giovedì 20 ottobre 2016

Clarissa Pinkola Estés. I racconti sono, in uno dei sensi più antichi, un’arte curativa. Le lacrime sono un fiume che vi conduce da qualche parte. Il pianto crea attorno alla barca un fiume che porta la vostra vita-anima. Le lacrime sollevano la vostra barca al di sopra degli scogli, delle secche, conducendovi in un posto nuovo, migliore.

Clarissa Pinkola Estés


Le lacrime sono un fiume che vi conduce da qualche parte. 
Il pianto crea attorno alla barca un fiume che porta la vostra vita-anima. 
Le lacrime sollevano la vostra barca al di sopra degli scogli, delle secche, 
conducendovi in un posto nuovo, migliore
Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi,  
le prime righe di introduzione al capitolo: "cicatrici di guerra: il clan delle cicatrici". 


Amare significa stare con
Significa emergere da un mondo di fantasia in un modo in cui è possibile un amore sostenibile a faccia a faccia, un amore fatto di devozione. Amore significa restare quando ogni cellula dice: scappa! Poi si ritroveranno entrambi rafforzati , chiamati a una più profonda comprensione dei due mondi in cui vivono, uno terreno, l’altro dello spirito.
Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi


Ci siamo lasciate crescere i capelli 
e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti.
Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi 


Ringrazio, infine, l’odore dello sporco buono, il suono dell’acqua libera, gli spiriti della natura che accorrono sulla strada per vedere chi passa. Tutte le donne che sono vissute prima di me e hanno reso il sentiero un po’ più aperto e un po’ più facile.
Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi 


Riparare l’istinto ferito, bandire l’ingenuità, apprendere gli aspetti più profondi della psiche e dell’anima, trattenere quel che abbiamo appreso, non volgerci altrove, proclamare a gran voce che cosa vogliamo… tutto ciò richiede una resistenza sconfinata e mistica.
Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi 


Ovunque e sempre l’ombra che ci trotterella dietro va a quattro zampe.
Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi 


Quando si lotta per qualcosa di importante bisogna circondarsi di persone che sostengono il nostro lavoro. È una trappola e un veleno avere intorno persone che hanno le nostre stesse ferite ma non il desiderio vero di guarirle.
Clarissa Pinkola Estés 



Clarissa Pinkola Estés 
Indiana (Stati Uniti) 1943 - vivente

«Andate e lasciate che le storie, ovvero la vita, vi accadano, e lavorate queste storie della vostra vita – la vostra, non quella di qualcun’altro, riversateci sopra il vostro sangue e le vostre lacrime e il vostro riso finché non fioriranno, finché non fiorirete
Clarissa Pinkola Estés


Nasce il 27 gennaio da Cepción Ixtiz ed Emilio Maria Reyes, 
messicani di origine spagnola e indiana, in una cittadina rurale di 600 anime. 
Al momento della sua nascita i genitori, operai, lavoravano presso il confine tra Michigan e Indiana. 
Da loro impara a parlare spagnolo, ma per ragioni che non ha mai spiegato, viene data in adozione all’età di quattro anni e affidata a Maruska Hornyak e Joszef Pinkola, immigrati ungheresi che, come i genitori biologici, non sapevano né leggere né scrivere. 

Clarissa è circondata da persone provenienti da molte tradizioni diverse, in prevalenza americani cattolici di prima generazione e immigrati, da poco arrivati dall’Europa, depositari di molta conoscenza, passata attraverso le storie che avevano imparato. Clarissa è la prima della sua famiglia a finire le scuole elementari e già dalla prima infanzia viene formalmente consacrata a Lei, la Madre Benedetta «la più selvaggia tra le selvagge, la più forte tra le forti», attraverso La Sociedad de Guadalupe. 

Nella sua casa, in cui la televisione compare quando Clarissa aveva 12 o 13 anni, le tradizioni orali dei cantastorie europei sono parte della vita quotidiana, insieme alle urla, pugni e alterchi tra adulti in una famiglia segnata da alcolismo e violenza

Negli anni Sessanta, ancora giovanissima, emigra a occidente, verso le Montagne Rocciose. 
Qui vive tra gentili stranieri ebrei, italiani, irlandesi e molti altri che diventano amici e affini. 
Spinta dalle ricerche etnografiche continua la migrazione verso sud, attraversando la Panamericana, e ha la fortuna di conoscere alcune delle rare e antiche comunità di origine latinoamericana e di trascorrere del tempo anche con i nativi americani. 

Ha la possibilità di raccogliere storie «…ai tavoli delle cucine, sotto pergolati d’uva, nei pollai e nelle stalle, mentre impastavo tortillas, inseguivo animali selvaggi, ricamavo il millionesimo punto croce… Ovunque andassi, bambini, matrone, donne rugose, gli artisti dell’anima, spuntavano dai boschi, dalla giungla, dalle praterie per deliziarmi con gracchiamenti e versi…». 

Si forma come analista junghiana presso lo Union Institute di Cincinnati (OH), dove consegue un dottorato in etnopsicologia clinica, lo studio di modelli sociali e psicologici in gruppi culturali e tribali. 

Nel 1984 consegue un post dottorato presso The Inter-Regional Society of Jungian Analysts di Zurigo, Svizzera.

In quanto specialista in eventi traumatici lavora in molte carceri e istituti per la cura di bambini e madri feriti e traumatizzati, integrando l’uso delle storie e delle favole nella terapia
Perché «…i racconti sono, in uno dei sensi più antichi, un’arte curativa». 

Presta servizio durante il terremoto in Armenia del 1988, sviluppando un protocollo di recupero post-trauma, e successivamente ai tragici eventi della Columbine High School in Colorado. 
Continua a seguire le famiglie dei sopravvissuti dopo l’11/9. 

Già Marie-Louise von Franz, allieva e collaboratrice di C.G. Jung, esplorò l’espressione degli archetipi della fiaba

Clarissa va oltre, unendo l’arte alla conoscenza e alle tradizioni, la propria esperienza di vita alla passione latina e ai valori cattolici, raccogliendo una notevole mole di materiale attinto dal mondo delle fiabe e dei racconti popolari. Su tale base ha costruito una interpretazione psicoanalitica, enucleando una serie di archetipi di tipologie femminili utili per descrivere la psiche

È autrice di numerosi libri sulla vita dell’anima e del 1992 è quello che diventerà il suo libro più famoso, Donne che corrono coi lupi, tradotto in più di 40 lingue e best seller per oltre 145 settimane. 

In questo saggio raccoglie due decenni di esperienza, storie e riflessioni per indicare alle donne la via del viaggio interiore, attraverso il ricongiungimento con la Donna Selvaggia perché «le questioni dell’anima femminile non possono essere trattate modellando la donna in una forma femminile più accettabile per una cultura inconsapevole, né l’anima può essere piegata in una forma intellettualmente più accettabile per coloro che pretendono di essere gli unici portatori della consapevolezza… Piuttosto l’obiettivo deve essere riparazione e soccorso nei confronti della forma psichica naturale e mirabile delle donne. …Le tracce che noi tutte seguiamo sono quelle del sé innato e selvaggio». 

Cresce nel dopoguerra, in un’epoca in cui la donna veniva trattata come una bambina e come una proprietà, in cui non era tollerato un corpo felice o alcuna espressione artistica femminile

L’archetipo della Donna Selvaggia diventa un lavoro di ricerca quasi archeologica durato decenni, «nato con lo studio dei lupi, che con le donne sane hanno in comune talune caratteristiche psichiche: sensibilità acuta, spirito giocoso e grande devozione». 

Della sua vita privata si sa poco, a parte quello che lei stessa scrive. 
Se tanto si spende per gli altri su di sé è molto riservata. 

Non si sa se sia stata sposata e non ha mai citato nei suoi scritti amanti o compagni. 
È noto che ha tre figli e che in giovanissima età perse il suo primogenito «costretta a darlo in adozione… come altre madri che come me si erano arrese… perché povere, ignoranti, non supportate nella loro gravidanza…».

Non ha mai avuto esperienza di aborto, ma questa perdita l’ha segnata profondamente e continua a prendersi cura delle persone ferite dal post-aborto «nel tentativo di medicare chi è vittima di tale trauma».

Molti anni fa, durante un volo, conobbe Gwendolyn Brooks, poetessa contemporanea che già ammirava; da sempre citava la sua poesia, La Madre (1945).

«Parlammo per due ore….e fu chiaro che per un cuore saggio la perdita di una vita è comunque la perdita di una vita». 

Da sempre attivista nel sociale, è stata ammessa nel 2006 alla Colorado Women’s Hall of Fame ed è membro del consiglio del Maya Angelou Research Centre of Minority Health alla Wake Forest University School of Medicine. 

Si occupa di giustizia sociale anche attraverso il ruolo di giornalista e caporedattore di «The Moderated Voice», un blog che tratta di politica e informazione; tiene una rubrica sul «National Catholic Reporter». 

È fondatrice e direttrice della Guadalupe Foundation, una organizzazione per i diritti umani che tra le altre cose si impegna a diffondere via radio e stampa brevi storie per educare ed istruire su tematiche di igiene e salute le popolazioni africane. 

Insegna in tutto il mondo performance e narrazione, per insegnanti, assistenti e terapisti che vogliono imparare a comunicare usando strumenti antichi nelle società e istituzioni moderne. 

Nelle università insegna mitologia, psicologia archetipica delle donne e degli uomini, teatro e scrittura.


Fonti, risorse bibliografiche, siti
C.P. Estés, Donne che Corrono coi Lupi, Frassinelli 1993

C.P. Estés, Storie di Donne Selvagge, Frassinelli 2008

C.P. Estés, Forte è la Donna, dalla Grande Madre Benedetta insegnamenti per i nostri tempi, Frassinelli 2011

Il suo sito su Internet
AfterMidnight Writer.....Underground Writings of Dr. Clarissa Pinkola Estés

Elisa Cecchi
http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/clarissa-pinkola-estes/





Donne che corrono coi lupi -- Clarissa Pinkola Estés
L'incapacità di affrontare e sbrogliare la donna scheletro fa sì che molte relazioni falliscano. 
Per amare bisogna essere non solo forti, ma anche saggi. La forza viene dallo spirito. La saggezza viene dalla Donna Scheletro. La Donna Scheletro dimostra che vivere insieme accrescimenti e decrescimenti, conclusioni e inizi, crea un amore impareggiabile fatto di devozione. 
Il ritrovamento accidentale del tesoro.
In questo racconto il pescatore trova molto più di quello che si sarebbe aspettato.
Non si rende conto di sollevare il tesoro più allarmante che gli sarà dato di conoscere, più di quanto egli possa governare. Non sa di dover venire a patti, che tutti i suoi poteri saranno messi alla prova.
E' lo stato di tutti gli innamorati all'inizio: sono ciechi come pipistrelli
Restare inerti e limitarsi a sognare l'amore perfetto è facile.
E' una sorta di anestesia dalla quale potremo non risvegliarci mai.
E' compito dell'anima riconoscere il tesoro in quanto tale, indipendentemente dalla sua forma insolita, e riflettere sul da farsi. Talvolta anche gli innamorati all'inizio di una relazione cercano soltanto un po' di eccitazione, un pizzico di sedativo. Senza rendersene conto, entrano in una parte della psiche, propria o dell'altro, dove risiede la Donna Scheletro. Il pescatore pensa di cercare semplicemente di che nutrirsi, mentre in realtà fa risalire la natura femminile essenziale nella sua completezza, la natura Vita/Morte/Vita.
Una parte di ogni uomo e di ogni donna oppone resistenza al sapere che in tutte le relazioni amorose la Morte deve avere la sua parte. Fingiamo di poter amare senza che muoiano le nostre illusioni sull'amore, fingiamo di poter andare avanti senza che muoiano le nostre aspettative superficiali, fingiamo che le nostre ebrezze e i nostri impeti preferiti non moriranno mai. Ma in amore tutto, ma proprio tutto, viene accantonato e la persona dalla natura profonda e selvaggia è irrefutabilmente attirata dal compito. Che cosa muore? Muore l'illusione, muoiono le aspettative, la bramosia di avere tutto, il desiderio di prendere solo il bello, tutto questo muore.
Il pescatore della storia è lento nel rendersi conto della natura di quel che ha preso.
E' difficile rendersi conto di quel che si fa, quando si pesca nell'inconscio.
Laggiù vive la natura Morte.
Non appena scoprite con chi avete a che fare,
il vostro primo impulso è gettarla via.
Diventiamo come i padri che gettano le figlie in mare.
Le relazioni spesso vacillano quando passano dalla fase dell'anticipazione
a quella in cui bisogna affrontare quello che in realtà è preso all'amo.
Se gli amanti si ostinano in una vita di gaiezza forzata,
di perpetue piacevolezze o in altre forme di intensità micidiale,
se insistono con il lampo e il fulmine sessuale,
o nella corrente del dilettevole senza conflitti,
la natura Vita/Morte/Vita
torna dalla scogliera da cui viene gettata in mare.
Gli amanti che si ostinano a tenere tutto su una cima scintillante
vivranno una relazione sempre più ossificata.
Il desiderio di vivere l'amore nella sua forma positiva soltanto lo porta a un punto morto.
La sfida per il pescatore è affrontare Signora Morte,
il suo abbraccio, i suoi cicli di vita e di morte.
Senza di lei non può darsi una vera conoscenza della vita,
e senza questa conoscenza non può darsi né amore vero né devozione.
L'amore costa coraggio e resistenza a percorrere un lungo cammino.
Due persone iniziano la danza per vedere se va bene loro amarsi.
La Donna Scheletro viene accidentalmente presa all'amo.
Si iniziano a vedere le parti fragili e lese dell'altro,
o la sua inadeguatezza come trofeo.
Quando emerge la donna scheletro
si offre una vera opportunità di mostrare coraggio e conoscere l'amore.
Amare significa stare con.
Significa emergere da un mondo di fantasia 
in un mondo in cui è possibile un amore faccia a faccia.
Amore significa restare quando ogni cellula dice: "Scappa".
Al primo confronto con la Donna Scheletro
quasi tutti provano l'impulso di volare via come il vento.
Anche la corsa rientra nel processo,
ma la corsa non può durare a lungo, o per sempre....
Poi si ritroveranno entrambi rafforzati,
chiamati a una più profonda comprensione dei due mondi in cui vivono,
uno terreno, l’altro dello spirito.
Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi


La Donna Scheletro.
Aveva fatto qualcosa che suo padre aveva disapprovato,
sebbene nessuno più rammentasse cosa.
Il padre l'aveva trascinata sulla scogliera e gettata in mare.
I pesci ne mangiarono la carne e le strapparono gli occhi.

Sul fondo del mare,
il suo scheletro era voltato e rivoltato dalle correnti.
Un giorno arrivò in quella baia,
dove un tempo andavano in tanti, un pescatore.
L'amo del pescatore scese nell'acqua
e si impigliò nelle costole della Donna Scheletro.

Pensò il pescatore:
"Ne ho preso uno proprio grosso!"
Intanto pensava a quanta gente
quel grosso pesce avrebbe potuto nutrire,
a quanto sarebbe durato,
quanto tempo avrebbe potuto
restarsene a casa tranquillo.

E mentre stava cercando di tirare su quel gran peso attaccato all'amo,
il mare prese a ribollire, perché colei che stava sotto stava cercando di liberarsi.
Ma più lottava e più restava impigliata.

Inesorabilmente veniva trascinata verso la superficie,
con le costole agganciate all'amo.
Il pescatore si era girato per raccogliere la rete
e non vide la testa calva affiorare dalle onde,
non vide le piccole creature di corallo che guardavano dalle orbite

non vide i crostacei
sui vecchi denti d'avorio.

Quando si volse, l'intero corpo
era salito in superficie e pendeva dalla punta del kayak.
"Ah!", urlò l'uomo, e il cuore gli cadde fino alle ginocchia,
gli occhi per il terrore si nascosero in fondo alla testa,
e le orecchie diventarono rosso fuoco.

La gettò giù dalla prua con il remo,
e prese a remare come un demonio verso la riva.
Non rendendosi conto che era aggrovigliata nella lenza,
era sempre più terrorizzato perché essa pareva stare in piedi e seguirlo a riva.

Per quanto andasse a zig zag
restava li dietro ritta in piedi
e il suo respiro rovesciava sulle acque nuvole di vapore,
e le braccia si lanciavano in acqua come per afferrarlo.

Alla fine l'uomo raggiunse il suo igloo,
si lanciò nella galleria, e a quattro zampe penetrò all'interno.
Ansimando e singhiozzando giacque nell'oscurità,
con il cuore che batteva come un tamburo. Finalmente al sicuro.

Ma quando accese la lampada all'olio di balena,
eccola, lei era lì, ed egli cadde sul pavimento di neve
con un tallone sulla sua spalla, un piede sul suo gomito.

Non seppe poi dire come fu,
forse la luce del fuoco ne ammorbidiva i lineamenti,
o forse perché era un uomo solo.

Fatto sta che sentì nascere come un sentimento di tenerezza,
e lentamente allungò le mani sudicie e prese a liberarla dalla lenza.

"Ecco, ecco", prima liberò le dita dei piedi, poi le caviglie.
E continuò nella notte, e la coprì di pellicce per tenerla al caldo.
Cercò la pietra focaia e accese il fuoco.
Lei non diceva una parola - non osava -
perché altrimenti quel cacciatore l'avrebbe presa e gettata agli scogli.

All'uomo venne sonno, scivolò sotto le pelli e cominciò ben presto a sognare.
Talvolta, durante il sonno, una lacrima scivola giù dall'occhio di chi sogna,
quando c'è un sogno di tristezza o di struggimento.

E questo accadde all'uomo.
La Donna Scheletro vide la lacrima brillare nella luce del fuoco,
e d'improvviso sentì un'immensa sete.

Si trascinò accanto all'uomo addormentato
e posò la bocca su quella lacrima.
Quell'unica lacrima era come un fiume,
e lei bevve e bevve finchè la sua sete di anni non fu placata.

Frugò nell'uomo addormentato e gli prese il cuore, il tamburo possente.
Si mise a sedere e si mise a picchiare sui due lati del cuore.
 Mentre suonava si mise a cantare: "Carne, carne, carne!".
E più cantava più si ricopriva di carne.
Cantò per i capelli e per buoni occhi e per mani piene.
Cantò la linea tra le gambe, e il seno,
abbastanza grande da trovarvi calore,
e tutte le cose di cui una donna ha bisogno.

E poi cantò i vestiti, che si togliessero dal dormiente,
e scivolò nel letto con lui, pelle a pelle.

Rimise il suo cuore nel suo corpo,
e così si risvegliarono stretti uno nelle braccia dell'altra,
aggrovigliati dalla loro notte, in un altro mondo, bello e duraturo.



https://youtu.be/FCn22OxaAQA




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