si impegnano nella speculazione sui principi fondamentali della religione, né cercano, in qualche modo, di stabilire la verità di una qualche credenza.

Coloro, invece, che si immergono nella speculazione sui principi fondamentali della religione, sono coloro che sono entrati nei vestiboli, ove gli uomini si trovano indubbiamente ammessi secondo ranghi diversi.

Coloro che hanno compreso la dimostrazione di tutto ciò che è dimostrabile, che sono arrivati alla certezza nelle cose metafisiche, ovunque questo sia possibile, o che si sono avvicinati alla certezza, nei casi in cui non sia concesso andare oltre questa approssimazione, sono coloro che sono arrivati all’interno della dimora presso il sovrano.

Sappi, figlio mio, che fino a quando ti occuperai solo di matematica e di logica, sarai come quelli che girano attorno alla dimora e ne cercano l’ingresso, come allegoricamente dicono i nostri saggi: “Ben Zoma è ancora fuori”.
Quando avrai compreso gli argomenti della fisica, sarai entrato nella dimora e passeggerai per i vestiboli. Se avrai raggiunto la perfezione nelle cose fisiche ed anche in quelle metafisiche, sarai entrato in prossimità del sovrano, nel cortile interno, e ti troverai con lui nella stessa abitazione.
Quest’ultimo grado è quello dei veri sapienti”(12) .
12 Maimonide, La guida dei perplessi, cit,  pp. 738 - 739


[...] In ogni caso non possiamo non rilevare che, leggendo la Guida dei perplessi, si ha una sensazione di disagio e di ambiguità. A prima vista, quest’opera ha una base biblica tradizionale ben individuabile, ma nello stesso tempo esplicita le premesse filosofiche o teoretiche dell’autore nell’approccio all’ebraismo della tradizione. Da un lato si rivolge – su sua stessa ammissione – a quelli che vengono chiamati gli uomini dell’èlite, dall’altro c’è la volontà di educare gli uomini semplici di fede ad un culto di natura intellettuale. Da un lato Maimonide si rendeva conto che la filosofia aristotelica poteva rappresentare uno strumento di purificazione o universalizzazione della fede ebraica, ma dall’altro era anche consapevole dei rischi impliciti in una simile operazione di rilettura dell’ebraismo alla luce della filosofia. “Insomma – come rileva Roberto Gatti – prima che alla categoria privilegiata di lettori per cui l’opera è stata scritta, la definizione di “perplesso” si applicherebbe al suo autore”(14)
14 R. Gatti, Mosè Maimonide: il tempo, l’opera, l’eredità, in Quaderni dell’A.E.C. n.8, Torino,
2005, pag. 15
Manuela Girgenti, La guida dei perplessi e l'etica Maimonide.
https://girgenti.files.wordpress.com/2013/10/la-guida-dei-perplessi-1.pdf



Preghiera del medico (Maimonide)

Questa preghiera venne pubblicata per la prima volta in una rivista tedesca, nal 1793, e presentata come “Preghiera quotidiana di un medico prima della visita ai suoi pazienti. Dal manoscritto ebraico di un famoso medico ebreo egiziano del XII secolo “. L’allusione è a Mosè Maimonide (1135-1204), ma l’attribuzione è molto dibattuta. Sembra che la preghiera sia stata composta da uno scrittore del XVIII secolo, probabilmente Marcus Herz, medico tedesco discepolo di Immanuel Kant. Manca però una prova assoluta, e forse non si potrà mai scoprire la vera paternità. Comunque, nei contenuti, sembra scritta di proposito per i medici odierni.


Dio onnipotente,
Tu hai creato il corpo umano con infinita sapienza.
Diecimila organi per diecimila volte hai combinati in esso,
perché agendo incessantemente e con armonia
ne preservino l’insieme in tutta la sua bellezza:
il corpo, involucro dell’anima immortale.
E agiscono sempre con un ordine perfetto e in armonioso accordo.
Ma quando la fragilità della materia o l’impeto delle passioni
ne sconvolgono l’ordine e ne interrompono l’accordo,
le forze si scontrano e il corpo crolla
per tornare nella polvere dalla quale è venuto.
Tu mandi all’uomo le malattie quali benefici messaggeri
per avvertirlo del pericolo che lo minaccia
e perché lo sollecitino ad evitarlo.
Tu hai benedetto la Tua terra, i Tuoi fiumi e le Tue montagne
con sostanze benefiche che permettono alle Tue creature
di alleviare le loro sofferenze e guarire le malattie.
Tu hai dotato l’uomo di saggezza, perché possa lenire il dolore del fratello,
individuarne i disturbi, estrarre dalla natura le sostanze medicamentose,
scoprirne il potere, prepararle e somministrarle a seconda della malattia.
Nella Tua Eterna Provvidenza,
Tu hai scelto me per vigilare sulla vita e sulla salute delle Tue creature.
Ora sto per dedicarmi ai compiti della mia professione.
Sostienimi, o Dio onnipotente, in questa importante impresa,
affinché io possa essere di giovamento all’umanità,
poiché senza il Tuo aiuto nulla potrà avere buon esito, neppure la più piccola cosa.
Infondi in me l’amore per la mia arte e per le Tue creature.
Non permettere che la sete di guadagno,
l’ambizione di essere noto e ammirato,
ostacolino la mia professione,
perché questi sono i nemici della verità e dell’amore per l’umanità
e potrebbero sviarmi dal grande compito
di dedicarmi al benessere delle Tue creature.
Conserva al mio corpo e alla mia anima la forza necessaria
per essere sempre pronto ad aiutare serenamente
e ad assistere sia i ricchi che i poveri,
i buoni come i cattivi, i nemici come gli amici.
In colui che soffre concedimi di vedere solo l’essere umano.
Illumina la mia mente perché veda con chiarezza ciò che le sta davanti
e intuisca ciò che è assente o nascosto.
Fa’ che io possa riconoscere ciò che è visibile,
ma non permetterle di arrogarsi il potere
di vedere ciò che non può essere visto:
delicati e infiniti sono infatti i confini di quella grande arte
che è la cura della vita e della salute delle Tue creature.
Fa’ che io non mi distragga mai.
Che nessun pensiero estraneo svii la mia attenzione al capezzale del malato,
né disturbi il silenzioso lavoro della mia mente,
perché grandi e sacre sono le profonde deliberazioni necessarie
per vigilare sulla vita e sulla salute delle Tue creature.
Fa’ che i miei pazienti abbiano fiducia sia in me che nella mia arte,
e seguano le mie istruzioni e i miei consigli.
Allontana da loro tutti i ciarlatani,
la moltitudine di parenti premurosi e saccenti,
poiché spesso rendono inutili gli intenti più assennati della nostra arte
e spesso portano le Tue creature alla morte *.
Se qualcuno più saggio di me volesse migliorarmi e consigliarmi,
fa’ che la mia anima segua con gratitudine la sua guida;
perché vastissima è l’estensione della nostra arte.
Se però qualche sciocco presuntuoso impedisse con la sua critica il mio lavoro,
fa’ che l’amore per la mia arte mi dia il coraggio incrollabile di affrontarlo
e di continuare risoluto senza alcun riguardo per la sua età, reputazione, fama,
perché se mi arrendessi le Tue creature soccomberebbero alla malattia e alla morte.
Riempi la mia anima di gentilezza e di calma
quando i colleghi più anziani, forti della loro età,
dovessero soppiantarmi, disdegnarmi o ammaestrarmi con atteggiamento sprezzante.
Fa’ che io possa giovarmi anche di questo,
perché loro sanno molte cose che io ignoro,
ma aiutami a non soffrire per la loro arroganza.
Anch’io spero di poter giungere alla vecchiaia su questa terra,
davanti a Te, o Dio onnipotente.
Fammi essere soddisfatto di ogni cosa,
eccetto della grande scienza della mia professione.
Non permettere che nasca in me il pensiero
di aver raggiunto una conoscenza sufficiente,
ma concedimi la forza, la possibilità e l’ambizione di ampliarla sempre più.
Perché l’arte è grande, ma la mente dell’uomo è on continua espansione.
O Dio Onnipotente!
Tu mi hai scelto nella Tua misericordia
per vigilare sulla vita e sulla morte delle Tue creature.
Adesso io mi dedicherò all’esercizio della mia professione.
Sostienimi in questo compito, affinché l’umanità possa beneficiarne,
poiché senza il Tuo aiuto neppure la più piccola cosa potrà avere buon esito.


*nella versione originale è: “…la moltitudine dei parenti premurosi e egli infermieri saccenti, tutta gente crudele che rende inutili con la loro arroganza gli intenti più assennati della nostra arte e spesso portale Tue creature alla morte.”
http://www.pastoralesalutevenezia.it/ufficio_della_salute/preghiere/00001736_Preghiera_del_medico__Maimonide_.html




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