Rapporto tra ragione e fede.
Emanuele Severino
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Severino: Buongiorno, sono Emanuele Severino.
Forse è più interessante sapere di che cosa dobbiamo parlare oggi, e cioè del rapporto tra ragione e fede. E' un grande tema, e l'accostamento ad esso ci sarà facilitato dalla scheda che ora vedremo e che poi brevemente commenteremo.
-Si visiona la scheda:
CANTORE: Ah, se il creato a noi si manifesta con la gioia esplosiva di una eterna festa, sarà di uno splendore inusitato, chi la vita ci ha dato.
DONNA: Lui studia Teologia e Victor Medicina.
UOMO: Avevamo giurato di non discutere di religione e di scienza durante il viaggio.
A parer mio questi studi di Andersen violano i nostri patti.
DONNA: Va beh, a me è piaciuto.
UOMO: Come fa un uomo moderno a perdersi dietro la Teologia? Lui non è del tutto stupido.
UOMO: Il tuo razionalismo non è altro che insoddisfazione, perché in fondo non sei del tutto idiota.
UOMO: Io dico che l'uomo moderno è consapevole della sua inutilità.
UOMO: E crede solo in se stesso e nella morte biologica.
UOMO: Tutto il resto è zero.
UOMO: Preghiamo Dio.
VECCHIO: Il mio confetto.
UOMO: Prima Dio. Pronti?
UOMO: Pronti.
UOMO: E tu?
VECCHIO: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome...
UOMO: Silenzio, silenzio, un po' di contegno. Su, cominciamo? Allora?
VECCHIO: Zero assoluto e tu?
UOMO: Un buco nell'acqua. E tu?
VECCHIO: Aspetta. Un cavolo.
UOMO: Che carognata. Non esiste.
UOMO: Non ancora.
LIV ULLMAN: Se riuscissimo ad essere sicuri e avessimo il coraggio di mostrare il nostro affetto. Se riuscissimo a credere.
-Finita la scheda, inizia la discussione:
Severino: I filmati sono molto interessanti.
In qualche modo indicano i possibili atteggiamenti che si possono avere riguardo al credere.
Il primo è molto tradizionale, è la convinzione che tra scienza e fede non ci possa essere conciliazione. Oggi le cose sono molto diverse perché tra scienza e fede si stabiliscono molti punti di contatto.
Il secondo è interessante perché in qualche modo è la risposta al terzo, cioè la domanda dell'attrice, - mi pare che sia Liv Ullman -, "Potessi credere", trova risposta nella constatazione di non vedere nulla da parte dei protagonisti del secondo pezzo.
STUDENTE: Abbiamo visto nella scheda due giovani discutere del rapporto tra ragione e fede oggi. Com'è cambiato nella storia il rapporto tra la filosofia e la fede?
Penso sempre che sia opportuno prendere le mosse dal modo in cui oggi la cristianità intende questo rapporto. Non perché non siano interessanti altre prese di posizione, ma perché la Chiesa oggi ha una forza che va presa in considerazione anche in quanto forza sociale, e non soltanto in quanto forza culturale. La teoria della Chiesa, soprattutto cattolica, risale agli inizi del pensiero cristiano.
C'è una linea che va da Tertulliano su fino a Dostoevskij, per cui la fede è il paradosso, la fede è ciò che è assolutamente altro dalla ragione.
Non è di Tertulliano l'espressione: "Credo qui absurdum", però esprime bene la posizione di Tertulliano: "Credo perché è assurdo".
Quando l'attrice del filmato diceva:
"Potessi credere", auspicava qualcosa di non assurdo, ma esiste questa linea perdente nell'ambito della cristianità ufficiale, la linea che accentua il carattere paradossale della fede.
Si potrebbe risalire all'apostolo Paolo, ma il discorso sarebbe lungo.
Invece teniamo fermo questo, da Tertulliano a Dostoevsksij.
C'è poi la linea vincente, quella che si aggancia ad una grande espressione di Paolo, per cui la fede è "rationabile obsequium". Dico spesso ai cattolici di non dimenticare questo carattere di razionalità che la cristianità cattolica intende dare alla propria fede.
E' un "sì" detto a Dio, ma secondo ragioni che non riguardano la ragione.
La ragione vuole essere qualche cosa di inconfutabile.
La fede ha bisogno di una rivelazione soprannaturale, perché, negli intenti della cristianità, la fede enuncia qualcosa che l'uomo con i propri mezzi non potrebbe mai raggiungere.
Allora si impone questa linea che chiamo vincente, la linea dei Padri della Chiesa e poi di Tommaso, che è tuttora importantissimo per il catechismo cattolico.
La tesi qui è che la fede non può essere in contrasto con la ragione.
Vorrei proporre questa possibilità, che la ragione sia anche Cesare, cioè il potere politico razionale. Allora la tesi della chiesa cattolica, - che poi sentiremo anche enunciata da un grande amico, che purtroppo è scomparso, padre Cornelio Fabro-, è che, se la ragione non può essere in contrasto con la fede, lo Stato non può essere in contrasto con la fede cattolica.
E di qui discendono conseguenze sulle quali varrà la pena di riflettere.
STUDENTESSA: Mi è sembrato di capire che la fede è in un certo senso paradosso, o ha delle ragioni che comunque non sono razionali.
Questa non è la posizione della Chiesa cattolica.
L'idea di paradosso appartiene all'altra linea, quella che dicevo di Tertulliano e Dostoevskij.
Dostoevskij, scrivendo ad una principessa russa, diceva:
"Se da una parte ci fosse la verità e dall'altra ci fosse Cristo, io sceglierei Cristo".
Questo è il carattere paradossale della fede, che non è quello della Chiesa cattolica, perché per la Chiesa cattolica, ma anche per certe chiese protestanti, la verità è congruente a Cristo. Cristo non si presenta come paradosso, ma come soprannaturale, non contro la ragione, ma sopra la ragione.
Credo che qui ci sia un nido di vipere, però mi pare di aver accantonato quella sua possibilità di fede come paradosso. Questa è la concezione di un certo modo di leggere Kierkegaard, ma non è la posizione di questa imponente istituzione sociale. Tra l'altro, dopo la crisi dell'Unione Sovietica, è rimasta la Chiesa cattolica a difendere la filosofia. Non voglio stabilire dei rapporti impropri, però sta di fatto che ieri c'era l'Unione Sovietica a difendere il carattere pratico e politico della filosofia.
Oggi è rimasta solo la Chiesa cattolica.
STUDENTESSA: La fede e l'ortodossia non esprimono comunque, allo stesso modo, il sentimento religioso dell'uomo?
Certamente no, ci può essere una fede ortodossa ed una fede non ortodossa, se per ortodossia intende la posizione ufficiale della dottrina della Chiesa. C'è tutta una gamma di atteggiamenti di fede che vanno in direzione assolutamente opposta a quella perseguita dalla Chiesa cattolica. Certamente non c'è opposizione tra fede e ortodossia. C'è fede ortodossa e, se ascoltiamo il racconto del Grande Inquisitore di Dostoevskij, c'è un'ortodossia senza fede, perché Dostoevskij diceva: "Le chiese non hanno più fede, hanno l'ortodossia, hanno la fedeltà al passato, ma non credono più a niente".
Dunque c'è uno sfasamento in più direzioni tra questi due termini che lei ha indicato.
STUDENTE: Se la ragione aiuta a comprendere meglio la dottrina, può potenziare la fede? E, in caso affermativo, ci può essere vera fede senza uno sforzo particolare dell'intelletto?
In proposito proporrei alla regia di mandare in onda quell'intervista che è stata fatta a Cornelio Fabro. Cornelio Fabro si è interessato parecchio del mio discorso filosofico. Ha scritto anche parecchi saggi e poi un libro, in cui chiaramente non potevamo essere d'accordo, perché Fabro è proprio un difensore della fede ortodossa, così come è espressa da Tommaso.
Cerchiamo di non perdere di vista il fatto che per la Chiesa c'è armonia tra fede e ragione.
Ora lei giustamente chiede: all'interno della fede, la ragione ha un peso ed un'incidenza?
Se consideriamo la risposta della Chiesa cattolica, certamente sì.
Però lei ha usato proprio l'espressione di Fabro:
"all'interno della fede".
E allora questa ragione, all'interno della fede, solleva molti problemi.
L'immagine della filosofia, o meglio della philosophia, è quella dell'ancella della teologia.
Però, dice Kant in uno splendido passo del Conflitto delle facoltà:
"Sì, ma è un'ancella che non segue la signora reggendo lo strascico, ma la precede reggendo il lume".
Invece, dal punto di vista della Chiesa, la ragione è all'interno della fede,
con la funzione di seguire la signora teologia, reggendo lo strascico.
-Si visiona il filmato.
INTERVISTATORE: Professor Fabro, Lei è uno dei massimi studiosi di Kierkegaard.
Il filosofo danese ha nettamente separato l'ambito della fede da quello della ragione.
La fede è paradosso, salto nel buio, la ragione è evidenza logica, dimostrazione.
Dunque la fede per Kierkegaard è una scelta contro la ragione?
FABRO: Dunque, in Kierkegaard, certamente alcune espressioni, frasi, formule, fanno pensare a questa forma di razionalismo, ma in realtà Kierkegaard nella grande postilla, e soprattutto nel diario, realizza il rapporto di ragione e fede più o meno sulla stessa base, sullo stesso indirizzo e orientamento di San Tommaso.
Ho scritto parecchie pagine, riportando i testi di Kierkegaard, chiari e tondi.
Kierkegaard dice:
"La ragione può, nell'ambito della fede, fare parecchio.
Primo, preparare il senso dei termini; secondo, prospettare le questioni nel loro movimento; terzo, concludere queste questioni". Quindi la ragione richiede uno spazio notevole.
Ma non mi sembra che Kiekegaard abbia una grande idea della forza e dei compiti della ragione.
-fine del filmato.
Severino: Sono molto d'accordo su quanto dice padre Fabro della posizione di Kierkegaard. Kierkegaard non è affatto quell'irrazionalista al quale siamo abituati, magari sulla scorta di certi manuali. Però avete sentito tutti che padre Fabro dice che la ragione può molto nell'ambito della fede.
Allora la questione è proprio qui:
una ragione che debba muoversi nell'ambito della fede non è quella ragione totalmente autonoma, che pure la cattolicità sostiene debba esserci. Cioè per la Chiesa la ragione deve essere autonoma. Se lei insiste su questo punto forse facciamo venire fuori quello che dal mio punto di vista interessa di più, cioè il nido di vipere di cui avevo parlato prima, a proposito del rapporto tra ragione e fede.
STUDENTESSA: Nell'intervista si parlava anche di San Tommaso.
Qual'è la Sua posizione a questo proposito?
Non ci può essere opposizione tra ragione e fede, dice Tommaso, e sono abbastanza d'accordo con Fabrosulla sua vicinanza a Kierkegaard.
Il motivo è che entrambe le cose provengono da Dio.
La ragione proviene da Dio, le verità di ragione provengono da Dio, e il kerigma, cioè la rivelazione, proviene da Dio. Quindi due verità che hanno la stessa fonte non possono essere in contraddizione tra di loro.
La domanda che ho sempre fatto alla cultura cattolica, ed alla quale a mio avviso questa cultura non ha ancora risposto, è questa:
questa tesi dell'armonia di ragione e fede è una affermazione della ragione o della fede?
Se il dire che c'è armonia tra ragione e fede è un atteggiamento di fede esso stesso, allora non si può escludere che, da un momento all'altro, emerga l'incompatibilità tra ragione e fede.
Perché la fede non è un'evidenza, non garantisce.
Paolo dice: la fede è "argumentum non apparentium", è l'argomento che la volontà umana dà alle cose che non appaiono, e quindi che non sono evidenti.
Se invece la tesi dell'armonia di ragione e fede è una verità di ragione, allora la fede perde quel carattere soprannaturale che essa intende avere, e cioè il messaggio di Cristo diventa filosofia.
Se la tesi dell'armonia di ragione e fede, ripeto, è una verità di ragione, allora il cristianesimo si tramuta nella superfilosofia, nella super-razionalità, smentendo quell'intenzione di soprannaturalità della quale parlavamo prima.
Ecco, questo sarebbe il nucleo da discutere.
STUDENTESSA: Quando si parla di ragione nell'ambito della fede, si può parlare di vera ragione?
O vengono posti comunque dei limiti?
E' quello che dicevamo prima, ho sottolineato proprio questo aspetto.
STUDENTESSA: E da cosa sono posti questi limiti?
Se continuiamo a parlare dal punto di vista della dottrina cattolica, questi limiti sono posti dalla fede, che è la protagonista che dice alla ragione: tu sei libera, però non puoi andare contro di me.
Allora succede proprio quello che stavamo dicendo prima:
una ragione che è libera, ma che non può oltrepassare i limiti stabiliti dalla fede, non è una ragione libera. Quindi alla fine ciò che decide è la fede.
E in campo politico - è questo il risvolto, a mio avviso, particolarmente interessante -, se la ragione autentica non può andare contro la fede, lo Stato autentico non può andare contro la fede.
Detto in parole povere: perché la Chiesa condanna divorzio, aborto, eutanasia, contraccezione?
Perché il concetto è questo: ciò che va contro la fede, non è semplicemente contro la fede, ma è contro la ragione umana.
Se noi sviluppiamo questo punto, arriviamo a questa conclusione, con la quale credo che il nostro mondo sociale dovrà fare i conti, che uno Stato razionale, uno Stato di ragione, un vero Stato, non può essere uno Stato che oltrepassa i limiti della fede, e quindi deve essere uno Stato conforme alla fede, cioè uno Stato cristiano.
Ma uno Stato cristiano è uno Stato solo se ha un sistema di leggi, la cui violazione implica la sanzione. Ma allora chi viola le leggi dello Stato deve essere perseguito socialmente e penalmente. Viene fuori lo Stato teocratico. Se lo Stato deve seguire la verità e se la verità è la verità di fede, allora chi pratica l'aborto, la contraccezione, eccetera, viola non semplicemente la fede, ma viola le leggi dello Stato, ed è perseguibile penalmente secondo queste leggi.
STUDENTESSA: Un individuo, nelle sue decisioni, deve sottostare ai valori che gli vengono imposti dalla religione, o può crearsi una propria etica decisionale?
Oggi, l'attenzione è richiamata soprattutto sulla fede cristiana, e quindi, come sempre accade, c'è una enfatizzazione a proposito della fede cristiana, che non è giusta. Perché quello che diciamo della fede cristiana lo dovremmo dire di tutte le altri fedi.
Anzi la fede cristiana ha questo pregio rispetto a tante altre fedi, di sapere molto bene in che cosa consista la propria struttura. Quando Paolo dice che la fede è "argumentum non apparentium", dà da pensare parecchio.
Ora noi siamo arrivati ad un tipo di mondo, in cui tutto è fede.
Quei due protagonisti del primo brano di Bergmann, sembrano l'uno il sostenitore della ragione e l'altro il sostenitore della fede.
Ma propriamente sono i sostenitori di due fedi.
Il primo non è il rappresentante della modernità, perché oggi il concetto di ragione non è quello che Bergmann sembra ammettere, una razionalità rigorosa senza cedimenti.
Oggi la scienza di sé dice:
"non sono una verità voluta, sono un sapere ipotetico".
Quindi l'urto tra ragione e fede, oggi che esiste un tipo di scienza di questo genere, è molto meno traumatico di quello che poteva essere, per esempio, l'urto di una filosofia di Spinoza o di un aristotelico non credente, cioè una filosofia in senso duro, in senso di verità incontrovertibile.
Oggi questo scontro non è più così drammatico, perché si tratta dello scontro tra due fedi.
Ma sono fedi anche la democrazia, anche capitalismo.
Einaudi diceva:
"Ma la democrazia è un mito, però è un mito che serve,
ha questo vantaggio di far contare le teste, invece che tagliarle".
Ma contare le teste e dire:
" la verità è data dalla maggioranza",
è una convenzione, un mito.
Quindi è un mito il cristianesimo, ed è un mito la democrazia.
Si sta rendendo conto, anche il capitalismo, di essere un mito.
Oggi il capitalismo non è più il patrio capitalismo delle leggi bronzee, oggi il capitalismo sa di essere una procedura economica aperta alla crisi, quindi sa di essere fede.
Sa di essere fede perfino la scienza.
E allora nasce lo scontro tra le fedi.
L'individuo non può avere la forza intellettuale di avere un suo modo di pensare indipendentemente dalle grandi convinzioni religiose, dalle grandi convinzioni culturali che ci sono in circolazione.
L'individuo è plongé, è immerso in queste convinzioni.
Quindi l'individuo di cui parla lei è un individuo tirato da tutte le parti dalle grandi fedi che si scontrano.
E come decidono il loro scontro?
Ormai in base al criterio della forza.
Se la situazione è questa, se stiamo alla communis opinio,
allora l'individuo andrà là dove esisterà la fede che riesce a catturarlo con più forza delle altre fedi.
Ma non si dovrà parlare di razionalità della fede vincente.
Una fede è vincente non perché ha più ragione delle altre, ma perché ha più forza delle altre, perché riesce a convincere di più, dove la forza non è semplicemente la forza bruta, ma è anche la capacità di convinzione.
STUDENTE: Se lo Stato si fonda su una ragione prettamente laica, e la religione invece su una ragione vincolata alla fede, come trova giustificazione la teocrazia?
Dal punto di vista della democrazia moderna, della concezione moderna dello Stato, non ha nessuna giustificazione. Prima accennavo alle conseguenze inevitabilmente teocratiche della teoria apparentemente innocente dell'armonia di ragione e fede. Quindi, dal punto di vista della cultura moderna, la cultura teocratica è una forma di assolutismo razionale e politico.
Chi crede di avere la verità assoluta, vuole imporla anche agli altri.
STUDENTE: Lei non pensa che uno Stato laico debba essere completamente svincolato da questioni di fede, da problemi religiosi?
In America è successo questo.
Il presidente Jefferson ha detto:
signori miei, le vostre convinzioni religiose tenetevele in casa, lo Stato deve procedere indipendentemente dalle convinzioni religiose.
Oggi c'è anche un filosofo americano Richard Rorty, che dice:
"Ma anche la filosofia è pericolosa, teniamocela tra le mura domestiche.
Facciamo politica indipendentemente dalle convinzioni filosofiche".
Quindi niente religione, niente filosofia in uno Stato laico.
Questa è la tendenza che va prendendo piede.
Quando prima accennavo le conseguenze pratiche della dottrina cattolica, non accennavo a qualche cosa che è destinato a prevalere su altre posizioni, ma a qualche cosa che è destinata a entrare in conflitto con le concezioni laiche dello Stato. Sono profondamente persuaso che la laicità oggi è trionfante, anche se la laicità è un'altra forma di fede.
STUDENTE: Ma non è impossibile per un fedele che il campo della ragione di fede non invada quello della ragione di Stato?
Certo. Questo è anche il consiglio che l'attuale Pontefice ha dato. Ha detto:
l'uomo è uno. E' insieme cittadino e fedele.
E' proprio il discorso che facevamo prima:
in quanto fedele non può comportarsi da cittadino, contrariamente alla propria fede.
Pensa al problema della scuola privata.
La scuola privata, che dovrebbe essere la vera scuola di Stato dal punto di vista della chiesa, è una scuola che non può impartire insegnamenti contrari alla verità cristiana. Ecco, non penso che questa sia la direzione vincente, anche se oggi il cristianesimo, e soprattutto il cattolicesimo, crede di essere in rimonta. E' una fase transitoria della rimonta, di questo pur grande atteggiamento culturale, che è il cristianesimo.
STUDENTESSA: Rimonta su cosa?
Rimonta rispetto a quello che il cattolicesimo era trenta o venti anni fa, quando era più visibile, ed i max media diffondevano, molto più di oggi, la convinzione che abbiamo sentito dire dal protagonista laico del primo filmato di Bergmann. Venti o trent'anni fa la percezione era di un tramonto, uniformemente accelerato, del cristianesimo. Oggi si capisce che le cose non stanno così e, al contrario di quelli che parlano di una rimonta, il sottoscritto parla invece di una linea sinusoidale, cioè con delle punte di salita, in un contesto di generale discesa. Il processo di desacralizzazione del mondo tradizionale è un processo non smentibile, ma che ammette rimonte, che però sono provvisorie. Oggi, per esempio, noi stiamo vivendo una rimonta di questo genere.
STUDENTE: Ma Lei non pensa che, soprattutto nel Meridione, sia il contrario, cioè che sia la sacralità ad avere una rimonta?
Sto proprio dicendo questo. Sto parlando delle rimonte della sacralità. Il sacro, che globalmente percorre un cammino in discesa verso la desacralizzazione, va incontro a momenti provvisori di risalita.
STUDENTESSA: Ma la desacralizzazione, per quanto riguarda il cristianesimo, porta ad esempio a favorire altre religioni?
No. Penso che tutte le religioni debbano fare i conti con la tecnica.
La tecnica oggi è la forza vincente, è la fede vincente, è quella che convince tutti, perché fa vedere in concreto quello che la religione promette.
Oggi non è più la "fede che muove le montagne",
oggi è la tecnica che muove le montagne.
Però è singolare il fatto che la fede religiosa e la tecnica si esprimano con lo stesso cifrario, per cui la validità di entrambe consiste nella capacità di muovere le montagne. Cioè, sia la razionalità scientifico-tecnologica, sia la fede, hanno quella forma di volontà di potenza che stravolge, per esempio, il significato di quel bellissimo quadro di Duhrer, dove c'è l'innocenza di Gesù contrapposta alla violenza, alla dissacrazione.
Oggi tutti i volti hanno la fisionomia della volontà di potenza.
Anche il volto di quella che è stata chiamata la Chiesa dei Santi.
Lì c'è Gesù che rappresenta la Chiesa dei Santi, e attorno ci sono i Sapienti, che possono rappresentare la razionalità laica oppure la Chiesa di Pietro. Oggi sta venendo alla luce che sia la fede religiosa, sia la fede della razionalità moderna, è volontà di potenza, capacità di muovere le montagne. Rispetto ai satelliti, rispetto alla dominazione planetaria, salvare in eterno l'anima è un atto di superpotenza.
STUDENTESSA: Infatti, anche nel corso della storia è stato dimostrato questo. La forza di chi voleva salvare le anime, alla fine, è sempre stata una forza vincente all'interno dello stato, all'interno del corpo.
Ecco, qui si aprirebbe il discorso sul senso di questa figura della volontà di potenza, che è strettamente vicina alla volontà di violenza. Qui andiamo a quello che, a mio avviso, è il tema più importante.
Cioè anch'io preferisco vivere in un mondo guidato dalla carità di Francesco, piuttosto che dalla violenza e dalla criminalità internazionale.
Anch'io preferisco e lo preferiamo tutti.
Però le nostre preferenze non hanno importanza quando si tratta di decidere come stanno le cose.
La carità cristiana, la carità cristiana intende servirsi della tecnica, ma è una volontà di potenza, così come è una volontà di potenza la tecnica. Non so se ho risposto.
STUDENTESSA: Io volevo tornare a delle cose che Lei ha detto prima.
La dottrina è l'argomentazione, diciamo così, razionale, logica di alcuni precetti della chiesa.
Allora, come Lei ha detto prima, nella chiesa oggi prevale più la dottrina che la fede.
Ma se vinceranno, vinceranno comunque quelle fedi capaci di portare a sé il maggior numero di persone, tutto sommato alla chiesa oggi non converrebbe insistere più sulla fede incondizionata che sulla dottrina, sull'argomentazione razionale?
Giacché a me sembra che la gente non abbia più interesse tanto a pensare?
Cioè?
STUDENTESSA: Vuole qualcosa di preciso, di certo, adesso.
Guardi che volere qualcosa di preciso è la forma migliore per pensare.
Quindi, se la gente fosse vero che vuole qualcosa di preciso, avremmo a che fare con della gente che è inesistente, gente che vuole pensare.
Il fatto è che la gente non vuole proprio più niente di preciso.
Ondeggia nel mondo dei mass-media, delle immagini.
Magari la gente, i giovani, avessero a volere qualcosa di preciso. Ma sa c'è poco.
Non è che noi dobbiamo augurarlo.
Quando domani noi ci troveremo a che fare con una concorrenza internazionale, per la quale se noi non saremo capaci di lavorare verranno qui a lavorare i giovani degli altri paesi e la classe dirigente qui non sarà la nostra, ma sarà quella degli altri e allora per forza di cose, non per una predica, la gente, i giovani cominceranno a volere qualcosa di preciso, perché o si vuole qualcosa di preciso o non si mangia.
Quindi credo poco nella virtù delle prediche.
Si arriverà a volere qualcosa di preciso, anche per quello che dicevamo prima, perché la tecnica fa piazza pulita delle forme imprecise di razionalità. Ma, signorina, non è che io prima dicessi che nella chiesa c'è una prevalenza della dottrina rispetto alla fede. La chiesa, all'apparenza, vuol tenere ferma e la ragione - la chiesa cattolica, -, e la ragione e la fede. Poi tirate le somme per quell'argomentazione, che non so fino a che punto sono stato capace di esprimere, tirate le somme si vede che da ultima è la fede che domina all'interno della chiesa cattolica e che quindi la ragione, come abbiamo detto più volte, è una ragione sottomessa, è l'ancella che regge lo strascico.
STUDENTE: Lei non pensa che a proposito la religione possa essere per i giovani rifugio per questa mancanza di fini, di scopi e di ideali precisi?
Dunque, credo, e credo qualcosa di più che non credere.
La formula "credo di credere" l'ho usata trent'anni fa quando, quando,
intendevo dire che la fede è un desiderio, non è che riusciamo a credere.
Liv Ullman, quando chiede:
"Magari riuscissi a credere", chiede l'impossibile.
Ma questo volevo dirlo per non lasciare in sospeso un punto, che avevamo toccato prima.
Ma credo che le cose più intelligenti che le attuali masse occidentali pensano sono quelle insegnate loro dal catechismo.
Rispetto alla maggioranza, alla prevalenza di lavoro stupido, ripetitivo, nel quale la maggior parte delle persone passa il proprio tempo, i propri anni e la propria vita, allora questi pensieri del catechismo, in cui si pensa il mondo, il rapporto del mondo con un principio assoluto fondatore, la necessità che l'uomo agisca guardando qual'è il senso del mondo, allora credo - e anche più che credo - che questi siano i più grandi pensieri toccati all'inizio dalla gran parte delle persone del mondo occidentale, e poi abbandonati.
E quindi da questo punto di vista, l'educazione religiosa è un qualche cosa che sarebbe stupido lasciare da parte. Però c'è la tendenza del nostro tempo a vedere l'impossibilità di tenere fermi i valori della tradizione. Potremmo esprimere con una metafora quello che intendo dire. Ci troviamo in una situazione in cui loro sanno come fanno i trapezisti, dunque, c'è il momento in cui un trapezista molla la presa per essere afferrato dal suo partner. Noi stiamo, siamo i trapezisti, che si trovano nel momento in cui hanno perduto, hanno lasciato la presa della tradizione, dei valori, la grande tradizione cristiana, e si trovano sospesi, senza rete, in un momento in cui ancora il partner della tradizione non ha ancora afferrato la loro mano.
E questo partner è la razionalità tecnologica, sono i valori della razionalità della scienza moderna.
Allora i pericoli che noi oggi stiamo attraversando sono i pericoli di questo mondo di sospensione.
In questo momento di sospensione aver lasciato continuare nel processo in cui si va lasciando la presa, certo, provoca disorientamento. Oggi sta accadendo che le masse si rendano conto dell'addio che la cultura contemporanea ha dato al grande mondo tradizionale. Perché, se non teniamo presente questo, non capiamo nulla.
La scienza, la filosofia, la letteratura, ma soprattutto la filosofia, dice addio al passato.
E quando era Nietzsche o qualche altro intellettuale, il quale poteva anche uccidersi o spararsi o diventare matto, ma oggi questo addio, questo tremendo addio ai valori del passato, senza che ancora ci si sia attaccati alla nuova presa, vivere questo momento significa vivere lo sbando in cui direi che da tutti è percepito. Lo sbando, il disagio, lo smarrimento, la paura in cui si trovano soprattutto le masse occidentali, perché le masse guidate dall'islamismo, eccetera, si trovano in una posizione di maggior sicurezza, perché più arretrate rispetto alla nostra. Noi siamo più avanzati e quindi esposti a un maggior pericolo. Nel frattempo sì, chi resta ancora attaccato al vecchio sostegno, può sentirsi sicuro, più sicuro, ma il movimento è quello in cui lui dovrà andare dall'altra parte.
STUDENTESSA: Vorrei ritornare alla discussione di prima sul rapporto tra religione e stato. Prendiamo ad esempio l'Islam, che è una regione che comunque influenza tutta la sfera, diciamo così, sociale dell'uomo. L'Islam è anche, diciamo, legge politica. Quindi è nata proprio come una religione, diciamo, che invade tutti gli aspetti della vita dell'uomo.
Invece il cristianesimo dovrebbe in teoria avere semplicemente un potere spirituale sulla terra.
Invece la storia ci insegna che l'istituzione del cristianesimo, cioè la chiesa, ha cercato nei secoli, di aumentare, di accrescere il suo potere politico. Non è, secondo Lei, più pericoloso amare una religione del genere, che ufficialmente, in qualche modo dichiara di limitarsi ad avere un potere spirituale e che invece insomma anela alla conquista di un potere temporale?
E' più pericoloso certamente per la laicità.
Metterei in guardia anche da qualsiasi tentazione, anche se c'è qualche precedente, ad esempio, con il puro serio filosofo, Garaudy, che era un comunista francese.
Garaudy, che passò dal Cristianesimo all'Islam, ma non so.
Era bravo perché era Garaudy, ma non perché è passato all'Islam, perché l'islamismo, a parte la forte vicinanza con il cristianesimo, è quell'integralismo che la dottrina cattolica intende evitare, ma che è costretta ad assumere.
Allora lei dice: è più pericoloso questo mascheramento dell'esito ultimo che non un integralismo dichiarato. Sì e no, perché l'integralismo dichiarato può permettersi quell'espressione di violenza che abbiamo sotto gli occhi. Il tentativo di mascherare ha un'intenzione, per la quale io non abbandonerei mai il cristianesimo per l'Islam, non nel senso che io sia cristiano, ma dico, non vedrei giustificato l'atteggiamento di un individuo che avesse ad abbandonare il cristianesimo per l'Islam, perché c'è almeno quell'intenzione di non integralismo che ha i suoi effetti nella vita sociale. Quindi se prima abbiamo accentuato i pericoli del cristianesimo, e del cattolicesimo in particolare, non commettiamo l'ingiustizia di non tenere conto delle intenzioni. E' vero che l'inferno è lastricato di buone intenzioni, però le intenzioni contano. C'era Eraclito che diceva che il mondo è fatto anche dai dormienti. Il mondo reale è fatto anche dalle buone intenzioni, le quali, sì, non sono fatti reali, però hanno un certo peso politico.
STUDENTESSA: Scusi, la politica della Chiesa, è una politica, diciamo così, che nel reale, si distanzia da quella che è il fine del cristianesimo, mentre l'islamismo...
Questo non deve far pensare che dunque ogni aspetto del cattolicesimo sia criticabile.
No, dico, il cattolicesimo possiede delle intenzioni di amore, di fratellanza, che non sono possedute dall'Islam e che sono più possedute d'altra parte, per esempio, dal buddismo.
Il buddismo..., non che io sia un fan del buddismo.
Le intenzioni hanno una funzione reale.
E' chiaro che hanno una funzione reale all'interno del, beh diciamola la parola, del veleno, perché prima, quando stavo rispondendo al suo compagno, intendevo dire che oggi si vuole guarire l'uomo con la buona volontà, e, per esempio, la buona volontà cristiana. Però se anche la fede è una volontà di potenza, allora sarebbe come voler guarire un avvelenato somministrandogli una pozione inferiore di veleno. Quindi io sono d'accordo, se ho capito bene, con lei che non vuole che ci sia il veleno in circolazione, però stavo sostenendo che, la volontà di somministrare una pozione inferiore di veleno è diversa dalla volontà di chi riempie di veleno una brocca e te la somministra, come avviene ad esempio nell'Islam.
STUDENTESSA: Le volevo dire che io non sono d'accordo con quello che ha detto Lei, in quanto penso che comunque i valori, i valori che ha il cristianesimo li possiamo trovare anche nel Corano e quindi anche nella religione islamica e comunque la quantità di veleno che dà l'integralismo islamico è la stessa che la chiesa cattolica, con una politica abbastanza subdola, cerca di mettere in circolazione, di somministrare.
Perché dice di non essere d'accordo con me?
Mi pare che abbiamo detto la stessa, le stesse cose.
STUDENTESSA: Perché Lei prima ha detto che nel Cristianesimo ci sono valori di fratellanza, io stavo parlando prevalentemente della chiesa, quindi dell'istituzione che si è fondata sulla religione, come l'integralismo è comunque una degenerazione della religione, non è proprio della religione in se stessa.
Io tornerei a dire che non vedo nel cattolicesimo l'intenzione soggettiva da parte, diciamo, della classe dirigente, se possiamo usare questa espressione, l'intenzione soggettiva di inoculare il veleno.
Perché? Ma perché la fede cristiana non sa in che cosa consiste il proprio veleno, non sa in che cosa consista la propria negatività, non sa di essere volontà di potenza, volontà di potenza nel senso di volontà di violenza. La fede intende essere carità. E' proprio in questi dolci concetti della carità e dell'amore che si cela il nido di vipere.
Ma l'intenzione dei protagonisti e della ecclesia docens, della chiesa docente, non è quella negativa che si può prospettare nei suoi termini. Il grave è che, nonostante l'intenzione positiva della chiesa, le conseguenze oggettive sono quelle per le quali la fede è la volontà che il mondo abbia un senso piuttosto che un altro. Allora, a un certo momento, quando questa volontà si distribuisce tra fedi diverse, fino un certo momento le fedi dialogano tra di loro, ma quando lo scontro tra volontà non tollera più il dialogo, allora lo scontro diventa violenza, diventa lotta, diventa guerra. Ecco con questa scansione tra intenzione soggettiva e conseguenza oggettiva.
analisi del tema “argumentum non apparentium”.
la fede è:
“argumentum non apparentium”,
è cioè l’argomento che la volontà umana dà alle cose che non sono di per se stesse evidenti.
La Lettera agli Ebrei, dell'apostolo Paolo, dice che la fede è pragmàtón élenchos ou blepoménón (11, 1-2). La vulgata traduce così: argumentum non apparentium. «La fede è l'argomento [élenchos] delle cose che non appaiono.»
La fede - quella fede che ci deve essere affinché l'uomo sia salvo, secondo quanto pretende Gesù - è argumentum [élenchos] non apparentium.
La parola greca élenchos (la parola che domina il libro IV della Metafìsica di Aristotele) significa "prova", "giustificazione", "fondazione", "argomento".
Argumentum è legato ad àrgos, "splendente"; anche noi diciamo "argento"); è cioè il brillare dell'argon, la luminosità di ciò che àrgon. L'argomento è il portare luce.
Ma Paolo afferma che la fede è argumentum «delle cose non visibili» (ou blepoménón), argumentum non apparentium.
Agostino dice che le «cose non visibili» (i non apparentia ) sono tutte quelle cose che absunt a sensibus, «sono assenti dai sensi» (De videndo Deum, epist. CXLVII).
Ma lo stesso Agostino e poi Tommaso precisano il senso di questa assenza:
i non apparentia, cioè gli invisibili, i non manifesti, non sono soltanto gli absentia a sensibus animi, cioè quelle realtà che sono semplicemente assenti dalla sensibilità, ma sono soprattutto ciò che sfugge alle capacità del pensiero dell'uomo -, le cose che sono assenti dai sensi dell'animo (absentia a sensibus animi) e che, dice Tommaso, «oltrepassano le capacità dell'intelletto», excedunt facultatem intellectus.
Questi sono gli invisibili:
gli enti che «eccedono», stanno al di là delle possibilità della ragione umana.
La fede è argumentum non apparentium.
Non apparentia sono gli invisibili, gli assenti - ossia ciò che è invisibile non semplicemente nella dimensione della sensibilità, ma nella luce della sophia, nella luce della filosofia.
La fede conferisce ai non apparentia Varqumentum.
Ossia la fede è ciò per cui i non visibili, pur essendo tali, sono accettati, affermati, creduti.
Il non visibile per eccellenza è la divinità di Gesù.
Che Gesù sia Dio, non solo è assente dalla sensibilità, ma è assente dalla sapientia huius saeculi (Corinti, I, 2, 6) - un'altra espressione, questa, con cui Paolo indica la filosofia.
L'argumentum che la fede conferisce ai non visibili è dunque qualcosa di completamente diverso dalla luminosità dell'élenchos, dell'argumentum che rende episteme la sophia, che rende stante (episteme vuol dire lo "stare" dell'innegabile) il visibile. L'argumentum di cui parla Paolo è qualche cosa di completamente diverso dal fondamento epistemico.
Di fronte al non visibile la fede dice:
«Ecco, tu sei vero, perché io ti voglio vero.
La mia volontà che tu sia vero è il tuo argomento».
La mia volontà determina quell'assenso, al tuo contenuto visibile, che l'intelletto, propriamente, dà alla verità, al contenuto visibile. Volendo quell'assenso, voglio che tu sia vero.
La fede tratta come visibile ciò che invece è avvolto dall'oscurità.
La parola "oscurità" non è una metafora impropria:
l'oscurità è la condizione che sottrae allo sguardo dell'uomo i non visibili.
L'oscurità, la notte, fa sì che i non visibili (il contenuto del messaggio evangelico) siano tali.
L'apostolo Paolo sa bene che l'argomento della fede è diverso dall'argomento della verità filosofica.
Nella prima Lettera ai Corìnti (2, 1) dice:
sono venuto non in sublimitate sermonis, «non ponendomi al culmine della ragione».
Il testo greco dice: ou kath'hyperochèn lógou. La hyperochhè è l'altura, l'altura luminosa della ragione e della verità. L'epi-stéme sovrasta ciò che vorrebbe travolgerla, stando sull'altura luminosa della verità. (Hyper-ou corrisponde a episteme.) Vengo - dice l'apostolo - collocandomi non sull'altura della verità e della filosofia, ma in infirmitate et timore et tremore multo (2, 3).
Questo venire in infirmitate et timore et tremore multo è proprio quell'"esitare" che Gesù esige che, almeno una volta, non ci sia, affinché l'uomo sia salvo.
Gesù dice: Se vuoi esser salvo, non devi esitare, almeno una volta.
Paolo invece dice:
Vengo in infirmitate et timore et tremore multo, cioè nell'infermità, nel timore e nel tremore da cui è afferrato l'uomo quando non si trova sull'altura luminosa della ragione (lògos ), e con i quali e attraverso i quali gli si presenta il mondo e tutto ciò in cui egli crede e quindi anche il messaggio di Gesù. Cioè vengo esitando.
Certamente, Paolo non intende smentire la richiesta di Gesù; ma si tratta di rendersi conto che in effetti la smentisce.
La fede è l'argomento dato ai non visibili.
Ma i non visibili stanno dinanzi come annunciati:
non ci può essere fede, se non c'è l'annuncio (il "messaggio", il kérygma) dei non visibili.
L'apparire del kérygma è cioè la condizione dell'esistenza della fede.
Il kérygma non è i non visibili.
Il kérygma è il linguaggio che nomina i non visibili.
Esso è visibile; è, appunto, linguaggio; è quel visibile che nomina i non visibili e dice:
Dio si è fatto carne.
Questa parola appartiene ai visibili; ma il contenuto della parola - ciò a cui la parola si riferisce -è un non visibile. La notte avvolge i non visibili, i non apparentia. La loro natura è opposta a quella dei visibili che appaiono nell'episteme.
Episteme è il contenuto che sta e non si lascia smentire.
Il suo essere saphés, visibile e luminoso, è la condizione del suo stare.
Paolo sa bene che non di questo si tratta, quando il kérygma parla dei non visibili:
i non visibili sono sì annunciati dal kérygma, ma sono avvolti dall'oscurità della notte, cioè dalla condizione che li rende invisibili. Stanno cioè lì dinanzi, nel linguaggio che li annuncia, come ciò che può essere smentito, stanno lì dinanzi come equivalenti alla loro negazione. A questa equivalenza non può rinunciare nemmeno la teologia cristiana: se questa equivalenza non ci fosse, il contenuto del kérygma sarebbe una verità razionale, il cristianesimo diventerebbe gnosi, razionalizzazione del messaggio sovrannaturale di Gesù e della Chiesa. Cadrebbe la sovrannaturalità dell'annuncio.
L'annuncio in cui si ha fede, dice Tommaso, sta al di sotto della "scienza" (cioè appunto perché il suo contenuto è invisibile, non possiede la perentorietà dell'episteme (la perentorietà che l'episteme intende attribuirsi).
Dunque, se la fede conferisce l'argumentum al visibile annuncio degli invisibili, se essa vuole affermare ciò che di per sé è negabile dal punto di vista della sophia e dell'episteme, e che dunque sta nell'oscurità della notte, è allora necessario che, affinché la fede esista, appaia la notte in cui si alza la voce dell'annuncio; è necessario che appaia la notte che rende invisibili gli invisibili.
L'apparire della loro oscurità - che l'argumentum della fede vuole luminosa come la luce del giorno - è la condizione affinché la fede possa esistere. Per volere che qualcosa divenga e sia altro da ciò che esso è, esso deve apparire per quello che è; per volere che gli invisibili abbiano l'assenso che spetta ai visibili è necessario che essi appaiano per quello che sono, cioè come invisibili, come oscurità e notte.
La fede conferisce un argumentum alle cose non visibili annunciate dal kérygma, e può farlo solo se esse appaiono come bisognose di tale argumentum, e cioè come non visibili, e dunque smentibili, controvertibili, negabili.
Il kérygma, a sua volta, può parlare delle cose non visibili solo in quanto appare l'oscurità che le rende invisibili; cioè la notte deve apparire affinché l'annuncio, e quindi la fede, sia possibile.
da EMANUELE SEVERINO, Pensieri sul cristianesimo, Rizzoli Bur
https://antemp.com/2013/03/29/fede-e-fedi-argumentum-non-apparentium/
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