sabato 29 ottobre 2016

David Foster Wallace. La scopa del sistema.

La filosofia della parola.
La filosofia di Wallace è volta a presentare i personaggi attraverso numerosi racconti.
Sono le short stories e gli excursus che aiutano a definire la psicologia e il passato dei protagonisti, attraverso bizzarri paradossi e situazioni comiche (l'intera vicenda della scomparsa della nonna che non può sopravvivere a una temperatura più bassa dei 36.9°, le linee telefoniche impazzite, il fratello drogato e geniale senza gamba, il viaggio di Lenore nel deserto e ovviamente il personaggio più particolare: Vlad l'Impalatore, il mitico pappagallo "rapito" e strumentalizzato in una trasmissione religiosa).
Lenore si sente inadeguata, fuori dal mondo, come se la storia della sua vita fosse stata raccontata da un altro, un cantastorie ridicolo e inutile come Rick Vigorous, e analizzata da quel caso umano che è lo psichiatra pazzo dr Jay.
Wallace propone un enorme paradosso costruito intorno a un indovinello che fa riflettere sul significato della parola e dei racconti, incitandoci a definire noi stessi da soli, a raccontare in prima persona le nostre avventure (o sventure) senza lasciare agli altri carta bianca riguardo la nostra vita.
  Sara ha scritto il  1 ago 2013



La scopa del sistema, Einaudi Stile libero
In una scena del film vediamo lo scrittore impegnato nell’ultima presentazione di Infinite Jest, alla fine c’è il momento del ‘firmacopie’. Un fan gli porge una copia di un suo vecchio libro. Wallace lo guarda e lo mette subito da parte, dice al lettore: «C’è quello nuovo», e gli fa la dedica su quello. Il volume che Wallace mette da parte quasi schifato è La scopa del sistema. È il primo libro che ha pubblicato. È un romanzo. Un romanzo filosofico, per la precisione. Wallace aveva studiato filosofia e scrittura creativa e scrive La scopa del sistema appena finiti gli studi. In seguito ha sempre manifestato una pessima opinione di quel libro, lo ha praticamente rinnegato. Proprio per questo è utile per capire chi era DFW: qui vediamo lo scrittore da giovane ancora acerbo, magari velleitario, ma troviamo già tutti gli elementi che ne faranno un grande scrittore. Spoiler: non ha un finale. Meglio saperlo prima, così evitate di aspettarvelo e di deludervi, e vi concentrate su altro. Su Wittgenstein, per esempio. Praticamente uno dei protagonisti del libro.
http://www.gqitalia.it/show/2016/02/15/the-end-of-the-tour-invita-a-riscoprire-david-foster-wallace-i-5-libri-indispensabili/



La scopa del sistema.
Le avventure di Lenore, che si mette alla ricerca della bisnonna, antica studiosa di Wittgenstein, fuggita dalla sua casa di riposo insieme a venticinque tra coetanei e infermieri; del fratello LaVache, piccolo genio con una passione smodata per la marijuana; del pappagallo di famiglia, Vlad l'Impalatore, che recita sermoni cristiani su una Tv via cavo; di Norman Bombardini, re dell'ingegneria genetica, che si ingozza di cibo e sogna di ingurgitare il mondo intero; di Rick Vigorous, il capo e l'amante di Lenore, negazione vivente del suo stesso cognome. Una galleria di personaggi uno più esilarante e paradossale dell'altro, sullo sfondo di un'America impazzita, grottesca, più vera del vero.


Scritto a ventiquattro anni nel 1987, questo è il romanzo che ha rivelato al mondo la nascita di un talento e di una figura di culto e - come sottolinea Stefano Bartezzaghi nell'introduzione - "è probabilmente per questo che la notizia del suo suicidio ha percosso i suoi lettori con la forza di uno staffilante dolore personale, diretto: cosa avesse in testa quell'uomo non era più una questione letteraria, era diventata una questione esistenziale senza vie di scampo. E in tanti ci si è chiesti quando sarà possibile tornare a leggere le sue opere senza pensarci, senza dare troppo peso ai presagi di cui ora sembrano pullulare".
https://www.amazon.it/scopa-del-sistema-David-Wallace/dp/8806220942



Primo romanzo dell'87, in cui da una scomparsa della bisnonna della protagonista Lenore, si parla di qualunque cosa con personaggi assurdamente americani: pappagalli che diventano telepredicatori, uomini d'affari che fagocitano cibo a ripetizione, linee telefoniche impazzite, psicologi che sentono gli odori, manipolazioni genetiche e ormoni della crescita. E si parla anche di adolescenza, come sopravvivere al diventare adulti e di parole, con una vera ossessione per tutto ciò che è linguaggio e racconto.
  Pirex ha scritto il  4 lug 2



Le avventure di Lenore, che si mette alla ricerca della bisnonna, antica studiosa di Wittgenstein, fuggita dalla sua casa di riposo insieme a venticinque tra coetanei e infermieri; del fratello LaVache, piccolo genio con una passione smodata per la marijuana; del pappagallo di famiglia, Vlad l'Impalatore, che recita sermoni cristiani su una Tv via cavo; di Norman Bombardini, re dell'ingegneria genetica, che si ingozza di cibo e sogna di ingurgitare il mondo intero; di Rick Vigorous, il capo e l'amante di Lenore, negazione vivente del suo stesso cognome. Una galleria di personaggi uno piú esilarante e paradossale dell'altro, sullo sfondo di un'America impazzita, grottesca, piú vera del vero.



I personaggi sono descritti magistralmente. 
Per magistralmente intendo perfettamente, nei minimi dettagli e con dettagli che mai avrei pensato di trovare così calzanti nella descrizione di un personaggio. Descrivere qualcuno tramite ciò che possiede, tramite gli oggetti che popolano la sua stanza, non è una idea geniale? Descrivere una persona piena di sè e avida tramite un intenso monologo che nulla lascia al dialogo non è geniale più di mille descrizioni sull'avidità del suddetto uomo? Ecco, questo è Wallace quando descrive un personaggio. Non lo veste soltanto, lo rende credibile, lo rende reale. Raccontato-quindi-esiste (e si torna al nucleo centrale del romanzo). Ho imparato che la realtà è permeata e penetrata dal grottesco o forse il grottesco è la realtà. Ho imparato a vedere due lati, forse tre, nelle cose. Ho riso fino alle lacrime di fronte all'assurdità di certe situazioni (vi assicuro che intorno a pagina 200 ho riso di gusto in un momento in realtà tragicissimo, se vi addentrerete nel romanzo vi dico che mi riferisco al monologo/racconto di mr. Vigorous a Lang nell'aereo di ritorno) che diventano nondimeno parodia e addirittura allegoria del mondo pop-ottanta-novanta in cui è ambientata la vicenda e anche del mondo odierno (visto che certe cose forse sono andate peggiorando). Mi sono commossa nell'implorante bisogno d'amore che percepivo e respiravo in alcuni personaggi. E ho fatto lavorare il cervello per seguire i dialoghi filosofici, talmente intensi che spesso mi facevano arrancare e chiedere una boccata d'aria.

A un livello più profondo se mi chiedessero di riassumere in un motto il senso del romanzo io affermerei che in questo libro l'autore ha voluto dimostrare come le nostre vite, le nostre esistenze siano un grande racconto. Partendo  quindi dall'assunto che tutto esiste se è raccontabile e ammettendo che la parola sia il mezzo attraverso il quale diamo esistenza alle cose ecco che in quanto racconto la nostra vita stessa è malleabile, capovolgibile, "surrealizzabile", in una parola sola "giocabile"! La vita è un grande racconto e con le parole possiamo giocare, possiamo rendere il racconto a nostra somiglianza, prenderlo in mano e gestirlo come meglio vogliamo: un romanzo che ci mostra come possano all'interno della stessa storia coesistere narrazioni/stili/registri/giochi linguistici diversi diventa quindi -sulla base di un mio personalissimo punto di vista- un microcontesto per dimostrarci che se QUELLE vite sono raccontabili e giocabili all'estremo, anche la nostra vita è raccontabile e giocabile. C'è chi lo chiama esercizio di stile. Io ci vedo tanta filosofia. E a tratti anche tanta lungimiranza: perchè se assumiamo per vero il wittgesteiniano concetto della raccontabilità delle cose come requisiti essenziali per la loro esistenza ecco che percepiamo il nostro essere nel mondo anche come un essere nel palco, come un recitare. E non è forse, la società in cui viviamo, un grande palcoscenico? Non è forse la tv dei reality show, ove la realtà viene stravolta e ri-raccontata, un grottesco dipinto di questo assunto? O pensiamo ai telegiornali, alle notizie di cronaca, a ogni cosa che ci circonda che sia diversa da noi stessi: ogni cosa la conosciamo perchè ci viene raccontata. Addirittura noi stessi siamo raccontati da noi stessi a noi stessi poichè è impossibile pensare a niente e il solo pensare è un raccontare. Tutto questo sciabordare di pensieri, questa fitta rete di considerazioni sono la naturale risultanza degli ingredienti che Wallace mette sul piatto, dei racconti e delle vicende che narra nel romanzo: i linguaggi gli stili e i registri, i simboli del romanzo ci dimostrano quanto nella vita ci barcameniamo tra questi linguaggi stili e registri, alla ricerca di un attaccamento a ciò che presumiamo essere qualcosa chiamato "realtà".
http://www.youbookers.it/articolo/2013-03-27/la-scopa-del-sistema-di-david-foster-wallace





«Poi Lang disse:
– Tu vai pazza per le parole, vero? – Guardò Lenore. – Vero che vai pazza per le parole?
– Cioè? Che significa?
– Significa che mi dai l’idea di una che va pazza per le parole.
O forse pensi che siano loro a essere pazze.
– In che senso?
Lang guardò nel tavolino di vetro, poi si toccò distrattamente il labbro superiore, con un dito.
– Nel senso che le prendi terribilmente sul serio, – disse. – Tipo come se fossero un bisturi, o una motosega che rischia di tagliarti con la stessa facilità con cui taglia gli alberi».
David Foster Wallace, La scopa del sistema




Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone.
Italo Calvino, Le città invisibili 

« Signori, ci serve un deserto. [...] Sissignori, un deserto.
Un punto di riferimento primordiale per le buone genti dell'Ohio.
Un luogo da temere e amare. Un luogo selvaggio.
Qualcosa che ci rammenti contro cosa abbiamo lottato e vinto.
Un luogo senza centri commerciali. Un Altro per stimolare l'Io dell'Ohio. »
David Foster Wallace, La scopa del sistema


Sobborgo di East Corinth, 1990, in una Cleveland affogata nel sole e nelle sue nevrosi:
la brillante Lenore Beadsman, terza di quattro figli in una (disfunzionalissima) famiglia di magnati nel ramo della chimica-farmaceutica, cerca di fare un po’ di ordine nella sua vita e di capire una volta per tutte, all’indomani dell’ennesimo traguardo accademico, cosa intende davvero fare da grande.
Aver rifiutato l’implicito cordone ombelicale paterno le è valso una certa illusione di indipendenza anche se, professionalmente, il suo presente di centralinista senza scopo presso una fittizia casa editrice di proprietà, ironia della sorte, proprio del genitore, non le garantisce lo sfogo intellettuale di cui avverte il bisogno. Il suo capo e fidanzato, che per uno strano tiro del destino si chiama Rick Vigorous ma appare come la negazione stessa del proprio nome (secondo un gusto beffardo nelle attribuzioni onomastiche che richiama la galleria farsesca del Kubrick de “Il Dottor Stranamore”), la vincola e la soffoca, con le sue manie compulsive e l’ideale di un’esclusività sentimentale che non può che implicare il possesso e l’annullamento. Con la sua ninfomania non diagnosticata, l’amica e collega Candy Mandible pare sintonizzata su ben altre frequenze, mentre con il fratello “genio e sregolatezza” LaVache non è più praticabile alcun approccio dialogico e la sorella Clarice pare ormai irrecuperabile nel suo orticello di grottesca follia coniugale e genitoriale. Persino il pappagallo Vlad L’Impalatore sembra aver voltato le spalle a ogni traccia di buon senso animale e, di punto in bianco, prende a sproloquiare di fede e oscenità, in egual misura, con una parlantina che non può che esaltare il luccicante fanatismo del mondo televisivoLo psicanalista che la segue, il Dr. Jay, è matto come un cavallo e, come se non bastasse, se ne frega dell’etica professionale, spiffera il privato dei suoi pazienti ai loro congiunti ed è l’ennesima pedina al soldo di papà Stonecipher. L’unico vero stimolo di Lenore, l’amata bisnonna col pallino di Wittgenstein e un nome all’anagrafe che è tale e quale il suo, è scomparsa nel nulla assieme a una ventina di altri pazienti della casa di riposo in cui era stata relegata: colpa di quanto può aver scoperto su alcune ricerche e un nuovo rivoluzionario prodotto ancora in fase di sperimentazione che potrebbe permettere ai lattanti (e agli animali, perché no) di parlare, garantendo all’impresa di famiglia, la Stonecipheco, di primeggiare finalmente nella guerra all’ultimo sangue con le concorrenti di mercato? E centrerà qualcosa il D.I.O. – deserto incommensurabile dell’Ohio, attrazione turistica artificiale che si trova proprio a ridosso della metropoli – cui alcuni indizi lasciati dall’anziana parrebbero rimandare? La ricerca della ragazza sul conto della parente finirà per coincidere con l’indagine introspettiva e non potrà che spingerla a liberarsi dei tanti legacci che le tarpano le ali, quando l’aitante figura di Andy “Wang-Dang” Lang riemergerà dal suo passato di adolescente per stregarla.

Romanzo d’esordio programmatico e vertiginoso di David Foster Wallace, sorta di prova generale del successivo capolavoro “Infinite Jest” di cui presenta in germe la medesima babele stilistica, il culto per la parola, le affabulazioni torrenziali e i dialoghi affilatissimi, “La Scopa del Sistema” è un’opera prima ambiziosa e non certo agevole che ha il suo limite più evidente (evidentemente ricercato dall’autore) in una certa sfibrante prolissità e nella pesante dipendenza dai modelli della narrativa postmoderna e della meta-fiction – Pyncion in testa – più in voga alla fine degli anni ottanta. Gli spunti sono innumerevoli, così come le ossessioni sviscerate con gelida lucidità (e un’accuratezza nel dettaglio che rasenta il maniacale) e i tanti eccentrici personaggi che popolano le sue pagine come specchi deformanti del reale (memorabile la bulimia esistenzialista dell’industriale pazzo Norman Bombardini).
La stessa Cleveland, in fondo, con i suoi grovigli (telefonici e non) a la “Brazil”, la sua periferia progettata per omaggiare, a uno sguardo aereo, il profilo della vecchia diva Jayne Mansfield, e quel D.I.O. che è metafora sin troppo facile del vuoto relazionale che toglie umanità ai suoi abitanti, è un teatro distopico angosciante e implacabile.
Se la precisione sinestetica e luministica delle descrizioni già si rivela una eccellente prerogativa dello scrittore di Ithaca, l’impressione generale in merito a un testo così ricco e audace esce forse indebolita dall’insistenza con cui il giovane DFW promuove la propria inquietante visione della contemporaneità. Troppa filosofia del linguaggio, troppe circonvoluzioni concettuali a fronte di una materia sì stimolante ma anche capricciosamente irrisolta, priva di comodi approdi per il lettore che non voglia limitare la propria esperienza a un puro piacere discorsivo. Bene invece, decisamente, quando nella trama si fanno spazio le sottotrame rappresentate dagli elaborati che Rick racconta a Lenore a più riprese, testi scritti da studenti depressi in cerca di pubblicazione sull’inesistente rivista della Frequent & Vigorous o abbozzi di storie vergati di proprio pugno (ma non dichiarati), dedicati a una sorta di alter ego senza macchia, Monroe Fieldbinder, e di fatto ancor più deprimenti dei primi.
In questi avvincenti slanci metanarrativi – su tutti la vicenda della “donna con il termos che teneva una raganella in un’ansa del collo”, o quella della coppia triste truffata dallo psicanalista, o anche la favoletta di “Billy Visone resta senza cena”, letta da Lenore alla nonna Concardine, risiedono forse i passaggi più interessanti del libro, il suo virtuosismo affabulatorio che, evidentemente, non lasciò indifferente il Douglas Coupland di “Generazione X” e che per l’autore canadese sarebbe diventata un’autentica ossessione stilistica, spesso e volentieri senza sbocchi davvero convincenti.
Seashanty ha scritto il  23 set 2015 22:29







Lenore ha sempre i capelli bagnati.

Risolve la maggior parte dei suoi turbamenti con una doccia.
" E il mio presente scrosciò e schiumò nel mio passato, e gorgogliò via."
Rick ama Lenore gelosamente, tanto da vivere della sua vita dimenticandosi della propria. 
La sua esistenza è parte di quei racconti assurdi e depressi, che destina alla sua amata.
Attorno, un mondo apparentemente normale che scivola lentamente ed inesorabilmente nel non-sense. Un caos irreversibile come i cavi intrecciati della rete telefonica di Cleveland.
Sono tanti e tutti speciali.
Il pappagallino Vlad l'Impalatore che improvvisamente e suo malgrado (o forse no?) diventa una star della TV; il magnate: immenso fagocitatore di materia oltre che di denaro e proprietà;
Mr Beadsman, leader indiscusso e senza umani scrupoli di una quantomai terrificante azienda di omogeneizzati per bambini e le irresistibili Candy Mandible e Mindy Metalman, per finire poi con la nonna di Lenore ineffabile presenza-assenza.
Che dire?
  Cameraconvista ha scritto il  14 dic 2012 21:17



" – Lenore, il fatto è che io ti amo. Lo sai. Ogni fibra del mio essere ama ogni fibra del tuo essere. Il pensiero di ignorare cose che ti riguardano e che ti angustiano mi fa lacrimar sangue col dorso degli occhi.
– Gran bella immagine. Ecco, bravo, assaggia la tua bistecca.
Dicevi di avere una fame che ti saresti mangiato un cavallo. – ...
– Colpisce nel segno?
– Il mio segno vacilla sotto l’impeto del colpo.
E adesso consentimi di insistere affinché tu me lo dica." [...]

"Un bacio con Lenore è una sequenza in cui io pattino con scarpe imburrate sull'umida pista del suo labbro inferiore, protetto dalle interprerie grazie all'aggetto madido e tiepido di quello superiore, per infine riparare tra labbro e gengiva e rimboccarmi il labbro inferiore sin sul naso come un bimbo la coperta e da lì scrutare con occhi lustri e ostili il mondo esterno a Lenore, del quale non voglio più fare parte". [...]


<< Mi manca Lenore, qualche volta. Mi manca chiunque. Ricordo quando ero giovane e avvertivo una sensazione e la identificavo come nostalgia di casa, e poi pensavo che era proprio strano, visto che a casa ci vivevo. Che diavolo di conclusione trarre da tutto questo? >>


"che io debba invece continuare a far parte del mondo estraneo a lenore ed esterno a lenore è per me fonte di pena smisurata. che altri possano indugiare liberamente nel profondo dei loro cari e attingere con dolci sorsate al lago cremoso ubicato al centro dell'oggetto della passione, quando invece io sono per sempre destinato al mero intuire la presenza di profondi recessi mentre tutt'al più riesco a infilare il naso, anche letteralmente, nell'atrio dela grande casa dell'amore e ivi a dimenarmni per pochi istanti e poi lasciare un mio patetico souvenir sullo zerbino, mi fa incazzare alquanto".

« saremo uniti nella luce del cielo, Lenore. vedi la luce del cielo? l'alba e il tramonto si abbeverano alle nostre vene. ci spargeranno ovunque. saremo ogni cosa. saremo giganteschi. più grandi della vita stessa. [...] saremo così miracolosi da nutrire il cielo intero. »



"La sorella di Lenore è strepitosamente bella, per chi ami il tipo strepitosamente bella, piena com’è di morbidi capelli color miele e di occhi blu e di poppe da arrembaggio; solo che è presuntuosa e seriosa e noiosa, e il suo equilibrio e il suo senso dei valori dipendono terribilmente (e sono sgradevolmente ignari di dipendere terribilmente) dall’Ultima Moda Sociale."
David Foster Wallace, La scopa del sistema




"Lenore ti invita tacitamente a giocare un gioco che consiste di oscuri tentativi di scoprire le regole del gioco stesso."
DFW, La scopa del sistema


"Non ti affligge l’idea che il tuo non dirmi mai che mi ami possa affliggermi?"
"Allora, chi è questa ragazza che mi possiede, che tanto amo?
Rifiuto sia di pormi domande sia di dare risposte riguardo al chi è. Cosa è?
È una ragazza dalle spalle esili, dalle braccia esili, dal seno gagliardo, una ragazza dalle lunghe gambe e dai piedi piú lunghi della media, piedi che quando cammina puntano un po’ all’infuori... cinti dalle immancabili e immancabilmente nere Converse modello alto. Ho parlato di tenuta conturbante?
Macché: quelle sono scarpe che amo. Vi confesso che una volta, in un momento di indubbiamente irresponsabile degenerazione e mentre Lenore era in bagno a farsi la doccia, io tentai di fare l’amore con una delle suddette scarpe, una All-Star 1989 modello alto, ma, per ragioni private, non riuscii a portare a termine l’operazione.
Che dire, dunque, di Lenore, dei capelli di Lenore?
Sono capelli che in sé e di per sé sono di tutti i colori – biondi e rossi e corvini e ramati – ma che determinano un compromesso ottico esteriore tale da farli risultare complessivamente, e tranne per fulminei bagliori registrabili solo mediante coda dell’occhio, banalmente castani. Capelli che vengono giú lisci seguendo la dolce curva delle guance di Lenore fin sotto il mento, dove quasi si ricongiungono, come fragili mandibole di insetto rapace. Oh, se quei capelli sanno mordere. Di quei capelli io conosco il morso. E gli occhi. Io non so dire il colore degli occhi di Lenore Beadsman; non posso guardarli; per me quegli occhi sono il sole. Sono blu. Le sue labbra sono carnose e rosse e tendono al rorido e piú che chiedere pare pretendano, in quel loro broncio di seta liquida, d’esser baciate. Io le bacio spesso, lo ammetto, inutile negarlo, ne sono un baciatore, e un bacio con Lenore è, se mi è concesso indugiare un po’ su questo tema, non tanto un bacio quanto una dislocazione, è rimozione e poi brusca assunzione di essenza dall’io alle labbra, sicché è non tanto il contatto di due corpi umani per fare le solite cose a colpi di labbra quanto due insiemi di labbra in reciproca cova e in comunione di specie sin dagli albori dell’era post-Scarsdale, forti di condizione ontologica autonoma sancita dalla suddetta comunione, che trascinano dietro e sotto di sé, mentre si uniscono e diventano una cosa sola, due ormai completamente superflui corpi terreni appesi al bacio come spossati gambi di fiori sursbocciati ovvero come mute ormai inservibili. Un bacio con Lenore è una sequenza in cui io pattino con scarpe imburrate sull’umida pista del suo labbro inferiore, protetto dalle intemperie grazie all’aggetto madido e tiepido di quello superiore, per infine riparare tra labbro e gengiva e rimboccarmi il labbro sin sul naso come un bimbo la coperta e da lí scrutare con occhi lustri e ostili il mondo esterno a Lenore, del quale non voglio piú far parte."

"Lenore ha una caratteristica che attira gli uomini.Non è una caratteristica normale, o una caratteristica che possa essere spiegata. «...» disse, sperando cosí di spiegarla. «Vulnerabilità» è ovviamente una parola sbagliata. «Esuberanza» non basta. Entrambe le suddette parole significano, e perciò falliscono. Lenore ha la caratteristica di una specie di gioco. Ecco. Il che, significando quasi niente, potrebbe funzionare. Lenore ti invita tacitamente a giocare un gioco che consiste di oscuri tentativi di scoprire le regole del gioco stesso. Che ve ne pare? Le regole del gioco sono Lenore, e giocare significa essere giocati. Scopri le regole del mio gioco, ride lei, ridendo con o di te."

"Tra Veronica e tutti gli altri si apriva la voragine ruggente dell’Interesse, una voragine impossibile da superare perché costituita da una sola sponda. La sponda di Veronica. Il che equivale, da come sono arrivato a vederlo io, semplicemente a un altro modo per dire che Veronica era incapace di amare. Quantomeno di amare me."


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– Devo fare quello che è giusto per me come persona, – disse Vlad l’Impalatore, rimettendosi dritto e guardando Lenore.
– Porca vacca.
– Anche le donne hanno bisogno del loro spazio.[..]– Sei proprio un tesoro, ma questo è il tipo di discussione che non ci porterà da nessuna parte,– disse Vlad l’Impalatore, scrutando stolidamente quello che avrebbe potuto essere il suo riflesso.– I miei sentimenti nei tuoi confronti sono profondi. Non ho mai detto il contrario.[..]
– La rabbia è una cosa naturale, – disse Vlad l’Impalatore.
 – La rabbia è una cosa naturale, non devi trattenerla.[..]
– Io non capisco cosa vuoi dire quando parli di amore.
Dimmi cosa significa per te questa parola,[..]
– Non puoi costringermi a mantenere promesse che non ho mai fatto! [..]
il sesso va alla grande, lo sai che va alla grande, te l’ho detto un sacco di volte che in questo senso mi riempi in tutti i sensi, ma il sesso è solo una questione di un paio d’ore al giorno, non puoi lasciargli le redini della tua vita..





http://www.anobii.com/books/La_scopa_del_sistema/9788806181048/010f985844e2b1351a



Impossibile non innamorarsi della bisnonna, ex amante di Wittgenstein, fuggita dall'ospizio!
Graziagasparre ha scritto il  27 feb 2012 15:31
David Foster Wallace, La scopa del sistema.


"il raccontare crea le proprie ragioni. nonna dice che ogni racconto si trasforma automaticamente in una specie di sistema, un sistema che controla tutte i personaggi coinvolti".



Mettiamo che Nonna mi abbia detto in maniera parecchio convincente che tutto ciò che davvero esiste della mia vita è limitato a quello che se ne può raccontare [..]Be’, credo che non sia esattamente che la vita va raccontata anziché vissuta; è piuttosto che la vita è il suo racconto, e che in me non c’è niente che non sia o raccontato o raccontabile. Ma se è davvero cosí, allora che differenza c’è, perché vivere? [..] Forse non ha senso. Forse è completamente irrazionale e cretino. [..] Se di me c’è unicamente ciò che di me si può raccontare, in cosa sarei diversa dalla donna nella storia di Rick, quella che si ingozza e che ingrassa e che alla fine spiaccica la figlia addormentata?Quella donna consiste esattamente di ciò che ne viene raccontato, no? Nient’altro da ciò che ne viene raccontato. Idem per me, a quanto pare. Nonna dice che mi dimostrerà che la vita è parole e nient’altro. Nonna dice che le parole possono creare e distruggere. Possono tutto.                                                                                       David Foster Wallace, La scopa del sistema.



"Lenore stava osservando il disegno sul verso dell’etichetta Stonecipheco posata sulla pila di quaderni nel cassetto della scrivania. Raffigurava una persona, infilata in quello che si sarebbe detto un camice. In una mano impugnava un rasoio, nell’altra una bomboletta di schiuma da barba. Lenore riusciva a distinguere la scritta “Noxzema” sulla bomboletta. La testa della persona era un’esplosione di schizzi d’inchiostro.
- Stavo guardando questo, – rispose.
Mr. Bloemker si avvicinò. Puzzava come un pannolino da cambiare. – E sarebbe? – chiese, sbirciando da sopra la spalla di Lenore.
- Se è quello che io credo che sia, – disse Lenore, – è una specie di indovinello. Un come si chiama. Una antinomia.
- Una antinomia?
Lenore annuì. – Nonna adora le antinomie. Credo che questo tizio qui.. – abbassando lo sguardo sul disegno sul verso dell’etichetta – … sia il barbiere che rade solo e tutti quelli che non si radono da sé.
Mr. Bloemker la guardò. – Un barbiere?
L’atroce dilemma, – disse Lenore, rivolta al pezzo di carta, – è se il barbiere si rada da sé o meno. Credo che sia questo il motivo per cui la testa gli è esplosa.
- Cioè a dire?
- Se lo fa non lo fa, se non lo fa lo fa.
Mr. Bloemker contemplò il disegno. Si accarezzò la barba."
David Foster Wallace, La scopa del sistema


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" - Il racconto riguarda un tale che ci viene presentato come il piú straordinario e rinomato dentista teorico del ventesimo secolo.
– Dentista teorico?
– Uno studioso specializzato in odontoiatria teorica e in ricerche teoriche di altissimo livello basate su casi empirici attinenti tutto ciò che abbia a che fare coi denti.
– Meraviglioso.
– Ti ricordi di quel dolcificante che tempo fa era praticamente onnipresente? Il SupraSweet?
Quello che sparì di colpo dagli scaffali dei supermercati quando scoprirono che faceva nascere bambini con le antenne e i denti da vampiro?
– Tu che dici, me lo ricordo?
– Ecco, il dentista teorico in questione ci viene presentato come colui che avrebbe risolto il problema antenne/denti-da vampiro, partendo appunto dall’aspetto denti e risalendo sino alla responsabilità dell’ubiquo e micidiale dolcificante."
David Foster Wallace, La scopa del sistema


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La Cristianità è l’offerta di un premio irresistibile in cambio di una prestazione inadempibile
[...]
Seguiamo questo incredibile dialogo basato su un famoso cartone della Warner.
“Le è mai capitato di guardare Bi-Bip?-
-Lo guardo tutte le settimane, è uno dei miei preferiti-. 
Bava colò sul mento del Dr J....al suo dimenarsi nella poltrona coi piedi ciondolanti a grande distanza dalla moquette giallo-scura dell’ufficio.
-Non so perché ma ci avrei scommesso, - sorrise Fieldbinder....-le è mai capitato di notare come Bi-bip sia quello che potremmo adeguatamente definire un programma esistenziale? E come insista proprio sugli atteggiamenti impliciti nel sentirsi sconvolto di una persona di fronte al catastrofico incendio della propria casa? 
La vedo perplesso,-disse Fieldbinder notanto che il Dr J si grattava furiosamente la testa, così suscitando un vortice di forfora che si levava nell’aria dell’ufficio per poi ricadere a pioggia sull’oscena chiazza glabra al centro della testa teschioide del dottore. Fieldbinder sorrise e proseguì: 
-La invito a riflettere su come tale programma non faccia altro che proporci le gesta di un personaggio, il coyote, funzionante all’interno di un sistema che ha l’interessante ruolo di Natura matrigna, un personaggio che incessantemente, instancabilmente, disastrosamente persegue un oggetto/scopo-ossia l’uccello eponimo del programma - oggetto e scopo il cui valore è assai inferiore rispetto a quello dello sforzo e delle risorse che il protagonista investe nella sua ricerca. - Fieldbinder sorrise beffardamente. - L’oggetto perseguito - un uccello rachitico e ossuto - è assai meno prezioso dell’energia e dell’attenzione e delle risorse economiche consumate dal coyote nel corso della ricerca, esattamente come qualsiasi nesso irradiato dall’Io verso l’esterno avrebbe assai meno valore del prezzo che l’impianto di tale nesso inevitabilmente pretenderebbe.
 Panormino ha scritto il  15 gen 2012 15:17

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Mettiamo che qualcuno mi avesse detto, dieci anni fa, a Scarsdale, o magari in treno mentre andavo al lavoro, mettiamo che questo qualcuno fosse il mio vicino di casa, Rex Metalman, il consulente societario dotato di figlia incredibilmente ancheggiante, mettiamo che ciò avvenisse prima dell'aggravarsi della sua ossessione per il prato e dei conseguenti pattugliamenti notturni di tipo paramilitare a bordo di falciaerba dotato di fari, e dei settimanali bombardamenti aerei di DDT per radere al suolo tutt'al più una misera tana di lombrichi, e della sua assoluta intransigenza di fronte alle ragionevoli e inizialmente garbate insistenze da parte prima di uno e poi di tutti i vicini tese a fargli mitigare magari anche gradualmente le ostilità contro i potenziali nemici del suo prato da cui si sentiva braccato, e altresì prima che tutto ciò scavasse nella nostra amicizia a base tennistica un solco largo quanto un sacco di fertilizzante Scott's, mettiamo dunque che Rex Metalman avesse ipotizzato, allora, che dieci anni più tardi, cioè a dire adesso, io, Rick Vigorous, mi sarei ritrovato ad abitare a Cleveland, tra un lago biologicamente defunto nonché oltraggiosamente fetido e un deserto artificiale da un miliardo di dollari, che mi sarei ritrovato divorziato da mia moglie e fisicamente esiliato dallo sviluppo di mio figlio, che mi sarei ritrovato a condurre un'azienda in società con una persona invisibile ovvero, come risulta ormai evidente, con poco più che un'entità societaria interessata a perdite finanziarie a scopo fiscale, azienda dedita a pubblicare cose forse addirittura più risibili del non pubblicare un accidenti di niente, e che appollaiato in cima a questa montagna di cose incredibili ci sarebbe stato il mio ritrovarmi innamorato, banalmente e pateticamente e furiosamente innamorato di una donna più giovane di me di ben diciotto, diconsi diciotto, anni, una donna che appartenesse a una delle famiglie più in vista di Cleveland, che abitasse in una città di proprietà del padre e che tuttavia sgobbasse come centralinista per uno stipendio di qualcosa come quattro dollari l'ora, una donna la cui tenuta consistente di vestito in cotone bianco e Converse nere modello alto fosse una costante conturbante e refrattaria a ogni analisi, una donna che si sottoponesse a un totale di docce giornaliere che sospetterei oscillare tra le cinque e le otto, che lavorasse nevroticamente come quei balenieri che in penuria di balene passano il tempo a incollar conchiglie per farne souvenir, che coabitasse con un uccellino schizofrenicamente narcisista e con un'amica stronza e quasi sicuramente ninfomane, e che in me trovasse, nascosto chissà dove, l'amante ideale... mettiamo che tutto ciò me l'avesse pronosticato un Rex Metalman in vena di chiacchiere, appoggiato alla staccionata che separava la sua proprietà dalla mia, lui con in mano il suo lanciafiamme e io col mio rastrello, mettiamo dunque che Rex mi avesse pronosticato tutto ciò: io quasi sicuramente gli avrei detto che le probabilità che queste sue profezie si avverassero equivalevano all'incirca a quelle che il giovane Vance Vigorous, all'epoca bimbo di otto anni eppure per certi aspetti più uomo di me, che il giovane Vance, quel giovane Vance probabilmente lì accanto a noi in quel momento e intento a calciare su nel freddo cielo autunnale un pallone destinato poi a tornar giù e spaccare una finestra mentre la sua risata echeggiava all'infinito tra i gracili fusti degli alberi suburbani, che il ben piantato Vance diventasse un... un omosessuale, o qualcosa di altrettanto improbabile o assurdo o totalmente fuori discussione. 
Adesso i cieli risuonano di sogghigni meschini. Adesso che persino a me è diventato innegabilmente chiaro che ho un figlio che fornisce all'espressione "frutto dei miei lombi" prospettive di senso assolutamente inedite, che mi trovo qui a fare ciò che faccio quando non ho niente da fare, che sento uno spiffero vacuo e abbasso gli occhi e mi scopro un buco nel petto e allora spio nella borsa in poliuretano di Lenore Beadsman cercando, tra aspirine e saponette d'albergo e biglietti della lotteria e assurdi libri che non significano niente, il bolo palpitante del mio proprio cuore, cosa dovrei dire a Rex Metalman e a Scarsdale e alla tana di lombrichi e al passato se non che esso non esiste, che è stato obliterato, che mai nessun pallone volò nel cielo freddo, che i miei assegni per l'educazione di mio figlio finiscono in una voragine nera, che a un certo punto, forse anche punti, un uomo può e deve rinascere e rinasce? Rex rimarrebbe perplesso e, come sempre in caso di perplessità, dissimulerebbe il proprio disagio cannoneggiando una porzione di prato. Io, ormai consapevole, rimarrei, rastrello gelido in mano pallida, immobile sotto una pioggia di terriccio ed erba e lombrichi, e scuoterei il capo di fronte all'assurdità di ciò che mi circonda.
Allora, chi è questa ragazza che mi possiede, che tanto amo? 
Rifiuto sia di pormi domande sia di dare risposte riguardo al chi è. Cosa è? 
È una ragazza dalle spalle esili, dalle braccia esili, dal seno gagliardo, una ragazza dalle lunghe gambe e dai piedi più lunghi della media, piedi che quando cammina puntano un po' all'infuori... cinti dalle immancabili e immancabilmente nere Converse modello alto. Ho parlato di tenuta conturbante? 
Macché: quelle sono scarpe che amo. Vi confesso che una volta, in un momento di indubbiamente irresponsabile degenerazione e mentre Lenore era in bagno a farsi la doccia, io tentai di fare l'amore con una delle suddette scarpe, una All-Star 1989 modello alto, ma, per ragioni private, non riuscii a portare a termine l'operazione.
Che dire, dunque, di Lenore, dei capelli di Lenore? 
Sono capelli che in sé e di per sé sono di tutti i colori - biondi e rossi e corvini e raMati - ma che determinano un compromesso ottico esteriore tale da farli risultare complessivamente, e tranne per fulminei bagliori registrabili solo mediante coda dell'occhio, banalmente castani. Capelli che vengono giù lisci seguendo la dolce curva delle guance di Lenore fin sotto il mento, dove quasi si ricongiungono, come fragili mandibole di insetto rapace. Oh, se quei capelli sanno mordere. Di quei capelli io conosco il morso.
David Foster Wallace, La scopa del sistema


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-Lo vedo che non ti piace...-
-Che cosa?-
-Il libro...-
-mmm...-
-Sono settimane che balla da un tavolo all'altro!-
-mmm...-
-Se non ti piace mollalo!-
-E' Wallace! E poi lo sai che non lascio i libri a metà ! -
-Sí ma non ti piace e poi ci sarebbe da carteggiare e ridipingere la ringhiera davanti...-
-Davvero?-
-Sí !-
-Va bene...-
David Foster Wallace, La scopa del sistema


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- sì il messaggio l’ho ricevuto, ma perchè non hai chiamato direttamente me?
- Papà mi ha detto che tu gli hai detto che non hai il telefono.
- Infatti io non ho un telefono. Questo non è un telefono, questo è un linfonodo – disse La Vache indicando un telefono accanto al televisore- lo chiamo linfonodo non telefono, così quando papà mi chiede se ho un telefono, posso rispondergli in perfetta buona fede che non ce l’ho. Tuttavia ho un linfonodo.
- sei pazzo – disse Lenore-
Squillò il telefono
- Beather, ti dispiace rispondere al linfonodo ? disse La Vache.



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"i sicuri di sè hanno membrane come cellule - uovo. cioè membrane che resistono all'assalto degli innumerevoli sistemi - Altro, al loro incessante martellare, al caparbio bussare egli Altri dalla chioma sudicia e dalle ascelle grondanti putredine. Loro bussano e la membrana/uovo sicura di sè attende pazientemente, forte, sulle sue, sicura di sè, e sì, di tanto in tanto lascerà entrare un Altro, lo risucchierà, ma alle proprie condizioni, lo risucchierà come uno spermatozoo, lo prenderà in sé per rinnovarsi, per ri-creare se stessa. solo una membrana robusta è in grado di risucchiare uno spermatozoo".

[...] dice piano Rick Vigorous, guardando in alto e distante. Ha della luce che gli cola sul volto.
Il fatto è che stasera piove, tra la luna e la finestra. Piove maledettamente tanto. Scie di pioggia colano sul vetro della finestra, e la luna brilla attraverso pioggia e vetro, e fa colare riflessi di sé sulla parete della stanza da letto semibuia. Seduto, con la schiena appoggiata alla parete, in mutande, c’è Rick Vigorous. È come se sul suo corpo colasse pioggia illuminata di luna. Idem per il letto. E in effetti idem pure per l’intera stanza, che cola bianco chiaro. Il disegno a gessetti colorati, con Rick e Veronica Vigorous nel loro giardino a Scarsdale, quello nella cornice di legno scuro e appeso sopra la testata del letto, sembra fluorescente. Il televisore è acceso, accanto alla finestra, ma le sue fredde faville si perdono nel milione di bianchi rivoli di luna.
[...]
– Dio santo, la finestra sta sbavando, – dice Rick. Indica. Dal suo polso ciondola luce. – Non ti sembra che la finestra stia sbavando, davanti alla prospettiva di tutto ciò che ancora c’è da rivelare?
David Foster Wallace, La scopa del sistema



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-Mmmm.
-…
-Vorrei un racconto, per favore.
-Vorresti un racconto.
-Per favore.
-Oggi me n’è capitato uno molto interessante.
-Spara
-Guarda che è un po’ angosciante.
-Fa lo stesso.
-Riguarda un tizio affetto da vanità di secondo grado.
-Vanità di secondo grado?
-Già.
-E cosa sarebbe?
-Non sai cos’è la vanità di secondo grado?
-No
-Ma pensa.
-Allora, cos’è?
-Dunque, una persona affetta da vanità di secondo grado è innanzitutto una persona vanitosa.
Magari vanitosa per la sua intelligenza, e in tal caso pretende che la gente si accorga di quant’è intelligenteO per il suo aspetto, e allora pretende che la gente si accorga di quant’è attraenteOppure, sempre per esempio, è vanitosa per il suo senso dell’umorismo, e allora pretende che la gente si accorga di quant’è divertente e argutaO per il suo talento, e pretende che la gente si accorga di quant’è brava. E via di seguito. Lo sai, no, com’è una persona vanitosa.
-Certo.
-Una persona vanitosa si preoccupa che la gente non la percepisca come stupida, o ottusa, o brutta, eccetera eccetera.
-D’accordo.
-Bene, una persona affetta da vanità di secondo grado è una persona vanitosa che si preoccupa altresì di sembrare totalmente priva di vanità. Che ha il terrore che gli altri scoprano che è vanitosa. Una persona vanitosa di secondo grado è una persona che pur di risultare divertente e di buona compagnia è capace di star sveglia tutta la notte a imparare barzellette, ma che tuttavia non ammetterà mai di star sveglia tutta la notte a imparare barzellette. O che magari si sforzerà addirittura di dare l’impressione di non considerarsi affatto una persona divertente.
-…
-Lavandosi le mani in un bagno pubblico, una persona vanitosa di secondo grado non potrà resistere alla tentazione di guardarsi allo specchio e controllarsi da capo a piedi, ma lo farà fingendo di aggiustarsi una lente a contatto o di togliersi un peluzzo dall’occhio, in maniera che la gente la percepisca come il tipo di persona che usa lo specchio non per rimirarsi bensì e soltanto per faccende che nulla hanno a che fare con la vanità.
-Ah.
-Il racconto che ti dicevo si riferisce a una persona affetta da vanità di secondo grado riguardo al proprio aspetto esterioreVanitosa da morire riguardo al proprio aspetto esteriore., ma altresì ossessionata dal desiderio che nessuno venga a scoprire la sua ossessione. Per esempio si sottopone a sforzi inenarrabili al semplice scopo di nascondere alla fidanzata la propria vanità.
Te l’ho detto che questo tizio vive con una ragazza strepitosamente bella nonché di ottimo carattere?
-No.
-Ok, e lei è innamorata pazza, e anche lui è innamorato.
E la loro vita in comune procede a gonfie vele, anche se ovviamente per lui non è affatto semplice convivere sia con l’ossessione sia con l’ossessione di nascondere l’ossessione.
-Cristo.
-Esatto. E un giorno, mentre si fa il bagno nella vasca, questo tizio nota qualcosa di strano sulla gamba, una specie di foruncolo grigiastro, e allora va a farsi visitare dal medico, e il medico gli diagnostica il primo stadio di una malattia non letale ma che potrebbe sfigurarlo, cioè in breve tempo potrebbe compromettere in maniera irreversibile l’aspetto fisico di quest’uomo che, tra parentesi, è un gran bell’uomo.
-…
-A meno che, gli dice il medico, non si sottoponga a una terapia complicatissima e costosissima, per affrontare la quale dovrebbe andare fino in Svizzera e spendere tutti i suoi risparmi, risparmi che sono conservati in un conto corrente per attingere al quale occorre la firma congiunta della sua bella fidanzata.
-Ahi
-…
-In fondo, se è così vanitoso e preoccupato per il proprio aspetto fisico…
-Già, ma non dimenticare che quest’uomo è anche estremamente preoccupato di non risultare il tipo di persona che si preoccupa del proprio aspetto fisico. Il pensiero che la fidanzata scopra che lui è il tipo di persona capace di spendere tutti i propri risparmi e andare a sbattere fino in Svizzera pur di salvare il proprio aspetto fisico lo atterrisce.
-Che malattia sarebbe? Lebbra?
-Una specie di lebbra, se ho capito bene. Forse non così terribile.
Nel senso che la lebbra è letale, mentre questa malattia non è letale.
Comunque il punto è un altro. Il punto è che l’idea che la sua fidanzata possa scoprire che è vanitoso lo atterrisce talmente tanto da indurlo a rimandare continuamente la decisione di andare in Svizzera per sottoporsi alla terapia, e nel frattempo il foruncolo continua a svilupparsi e la pelle della gamba si fa sempre più grigia e comincia a sfaldarsi tra le lenzuola e le ossa si gonfiano e cominciano a deformarsi, situazione che l’uomo cerca di mascherare comprando un gesso ortopedico e applicandolo alla gamba e dicendo alla ragazza di essersela rotta chissà come, solo che nel frattempo il morbo ha raggiunto anche l’altra gamba, e pure lo stomaco e la schiena, e, stando alla logica, suppongo anche i genitali; sicché il tizio non si alza più dal letto se ne sta sempre nascosto sotto le lenzuola e dice alla ragazza di non sentirsi bene, e per farla completa si sforza anche di mostrarsi piuttosto freddo e distante, nonostante le voglia un bene dell’anima. E si alza dal letto solo quando lei è al lavoro- la ragazza commessa in un negozio di abbigliamento femminile- e dunque l’uomo si alza dal letto solo quando lei è in negozio, e va a piazzarsi davanti allo specchio a figura intera che c’è nel bagno del loro appartamento, e resta lì per ore e ore, impietrito dall’orrore, a guardarsi allo specchio, e di tanto in tanto raschia via con grande delicatezza i fiocchi di pelle che si sfaldano dal suo corpo sempre più scempiato.
-Dio santo.
-Già.. e con il passare dei giorni il morbo si aggrava sempre più, si estende al torso, e alle braccia, e alle mani, cosa che l’uomo cerca di dissimulare indossando maglioni e guanti di lana e dicendo di avere chissà perché un gran freddo, e diventa sempre più brusco e sgarbato e acido con la sua deliziosa fidanzata, e non le permette di avvicinarsi, e la induce a credere di avergli fatto chissà quale torto e di essersi comportata male, ma senza mai dire nulla di preciso, e la fidanzata comincia a soffrire d’insonnia e a passare le notti in bagno a piangere, e l’uomo la sente di là che piange, e sente anche il proprio cuore spezzarsi, perché la ama da morire, ma non può farci niente se ha quest’ossessione di non voler diventare brutto , e ovviamente se adesso le dicesse la verità e le rivelasse ogni cosa finirebbe che lei non soltanto se lo troverebbe davanti improvvisamente brutto ma altresì risalirebbe alla sua ossessione primaria riguardo l’aspetto fisico, vedi per esempio il gesso e i maglioni e i guanti di lana, e ovviamente scoprirebbe anche l’ossessione di non rivelare l’ossessione primaria. E insomma lui si fa sempre più scostante, finché lei, ragazza straordinaria e profondamente innamorata di lui ma pur sempre essere umano, finisce per stufarsi e pian piano reagisce diventando a propria volta scostante, per autodifesa, e i rapporti tra i due si incrinano, e in fondo l’uomo ne risente, perché è veramente innamorato. Nel frattempo l’avanzare del morbo ovviamente non si arresta, il marciume gli è arrivato al collo, ormai rasenta il bordo dei suoi maglioni a collo alto, e per giunta cominciano ad affiorargli sul naso un paio di quei noduli grigiastri, messaggeri di nuovi orrori. Sicché un giorno, in quello che l’uomo giudica l’ultimo giorno possibile per mantenere nascosta alla fidanzata la propria situazione, e che è anche il giorno successivo a un loro tremendo e disastroso litigio che ha quasi spezzato il cuore della ragazza, ecco che, mentre la ragazza è come al solito rinchiusa in bagno a piangere, l’uomo scivola silenziosamente giù dal letto, si imbacucca fin sul naso, esce di casa e monta su un taxi per andare dal medico.
-….
-E il medico è comprensibilmente furibondo perché l’uomo non s’era più fatto vivo e lui non sapeva che fine avesse fatto. E ovviamente il medico è molto preoccupato per il dilagare del morbo, e esamina il corpo dell’uomo e fa una smorfia e dice che lo stadio raggiunto è l’ultimo in cui si possa ancora iniziare la costosa terapia svizzera aspettandosene una qualche efficacia, e aggiunge che se rimanderanno ancora la decisione il morbo finirà per fagocitare completamente e irreversibilmente l’uomo, che rimarrà in vita ma resterà sfigurato per sempre. Il medico guarda l’uomo e gli dice che adesso uscirà dallo studio e lo lascerà da solo a riflettere sul da farsi. Chiaramente il medico pensa che l’uomo sia pazzo a non essere già in Svizzera a curarsi. Sicché l’uomo resta lì nello studio, da solo, tutto imbacuccato, anche coi guanti, e gli viene una crisi tremenda, e sente il cuore che gli si spezza, ed è incredibilmente sconvolto per via dell’ossessione dell’ossessione, e tuttavia alla fine ha un’illuminazione, che viene non troppo sottilmente simboleggiata da un raggio di sole che fende le nubi gravide di pioggia che quel giorno gremiscono il cielo e penetra nello studio del medico e va a illuminare l’uomo, e comunque quest’illuminazione mostra all’uomo come l’unica cosa veramente importante sia la sua meravigliosa e dolce fidanzata, unitamente al loro reciproco e intenso amore, e come tutto il resto non conti, sicché l’uomo decide di telefonarle e di raccontarle tutto e di farsi raggiungere in banca per firmare insieme il modulo e ritirare tutti i suoi risparmi e così aver modo di volare in Svizzera quel giorno stesso, e al diavolo il terrore di raccontarle tutto, anche se sarà incredibilmente terribile.
-Uau
-E la storia finisce con l’uomo seduto alla scrivania del medico, con la cornetta del telefono stretta nella mano guantata, che ascolta il telefono squillare nel loro appartamento, e il telefono squilla un bel po’ di volte, cioè non un numero di volte esagerato bensì il numero giusto perché uno cominci a chiedersi se la ragazza sia ancora lì , o se invece sia andata via, magari per sempre. E la storia finisce così, con l’uomo seduto e il telefono che squilla e il raggio di sole che illumina l’uomo seduto nello studio del medico.
-Dio santo. Pensi di usarla?
-No. Troppo lunga. Quaranta e passa pagine. E per giunta battute male.
-…
-Smettila.
-…
-Ti ho detto di smetterla, Lenore. Non è affatto divertente.
-…
-…
-Un momento, come mai sei così informato?
-Informato su cosa?
-Sulla vanità di secondo grado. Ti sei persino stupito che io non ne sapessi niente.
-Che vuoi che ti dica? Ti accontenti se ti dico che è perché sono un uomo di mondo?
-…
-…
-Ginger ale?
-No, non adesso, grazie lo stesso.
David Foster Wallace, La scopa del sistema

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le fantastiche sedute tra il dottor Jay e Rick Vigorous! :D
JAY (voce soffocata): Che compito straordinario abbiamo davanti a noi, mio caro amico!
Quale atroce e insieme splendida opportunità per esercitare la nostra forza di volontà!
La domanda cruciale: siamo maturi? amiamo sinceramente?
Questa attualmente bidimensionale membrana la amiamo abbastanza da consentirle di fuggire da quel contesto opprimente esclusivamente all'interno del quale l'amore originario può venire esercitato e pseudo reciprocato? Riconoscendo la nostra incapacità di penetrare e fertilizzare e permeare e idoneizzare una membrana, un Altro, siamo noi disposti a lasciare che tale Altro esca, torni fuori, in un luogo pulito e privo di odori dove esso Altro possa trovare appagamento, pienezza inveramento di sè?

RICK: Mi rimangio quello che ho detto prima. Lei sta dicendo un cumulo di stronzate. E io le rifiuto. Lei dovrebbe aiutarmi, testa di cazzo. La sua funzione è quella di aiutarmi. Tutto questo suo ciarpame blentneriano si riduce al fatto che secondo lei io dovrei starmene fermo immobile a guardare l'oggetto della mia adorazione e l'assoluto e unico riferimento e scopo di ogni azione della mia vita prender su e farsi trombare a sangue da un lascivo e untuoso yuppie per il solo fato che il suddetto è dotato di un membro più grosso del mio!!?



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Attraverso personaggi eccessivi, còlti nella loro caratteristica più tipica, gonfiata fino a farne un'ossessione grottesca, ci racconta l'America odierna con i suoi College e confraternite, i suoi ciccioni irredimibili (Il ciccione qui presente, Bombardini, è tale per dispetto coniugale), i numerosissimi canali televisivi che spesso creano dipendenza, il trip della Fede sbandierata via cavo a fare proseliti, e temi più intimi, universali, come la ricerca di una propria identità, che si sperimenta all'uscita dal College - un passo prima di entrare, a insicure falcate nel mondo adulto - la ricerca di una stabilità affettiva e l'esperienza di un amore non corrisposto, la psicanalisi, il linguaggio.

Infatti, attraverso molteplici quadretti e personaggi esilaranti e indimenticabili, parla anche del wittengsteinianissimo tema della vita come narrazione, dell'importanza del linguaggio nel definire e circoscrivere la realtà e la persona stessa che lo usa: siamo ciò che diciamo e il mondo è solo quello che possiamo raccontare, Wallace cerca di raccontarlo davvero tutto, il mondo che ruota intorno a Lenore all'uscita dal college, e alla scomparsa della sua nonna omonima da un ospizio.
  ♘ΑνναΦ... ha scritto il  21 giu 2015

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La storia ha una premessa, un fatto che occupa poche pagine, avvenuto nel 1981 in un college femminile.
L’incipit è davvero fulminante.
Molte ragazze davvero belle hanno dei piedi davvero brutti, e Mindy Metalman non fa eccezione, pensa Lenore, all'improvviso. Sono piatti e lunghi, con le dita strombate e i mignoli afflitti da bottoni di una callosità giallognola che riappare a mo' di battiscopa lungo i calcagni, e sul dosso dei piedi sbucano peluzzi neri arricciati, e lo smalto rosso è screpolato e si scrosta a boccoli per quant'è vecchio, mostrando qua e là striature bianchicce. Lenore se ne accorge solo perché Mindy si è chinata in avanti sulla sedia accanto al minifrigo per staccare dalle unghie dei piedi appunto un paio di fiocchi di smalto; i lembi dell'accappatoio si dischiudono su un generoso scorcio di scollatura, decisamente più sostanziosa di quella di Lenore, e lo spesso asciugamano bianco che cinge la chioma zuppa e shampizzata di Mindy si è afientato e una ciocca di capelli scuri è sgusciata tra le pieghe e scende leggiadra incorniciandole la guancia fin sul mento. Nella stanza c'è odore di shampoo Flex, ma anche di canne, poiché Clarice e Sue Shaw si stanno facendo uno spino bello grosso che Lenore ha ricevuto in dono da Ed Creamer alla Shaker School e ha portato qui al college insieme ad altra roba per Clarice.
II fatto è che Lenore Beadsman, che ha quindici anni, è appena arrivata da casa dei suoi a Shaker Heights, Ohio, a due passi da Cleveland, per far visita alla sorella maggiore, Clarice Beadsman, che è matricola qui al college femminile Mount Holyoke; Lenore, dunque, con annesso sacco a pelo, si trova in una stanza al secondo piano del dormitorio della Rumpus Hall, cioè dove Clarice alloggia con le compagne di corso Mindy [...]
A questo punto l'accappatoio di Mindy è quasi completamente aperto e rivela uno scenario che Lenore giudica decisamente impressionarne, anche se poi Mindy si muove come se non fosse roba sua. Questo non fa che confermare in Lenore l'idea che le ragazze che conosce si possono nettamente dividere in ragazze che dentro di sé si credono carine e ragazze che dentro di sé non si credono carine. Le ragazze che si credono carine non fanno caso se gli si apre l'accappatoio, e sanno truccarsi, e amano sentirsi guardate quando camminano, e se in giro ci sono dei maschi adottano un atteggiamento tutto particolare; invece le ragazze come Lenore, che non si sentono particolarmente carine, tendono a non truccarsi, e fanno atletica, e calzano Converse nere, e l'accappatoio se lo tengono sempre bello annodato. Comunque Mindy è proprio carina, a parte i piedi. [...]



"Fuori' nel croccante prato marzolino, alonata dai fasci di luce che spiovono dai lampioni, tra capannelli di ragazzi in blazer blu che risalgono il vialetto rifinendosi l'alito a colpi di mentine, assapora una breve epistassi".

E la frase che chiude il primo capitolo (dei ventuno) della Scopa del sistema, a sua volta il primo romanzo (dei soli due, ahinoi) di David Poster Wallace. A rileggerla oggi non si fatica a immedesimarsi nel lettore che — all'epoca dell uscita del romanzo (1987) e appena prima che l'allora giovanissimo autore fosse celebrato come il maggior talento letterario americano — abbia indugiato prima di attaccare il secondo capitolo, che si annuncia con un balzo in avanti di nove anni. Come si può assaporare un'epistassi? Come si fa a mettere in fondo a un capitolo rocambolesco, erotico, comico e violento (e rocambolesco, erotico, comico e violento in un modo assai peculiare) un notturno tanto atonale, il pubblico appartarsi di una quindicenne a cui cola sangue dal naso?
Risalire a quel primo e teorico momento di perplessa ammirazione oggi significa scendere alla radice dei sentimenti che in molti, moltissimi hanno provato e provano per la scrittura di David Foster Wallace. Sentimenti, già.
Era una scrittura che sfidava il precetto del Marcel Proust di Centre Sainte-Beuve - ripreso poi dalle teorie letterarie formaliste e implicitamente ribadito anche dallo stesso Foster Wallace in alcune dichiarazioni: la biografia dell'autore non entra nella sua opera, non la spiega e non ne è spiegata; il soggetto è fuori dalla soglia superiore della semiotica, non se ne può dire nulla. Attenersi a questo precetto rimane saggio, anche al di là dell'autorevolezza dei molti che lo hanno formulato e riformulato. Eppure leggendo Foster Wallace è sempre stato ineffabile pensare a quale testa dovesse avere l'autore di quelle pagine, divertenti nei loro rovelli, opache nel loro tentativo di saturare il dicibile. E probabilmente per questo che la notizia del suo suicidio ha percosso i suoi lettori con la forza di uno staffilante dolore personale, diretto: cosa avesse in testa quell'uomo non era più una questione letteraria, era diventata una questione esistenziale senza vie di scampo, del genere tertìum non datur. E in tanti ci si è chiesti quando sarà possibile tornare a leggere le sue opere senza pensarci, senza dare troppo peso ai presagi di cui ora sembrano pullulare, senza cioè proiettare all'esterno della scrittura quella raccolta di indizi che la sua scrittura stessa ci sollecita.

La scopa del sistema è stato l'esordio letterario officiale di Foster Wallace - avvenuto dopo una pausa dagli studi postuniversitari. Già dal primo capitolo mette in scena temi che si ritroveranno, voltati al maschile, anche nel secondo e maggiore romanzo, Infinite Jest. l'adolescenza e la genialità precoce, innanzitutto; ma anche somministrazioni socializzanti di droga e alcool, esibizionismi sessuali con ambiguità fra l'ingenuo e lo smargiasso, la vita del college. Non manca neppure un'allusione allo sport che, come poi in Infinite Jest, è in contrasto all'uso di sostanze psicotrope. I personaggi si caratterizzano per il corpo che hanno e per quello che ne fanno: vestirsi, vomitare, svestirsi toccarsi, fumare, mangiare, bere, vivere in una camera iperriscaldata a causa di uno squilibrio termico del corpo, assaporare una breve epistassi..., attraverso una gamma molto ampia di tatti i possibili gesti, posture, apparenze, deiezioni e assunzioni.
Personaggi, prodotti luoghi e istituzioni come scuole e posti di lavoro hanno di frequente miti peculiari (Stonecipher, Metalman, Rumpus, Splittstoesser, Shaker Heights, Frequent & Vigorous, lnc, Bombardini Building, Neil Obstat); gli alberi genealogici sono capziosamente intricati. L'ambientazione in un futuro prossimo (meno di un decennio avanti il momento storico della stesura: succederà lo stesso anche con Infinite Jest) consente all'autore invenzioni tecnologiche e sociali qui culminanti in due trovate paesaggistiche: la forma della citta di East Corinth (progettata in modo che i suoi confini sagomino a beneficio di chi sorvoli la città la conturbante silhouette dell'attrice Jayne Mansfield) e la creazione di un deserto artificiale ai margini della città di Cleveland, voluto dal governatore dello Stato per fornire "un punto di riferimento primordiale perle buone genti dell'Ohio. Un luogo da temere e amare. Un luogo selvaggio. Qualcosa che ci rammenti contro cosa abbiamo lottato e vinto. Un luogo senza centri commerciali. Un Altro per stimolare l'Io dell'Ohio>>.
Scrivendo La scopa del sistema- Foster Wallace non aveva ancora individuato nel meccanismo della nota al testo la forma simbolica che, anche sul piano della disposizione grafica, impone al lettore di inseguire incessantemente la dispersione del testo. Le note caratterizzeranno Infinite Jest (sono 388 solo quelle diciamo primarie — a coi vanno aggiunte le note alle note — e occupano quasi duecento delle oltre mille pagine del romanzo) ma anche i saggi, dalla dissertazione matematica sull'infinito di Tutto e di più ai capitoli di Considera l'Aragosta. nell'ultimo dei quali le chiose vengono impaginate come box racchiusi nel flusso del testo primario, a cui sono collegate mediante frecce. Già prima dell'adozione di queste diramazioni spaziali del testo, e già nel romanzo d'esordio, la linearità del racconto non compariva fra gli obiettivi dell autore.


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