giovedì 6 ottobre 2016

Anatomia del Narcisismo di Mauro Scardovelli

Anatomia del Narcisismo  di Mauro Scardovelli


Abilità e disabilità
Durante un convegno di musicoterapia, si discuteva sul concetto di abilità e disabilità. 
Diverse erano le opinioni espresse, e non sembrava possibile giungere ad una visione comune. 
La discussione finì grazie ad un intervento risolutivo di Carlo Sini

Per me la differenza tra abiltà e disabilità è molto chiara: 
abile è colui che sa essere felice, disabile chi non sa esserlo”.

Centro del bersaglio, tutti si trovarono d’accordo. 
Sini, da acuto filosofo, aveva colto l’essenza, ciò che sta a cuore a tutti. 
Una verità incontrovertibile, che pur essendo sotto gli occhi di ogni essere umano, ha bisogno di essere svelata, perché coperta da miti e false credenze. 
Il mito dell’economia oggi ci fa credere che abile è solo chi è ottimo imprenditore di se stesso, e inabile chi non sa competere per farsi valere. La depressione, oggi, a differenza di un tempo, nasce proprio da qui: il non sentirsi mai all’altezza
Il mito della salute mentale ci fa credere che è abile chi non soffre mai di angoscia o depressione, mentre in realtà è abile e felice chi riconosce i propri momenti di tristezza e paura, che accomunano ogni essere umano sano, e li sa superare, per il bene suo e del prossimo.


Rispettare 
Rispettare, riconoscere, sono parole chiave che collegano la ricerca filosofica a quella psicologica. Rispettare, stessa radice di spettatore e spettacolo, significa guardare due volte, non accontentarsi del primo sguardo

Filosofia
La filosofia nasce come ricerca e rispetto della verità, attraverso uno sguardo che sa scendere in profondità, senza lasciarsi ingannare dalle apparenze
Verità, aletheia in greco (lethes = nascosto), signfica svelare ciò che è coperto

Psicologia
L’amore a prima vista può essere cieco e infantile, passeggero e inaffidabile, perché affidato alla proiezione dei propri desideri. L’amore vero è quello a seconda vista: le proiezioni si ritirano e siamo in grado di cogliere l’essenza, la vera natura della persona che amiamo.
L’amore vero, piuttosto raro, unisce sicurezza e passione che si rinnova. L’amore a prima vista viene spesso dall’ego, ed è soggetto alle variazioni di circostanze e di umori, cioè delle subpersonalità che si alternano al governo. Quello a seconda vista viene dall’anima, ed è eterno, perché non mette in relazione solo due corpi e due sistemi di desideri, ma due essenze.


Riconoscere
Riconoscere significa conoscere due volte
Per Platone, la conoscenza vera è reminiscenza, è memoria, cioè conoscere per la seconda volta ciò che già sapevamo, diventandone consapevoli.  
Naturalmente, affinché tale affermazione abbia un senso condivisibile, occorre riferirla alle poche conoscenze essenziali (le foglie nelle mani del Buddha), e non alle infinite conoscenze marginali (le foglie della foresta), che nella filosofia medievale erano considerate oggetto di curiositas, e nel buddismo di pigrizia. E quali sono le conoscenze essenziali? Quelle che ci rendono abili, cioè capaci di essere felici.

Sofferenza e felicità
Ma essere felici, in un mondo ove la sofferenza dilaga ovunque, è un comportamento etico? 
E’ giusto essere felici, è onesto, è buono? 
Non è forse mancanza di sensibilità, empatia, solidarietà per chi vive nella sofferenza?
Il bambino, di fronte alla sofferenza dei genitori, ne viene invaso, contagiato. 
Dal momento che dipende dai genitori per sopravvivere, farebbe qualunque cosa pur di continuare ad appartenere alla sua famiglia. Così può decidere di essere infelice per essere solidale, o di diventare infelice al posto dei genitori, pensando in tal modo di liberarli dal loro fardello.
E’ facile capire che questo è amore immaturo, cieco, infantile.
Ma noi, adulti, siamo liberi da questo tipo di amore che unisce le persone nel condividere e diffondere la sofferenza nevrotica o non necessaria? 


La propensione alla felicità come dovere etico
Umberto Galimberti, in un recente libro (Miti del nostro tempo) sostiene che essere felici è un dovere etico. Il ragionamento che sviluppa è semplice. Tradotto nelle parole di Thich Nath Hanh, chi è felice rende il mondo migliore, perché sparge intorno a sé semi di felicità. Chi è infelice, in modo nevrotico, lo rende peggiore, perché sparge semi di infelicità. Non solo, ma scarica sul suo prossimo un fardello che ha costruito con le sue mani, senza prendersi la responsabilità di disfarlo.

Conoscere se stessi
Come rispettare, riconoscere è conoscere una seconda volta, uno sguardo che sa scendere in profondità, al di sotto delle apparenze e sa cogliere la verità. Uno sguardo che vede, senza proiettare, perché guarda due volte. Senza rispetto, senza riconoscimento, non ci può essere felicità. Diventa chi sei (per essere felice), afferma Nietzsche. E per diventare chi sono, devo conoscermi, cioè riconoscermi, rispettarmi, vedermi in profondità. Solo questo può liberarmi dalla sofferenza nevrotica, o autocostruita. 
Ma posso fare tutto questo da solo? No. Come essere umano, a differenza degli animali, ho bisogno che altri mi facciano da specchio: imparo a vedere di me ciò che altri significativi hanno visto di me. Posso riconoscere e rispettare la mia essenza nella misura in cui è stata vista e rispettata.
Se questo non è accaduto nell’infanzia, non è mai troppo tardi. Ma ho sempre bisogno di qualcuno che svolga questa essenziale funzione. E se non è sottomano, è mio compito, un compito etico, cercarlo, per liberarmi da una sofferenza che, altrimenti, continuo a infliggere non solo a me, ma alle persone che mi circondano.


Conoscere la propria anima
E quale è la mia essenza, la mia anima? 
Seguendo Galimberti e il pensiero greco, la mia essenza è la mia qualità interiore, le mie predisposizioni, i miei talenti. Se sviluppo e metto a frutto i miei talenti, sarò felice. Ma è sufficiente? 
Se sono portato per la musica, e faccio il musicista, sono felice? Non è detto. 
Non è detto perché la mia anima non è solo la mia qualità interiore, ma è il flusso profondo dei miei sentimenti. Io non sono una monade isolata, ma una rete di relazioni in continuo movimento in cui io occupo una posizione che è solo mia. 

E che cosa sono i sentimenti?                                                                                                          Sono reazioni fisiologiche (emozioni: moto verso l’esterno) divenute consapevoli, che mi informano sulla qualità delle mie relazioni: con me stesso, con gli altri, con il mondo.
Il flusso dei miei sentimenti mi rende davvero unico. Il flusso dei sentimenti è il cuore della mia anima, perché ciò che provo, momento per momento, indica lo stato delle relazioni alle quali partecipo e che definiscono il mio essere nel mondo. Io mi sento riconosciuto e amato solo da chi sa comprendere e rispettare ciò che provo. Senza questa attitudine reciproca, la danza dell’amore non è possibile.


Il cuore dell’anima
Il flusso dei sentimenti autentici è il cuore dell’anima. 
Perché il cuore? Perché l’anima è la scintilla divina, la parte più evoluta che ci distingue come specie. L’anima ci unisce; la personalità ci divide. L’anima è un centro di amore; la personalità un centro di potere. Definizione di essere umano: disperato tentativo di un’anima di far evolvere una personalità. Funzione dell’anima è quella farci evolvere verso stati più elevati di consapevolezza, superando via via le visioni parziali e frammentate, rendendoci integri, cioè interi, e connessi a ciò che c’è. L’anima è il ponte che ci riconnette al tutto. Gli antichi greci erano ben consapevoli che l’anima individuale non può essere separata dall’anima collettiva. I sentimenti, quelli veri e autentici, sono i fondamentali strumenti dell’anima: è attraverso i sentimenti che l’anima ci aiuta a raddrizzare la rotta quando la stiamo perdendo, cioè quando ci stiamo separando, isolando, ritirando.
Il dramma umano, la distruzione del pianeta e delle comunità alla quale oggi assistiamo impotenti, trova qui la sua origine: nel vizio dell’occidente di separare e dividere per conoscere, controllare e dominare, anziché contemplare la natura e armonizzarci ad essa. Separare e controllare fino a perdere il contatto con la nostra anima e con la terra che ci ospita, rendendoci estranei a noi stessi e agli altri, rendendoci individui isolati e impauriti. Quindi sempre pronti a difenderci, attaccando e aggredendo chi percepiamo come estraneo o nemico. Non solo gli altri, ma persino il cibo con cui ci nutriamo può diventare oggetto delle nostre fobie.

Ma come abbiamo potuto ridurci così? 
Come siamo giunti a tradire in modo così profondo la nostra vera natura, che è sociale e relazionale? Una natura che ci porterebbe ad integrarci con l’ambiente anziché distruggerlo per dominarlo?
C’è una peculiarità della nostra specie che rende possibile questo esito drammatico. 
Gli animali sono guidati dagli istinti. Noi no. Noi dobbiamo imparare come comportarci, dobbiamo imparare a conoscerci. E per conoscere il flusso dei sentimenti, cuore della nostra anima, abbiamo bisogno che altri li abbiano visti, rispettati, nominati. E’ attraverso le loro parole, le parole con cui li nominano, che impariamo a distinguerli e riconoscerli, come figure sullo sfondo indifferenziato delle sensazioni. E possono aiutarci in questo passaggio solo persone che a loro volta sono state viste, i cui sentimenti siano stati riconosciuti e nominati. Persone che, in tal modo, hanno imparato a vedere, riconoscere, contattare il cuore della loro anima. Persone che sono diventate se stesse, autentiche, capaci di essere felici, cioè abili. In armonia con ciò che li circonda.


Sentimenti dell’anima
Ma tutti i sentimenti che proviamo vengono dalla nostra anima? 
No, la maggior parte di essi proviene dal nostro Ego. 
I sentimenti primari, come strumenti dell’anima, sono due: amore e gioia. 
L’amore è il sentimento che, attraverso i comportamenti che ispira, ci induce a soddisfare il bisogno di unità e armonia. La gioia è il sentimento che indica la nostra armonica partecipazione all’unità, e il nostro contributo al bene comune.
Per l’anima la maggior fonte di felicità è donare, non prendere. 
Quando siamo nell’anima, più diamo, più riceviamo, perché non ci sentiamo separati. 

E la rabbia, la tristezza, la paura, sono estranei all’anima? 
No, certamente. E come si fa a distinguerli dai sentimenti che chiamiamo nello stesso modo, ma provengono dall’Ego? E’ semplice. La rabbia, la tristezza, la paura che vengono dall’anima durano molto poco. Sono solo segnali che ci inducono a ripristinare l’equilibrio violato, la rottura del senso di unità, tutelarci da un pericolo effettivo. 

La rabbia ci informa che qualcuno, o una parte di noi, sta violando un nostro bisogno in modo grave. La tristezza ci avvisa che dobbiamo lasciar andare qualche attaccamento. 
La paura ci avverte che c’è un pericolo reale attuale.

In ogni caso, il sentimento di fondo rimane sempre l’amore, il desiderio di unità e armonia, come nota fondamentale che accompagna la colonna sonora della nostra vita. Ed è sulla base di questo sentimento che possiamo attivare un comportamento idoneo a ripristinare l’equilibrio violato. La strategia che seguiamo, ispirata dall’anima attraverso i relativi sentimenti, è quindi funzionale a risolvere il pericolo, a lasciar andare l’attaccamento o a soddisfare il bisogno specifico violato, per ripristinare la nostra armonica partecipazione all’unità. 
La vita, attraverso le sue difficoltà, ci allena a praticare forme d’amore sempre più elevate, come quella di amare le persone che ci sono inizialmente indifferenti o addirittura nemiche. E amare significa cercare il loro bene insieme al nostro: i sentimenti dell’anima promuovono sempre il bene comune.


Sentimenti dell’Ego
I sentimenti dell’Ego hanno tutt’altra natura.
L’Ego, a differenza dell’anima, nasce dall’esperienza di non essere amati, visti, riconosciuti. Nasce dall’esperienza di abbandono, rifiuto, esclusione, ingiustizia, umiliazione.
Nasce dalla separatività, e alimenta ulteriore separatività. Mentre l’anima vive nell’amore, l’Ego vive nella paura: paura dell’altro e del mondo. Reagisce alla paura cercando il controllo e il potere. 
L’Ego non crede nell’amore, nel senso di unità, nel bene comune. L’Ego crede nel suo bene esclusivo, indifferente o in contrasto con il bene degli altri. L’Ego vive nel conflitto, e cerca nel potere e nel dominio i mezzi per superare la paura di fondo, che origina dalla separazione. L’Ego non pratica la danza dell’amore, ma della competizione e della lotta. Quando si sente in pericolo, l’Ego reagisce con rabbia o tristezza, mischiate a paura e rancore. Questi sentimenti durano nel tempo e diventano una nota del carattere. Essi mirano a soddisfare il bisogno di controllo e potere, cioè non un bisogno primario, come l’amore, ma secondario. Le strategie e i comportamenti che mette in atto per soddisfare il bisogno secondario, compensativo del bisogno primario, non possono che essere disfunzionali. Più l’Ego ricerca il potere, più si allontana dall’amore e dall’anima.

La persona nell’Ego è prigioniera di se stessa, perché le mosse che compie per uscire dalla prigione la ingabbiano sempre di più. Cercando il potere, rinuncia all’amore. Dandosi ragione, rinuncia alla felicità. 
Quando l’Ego dice di amare, non di vero amore si tratta, ma di amore possesso. Coniuge, figli, parenti, amici, sono “amati” in quanto visti dall’ego come suoi prolungamenti, oggetti in cui si identifica (MIA moglie, i MIEI figli, i MIEI amici), che può controllare, sui quali può contare per soddisfare i suoi bisogni, come può contare sulle sue gambe o sulle sue braccia. La sua benevolenza dura finché queste persone non si sottraggono al suo desiderio di possesso e controllo. Allora questo tentativo, riuscito o meno, è visto dall’Ego come tradimento. A quel punto, il falso amore mostra il suo vero volto: diventa rabbia, gelosia, paura di perdere l’altro. Sentimenti così diffusi da apparire del tutto normali, perché è normale essere abitati dall’Ego ed essere guidati dalla sua politica.


Il cuore dell’Ego
Il cuore dell’Ego è il narcisismo: il proprio io diventa misura di ogni cosa, il centro del mondo, attorno a cui tutto il resto ruota. Gli altri diventano oggetti da manipolare e sfruttare per soddisfare i propri bisogni e desideri. Sentendosi nel giusto, dandosi ragione perché non c’é empatia, né compassione. Gli altri, come persone libere e autonome, non esistono proprio.
Il narcisismo ci rende ottusi e spietati. Pigri, perché altri devono fare al nostro posto. Grandiosi, perché gli altri devono riconoscere che siamo speciali, superiori, assolti dalle regole di convivenza e dalle incombenze comuni. 
Sforzo e impegno sono parole che il narcisista detesta. Lui è diverso, le cose gli sono dovute. Segue sempre la via di minore resistenza: gratificazione immediata, piaceri facili, piaceri orali, senza fatica. Pigrizia, disordine, mancanza di disciplina sono le sue pratiche comuni. 


Esternalizzazione
Che altri ne paghino le conseguenze, è per lui del tutto irrilevante. I loro sentimenti non hanno importanza, generano solo fastidio, e possono essere tranquillamente calpestati.
Dare un feedback o richiamare un narcisista ai suoi compiti, è come accendere un fiammifero vicino ad un secchio di benzina: la sua rabbia divampa in modo esplosivo. La rabbia narcisistica è incontenibile, perché trova il suo alimento non nella situazione attuale, ma nelle umiliazioni ricevute in passato, alle quali il narcisista ha detto: MAI PIU’. E’ un fatto di sopravvivenza: l’organizzazione narcisistica si è formata per salvare il paese dall’annientamento, dalla distruzione dell’identità, sotto il fuoco incrociato delle umiliazioni e delle squalifiche dei propri sentimenti. 
La legge dell’informatica: garbage in, garbage out, è valida anche per la psiche. Esce quello che è stato messo dentro, con qualche variante e adattamento. Il narcisista riproduce la medesima danza che è stata praticata con lui. Restituisce agli altri le esternalizzazioni ricevute, sentendosi in diritto di farlo: gli altri non sono migliori di me.


Giudizio o compassione
Ogni cosa può essere vista dall’anima o dall’Ego. Se osserviamo la configurazione narcisistica a partire dall’Ego, la giudichiamo e proviamo solo rabbia e disprezzo. In tal modo pratichiamo lo stesso tipo di danza che condanniamo in questa configurazione. Il narcisista alimenta la sua rabbia giudicando gli altri, dei quali teme il giudizio. Quando noi pratichiamo il giudizio nei confronti del narcisista, ci comportiamo da narcisisti, e contribuiamo ad alimentare la prolificazione di questo virus nel mondo.
Se osserviamo il narcisismo dall’anima, proviamo compassione, in quanto ne cogliamo la profonda sofferenza e impotenza. Impotenza ad amare, coperta dal bisogno di primeggiare ed essere speciale. E dietro la rabbia e la sofferenza, vediamo l’intento positivo: salvare il proprio paese dall’annientamento. 


Superare il narcisismo è il compito evolutivo più difficile
Ma perché è così difficile liberarsi dal narcisismo? E’ difficile perché l’io-governo della persona sa di avere un debito nei confronti di questa organizzazione, perché colludendo con essa ne ha tratto vantaggio. L’io-governo non è quindi pulito. E’ la sua precedente malafede ad indebolire ogni sua iniziativa evolutiva, in quanto rimane sotto ricatto dell’organizzazione narcisistica. Gli USA hanno armato i mujahidin contro l’URSS nella guerra contro l’Afganistan. In seguito i mujahidin si sono rivoltati contro l’america nel momento in cui voleva togliere loro il potere. L’io-governo sa che non può facilmente spuntarla con l’organizzazione narcisistica che lui stesso ha alimentato ed armato. Finché si allea e si indentifica con essa, si sente forte. Quando inizia a richiamarla per ridurre o eliminare il suo impatto sulla sua politica, gli si rivolta contro, con tutta l’aggressività che prima proiettava all’esterno.


Confrontare il narcisismo
In terapia e nella formazione, confrontare il narcisismo è un compito molto delicato. Va fatto con tatto e intelligenza, aspettando il momento in cui l’intervento puà essere riconosciuto e accolto dal cliente. Ma non si tratta di tecnica o tattica. In terapia, come nella vita, più che il comportamento conta il modo di essere. Si può confrontare il narcisismo altrui nella misura in cui si è imparato a vedere e confrontare il proprio. Quindi, nella misura in cui si sono sviluppate sufficiente umiltà, dedizione alla verità e responsabilità. Ovvero nella misura in cui si pone fine alla manipolazione e all’esercizio subdolo del potere dominio o racket. 


Manipolazione
La manipolazione è esercizio di falsità sufficientemente coperta da non essere riconosciuta. Quanto più la persona narcisista è intelligente, tanto più sa manipolare gli altri in modo subdolo o nascosto. Le forme rozze di narcisismo sono facilmente riconoscibili, e quindi meno pericolose. Quelle più raffinate sono le più insidiose e difficili da snidare e rivelare. 
La prepotenza, la durezza, l’egoismo, sono facili da comprendere, almeno da chi non è troppo coinvolto nella relazione. La seduzione, l’enfasi di attenzioni, l’esaltazione, sono meno evidenti perché, ad una mente distratta, possono apparire benevole. Esse fanno leva proprio sul narcisismo di chi ne diviene oggetto. La persona ammirata, esaltata e sedotta, può credere così di ricevere amore, senza rendersi conto che l’amore in questione ha uno scopo che con l’amore non ha nulla a che fare: quello di irretirla, di attrarla nel mondo del seduttore, finendo così per coinvolgerla intensamente in una relazione che non è evolutiva, ma regressiva. Una relazione che è al servizio dell’Ego, non dell’anima. L’Ego del seduttore ne trae il vantaggio di essere ammirato ed esaltato a sua volta. Quello della persona sedotta, ne trae il vantaggio di ottenere il riconoscimento che ha sempre cercato. Ma si tratta di un falso riconoscimento: non un riconoscimento dell’anima e delle qualità interiori, ma un riconoscimento dell’Ego, che non indebolisce, ma rinforza il narcisismo.
Terapeuti e formatori che non hanno lavorato a sufficienza sul loro narcisismo, cadono facilmente in questa trappola: ingannando se stessi, ingannano gli altri. A tempi brevi, i risultati possono apparire eclatanti, perché il narcisismo del cliente, esaltato anziché confrontato, si allea con quello del terapeuta. Ma i risultati hanno le gambe corte, perché nascono da un idillio e un’idealizzazione reciproca. Che, vista in profondità, è una forma di sfruttamento che ognuna delle due configurazioni narcisistiche attua sull’altra. Ottenendo come risultato quello di rinforzarsi.
La psicoanalisi, la prima forma di terapia diffusa in occidente, è stata attenta a queste dinamiche. Ha perciò creato un setting rigoroso, e una formazione assai rigorosa degli psicoanalisti. Il trattamento si è rivelato spesso lungo e dispendioso. E, per ragioni che qui non posso trattare, spesso poco efficace rispetto alle risorse impiegate.

Oggi la psicoanalisi ha perso terreno.
E forse è un bene, perché aveva un carattere elitario, non democratico.
Si sono così sviluppate altre forme di terapia, che promettono, e spesso mantengono, tempi e costi assai inferiori. E questo è probabilmente un bene. Non è però un bene l’eccesso opposto in cui talvolta o spesso si rischia di cadere: sottovalutare l’impegno che il cambiamento richiede, e promettere soluzioni veloci e risolutive. Sotto questa pressione culturale, alcuni terapeuti e formatori si inventano ogni giorno nuove tecniche, nuove modalità di intervento, nuovi modi di approcciare il problema del cambiamento, presentati come l’invenzione risolutiva, quella che ci permetterà di ottenere ciò che vogliamo da noi stessi e dal mondo in modo rapido, immediato, indolore, e definitivo. 
La corsa alla novità, alla tecnica ultimo grido, spesso non fa che coprire l’intento narcisistico che accomuna clienti e terapeuti. E il successo di questo mercato, basato sull’effimero, non è che la prova di come questo modo di avvicinarsi al problema della sofferenza umana sia perfettamente in linea con il carattere sociale, narcisistico, che in occidente ha raggiunto il suo culmine. 
Su questa linea, ben si comprende l’affermazione di Thomas Merton: “Quando ho successo, mi chiedo in che cosa ho sbagliato”. Per chi decide di non fliltare più con il proprio e altrui narcisismo, il monito di Merton può essere di grande insegnamento. Il successo dell’Ego è insuccesso dell’anima.


Vittime e perdenti non sono immuni dal narcisismo
Chi si sente vittima dell’altrui prepotenza, di solito non è meno narcisista del prevaricatore di turno. Non lo è perché giudica, si sente nel giusto, accusa e pretende dall’altro il cambiamento che non sa ottenere al suo interno. La vittima quindi manipola a sua volta la realtà, e lo fa sentendosi buona, e cercando di alleare altri nella propria propaganda. Se viene confrontata, non ascolta, non riflette, ma reagisce con indignazione. Attaccata alla sua immagine di brava persona, è permalosa e reattiva. E’ convinta di avere ragione. Non vede la propria responsabilità e, appena può, esternalizza i costi della sua cattiva politica su parenti e amici. Come ogni narcisista, rifiuta selettivamente i feedback che non confermano la sua visione. E’ orgogliosa, non umile, non radicata alla terra e alla realtà. 
Il fatto di subire, di non avere successo, la fa credere di essere oggetto di ingiustizia. Il monito di Merton viene da lei interpretato in modo da darsi ragione: vedi, non ho successo, continuo a essere prevaricata, proprio perché mi comporto bene.
   



L’organizzazione narcisistica è presente in ogni persona, perché ogni bambino ha incontrato l’abuso di potere, o direttamente nei suoi confronti, attraverso rifiuti e umiliazioni, o praticato intorno a sé e ampiamente premiato come esempio da seguire. Una società narcisista genera figli narcisisti. Ciò che varia nelle persone è solo la dimensione e l’intensità del fenomeno.  
Nella società dell’immagine e dei consumi, la danza narcisista si è rafforzata e diffusa in modo esponenziale. Sentimenti, qualità interiori, reali capacità, non hanno alcuna rilevanza. Ciò che conta è l’aspetto esteriore, l’esibizione di forza e intelligenza opportunista, il possesso di denaro e di beni. Dio è morto, e con lui i principi che il suo simbolo ispirava. L’amore verso il prossimo, come valore, si è convertito in distanza e ricerca di potere. 
Ma perché il narcisista ricerca il potere? Perché è fragile, perché ha i piedi di argilla. Accanto all’immagine grandiosa che esibisce all’esterno, convive l’immagine da cui egli cerca disperatamente di fuggire: quella di essere una nullità, senza alcun valore. Il narcisista teme il giudizio e teme la critica, anche costruttiva, perché lo richiama alla realtà. Ma la realtà, per lui, dietro la maschera grandiosa, è il vuoto, la nullità dei sentimenti, l’insignificanza. Il narcisista ha paura di rivelarsi, perché nel suo profondo si sente inaccettabile. Se l’immagine negativa sale alla superficie, egli si sente perduto. Riaffiora il dolore e il senso di umiliazione: si sente debole, esposto, impaurito. 
Il narcisista disprezza i sentimenti degli altri perché disprezza i suoi stessi sentimenti, quelli autentici, quei sentimenti che lo portano a ricontattare il dolore e la depressione originaria. Da quei sentimenti si è distaccato, scegliendo la via schizoide dell’alienazione e la loro copertura attraverso la rabbia. 
Se guardiamo la superficie, del narcisista vediamo l’arroganza e la prepotenza verso gli altri. Se guardiamo in profondità, attraverso gli occhi dell’anima, vediamo che egli pratica la danza della prepotenza in primo luogo nei confronti di se stesso, nei confronti delle proprie parti tenere e dei suoi sentimenti più intimi. Il cuore della sua anima, il flusso dei sentimenti profondi, è impedito e imprigionato. Carceriere di se stesso, è diventato captivus, cattivo. Separandosi, alienandosi da sé, ha tradito la propria anima. Abbandonato il sinballein, la scintilla divina, la coscienza ubuntica, la fiducia nel tutto, si è affidato al diaballein, al diavolo, al grande mentitore interno.
Chi del narcisista vede solo la superficie, lo giudica sentendosi nel giusto. In tal modo, non ascoltando la sua anima, alimenta il proprio e l’altrui narcisismo. 



Interludio: divina consapevolezza e corpo di dolore
Divina è la consapevolezza dell’unità di tutte le cose. Divina è la coscienza che ama tutti gli esseri, perché conosce in profondità la loro vera natura di interessere, di partecipazione al tutto. Essa è chiamata con nomi diversi nelle differenti tradizioni: ubuntu, coscienza cristica, adwaita, pachamama, ecc. 
La fisica moderna, partendo dallo studio della materia, è giunta ad una visione analoga: definisce l’universo “quantum field”, campo nel quale ogni particella, ogni atomo è connesso a tutti gli altri. 
Che cosa è l’anima? L’anima è la scintilla divina al nostro interno, la parte di coscienza più evoluta, che riconosce la natura ubuntica della realtà. La visione dell’anima è la visione più ampia a cui possiamo attingere rimanendo esseri umani incarnati. L’anima individuale è il ponte che ci connette all’anima del gruppo, della comunità, della collettività, dell’umanità, della terra, ai quali apparteniamo, in cerchi concentrici sempre più allargati, fino a comprendere tutto l’universo. 
Per l’anima non esiste il bene personale esclusivo, non esiste il mio bene separato dal tuo. Esiste il nostro bene, il bene comune, il bene di tutti. Così come non esiste il mio o il tuo male, ma il nostro male.
Ma per comprendere quale è il bene di tutti (una coppia, una famiglia, un gruppo, una comunità ecc.) occorre una grande intelligenza, una grande mente, che sa riconoscere i diversi punti di vista, i diversi bisogni, i differenti valori (parziali), le differenti storie.
Come la forza di gravità ci tira continuamente in basso, così l’anima è continuamente la lavoro per portarci verso l’alto, verso il cielo, verso una visione via via più ampia e comprensiva. 
La natura dell’universo è relazionale. La nostra natura è relazionale. Non esistiamo come esseri separati, ma come fascio di relazioni. L’essenza delle relazioni è la comunicazione, che va dal reciproco influenzamento a livello fisico (tra particelle, atomi, molecole, oggetti), all’influenzamento reciproco a livello emotivo e mentale, che si verifica tra esseri umani. 
L’anima è la parte di noi che lavora per allargare la nostra visione e per interconnetterci a livelli sempre più profondi con ciò che c’è, in primo luogo con le altre persone. Maggiore interconnessione significa maggiore comunicazione, ascolto, empatia reciproca, compassione, amore. E maggiore gioia e felicità.
I sentimenti, come strumenti dell’anima, ci aiutano a comprendere, momento per momento, se stiamo andando in avanti o indietro nel nostro cammino evolutuvo. Quale cammino evolutivo? Quello che ci aspetta quando abbiamo raggiunto lo stato di coscienza ordinario, dell’uomo capace di socializzare ed essere produttivo. A differenza degli animali, la nostra evoluzione non termina con l’adattamento ambientale e sociale. A noi, come specie, è richiesto un passaggio ulteriore: quello di divinizzarci, cioè di compiere il cammino che hanno percorso prima di noi altri grandi esseri, come Buddha, Gesù, Krisnha, e, in tempi recenti, Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela. 
L’amore, nelle sue differenti qualità, come la compassione, l’empatia, la bontà, e la gioia, indicano che stiamo realizzando il progetto della nostra anima. 
I sentimenti negativi, che ci fanno star male, come la rabbia, la tristezza, la paura, indicano che ci stiamo allontanando dal progetto. Se hanno breve durata, sono di grande utilità, perché è grazie a loro che possiamo raddrizzare la rotta. Se durano nel tempo, se diventano abitudini, indicano che ci siamo molto allontanati dal progetto dell’anima, e che se non ritorniamo sulla via, non solo soffriamo adesso, ma ci aspetta in futuro una sofferenza maggiore. 

Un gruppo di messicani indigeni stava accompagnando un team di scienziati in cima ad una montagna, aiutandoli nel trasporto dei materiali. Ad un certo punto i messicani si fermarono per mezz’ora, senza apparente ragione. Alla sera uno degli scienziati chiese ad un messicano il perché di quella sosta. “Eravamo andati troppo in fretta durante la giornata. Avevamo lasciato indietro la nostra anima”.

Noi occidentali, abbiamo perso le categorie per ragionare in questo modo. Un modo condiviso dalle culture che, prima di noi e a differenza di noi, hanno privilegiato l’armonia all’efficienza. Culture e civiltà che per lunghi secoli abbiamo considerato arretrate, sottosviluppate, primitive. E che abbiamo sentito il dovere di educare e portare sulla retta via, persuandendole con la forza delle armi o con la seduzione del denaro.


Più seguiamo il progetto dell’anima, più la nostra visione si fa ampia e comprensiva, più grande diventa la nostra capacità di amare e provare gioia. I sentimenti sono espressioni del corpo, che traduce i sentimenti in biochimica. C’è quindi una chimica dell’amore e della gioia, così come s’è una chimica del rancore e della rabbia. A livello chimico, il nostro corpo non è diverso dagli animali. Valgono le stesse leggi. Un corpo che si abitua a produrre endorfine, serotonina, ossitocina, è diverso da un corpo che si abitua a produrre prevalentemente adrenalina o corticosteroidi. Il primo vive in stato di risorsa, il secondo in stato di difesa. Per il primo il mondo è un luogo di possibilità e opportunità; per il secondo un luogo di pericoli. Anche la configurazione cerebrale è diversa. Nel primo è attivo in prevalenza il lobo frontale sinistro; nel secondo il destro.

Ma, così come finiamo per dipendere da droghe che assumiamo dall’esterno, lo stesso avviene per le sostanze che produciamo all’interno. Chi si abitua a produrre droghe negative, che costituiscono la base biochimica dei suoi stati depressivi, ansiosi, melanconici, finisce per dipenderne. Al punto che, per assumerne altre dosi, va a cercare nella vita proprio quelle situazioni che lo aiutano a produrle. Così Joe Dispenza, in termini scientifici, spiega il fenomeno che Eckhart Tolle, a livello psicologico e spirituale, chiama “corpo di dolore”. E’ una buona risposta alla domanda: perché perseguiamo con tanta determinazione il nostro male?
Rimane l’altra domanda: perché non siamo altrettanto assidui nel cercare il nostro bene? Le ragioni sono molte. Ne indico alcune:

- nell’universo fisico vige il secondo principio della termodinamica:
l’entropia, cioè la tendenza a passare da stati di ordine a quelli di disordine.
La vita fa apparentemente eccezione: essa procede verso livelli di ordine e complessità sempre maggiori. In realtà lo fa localmente, a scapito di forme d’ordine meno complesse. Tutto intorno alla vita, il disordine cresce, e il secondo principio della termodinamica rimane valido. La vita è un processo continuamente in bilico tra se medesima e la morte. Senza morte non ci può essere vita. Noi stessi possiamo essere vivi solo perché milioni di cellule muoiono ogni minuto, e fanno da nutrimento ad altre cellule. Morire, come distruggere, è molto più facile che vivere e costruire. Vivere è una strada in salita. Morire e distruggere è una strada in discesa. Non occorre un atto di volontà per cadere da una montagna. Più saliamo verso l’alto, più è sufficiente un attimo di distrazione.

- dal momento che è più facile e comodo compiere il male, è più facile e comodo assecondare l’Ego che non l’anima. L’Ego 
ci seduce con la promessa di gratificazioni immediate e di piaceri facili.
L’anima ci chiede di rinunciare a quel tipo di piaceri, e alla sofferenza che sempre ne consegue, in vista di una gioia e una felicità incomparabilmente più grandi. Ma il progetto dell’anima, a differenza di quello dell’Ego, richiede maggiore capacità di visione e maggiore forza di volontà. 
- date queste premesse, è molto più comune che tra gli esseri umani si diffonda la politica dell’Ego rispetto a quella dell’anima. Secondo Eckhart Tolle, l’Ego collettivo che l’umanità ha prodotto oggi è l’organismo più pericoloso e distruttivo che sia mai comparso sulla terra.
- noi non siamo monadi isolate. Viviamo sempre in connessione con la società alla quale apparteniamo. La morale media è espressione tipica della politica dell’Ego. Assecondando questa politica, ci adattiamo e apparteniamo. Come animali sociali, per appartenere, per non sentirci esclusi, siamo pronti a pagare qualsiasi prezzo. Spesso il prezzo, per chi segue la politica dell’anima, è quello di una progressiva solitudine, della perdita di amici, compensata, quando si è molto fortunati, dall’amicizia con un gruppo molto ristretto di compagni di percorso. Ma questo non toglie il senso di estraneità rispetto all’andamento prevalente nelle nostre società. 
- reagire ad un tradimento con un altro tradimento, è più facile che rispondere con il perdono. Solo Dio è in grado di perdonare, dice Panikkar, cioè la parte divina che è in noi. E’ più facile reagire al karma famigliare negativo con comportamenti egoici che lo appesantiscono, piuttosto che rispondere con comportamenti che vengono dall’anima, che sono in grado di scioglierlo.
- la politica dell’anima richiede conoscenza e consapevolezza. Quella dell’Ego si nutre di ignoranza. L’ignoranza non richiede alcuno sforzo per essere mantenuta e diffusa. La conoscenza sì. 
- mentre la solidarietà richiede veglia e impegno, Dioniso, il dio dei desideri, agisce anche durante il sonno (Luigi Zoia, La morte del prossimo). Allevare scarafaggi è più facile che educare bambini.

Invito chi legge a riflettere, e a scoprire altre ragioni da aggiungere all’elenco.


Cura del narcisismo: premessa
Il narcisismo è la malattia dell’occidente. Nasce dall’idea di essere separati dagli altri, dalla natura, dall’universo. Semplificando molto, l’uomo occidentale si sente come una fragile imbarcazione in balia delle intemperie. L’uomo orientale si sente come l’acqua che compone un’onda nell’oceano. L’onda, come tutti i fenomeni, ha un inizio e una fine: prima o poi si infrangerà sulla riva. Ma l’acqua di cui è costituita permane. Per l’uomo orientale, la morte è quasi una festa, è il ritorno al tutto, all’origine prima del fenomeno. Per l’uomo occidentale, che pone la sua identità sul fenomeno, anziché sul tutto, la morte è una tragedia.
Quando gli illuministi vennero a conoscenza del pensiero orientale, e del concetto di sé universale, si resero conto di aver finalmente sotto gli occhi la soluzione al problema filosofico che l’occidente non può risolvere (tragicamente analizzato da Freud): l’eterno conflitto tra individuo e gruppo, tra individuo e collettività. Se si parte dall’idea hobbesiana, tuttora prevalente nella nostra cultura, di homo homini lupus, solo un’autorità molto forte può tenere a bada gli appetiti dei singoli e rendere possibile una convivenza civile. La teoria di Locke, del contratto sociale, è solo un poco più ottimista sulla natura umana: non c’è bisogno della paura di un’autorità dispotica per tenere insieme le persone. Basta un atto di intelligenza: conviene a tutti accordarsi per non essere sempre in lotta gli uni con gli altri. Si aprono così le porte a legittimare la democrazia come migliore forma di governo. Ma la democrazia non elimina le competizioni, le rende solo meno cruente o più coperte. Favorisce il compromesso, il contenimento dell’odio e della violenza, non l’amore tra le persone. 
L’uomo occidentale ha inventato il monoteismo, nella forma di un Dio da temere, prima ancora che da amare. Un Dio perfettissimo, nei cui confronti sentirsi sempre indegni, meritevoli di punizione e castigo. E’ Dio onnipotente, cui devono inchinarsi anche i sovrani, a garantire il valore della giustizia, almeno nell’altro mondo, quello che ci aspetta dopo la morte. Senza la presenza di Dio, e del timore che incute, il liberale John Locke crede che una società pacifica non possa esistere.
Il pensiero di Agostino ha abitato per più di un millennio il nostro inconscio collettivo: noi siamo fatti di legno storto; il nostro corpo, la nostra natura umana ci porta a peccare; disprezziamo il corpo, disprezziamo il mondo, e saremo degni dell’amore di Dio. 
E prima di Agostino, è Platone a metterci in guardia nei confronti del corpo: i sensi ci ingannano. Non è a partire dai sensi che possiamo raggiungere una conoscenza vera. Solo l’anima può conoscere, perché procede per numeri e concetti. 
La separatività, la frammentazione, la scissione – corpo/anima, soggetto/oggetto, pensiero/emozione, io/corpo, io/altri, io/mondo, spirito/materia, io/Dio – è il vizio, il peccato d’origine dell’occidente, la sua incapacità ad esprimere una visione che non sia duale, oppositiva, conflittuale.
La separatività ha toccato il suo culmine con Cartesio, e con la nascita della scienza moderna. L’unica conoscenza valida, per Cartesio, è quella more geometrico, che procede per idee chiare e distinte, e prende la fisica come paradigma di riferimento. Il corpo e le sue sensazioni non possono produrre alcuna conoscenza valida. Il corpo stesso va studiato come un qualunque oggetto fisico: peso, dimensione, misura. Il resto è solo illusione. La principessa di Svezia, allieva di Cartesio, gli scrisse una lettera in cui diceva che, nonostante i suoi insegnamenti, continuava a percepire il corpo, le sensazioni e le emozioni come un fatto reale. Cartesio le rispose che, nonostante il suo rango, Sua Altezza continuava a ragionare come un individuo del popolo.   
La spiritualità del corpo, la spiritualità della materia, la visione olistica, non duale, è una conquista recente in occidente. Vito Mancuso, teologo laico, sostiene che questa svolta è avvenuta nel novecento, e cita cinque grandi personalità che l’hanno promossa e favorita: Pavel Florenskj, Dietrich Bonhofer, Simon Weil, Etty Illesum, Tehilard de Chardin. 
Ma è una svolta appena all’inizio: l’edificio della scienza, che, dopo la morte di Dio, è diventata la religione universale, non l’ha ancora registrata, se non a livello assolutamente marginale. 
La nostra medicina è ancora una medicina del corpo. L’anima, i sentimenti, rimangono fuori dallo sguardo dell’assoluta maggioranza dei medici e dalla totalità degli ospedali. Chi entra in una clinica, diventa un numero, un caso, da analizzare e studiare secondo i protocolli della scienza medica. La sua personalità, il suo modo di sentire e percepire il mondo, non interessano agli operatori della sanità.
Dell’anima si dovrebbe occupare un’altra categoria di professionisti, gli psicologi, che però non hanno la competenza e non sono autorizzati a occuparsi anche del corpo. Se poi tra i sentimenti del paziente emergono sentimenti religiosi, è chiaro che il compito dello psicologo finisce, ed inizia quello dei professionisti della spiritualità. La psicologia non è interessata a questo aspetto dell’animo umano.
Né medici, né psicologi sono poi competenti, per formazione, ad interrogarsi sulle questioni di fondo, che ogni essere umano senziente, consapevolmente o no, si pone, dalle quali dipende il significato che diamo alla nostra vita. Domande che sono da sempre oggetto della filosofia.   
Quindi, non solo abbiamo frammentato l’essere umano in corpo e anima, emozione e pensiero, ma abbiamo frammentato anche la conoscenza, in discipline separate, spesso incapaci di dialogare. E chiamiamo questo “progresso scientifico”. Un progresso che, per sua natura, mancando di visione olistica, non può risolvere i problemi che esso stesso crea, per la sua incapacità strutturale a percepirli tra loro interrelati e connessi. 
Le tecnoscienze ci offrono un progresso materiale senza precedenti, ma per una parte minoritaria della popolazione mondiale, a scapito della distruzione delle culture e tradizioni diverse, della biodiversità e dell’ambiente, cioè dei fattori dai quali dipende la nostra sopravvivenza. Se guardiamo in profondità, ci accorgiamo che questo inconveniente non è un incidente di percorso, una sfortuna, un piccolo scarto da un cammino evolutivo chiaro ed evidente, che si può correggere con una lieve variazione di rotta. No, la distruzione dell’ambiente, così come la guerra, è una componente strutturale del nostro modo di pensare per compartimenti stagni. 

Il narcisista non si preoccupa degli altri, ed è pronto a utilizzarli e sfruttarli, perché si percepisce altro da loro. C’è un compartimento stagno che li divide: un compartimento può allagarsi e l’altro rimanere asciutto. Così io posso esternalizzare i costi del mio vivere su altre persone. Loro si appesantiscono, io mi alleggerisco. L’occidente, l’economia occidentale, è cresciuta esternalizzando i suoi costi: sui più poveri, sui paesi del c.d. terzo mondo, sull’ambiente. L’economia occidentale è intrisa di narcisismo, cioè di esercizio di potere e di sfruttamento.
Oggi l’inconscio è l’economia, dice Hillman. E il nucleo dell’economia, la sua filosofia di fondo, è il narcisismo.

Tanti auguri agli eserciti di psicologi, assistenti sociali, insegnanti, genitori, preti, che devono per professione o per scelta, occuparsi, oltre che del proprio, del narcisismo delle nuove generazioni, che nuove non sono affatto, ma riproducono il vizio dell’occidente nelle forme più manifeste e vistose.
L’economia occidentale ha bisogno di un esercito di narcisisti, che, dimentichi dei propri simili, si occupino solo di soddisfare i propri desideri, che la pubblicità si incarica di alimentare, a beneficio dell’industria, e a discapito delle risorse vitali del pianeta. Un esercito di studenti a vita, di precari senza garanzie e di altri schiavi salariati, troppo occupati per poter ancora pensare, o convinti che questo sia l’unico modo possibile di condurre l’esistenza. 
Narcisismo e ricerca del potere sono due aspetti dello stesso fenomeno. Ma non è narcisista solo chi detiene il potere. Lo è altrettanto chi vi aspira senza riuscirci, lamentandosi del proprio insuccesso. 
Non importa in che ruolo si partecipa a questa danza, se in posizione attiva o passiva. In entrambi i casi si rinuncia alla danza dell’amore. Nella ricerca del piacere facile, a scapito degli altri, il narcisista rinuncia all’amore e alla felicità che ne deriva.   

Due modi di stare al mondo
Al tramonto, su una spiaggia isolata, arriva un gruppo di persone. 
Accendono un falò, cucinano, ridono, fanno chiasso, mangiano, bevono. 
A tarda notte, si allontanano lasciando sulla sabbia bottiglie, piatti di carta, avanzi di cibo. 
All’alba, sulla stessa riva, giunge un altro gruppo di persone: si siedono in silenzio a contemplare la bellezza del luogo. Fanno colazione e prima di andarsene, raccolgono i rifiuti loro e quelli di coloro che li hanno preceduti. Senza battere ciglio. Dopo il loro passaggio, la spiaggia è tornata pulita.
Due modi di stare al mondo: inquinare, sporcare, abbruttire; ripulire, riportare ordine e bellezza. Pensare solo a sé; occuparsi del bene comune. Prendere il più possibile, indifferenti agli altri e alla natura; provare piacere nel donare, condividere, prendersi cura.
Il primo modo, narcisistico, diffuso in ogni parte insieme all’economia “di mercato”, – in realtà di guerra e rapina –, sta distruggendo il pianeta. Il secondo modo, in armonia con l’ambiente e con l’animo umano, sta cercando disperatamente di salvarlo.
In gioco non c’è solo la nostra sopravvivenza materiale, ma prima ancora la nostra spiritualità e salute mentale. 

Il narcisismo collettivo ha creato un campo di coscienza dismorfico.
Le forze del campo tendono a dividere e separare ogni cosa, generando intensi conflitti ovunque: tra stati, collettività, economie, filosofie, religioni, culture, appartenenze, identità. Le stesse forze agiscono all’interno delle singole persone, che sono sempre più preda all’insoddisfazione, all’ansia, alla depressione, alla paura.
Mia madre, insegnante di lettere, tornava a casa da scuola tranquilla e riposata.
E così le sue colleghe, con alcune eccezioni dovute al loro difficile carattere.
Oggi fare l’insegnante è diventato uno dei mestieri più difficili e stressanti.
Le scuole sono diventate dei campi di battaglia.
Qualche decennio fa, un medico di famiglia aveva tempo per conoscere e visitare i suoi pazienti. 
Oggi è un tecnico che in pochi minuti deve stilare una ricetta. E se lavora in ospedale, buona parte del suo lavoro consiste nel compilare moduli e schede.

La burocrazia, il potere impersonale, stanno dilagando ovunque.
Avanzano le macchine e le procedure; arretrano le persone e l’umanità.
Non ci sono più botteghe, ricche di odori e di storia vissuta, ma centri commerciali asettici e uguali ovunque. Più si riduce il contatto tra esseri umani, più aumenta la dipendenza da farmaci, droghe, alcolici, televisione, beni di consumo.

Per sopravvivere alla struttura narcisistica, schizoide e ossessiva imperante, stiamo adottando proprio quei comportamenti individuali e collettivi che la stanno sempre più alimentando. Sentendoci separati e scissi, non cerchiamo la soluzione nell’avvicinarci e cercare più contatto, ma nell’anestetizzarci e isolarci sempre più. Anche quando siamo in compagnia, in realtà siamo isolati dentro, perché, da buoni narcisisti, abbiamo perso la naturale capacità di amare. Senza accorgercene, ci autoescludiamo attraverso il moltiplicarsi dei nostri impegni e delle cose pratiche da fare. Le nostre conversazioni, sono piene di lamentele, con cui cerchiamo di esternalizzare il nostro dolore, o sono superficiali e banali. In ogni caso abbiamo bisogno di un sottofondo, che chiamiamo musica o televisione, per riempire il vuoto che sentiamo dentro.

Con la morte del prossimo, sono morti anche i nostri sentimenti più autentici, che ci porterebbero ad unirci, a donare, a cercare il bene comune. Siamo in una crisi molto grave, che, essendo planetaria, non ha precedenti nella storia. Nel cercare la soluzione possiamo affidarci a economisti, politici, sociologi, filosofi, psicologi, intellettuali in grado di elaborare acute analisi e interpretazioni.

Ma le loro parole non sanno più toccare il cuore.
C’è però un luogo della nostra vita in cui non possiamo più mentire, un luogo dove arriviamo a cogliere la verità: è quando ci ammaliamo gravemente o ci avviciniamo alla morte. E’ in quei momenti in cui comprendiamo davvero ciò di cui abbiamo bisogno. Fortunatamente, possiamo arrivare alla stessa comprensione in un altro luogo della nostra vita, anche quando siamo più giovani e in piena forma. Il luogo in cui ci accade di innamorarci, cioè di aprire davvero il nostro cuore. Ci possiamo innamorare di una donna o di un uomo, ma anche di una poesia, di una musica, di una montagna, di un animale. Possiamo innamorarci di un amico, di un maestro, di una filosofia.

Ma occorre saper distinguere: c’è un falso innamoramento, narcisistico, che non ci fa uscire da noi stessi: concentrati solo sull’oggetto del nostro amore, ci rende gelosi e possessivi, ancora di più chiusi verso gli altri e il mondo. E c’è un vero innamoramento, che collegandoci all’anima altrui ci fa riscoprire la nostra. Trascendendo chi credevamo di essere fino a quel momento, ci fa scoprire davvero chi siamo in profondità.

In ogni luogo e tempo, i mistici hanno seguito la via suprema dell’innamoramento:
l’amore verso Dio, cioè verso la consapevolezza dell’unità di tutte le cose.
E’ a questa consapevolezza che la nostra anima aspira, e contro la quale il nostro narcisismo cospira. 
Salvo eccezioni, a questa via ci si avvicina per gradi, così come per gradi e con pazienza, possiamo liberarci dal tiranno narcisista e camaleontico che abita in ciascuno di noi. Difficile da riconoscere perché sempre ben mascherato da amico e consigliere, il miglior alleato su cui poter contare per volere il nostro bene.

L’idea di democrazia e di bene comune è nata nelle polis dell’antica grecia. 
Ma allora l’anima individuale non era neppure pensabile staccata e separata dall’anima collettivaGli architetti non utilizzavano la loro capacità per abbellire le case private, ma per erigere edifici pubblici, godibili da tutti. La poesia era considerata la forma di arte più elevata, perché nessuno poteva possederla. Come le stelle e l’aria, apparteneva a tutti.  
Aristotele sosteneva che la democrazia era inscindibile da una equa distribuzione dei beni.

Il narcisismo collettivo, che ispira il pensiero economico di oggi, ci vuol far credere che la ricerca del profitto e la grande disparità di ricchezze siano i migliori strumenti per diffondere il benessere sulla terra. Se siamo onesti, questo ci aiuta a comprendere che il narcisismo, individuale e collettivo, utilizza sempre gli stessi mezzi: la rottura del senso di unità, la divisione tra le persone, la falsa propaganda e la paura. Sono gli stessi mezzi di cui si serve ogni forma di potere dominio: finanziario, economico, militare, politico.


Il narcisismo è subdolo
E’ molto difficile liberarsi dal narcisismo, perché abita in ciascuno di noi e viene continuamente alimentato dal narcisismo collettivo. E’ molto difficile liberarsene perché è difficile riconoscerne fino in fondo la sua vera natura violenta e distruttiva.

Hitler, Mussolini e Stalin hanno creato i regimi più oppressivi del secolo scorso.
Ma hanno governato con l’appoggio dell’assoluta maggioranza della popolazione.
Sono stati visti non come oppressori, ma come eroi e salvatori.
Al funerale di Stalin hanno sfilato in lacrime milioni di persone.
Alcune o molte tra queste avevano certamente visto i loro famigliari arrestati dalla polizia politica, condannati ai lavori forzati nei gulag e alla morte per sfinimento. Il regime era riuscito, con la sua propaganda, a far credere, persino ai loro parenti, che erano nemici del popolo, e che andavano puniti o giustiziati. Un ragazzo di tredici anni denunciò il padre contadino per aver nascosto un sacco di grano, come scorta per sopravvivere all’inverno. Il padre fu condannato a morte. Il ragazzo fu proclamato eroe nazionale.

La paura ottunde la facoltà di discernere.
Il potere dominio utilizza la propaganda per generare paura negli oppressi e ottenere così il loro sostegno.  Come avviene nel mondo esterno, così avviene nel mondo interiore. Più siamo scollegati, più siamo impauriti, meno siamo capaci di comprendere le forze che si muovono al nostro interno, alle quali affidiamo la direzione della nostra vita. 
Il narcisismo è una di queste forze, una delle configurazioni più comuni che possono assumere i nostri processi mentali. Quanto più, per inconsapevolezza, alimentiamo questa configurazione, tanto più ci identifichiamo in essa, più essa ci possiede e ci domina. Con gli usuali mezzi dei regimi autoritari: la scissione e contrapposizione, la propaganda, la paura. 
Il narcisismo va capito bene: non è un piccolo difetto di carattere, abbastanza normale, di cui non vale la pena preoccuparsi. NON E’ COSI’. Il narcisismo è il seme da cui deriva ogni male nel mondo, dalle guerre, allo sfruttamento degli oppressi, alla violenza su donne e bambini. Tutto, ma proprio tutto questo orrore, nasce da lì, da un modo di pensare, di configurare la nostra mente e il nostro cervello.
Una cultura intrisa di narcisismo tenderà a spegnere ogni tentativo di sviluppare questa consapevolezza. Non perché sia inutile o secondaria. Al contrario: proprio perché è centrale, perché colpisce nel segno, nel cuore di tutta l’impalcatura.

Avere ragione o essere felici
Durante un intensivo di formazione, tre donne si abbracciano commosse:
le loro anime convibrano insieme. Il loro cuore si è aperto al senso di unità.
I loro visi esprimono gioia, l’estasi che deriva dall’essere uscite dal comune isolamento. 
Il fidanzato di una di esse non comprende che cosa accade, e viene ferito dal loro comportamento.
Alla sera, rivolgendosi alla sua compagna, le dice: “Ho visto la gioia che provavi con loro.
Non sarai mai in grado di provarla con me. Tu hai un problema con il tuo femminile”.

Queste parole feriscono la donna: non si sente compresa, vista, riconosciuta.
Non ha dubbi sul fatto che il suo fidanzato abbia interpretato in modo scorretto ciò che è successo.
Sa di aver ragione, e sa che lui ha distorto la realtà. Ma pur sapendo di aver ragione, non riesce a rimanere tranquilla, serena, in pace. Ha bisogno di convincere subito il compagno che ha sbagliato, che ha mal interpretato. Non si dà il tempo di ascoltare e comprendere i reali bisogni e sentimenti che hanno generato la sua spiacevole uscita. Semplicemente la giudica ingiusta e offensiva. Ha bisogno di sentirsi dare ragione. Cerca così di spiegare il vero significato dell’accaduto, ma lo fa in preda al risentimento e alla fretta di voler convincere. Sotto il pressing della sua richiesta, l’altro diffida e si chiude ancora di più. Allora lei ne trae la prova che tra loro c’è grande distanza e impossibilità di comunicare. Entra in uno stato di profonda sofferenza, che dura alcuni giorni, e ne attribuisce la causa al compagno.

Per uscire dalla sofferenza, la donna ha bisogno di aiuto.
Ha bisogno di comprendere che la sua reazione è simmetrica a quella del partner, che appartiene allo stesso tipo di danza. Lui non ha visto e riconosciuto i reali bisogni e sentimenti di lei, e senza comprendere ha etichettato e giudicato. Lei ha reagito nell’identico modo. Entrambi convinti di aver ragione, sono rimasti attaccati alle loro posizioni, e alla sofferenza che ne deriva.

Due strutture narcisistiche si sono scontrate e ferite perché mosse dallo stesso bisogno carenziale: ottenere ragione. Nessuno dei due è disponibile a porsi dal punto di vista dell’altro, perché troppo forte è il loro riferimento interno, la loro chiusura cognitiva. Ammettere i propri errori significherebbe riaprire la vecchia ferita, rientrare nell’antico dolore di essere esposti all’umiliazione, al disconoscimento dei propri sentimenti e della propria identità. A questa sofferenza il narcisista ha detto: mai più. Da allora ha chiuso il cuore, ha cercato il potere e ha combattuto per farsi valere e ottenere ragione. Aprirsi alle ragioni dell’altro e alle ragioni del cuore, per il narcisista non significa un atto di intelligenza, ma un atto di resa di fronte alla prepotenza e all’ingiustizia.

Se il narcisista ha successo nel mondo esterno, se acquisisce una posizione di potere, se può comandare e manipolare gli altri, è molto difficile che si metta in discussione, perché i costi della sua insana politica li pagano soprattutto i dipendenti e i famigliari.
La sua anima soffre, ma lui si è staccato dall’anima e non gli dà ascolto.

Solo quando cade in depressione, quando si accorge che si fa il vuoto intorno a lui, comprende che qualcosa non va e che deve cambiare. Ma, arroccato nei suoi punti di vista, la resistenza al cambiamento è sempre fortissima. Ciò che all’inizio vuole non è cambiare sé, ma acquisire nuovi strumenti per controllare e dominare il prossimo. Occorre del tempo perché si arrenda all’evidenza: lui non è il centro del mondo a cui gli altri devono inchinarsi. Non è speciale, non è superiore e neppure inferiore. E’ un essere umano, dotato di un’anima che aspira all’unità, a essere parte di intense relazioni ispirate dall’amore reciproco, anziché dominate e abruttite dalla ricerca del potere.

Appena inizia a comprendere, il narcisista non guarisce affatto, ma rischia di peggiorare.
Perché? Perché quando smette di prendersela con gli altri, la sua rabbia non scompare:
diventa rabbia contro di sé. Rabbia che alimenta la sua depressione e il suo senso di indegnità e nullità. L’ombra sale in superficie, ma non è redenta dalla luce e non viene trasformata finché egli non abbandona la sua ultima resistenza: il bisogno di giudicare. Prima giudicava gli altri, ora giudica sé. La danza è rimasta la stessa, la danza del potere e dell’oppressione. Per cambiare danza, per entrare nella danza dell’amore, il narcisista deve abbandonare il giudizio, che è alla base del suo rifiuto del mondo, della realtà così come è.  

http://www.mauroscardovelli.com/PNL/Consapevolezza_di_se/Anatomia_del_narcisismo.html

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