sabato 29 ottobre 2016

David Foster Wallace. Considera l'Aragosta.

Il primo è un estratto dal saggio che dà il titolo alla raccolta, Considera l’aragosta, in cui Wallace riflette sulla pratica di bollire le aragoste vive. Immagino che non fosse questo che la rivista Gourmet aveva in mente quando lo ha mandato al Maine Lobster Festival (la foto del post viene da lì) affinché scrivesse un articolo sulla più grande fiera d’aragoste del mondo, ma questo è quello che ha scritto:

"Considera l'Aragosta", David Foster Wallace
[…] È possibile che le generazioni future guarderanno alle nostre attuali agroindustrie e pratiche mangerecce in modo del tutto simile a come oggi noi vediamo gli spettacoli di Nerone o gli esperimenti di Mengele? La mia prima reazione è che un paragone del genere è ridicolo, estremo — eppure il motivo per cui mi sembra così estremo è che credo che gli animali siano moralmente meno importanti degli esseri umani; e quando mi trovo a difendere tale convinzione, persino con me stesso, devo riconoscere che a) ho un ovvio interesse egoistico in tale convinzione, dato che mi piace mangiare certi tipi di animali e voglio continuare a farlo, e b) non sono riuscito a elaborare nessun tipo di sistema etico personale in cui tale convinzione sia davvero difendibile e non solo egoisticamente vantaggiosa. […]
(da "Considera l’Aragosta")
http://www.personalreport.it/2009/04/considera-laragosta/


David Foster Wallace. Considera l'Aragosta.
Nella pratica, sappiamo tutti cos'è un'aragosta. Come al solito, però, c'è molto di più da sapere di quanto possa interessare alla maggior parte di noi - è solo una questione di quali sono i nostri interessi. Dal punto di vista tassonomico, un'aragosta atlantica è un crostaceo marino della famiglia Homaridae, caratterizzato da cinque paia di zampe articolate, di cui il primo termina con due grosse chele pinzute usate per sottomettere la preda. Come molte altre specie di carnivori bentonici, le aragoste sono sia cacciatrici che spazzine. Hanno gli occhi posti alla sommità di peduncoli, le branchie sulle zampe, e le antenne. Ne esistono circa una dozzina di tipi diversi al mondo, fra i quali la specie che ci interessa qui è l'aragosta del Maine, Homarus Americanus. Il nome inglese, lobster, viene dall'antico inglese loppestre, che si pensa essere una forma corrotta della parola latina per «locusta» combinata con loppe dell'antico inglese, che significava «ragno».
Inoltre, un crostaceo è un artropode acquatico della classe Crustacea, che comprende granchi, gamberi, cirripedi. aragoste e gamberi d'acqua dolce. E tutto scritto qui, nell'enciclopedia. E gli artropodi sono membri del phylum Arthropoda, phylum che conta insetti, ragni, crostacei e centopiedi/millepiedi, la cui principale caratteristica comune, a parte l'assenza di un sistema spino-cerebrale centrale, è un esoscheletro chitinoso composto di segmenti, da cui si articolano coppie di appendici.
Le aragoste sono in sostanza enormi insetti marini2. 
Come la maggior parìe degli artropodi, risalgono al Giurassico, biologicamente tanto più vecchie dei mammiferi che potrebbero benissimo venire da un altro pianeta. Inoltre sono -soprattutto nel loro stato naturale marrone-verde, con le chele brandite come armi e le grosse antenne alzate a mo' di frusta - piuttosto bruttine da vedere. Ed è vero che sono i netturbini del mare, divoratrici di cose morte 4', anche se mangiano pure molluschi vivi, certi tipi di pesci feriti, e a volte si mangiano fra di loro. Di per sé però hanno un buon sapore. O almeno cosi pensiamo adesso. Fino a un momento imprecisato dell'Ottocento, tuttavia, l'aragosta era cibo per i ceti bassi, consumato solo dai poveri e dagli internati. Persino nel duro ambiente penale dell'America degli albori alcune colonie avevano leggi che vietavano di dare aragosta ai detenuti più di una volta a settimana perché veniva considerato crudele e anomalo, come costringere la gente a cibarsi di topi. Uno dei motivi di questo umile status era la loro copiosità nel vecchio New England.
«Un'abbondanza incredibile», cosi descrive la situazione una delle fonti, includendo racconti dei pellegrini di Plymouth che si immergevano in acqua e ne catturavano quante ne volevano a mani nude, e della costa di Boston disseminata di aragoste dopo le mareggiate, nel qual caso venivano trattate come una puzzolente seccatura e tritate per essere usate come fertilizzante. C'è anche da dire che l'aragosta premoderna veniva cucinata morta e conservata, di solito sotto sale o in contenitori ermetici rudimentali. La primissima industria dell'aragosta del Maine si concentrava attorno a una dozzina di questi conservifìci costieri negli anni Quaranta dell'Ottocento, e da li le aragoste venivano poi spedite fino in California, dove erano richieste solo perché costavano poco ed erano molto proteiche, in pratica un carburante masticabile.


Ecco perché David Foster Wallace era un genio [...]
Il fatto è che non c’è bisogno di essere dei fan sfegatati per amare il lavoro di Wallace, e per ritenere che i suoi libri siano molto importanti per chi ha l’ambizione di scrivere. Soprattutto (non vi arrabbiate, è solo la mia opinione), quel capolavoro che è Considera l’aragosta. Non vi faccio il torto di spiegarvi di cosa parla il libro, dico solo che è una miniera di spunti, non solo per chi voglia cercare di buttar giù due righe decenti, quanto proprio per scoprire un modo tutto particolare di guardare alla realtà, che considero caratteristico di DFW. [...]
http://ilmiolibro.kataweb.it/articolo/scrivere/11222/ecco-perche-david-foster-wallace-era-un-genio/




Considera l'aragosta è una raccolta di articoli e saggi apparsi su varie pubblicazioni americane tra il 1994 e il 2005 ecco di cosa parla il libro, direttamente dall'indice: 

cinema porno; John Updike; 
Kafka; 
sociolinguistica; 
11 settembre; 
Tracy Austin (bimba prodigio del tennis anni '80); 
le primarie repubblicane di McCain nel 2000; 
la sagra dell'aragosta; 
Dostoevskij; 
i radiocommentatori politici. 

Vi sembrano argomenti un tantino eterogenei? 
Esatto, il miracolo di Wallace è che mentre leggi non hai mai questa sensazione ma invece hai in qualche modo chiaro di cosa si sta parlando. Gli idealisti tedeschi avevano inventato una parola per questo, Zeitgeist, un composto di spirito e tempo: Wallace parlando di aragoste e film porno parla di sé e di noi, dell'America com'è e come dovrebbe essere e come sarebbe auspicabile non diventi mai. Sostenuto da una cultura enciclopedica che sembra abbracciare l'intero scibile umano unita ad un acume nella visione straordinario e ad una ironia pungente Wallace procede nella sua prosa totale e bulimica per epifanie, illuminazioni che aprono squarci di senso anche per il più annoiato dei lettori riguardo il più futile degli argomenti.

Per esempio ecco come commenta la disaffezione nei confronti della politica:
"Ripensiamo a che tipi erano quelli che al liceo si candidavano alle cariche di rappresentanza degli studenti: un po' sfigati, vestiti con troppa cura, ossequiosi verso l'autorità, ambiziosi ma in modo meschino. Ansiosi di partecipare al Gioco. Il tipo di ragazzi che gli altri ragazzi pesterebbero volentieri, se la cosa non sembrasse tanto inutile e noiosa. E ora pensate alle versioni adulte del 2000 di quegli stessi ragazzi: uomini troppo poco simili a degli esseri umani persino per odiarli. Ciò che suscita la loro vista altro non è che una travolgente sensazione di disinteresse, il genere di profondo disimpegno che spesso è solo una difesa contro il dolore. Contro la tristezza. Di fatto è probabile che se così tanti di noi sono così poco interessati alla politica è proprio perché i politici moderni ci intristiscono, ci feriscono profondamente e in modi di cui è difficile persino trovare il nome, figuriamoci parlarne. È assai più facile alzare gli occhi al cielo e fregarsene".

Giacomo Lamborizio

http://www.paperstreet.it/cs/leggi/david-foster-wallace-considera-laragosta.html



Considera Simba. 
Il saggio “Forza, Simba” merita un’analisi più attenta, e non solo perchè è il migliore del lotto. Scritto per Rolling Stone e ripubblicato in forma digitale (senza tagli editoriali, ovviamente), è la cronaca di una settimana passata a stretto contatto con la carovana elettorale A.D. 2000 del senatore John McCain (si, l’attuale candidato alla presidenza) e con tutta la costellazione massmediatica che gravita attorno allo Straight Talk Express. E’ un esempio di “giornalismo politico”6 – e, si badi bene, DFW è l’antitesi del paludato notista politico medio – talmente limpido e cristallino che andrebbe fatto tatuare sulla pelle di ogni giornalista. Specialmente su quella dei nostri.

Wallace parte da questa premessa: la quasi totalità del dibattito politico è completamente inquinato dalla politica stessa, nel senso di essere totalmente ideologicizzato, “moralmente” assolutistico (Bianco/Nero, Giusto/Sbagliato, Buono/Cattivo), scarnificato ai minimi termini. 

La questione principale, a questo punto, è relativamente semplice: 

di quale politico ci possiamo fidare? 

McCain è genuino o è solo un politicante arrivista?

E’ un imprenditore che ha trovato la sua nicchia di mercato da riempire o è un vero leader?

DFW è al contempo affascinato dalla figura umana di McCain ed inquietato dalle sue idee politiche. L’autorità morale di McCain deriva principalmente dal suo passato di eroe di guerra in Vietnam. Ma è difficile parlare di sincerità/autenticità/attendibilità quando si è circondati di spin doctor, quando l’oscillazione perenne tra marketing e politica esplode in contraddizioni che effettivamente possono minare, con estrema facilità, l’autorità di questo o di quel candidato. Tutto dipende dal “grado di tolleranza alle zone grigie”; quel grigio che, in fondo, è la tonalità naturale della politica, la sua vera essenza.

Nella mente, quella scatola a Hoa Lo si trasforma in una sorta di speciale camerino con una stella sulla porta, il luogo privato dietro il palco dove uno immagina che ancora viva “il vero John McCain”. Ma il paradosso è che la scatola che rende McCain “reale” è, per definizione, chiusa. Impenetrabile. Nessuno può entrare né uscire. […] Un “ritratto” di John McCain non sarà mai altro che questo: un unica faccia, esterna, scomposta e diffratta da così tante lenti che alla fine di uomini da vedere ce n’è ben più di uno. […] Il paradosso finale è che il fatto che lui sia davvero “reale” dipende meno da ciò che c’è nel suo cuore da ciò che c’è nel vostro. Cercate di rimanere svegli.
http://www.laprivatarepubblica.com/considera-laragosta/






Vi siete mai chiesti come funziona la compilazione del palinsesto di una radio e, nello specifico, della “scaletta” di un programma radiofonico? Sarò onesto: io non me lo sono mai chiesto. 
Poi ho letto Considera l’Aragosta, questa raccolta di saggi di David Foster Wallace, e mi sono scoperto a ridere fino alle lacrime sentendo in macchina, qualche sera fa, una deejay inserire con nonchalance una comunicazione pubblicitaria all’interno di un discorso col quale essa aveva poco o niente a che fare. 

Wallace (e anche gli addetti ai lavori, credo), chiamano digressioni come questa “letture dal vivo”: l’ho scoperto leggendo Commentatore, il saggio forse più straniante tra quelli qui raccolti, se non altro per la sua struttura grafico-sintattica, nella quale le note, piuttosto che stare a piè di pagina, nello spazio che normalmente riserviamo loro, integrano finalmente il discorso al suo stesso interno, diramandosi come diagrammi di flusso all’interno della pagina, scorrendo accanto al testo principale, cui si riferiscono, in una pioggia di richiami che esplicita, finalmente, tutte le connessioni. 

Può bastare questo a fare di Considera l’Aragosta una vera “esperienza letteraria”, se non fosse che anche tutti gli altri saggi sono un susseguirsi di sorprese. La grande forza della saggistica dell’autore americano è sempre stata quella di essere in grado di raccontare le cose più disparate nel modo più elegante, intelligente (nel senso di vera e propria “finezza intellettuale”) e divertente possibile, incollando il lettore alla pagina come raramente accade con opere lontane dalla fiction e dalla narrativa. 

Così, sia che si tratti di un reportage sugli oscar del cinema porno che nasconde un’inattesa riflessione sul concetto stesso della recitazione (Il figlio grosso e rosso) o di considerazioni letterarie sull’ultima fatica di John Updike (La fine di qualcosa senz’altro, verrebbe da pensare) o sulla comicità nell’opera di Kafka (Alcune considerazioni sulla comicità di Kafka che forse dovevano essere tagliate ulteriormente), di tenniste alle prese con autobiografie sterili e prive di magia (Come Tracy Austin mi ha spezzato il cuore), dell’11 settembre (La vista da casa della Sig.ra Thompson) o della carovana che segue la campagna elettorale per le primarie repubblicane del 2000 di John McCain (Forza, Simba), sembra sempre che Wallace stia parlando a ciascuno di noi personalmente con la sconcertante capacità di coinvolgerci tutti quanti allo stesso tempo. 

Particolare ed universale: sono categorie che nella scrittura dell’autore americano hanno confini labili, e vengono costantemente e nei modi più impensabili a mescolarsi, avvolgersi l’un l’altra, compenetrarsi a dare una visione sempre nuova, sempre diversa del mondo com’è davvero fuori dal giardino di casa nostra. 

Perché nessuno dei nostri professori di liceo è mai riuscito davvero a farci capire in cosa consista l’ironia di Kafka e questo tipo ci riesce nel giro di una decina di pagine? 

Perché una dissertazione ed un’analisi estremamente complessa e molto erudita sul ruolo, la natura e lo sviluppo della lingua americana connesso al tessuto sociale e culturale del paese riesce a non annoiarci a morte, come ci capiterebbe senz’altro con un qualsiasi altro autore in un qualsiasi altro vero e proprio trattato di linguistica (leggere Autorità e uso della lingua per credere)? 

Vi siete mai chiesti se le aragoste provino dolore quando vengono bollite vive per la soddisfazione del nostro palato e, una volta fatto ciò, se si possa considerare moralmente accettabile infliggere a degli esseri viventi un tale supplizio per placare unicamente un nostro capriccio (Considera l’aragosta, il saggio che dà il titolo alla raccolta)? 

Ma soprattutto, perché Wallace parla dell’anticandidato John McCain e, con questo pretesto, della politica e della percezione della stessa a livello sociale e riesce magicamente a farti capire tutta una serie di cose e a sciogliere decine di nodi che si intrecciano nelle menti di noi tele-cittadini brutalizzati dai programmi tv con le tribune elettorali e strilli che neppure al mercato, e tutto questo senza essere mai, nemmeno per un secondo, pesante e “lontano” come i nostri giornalisti politici? 

Forse semplicemente perché Wallace non era un giornalista politico. 
Ne era anzi l’esatta antitesi, a ben pensare. Il suo punto di vista è spesso sorprendente perchè inatteso, sembra che sappia sempre attaccare il problema da una posizione che a me, a te e a milioni di altre persone non verrebbe nemmeno in mente di considerare, ma che quasi sempre si rivela la migliore o la più intelligente. 

Zadie Smith scrive che “Wallace ha semplicemente il genere di cervello che viene voglia di frequentare”, e probabilmente è vero. Ma ha soprattutto la grande capacità di mostrarci, ancora una volta, qualcosa che spesso non sappiamo vedere, che si tratti dell’America come davvero è in La vista da casa della Sig.ra Thompson, della grandezza di Dostoevskij in Il Dostoevskij di Joseph Frank, dell’autobiografia e della dimensione che compete allo sport e agli sportivi o, appunto, delle “zone grigie” della politica che ogni giorno manchiamo di riempire di senso affogandole nel disinteresse e nel qualunquismo. 

La lettura di questi saggi, oltre ad essere divertente e piacevole oltre la più fervida immaginazione, a tratti addirittura ben più di quanto non accadesse col pirotecnico Tennis, Tv, Trigonometria, Tornado e altre cose divertenti che non farò mai più, ti lascia la sensazione di “pesare di più” dopo essersi allontanati dalle pagine, per usare un’immagine dello stesso Wallace, indice evidente di un arricchimento, solo obiettivo al quale ogni letteratura deve mirare: arricchimento che significa nuove idee, nuovi stimoli, nuovi “punti d’osservazione” dai quali “studiare” le cose. 

Non c’è dettaglio, particolare o minuzia che sfugga all’occhio e alla penna di Wallace, e che non sia restituito in tutte le sue sfumature lungo queste pagine. Non che si pretenda di insegnare qualcosa a tutti i costi, questo no: ma se vi allontanerete dal testo ponendovi domande che prima non avreste mai nemmeno sognato di porvi, io credo che Wallace questo lo avrebbe considerato un vero successo. 

Domande, non risposte: come leggiamo in chiusura di Commentatore, l’ultimo dei saggi di Considera l’Aragosta, “quanto a me, sono più tipo da dubbi”. Ecco, sarebbe bello, a maggior ragione coi tempi che corrono, avere qualche dubbio in più e qualche assoluta e violenta certezza in meno.
http://eosblog.altervista.org/considera-laragosta-david-foster-wallace/




Il secondo è l’incipit di La vista da casa della signora Thompson, il saggio sull’11 settembre scritto per Rolling Stones (questo lo trovate anche qua, intero):

In autentico stile Midwest, la gente di Bloomington non è scostante ma tende a essere riservata. 
Può capitare che uno sconosciuto vi sorrida calorosamente, ma in genere non ci saranno chiacchere nelle sale d’attesa o in fila alla cassa. Adesso però, grazie all’Orrore, c’è qualcosa di cui parlare che è più forte di ogni inibizione, come se fossimo tutti lì e avessimo appena visto lo stesso incidente stradale. Esempio: orecchiato in fila alla cassa da Burwell Oil (che è una specie di Neiman Marcus delle stazioni di servizio con annesso piccolo supermercato — situato in posizione centrale di fronte alle due strade principali a senso unico, e con i migliori prezzi per il tabacco della città, è un tesoro municipale) fra una signora con un grembiule da cassiera della Osco e un uomo con una giacca di tela grezza tagliata alle spalle a mo’ di panciotto fatto in casa: — Coi miei ragazzi pensavamo che era un film tipo quello là, Independence Day, poi ci siamo accorti che era lo stesso film su tutti i canali —. (La signora non ha detto l’età dei figli).[…]"
(da "La Vista da casa della Sig.ra Thompson")





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