Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.
Alessandro Manzoni
Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’essere, in quella società come un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro.Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Ragazzacci, che, per non saper che fare, s'innamorano.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
“Or bene,’ gli disse il bravo all’orecchio, ma in tono solenne di comando, ‘questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.’”
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Ma quanto meno ne parlava, tanto più ci pensava.
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
“Or bene,’ gli disse il bravo all’orecchio, ma in tono solenne di comando, ‘questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.’”
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Ma quanto meno ne parlava, tanto più ci pensava.
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi
La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo.
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi; capitolo XXXIV
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi; capitolo XXXIV
Il buon senso c'era...ma se ne stava nascosto per paura del senso comune...
Alessandro Manzoni
Non sempre quello che viene dopo è progresso.
Alessandro Manzoni, da "Del romanzo storico e, in genere, de i componimenti misti di storia e d'invenzione"
Non rivangare quello che non può servire ad altro che a inquietarti inutilmente.
Alessandro Manzoni
Ed era in vece il povero sennò umano che cozzava co’ fantasmi creati da sé.
Alessandro Manzoni
La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto che ogni parte abbia soltanto dell'uno e dell'altra.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
"Quei prudenti che s'adombrano delle virtù come dei vizi, predicano sempre che la perfezione sta nel mezzo; e il mezzo lo fissan giusto in quel punto dov'essi sono arrivati, e ci stanno comodi"
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Il diavolo non é brutto quanto si dipinge.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Giacché è uno de’ vantaggi di questo mondo, quello di poter odiare ed essere odiati, senza conoscersi.
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, cap. IV [1840-42]
Svegliarsi dopo una sciagura e in un impiccio è un momento molto amaro. La mente appena tornata in sé, ricorre all'idee abituali della vita tranquilla antecedente; ma il pensier del nuovo stato di cose le si affaccia subito sgarbatamente; e il dispiacere ne è più vivo in quel paragone istantaneo
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Fu il ritrovamento di un amico, d'un fratello, d'un salvatore. La stanchezza quasi scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer libero e tiepido per tutte le vene, sentì crescer la fiducia de'pensieri, e svanire in gran parte quell'incertezza e gravità delle cose; e non esitò a internarsi sempre più nel bosco, dietro all'amico rumore.
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi [1840-42]
“Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti di quell'incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d'abbreviarli.”
Alessandro Manzoni
“Ci vuol tempo: e intanto? e poi?”
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
E poi? che farò domani, il resto della giornata? che farò doman l’altro? che farò dopo doman l’altro? E la notte? la notte, che tornerà tra dodici ore! Oh la notte! no, no, la notte!
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. XXI, righi 250-251
Sentì allora un bisogno prepotente di vedere altri visi,
di sentire altre parole, d'esser trattata diversamente.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Due occhi, neri neri anch'essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un'investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d'un odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio d'un pensiero nascosto, d'una preoccupazione familiare all'animo, e più forte su quello che gli oggetti circostanti.
Alessandro Manzoni, Promessi Sposi.
scellerato di professione
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
… quando due forti passioni schiamazzano insieme nel cuor d'un uomo, nessuno, neppure il paziente, può sempre distinguer chiaramente una voce dall'altra, e dire con sicurezza quale sia quella che predomini.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi - cap. VII
… così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. X
Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire su quello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto.
Alessandro Manzoni
Faceva a prima vista un'impressione di bellezza,
ma d'una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
‘in alcuni momenti i suoi occhi neri sembravano chiedere affetto, in altri mostravano odio’
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi
'Gli occhi [...] si chinavano verso il basso come per nascondersi per paura che, se qualcuno li avesse guardati, avrebbe visto l' immenso bisogno di affetto [...]'
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi [1840-42]
La Monaca di Monza.
S'imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni, il rumore d'un passo aspettato.
Alessandro Manzoni, Addio ai Monti (Capitolo VIII de “I promessi sposi”)
Il vero male non è quello che si soffre, ma quello che si fa.
Alessandro Manzoni
Il linguaggio è stato lavorato dagli uomini per intendersi tra loro, non per ingannarsi a vicenda.
Alessandro Manzoni
Le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi.
Alessandro Manzoni
Una delle più gran consolazioni di questa vita è l'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia è quella dell'avere qualcuno a cui confidare un segreto. […] Quando dunque un amico si procura quella consolazione di deporre un segreto nel seno d'un altro, dà a costui la voglia di procurarsi la stessa consolazione anche lui. Lo prega, è vero, di non dir nulla a nessuno; e una tal condizione, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe immediatamente il corso delle consolazioni.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Il primo svegliarsi, dopo una sciagura, e in un impiccio, è un momento molto amaro.
La mente, appena risentita, ricorre all'idee abituali della vita tranquilla antecedente; ma il pensiero del nuovo stato di cose le si affaccia subito sgarbatamente; e il dispiacere ne è più vivo in quel paragone istantaneo.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi - cap. II
Se ne andò, col cuore in tempesta […].
Tant'è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Non rivangare quello che non può servire ad altro che a inquietarti inutilmente.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi - cap. V (Fra Cristoforo a Renzo)
Come accade in tutti gli affari un po’ imbrogliati, che le difficoltà alla prima si presentino all'ingrosso, e nell'eseguire, poi, vengan fuori per minuto.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. XVII
e il tormentato esaminator di se stesso, per rendersi ragione d’un sol fatto, si trovò ingolfato nell’esame di tutta la sua vita.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. XXI, righi 226-227
"La vita non deve essere una festa per alcuni e un peso per altri, ma dev'essere un impegno per tutti."
Alessandro Manzoni
Si dovrebbe pensare più a far bene che a stare bene: e così si finirebbe anche a star meglio.
Alessandro Manzoni
«Ah! È morto dunque!»
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. XXXVIII
Omnia munda mundis.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, già in PAOLO DI TARSO, Lettera a Tito 1,15
Gran segreto è la vita, e nol comprende che l'ora estrema.
Alessandro Manzoni, Adelchi
La gloria?
il mio destino è d'agognarla,
e di morire senza averla gustata.
Alessandro Manzoni, Adelchi
“Del senno di poi ne son piene le fosse.”
Alessandro Manzoni
“Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza”
Alessandro Manzoni
Ma noi uomini siam in generale fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnati, ma stupidi, il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile
Alessandro Manzoni
Quand'è stato sbarbato un grand'albero, il terreno rimane sgombro per qualche tempo, ma poi si copre tutto d'erbacce.
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi
“rimase immobile, come, al cader del vento, nel forte della burrasca, un albero agitato ricompone naturalmente i suoi rami, e riceve la grandine come il ciel la manda”
Alessandro Manzoni
Ma siccome v’eran poi finalmente al mondo, e vicino a lui, persone ch’egli conosceva ben bene per incapaci di far male, così poteva con quelle sfogare qualche volta il mal umore lungamente represso, e cavarsi anche lui la voglia d’essere un po’ fantastico, e di gridare a torto.
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi
Manzoni (sì, Alessandro) e l'uso di "fantastico".
Nel primo capitolo dei Promessi Sposi Manzoni a un certo punto -nelle edizioni scolastiche addirittura scandiscono il testo e lo numerano in “versi”- parla del fatto che anche don Abbondio ha il suo fiele, le sue rabbie, e di come le eserciti e sfoghi. E usa una parola che non mi aspettavo, fantastico, nel senso di lunatico.
http://arte-fatti.tumblr.com/post/14320230969/manzoni-s%C3%AC-alessandro-e-luso-di-fantastico
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie’ mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
Alessandro Manzoni, Il cinque maggio
Soffri e sii grande: il tuo destino è questo,
finor: soffri, ma spera: il tuo gran corso
comincia appena; e chi sa dir, quai tempi,
quali opre il cielo ti prepara?
Alessandro Manzoni - Adelchi (Atto III, scena I, 98-101)
Te dalla rea progenie
degli oppressor discesa,
cui fu prodezza il numero,
cui fu ragion l’offesa,
e dritto il sangue, e gloria
il non aver pietà, te collocò
la provida sventura in fra gli oppressi: muori compianta e placida;
scendi a dormir con essi:
alle incolpate ceneri nessuno insulterà. Muori;e la faccia esanime
si ricomponga in pace;
com’era allor che improvida
d’un avvenir fallace, lievi
pensier virginei solo pingea.
Così dalle squarciate nuvole
si svolge il sol cadente, e, dietro
il monte,imporpora
il trepido occidente: al pio colono augurio di più sereno dì.
Manzoni, Adelchi, parte finale del coro alla morte di Ermengarda.
Capitolo X
La monaca di Monza
"Quel lato del monastero era contiguo a una casa
abitata da un giovine scellerato di professione.
Il nostro manoscritto lo nomina Egidio,
senza parlar del casato. Costui, da una sua finestrina
che dominava un cortiletto di quel quartiere,
avendo veduta Gertrude qualche volta passare
o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito
dai pericoli e dall'empietà dell'impresa, un giorno
osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose..."
http://promessisposi.weebly.com/capitolo-x.html
Virginia Marianna de Levya:"la sventurata rispose".
Il personaggio descritto nei «Promessi sposi» si chiamava in realtà Virginia Maria de Leyva.
Fu murata per anni in una cella di penitenza.
Venne processata nel 1607 per la sua relazione con un tal Egidio e per una serie di delitti.
Aborti, violenze, assassinii, prostituzione: nella vicenda furono coinvolti altre suore e un prete.
Sotto interrogatorio confessò la tresca, ma sostenne di essere stata vittima di un maleficio.
Sulla Gertrude dei Promessi sposi, cioè sulla Monaca di Monza, si sono scritti fiumi di parole. [...]
Manzoni, ognuno lo sa, tagliò corto. «La sventurata rispose».
Gertrude cedette ad Egidio ed entrò nell' inferno dell' amore sacrilego e quindi nel buio del peccato. La sua storia più vera (e più grande) era stata tutta prima di quel passo: la tragedia di una volontà devastata dalla violenza del principe padre, ma anche della sua volontà giovinetta corrotta dall' orgoglio.
Poi, dalla storia di Gertrude, Manzoni trasse spunto soprattutto per scrutare fino in fondo il dramma di una psiche malata: per rappresentare nel racconto, con il rigore di un modernissimo analista, la deviazione di una mente, che si chiude con pericolo nelle sue «fantasie», che fa legge dell' universo il teatro capriccioso e potente (di una falsa potenza tuttavia) delle proprie emozioni, trasformate in pensieri o peggio in risolute decisioni per una scelta del suo destino. [...]
Come è ovvio, ha inizio con un idillio, con uno scambio di sguardi.
Paolo fa la posta a Virginia da un piccolo cortile che è visibile da una finestrina del convento.
La suora se ne accorge. Dapprima respinge sdegnosa quell'uomo sfrontato, poi pian piano ne resta lusingata. Manzoni su di ciò non tace. Ciò che omette sono i dettagli della tresca.
Virginia riceve Paolo nel parlatorio, nottetempo. Lei sta ancora «dietro» la grata, lui «di fuori».
Poi ci sono gli scambi di «lettere amorose» e i doni che Egidio (Paolo) fa avere a Gertrude (Virginia). Sono bei fiorellini da principio, poi un paio di guanti eleganti, quindi un crocefisso d' argento e libri religiosi. Finalmente Virginia fa entrare nel convento «con chiavi contraffatte detto Osio»: e fu così che Paolo la «conobbe carnalmente». L'incontro è replicato. Paolo passa notti intere nel gran letto di Virginia e la «mala pratica» dura per «tre anni»: «tre volte la settimana, et quando più et meno, secondo l' occasione». «La sventurata rispose», dice Manzoni.
Se si leggono i verbali del processo la sua non appare una censura solo pudibonda, è piuttosto un'omissione pietosa di una vicenda di uno squallore senza fine. Certo, nel processo, suor Virginia si difende come può e racconta ai giudici che la propria la passione d' amore ebbe inizio con uno stupro. «È la verità ch' io ho fatto l' amore», dice, «ma però amore sforzato, che per conto d' amore volontario non l'avrei fatto con il re di Spagna».
Questa monaca sfacciata è un po' rozza ma sicura nel suo dire.
Non si deve tuttavia dimenticare che parla durante un processo ad alto rischio, per cercare di difendersi. Allora non stupisce che all' idea dell' amore associ quella di un «malificio», di cui diventa vittima.
Suor Virginia dice insomma di essere stata posseduta da un demonio tremendo.
Non smentisce proprio nulla: racconta con precisione come avvennero gli incontri, dove, come, quante volte, ma sorvola sui suoi sentimenti, taglia corto sulle proprie emozioni.
Nella lunga storia d' amore con Paolo ci fu soltanto una «forza diabolica» invincibile. Punto e basta.
La censura di Virginia sull'amore, negli atti processuali, è più forte persino di quella di Manzoni nel romanzo. Capita così che la storia più piccante diventi una storia di incantesimi subiti e - per rivalsa - di tantissime penitenze, di flagelli della carne, di scongiuri persino curiosi. Suor Virginia - così dice - fu stregata leccando una «bianca calamita» del suo Paolo. Per potersi affrancare dalla schiavitù di quell' uomo-demonio giunse anche a mangiarne le feci con «il fidigo» e «le cipolle».
Questo rito un po' schifoso non sortì alcun effetto: il demonio di Virginia era forte, resistente a qualsiasi esorcismo.
La lettura dei verbali del processo rende ancor più grande e necessaria la reticenza di Manzoni.
La Gertrude dei Promessi sposi rimane l' eroina di una grande tragedia, che parte da lontano, da una violenza subita che si trasforma pian piano in una deviazione mentale. Nei documenti, nonostante lo spreco di tinte assai cupe, suor Virginia è l'eroina più modesta di un romanzo d'appendice.
La tragedia. C'è un momento tuttavia in cui le carte processuali rappresentano un'autentica tragedia: ed è quello spaventoso delle pene. Suor Virginia de Leyva viene infatti murata viva, in una cella strettissima di penitenza a vita.
Paolo Osio, il suo uomo, è condannato alla pena capitale:
viene prima «tenagliato», torturato vale a dire con tenaglie incandescenti, viene poi mutilato della mano «dritta» e alla fine impiccato. Non basta questo strazio ai giudici tremendi del tribunale. Il corpo dell'amante blasfemo e assassino verrà squartato: e i pezzi di carne saranno esposti nei luoghi di ogni suo delitto. Lo spettacolo grandioso e violento della pena vuole cancellare la realtà del peccato: è questa l' immagine più vera del quadro secentesco che vien fuori dalle pagine del processo.
Manzoni descrive le cause del peccato: sulla pena sorvola.
La pietà nei Promessi Sposi prevale persino sullo spavento e non poteva essere diversamente.
Lei era nata nel 1576 a Milano, a Palazzo Marino, da una nobile famiglia spagnola.
Senza alcuna vocazione, nel 1591 pronunciò i voti a Monza, nel monastero di Santa Margherita: assunse il nome di suor Virginia Maria. Per la sua istruzione e nobiltà fu chiamata «la signora» e divenne la maestra delle educande.
La finestra di Virginia dava sul giardino della famiglia di un giovane, Paolo Osio (l' Egidio del Manzoni), con il quale ebbe una relazione amorosa. Nacquero due figli: un bambino nato morto e Alma Francesca Margherita, che fu affidata a una balia. Per proteggere la loro tresca uccisero due suore, una gettandola nel Lambro e l'altra in un pozzo fuori Monza.
Il 25 novembre 1607 Virginia Maria fu arrestata su ordine del cardinale Federico Borromeo, arcivescovo di Milano. Il caso fu affidato a Mamurio Lancillotto, un giurista implacabile che fece torturare la monaca per farla confessare. La sentenza: Virginia Maria fu murata viva in una cella larga tre braccia e lunga cinque. Solo tredici anni dopo, nel settembre 1622, il muro che ostruiva l' entrata del suo camerino fu abbattuto e lei poté rientrare nella comunità monastica di Santa Valeria, dove morì il 7 gennaio 1630.
Pubblicato da Elio Francescone
http://tuttoilresto-noia.blogspot.it/2014/02/virginia-marianna-de-levyala-sventurata.html
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