«Non faccio niente senza gioia», dice Montaigne.
Oggi, al contrario: facciamo tutto senza gioia.
E basterebbe fermarci ad osservare e considerare CHE COSA È, per i più, la vacanza, quei giorni che dovrebbero essere di libertà e di riposo, in cui rinfrancarsi, in cui ritemprarsi, in cui far tutto con gioia. Un andare, invece, come foglie che trasportate dalla corrente e che andando si aggregano, si infittiscono, fanno vortice, si ingorgano; e poi fradice e macerate tornano a sciogliersi, a risalire faticosamente la corrente, a disperdersi — e cioè finalmente, ciascuno in se stesso, a ritrovarsi: sicché la vera vacanza effettualmente consiste nella fine della vacanza.
Leonardo Sciascia, Cruciverba
DELL'UNITÀ DI LINGUAGGIO E PENSIERO
«Posso permettermi una domanda?
Nei componimenti d'italiano lei mi assegnava sempre un tre, perché copiavo.
Ma una volta mi ha dato un cinque: perché?».
«Perché aveva copiato da un autore più intelligente».
Il magistrato scoppiò a ridere. «L'italiano: ero piuttosto debole in italiano.
Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica».
«L'italiano non è l'italiano: è il ragionare» disse il professore.
«Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto».
Leonardo Sciascia, “Una storia semplice”
Ad un certo punto della mia vita ho fatto dei calcoli precisi: che se io esco di casa per trovare la compagnia di una persona intelligente, di una persona onesta, mi trovo ad affrontare, in media, il rischio di incontrare dodici ladri e sette imbecilli che stanno lì, pronti a comunicarmi le loro opinioni sull'umanità, sul governo, sull'amministrazione municipale, su Moravia.
Leonardo Sciascia
Oggi, al contrario: facciamo tutto senza gioia.
E basterebbe fermarci ad osservare e considerare CHE COSA È, per i più, la vacanza, quei giorni che dovrebbero essere di libertà e di riposo, in cui rinfrancarsi, in cui ritemprarsi, in cui far tutto con gioia. Un andare, invece, come foglie che trasportate dalla corrente e che andando si aggregano, si infittiscono, fanno vortice, si ingorgano; e poi fradice e macerate tornano a sciogliersi, a risalire faticosamente la corrente, a disperdersi — e cioè finalmente, ciascuno in se stesso, a ritrovarsi: sicché la vera vacanza effettualmente consiste nella fine della vacanza.
Leonardo Sciascia, Cruciverba
Tutta un’impostura. La storia non esiste. Forse che esistono le generazioni di foglie che sono andate via da quell' albero, un autunno appresso all’altro? Esiste l’albero, esistono le sue foglie nuove: poi anche queste foglie se ne andranno e a un certo punto se ne andrà anche l’albero: in fumo, in cenere. La storia delle foglie, la storia dell’albero. Fesserie! Se ogni foglia scrivesse la sua storia se quest’albero scrivesse la sua, allora diremmo: eh sì la storia…Vostro nonno ha scritto la sua storia ? E vostro padre? E il mio ? E i nostri avoli e trisavoli? Sono discesi a marcire nella terra né più né meno che come foglie, senza lasciare storia… c’è ancora l’albero, sì ,ci siamo noi come foglie nuove... Ce ne andremo anche noi. L’albero che resterà, se resterà, può anche essere segato ramo a ramo: il re, i viceré, i papi, i capitani; i grandi insomma… Facciamone un po’ di fuoco, un po’ di fumo: ad illudere i popoli, le nazioni, l’umanità vivente…La storia! E mio padre? E vostro padre? E il gorgoglio delle loro viscere vuote? E la voce della loro fame? Credete che si sentirà nella storia? Che ci sarà uno storico che avrà orecchio talmente fino da sentirlo ?
Leonardo Sciascia, Il Consiglio d’Egitto, Einaudi 1963.
«Posso permettermi una domanda?
Nei componimenti d'italiano lei mi assegnava sempre un tre, perché copiavo.
Ma una volta mi ha dato un cinque: perché?».
«Perché aveva copiato da un autore più intelligente».
Il magistrato scoppiò a ridere. «L'italiano: ero piuttosto debole in italiano.
Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica».
«L'italiano non è l'italiano: è il ragionare» disse il professore.
«Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto».
Leonardo Sciascia, “Una storia semplice”
Ad un certo punto della mia vita ho fatto dei calcoli precisi: che se io esco di casa per trovare la compagnia di una persona intelligente, di una persona onesta, mi trovo ad affrontare, in media, il rischio di incontrare dodici ladri e sette imbecilli che stanno lì, pronti a comunicarmi le loro opinioni sull'umanità, sul governo, sull'amministrazione municipale, su Moravia.
Leonardo Sciascia
Noi siamo quel che facciamo. Le intenzioni, specialmente se buone, e i rimorsi, specialmente se giusti, ognuno, dentro di sé, può giocarseli come vuole, fino alla disintegrazione, alla follia. Ma un fatto è un fatto: non ha contraddizioni, non ha ambiguità, non contiene il diverso e il contrario.
Leonardo Sciascia, "Candido" ovvero Un sogno fatto in Sicilia
La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini
Leonardo Sciascia
Un'idea morta produce più fanatismo di un'idea viva; anzi soltanto quella morta ne produce.
Poiché gli stupidi, come i corvi, sentono solo le cose morte.
Leonardo Sciascia, Nero su nero, 1979
In fondo nella vita, la più grande affermazione di libertà è quella di chi si crea una prigione.
Leonardo Sciascia
Un'idea morta produce più fanatismo di un'idea viva; anzi soltanto quella morta ne produce.
Poiché gli stupidi, come i corvi, sentono solo le cose morte.
Leonardo Sciascia, Nero su nero, 1979
Si è così profondi, ormai, che non si vede più niente.
A forza di andare in profondità, si è sprofondati.
Soltanto l'intelligenza, l'intelligenza che è anche «leggerezza»,
che sa essere «leggera», può sperare di risalire alla superficialità, alla banalità.
A forza di andare in profondità, si è sprofondati.
Soltanto l'intelligenza, l'intelligenza che è anche «leggerezza»,
che sa essere «leggera», può sperare di risalire alla superficialità, alla banalità.
Leonardo Sciascia
Il cretino di sinistra ha una spiccata tendenza verso tutto ciò che è difficile.
Crede che la difficoltà sia profondità.
È ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia un cretino. [...] e dunque una certa malinconia, un certo rimpianto, tutte le volte ci assalgono che ci imbattiamo in cretini adulterati, sofisticati. Oh i bei cretini di una volta! Genuini, integrali. Come il pane di casa. Come l’olio e il vino dei contadini.
Leonardo Sciascia (1963)
"Soffro di DOVER raccontare della donna di Sicilia nel suo ruolo storico, vale a dire come elemento negativo nell'evoluzione della società insulare, nella sua funzione matriarcale, schiacciante e conservatrice, quale ha pesato sui nostri nonni e padri e quale può pesare ancora oggigiorno. Ma nel momento stesso in cui la giudico, io mi sento responsabile della sua condizione, responsabile atavicamente."
Leonardo Sciascia (1921-1989), La Sicilia come metafora, 1979, Mondadori Oscar pag.74.
Il cretino di sinistra ha una spiccata tendenza verso tutto ciò che è difficile.
Crede che la difficoltà sia profondità.
È ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia un cretino. [...] e dunque una certa malinconia, un certo rimpianto, tutte le volte ci assalgono che ci imbattiamo in cretini adulterati, sofisticati. Oh i bei cretini di una volta! Genuini, integrali. Come il pane di casa. Come l’olio e il vino dei contadini.
Leonardo Sciascia (1963)
"Soffro di DOVER raccontare della donna di Sicilia nel suo ruolo storico, vale a dire come elemento negativo nell'evoluzione della società insulare, nella sua funzione matriarcale, schiacciante e conservatrice, quale ha pesato sui nostri nonni e padri e quale può pesare ancora oggigiorno. Ma nel momento stesso in cui la giudico, io mi sento responsabile della sua condizione, responsabile atavicamente."
Leonardo Sciascia (1921-1989), La Sicilia come metafora, 1979, Mondadori Oscar pag.74.
“All’uomo rimane solo la letteratura per riconoscere e conoscere la verità.
Il resto è soltanto macchine, statistiche, totalitarismo.
E’ il sistema della menzogna.”
Leonardo Sciascia, La palma va a nord
«Questa specie di nave corsara che è stata la Sicilia, col suo bel Gattopardo che rampa a prua, coi suoi colori di Guttuso nel suo gran pavese, coi suoi più decorativi pezzi da novanta cui i politici hanno delegato l’onore del sacrificio, coi suoi Malavoglia, coi suoi Pecorella, coi suoi laici cornuti, coi suoi folli, coi suoi demoni meridiani e notturni, con le sue arance, il suo zolfo e i suoi cadaveri nella stiva: affonda, amico mio, affonda».
Leonardo Sciascia (tratto da A ciascuno il suo)
5. LETTERATURA
IL GIORNO DELLA CIVETTA
Il racconto incomincia nella piazza di un paese della Sicilia, dove Salvatore Colasberna, un socio di una piccola azienda, viene assassinato mentre sale sulla corriera per Palermo.
All'arrivo della forza pubblica, i passeggeri si allontanano di nascosto senza farsi vedere, l'autobus resta vuoto e nessuno riconosce il morto.
L'autista e il bigliettaio non ricordano chi ci fosse sull'autobus al momento dell'assassinio.
Il venditore di panelle, che era rimasto a terra al momento del delitto, è scomparso. Un carabiniere lo trova all'ingresso della scuola elementare e lo accompagna dal maresciallo. Ma neppure lui sa nulla e afferma che non si è nemmeno accorto che abbiano sparato. Dopo due ore di interrogatorio il panellaro ricorda che all'angolo tra via Cavour e piazza Garibaldi, tra le sei e le sei e trenta, sono venuti due lampi di fuoco.
Le indagini vengono affidate a Bellodi, capitano dei carabinieri, emiliano di Parma, ex partigiano, destinato alla carriera di avvocato, ma rimasto in servizio in nome di alti ideali. Bellodi è deciso a indagare, senza arrendersi davanti al muro di silenzio e omertà che gli si crea intorno e arriva a scoprire i rapporti che legano la criminalità mafiosa e la politica.
Intanto in un Caffè di Roma, un ricco possidente chiede a un onorevole del suo partito di far trasferire Bellodi. Bellodi interroga un ambiguo confidente, dai doppi giochi noti alla mafia, un certo Calogero Dibella, detto Parrinieddu e ricava una pista che si rivela falsa, ma in compenso riesce a sapere il nome di Santo Pizzuco, che si rivela utile.
Il nome del presunto assasino, un certo Diego Marchica, detto Zicchinetta, viene dato a Bellodi dalla moglie di Paolo Nicolosi, un potatore scomparso e certamente ucciso per aver riconosciuto l'assassino. Bellodi scopre nel fascicolo investigativo di Marchica, che è un noto sicario, una fotografia che lo ritrae insieme con don Calogero Guicciardo e all'onorevole Livigni.
Nel frattempo, Parrineddu viene assassinato e Bellodi ottiene che Marchica, Pizzuco e il padrino don Mariano Arena vengano fermati, ma l'interrogatorio si risolve in un nulla di fatto.
I giornali fanno molto clamore e pubblicano le foto di Arena insieme a Mancuso.
Questo fatto porta a un dibattito in Parlamento, al quale partecipano anche due anonimi mafiosi e alcuni onorevoli, e durante il dibattito un sottosegretario dichiara che la mafia esiste solamente "nella fantasia dei socialcomunisti".
Bellodi, che intanto era andato a Parma, perché gli era stata obbligata una vacanza, legge sui giornali, inviati da un suo amico brigadiere della Sicilia, che il castello probatorio è stato smantellato grazie a un alibi di ferro costruito da rispettosissimi personaggi per il Marchica.
Quanto sembrava essere stato svelato sulla realtà mafiosa viene cancellato e la tesi viene sostituita con quella di un delitto passionale e don Mariano viene scarcerato.
Bellodi leggendo queste notizie si rammaricò molto e per la rabbia iniziò a girovagare per tutta Parma.
Leonardo Sciascia
Luciano Federico
Durante l'interrogatorio tra Arena e Bellodi, Arena dice:
"Io ho una certa pratica del mondo, e quello che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie : gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i piglianculo e i quaquaraqua.......
Nelle pagine finali del racconto, Sciascia fa dire al dottor Brescianelli, medico parmense amico di Bellodi: forse tutta l'Italia va diventando Sicilia.....
«Il popolo» sogghignò il vecchio «il popolo... Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... [...]».
Leonardo Sciascia, “Il giorno della civetta”
Il popolo, la democrazia - disse il vecchio rassettandosi a sedere, un po' ansante per la dimostrazione che aveva dato del suo saper camminare sulle corna della gente - sono belle invenzioni: cose inventate a tavolino, da gente che sa mettere una parole in culo all'altra e tutte le parole nel culo dell'umanità, con rispetto parlando... Dico con rispetto parlando per l'umanità... Un bosco di corna, l'umanità, più fitto del bosco della Ficuzza quand'era bosco davvero. E sai chi se la spassa a passeggiare sulle corna? Primo; tienilo bene a mente: i preti; secondo: i politici, e tanto più dicono di essere col popolo, di volere il bene del popolo, tanto più gli calcano i piedi sulle corna; terzo: quelli come me e come te... È vero che c'è il rischio di mettere il piede in fallo e di restare infilzati, tanto per me quanto per i preti e per i politici: ma anche se mi squarcia dentro, un corno è sempre un corno; e chi lo porta in testa è un cornuto... La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione: mi va male, muoio, ma siete dei cornuti...
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta
"Io" proseguì don Mariano "ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) piglianculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, chè mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora di più: i piglianculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…."
Non credere che uno è cornuto perché le corna gliele mettono in testa le donne, o si fa prete perché ad un certo punto gli viene la vocazione: ci si nasce. Ed uno non si fa sbirro perché ad un certo punto ha bisogno di buscare qualcosa, o perché legge un bando d'arruolamento: si fa sbirro perché sbirro era nato. Dico per quelli che sono sbirri sul serio: ce n'è, poveretti, che sono paste d'angelo; e questi io non li chiamo sbirri. Un galantuomo come quel maresciallo che c'era qui durante la guerra, come si chiamava?, quello che stava bene con gli americani: e quello sbirro lo vuoi chiamare? Favori ne faceva: e noi gliene abbiamo fatti, casse di pasta e damigiane d'olio. Un galantuomo. Non era nato sbirro, ecco: ma stupido non era... Noi chiamiamo sbirri tutti quelli che sul cappello portano la fiamma col V. E...
- Lo portavano, il V. E.
- Lo portavano: io mi scordo sempre che il re non c'è piú... Ma tra loro ci sono gli stupidi, ci sono i galantuomini e ci sono gli sbirri veri, gli sbirri nati. E così è coi preti: vuoi chiamare prete padre Frazzo? Il bene che si può dire di lui e che è un buon padre di famiglia. Ma padre Spina: ecco uno che è nato prete.
- E i cornuti?
- Vengo coi cornuti, ora. Uno scopre le tresche che gli fanno in case, fa un macello: non è cornuto nato. Ma se fa finta di niente, o con le corna si dà pace: e allora è nato cornuto... Ora ti dico com'è lo sbirro nato. Arriva in un paese: tu cominci ad avvicinarti a lui, a fargli delle gentilezze, ad arruffianarti; magari, se ha moglie, porti tua moglie a fargli visita, le mogli diventano amiche, diventate amici, la gente vi vede assieme e pensa che facciate un canestro d'amicizia. E tu ti illudi che lui ti veda come una persona gentile, di buoni sentimenti, a prove d'amicizia; e invece, per lui, tu sei sempre quello che risulta dalle carte che tiene in ufficio. E se hai avuto una contravvenzione, per lui sei in ogni momento, anche mentre bevete il caffè in salotto, uno che ha avuto una contravvenzione. E se cadi a fare qualcosa che è vietata, una piccola cosa, anche se siete tu e lui soli e nemmeno il padreterno vi vede, ti fa la contravvenzione come niente. Figurati poi se cadi in qualcosa di più grosso. Nel '27, mi ricordo, c'era qui un maresciallo che in casa mia faceva, come si suol dire, casa e bottega: la moglie e i figli non c'era giorno che non venissero da noi, e c'era tanta amicizia che il figlio più piccolo, un bambino di tre anni, chiamava mia moglie zia. Un giorno me lo vedo spuntare in casa con un mandato di arresto. Era il suo dovere, lo so: erano tempi brutti, c'era Mori... Ma come mi ha trattato: mai visti, mai conosciuti... E come ha trattato mia moglie, quando è andata in caserma per sapere qualcosa: un cane arrabbiato... Cu si mitti cu li sbirri, giusto dice il proverbio, ci appizza lu vinu e li sicarri: e con quel maresciallo io ci ho rimesso davvero vino e sigari, che a scialo beveva il mio vino e fumava i miei sigari.
Leonardo Sciascia - Il giorno della civetta (I)
- Nel '27 - disse il giovane - c'era il fascismo, la cosa era diversa: Mussolini faceva i deputati e i capi di paese, tutto quello che gli veniva in testa faceva. Ora i deputati e i sindaci li fa il popolo...
- Il popolo - sogghignò il vecchio - il popolo... Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera solo alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...
- Io non mi sento cornuto - disse il giovane.
- E nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri: come se ballassimo... - e il vecchio si alzò ad accennare dei saltelli di danza, e voleva figurare l'equilibrio e il ritmo del camminare sulle corna, da una punta all'altra.
Il giovane rise: sentirlo discorrere era un piacere. La fredda astuta violenza per cui in gioventù era stato famoso, il calcolato azzardo, la prontezza di mente e di mano, tutte le qualità insomma che lo avevano portato al rispetto e alla paura di cui era circondato, a volte parevano ritirarsi da lui come il mare dalla rive, lasciando alla sabbia degli anni vuoti gusci di saggezza. «Diventa filosofo, a volte», pensava il giovane: ritenendo la filosofia una specie di giuoco di specchi in cui la lunga memoria e il breve futuro si rimandassero crepuscolare luce di pensieri e distorte incerte immagini della realtà. Ma a momenti ecco che veniva fuori l'uomo duro e spietato che era stato: e curioso era che quando ritrovava il suo più duro e giusto giudizio sulle cose del mondo, le parole corna e cornuti grandinassero nei suoi discorsi, in significati e sfumature diverse, ma sempre ad esprimere disprezzo.
- Il popolo, la democrazia - disse il vecchio rassettandosi a sedere, un po' ansante per la dimostrazione che aveva dato del suo saper camminare sulle corna della gente - sono belle invenzioni: cose inventate a tavolino, da gente che sa mettere una parole in culo all'altra e tutte le parole nel culo dell'umanità, con rispetto parlando... Dico con rispetto parlando per l'umanità... Un bosco di corna, l'umanità, più fitto del bosco della Ficuzza quand'era bosco davvero. E sai chi se la spassa a passeggiare sulle corna? Primo; tienilo bene a mente: i preti; secondo: i politici, e tanto più dicono di essere col popolo, di volere il bene del popolo, tanto più gli calcano i piedi sulle corna; terzo: quelli come me e come te... È vero che c'è il rischio di mettere il piede in fallo e di restare infilzati, tanto per me quanto per i preti e per i politici: ma anche se mi squarcia dentro, un corno è sempre un corno; e chi lo porta in testa è un cornuto... La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione: mi va male, muoio, ma siete dei cornuti...
Leonardo Sciascia. Il giorno della civetta ( II )
Il resto è soltanto macchine, statistiche, totalitarismo.
E’ il sistema della menzogna.”
Leonardo Sciascia, La palma va a nord
«Questa specie di nave corsara che è stata la Sicilia, col suo bel Gattopardo che rampa a prua, coi suoi colori di Guttuso nel suo gran pavese, coi suoi più decorativi pezzi da novanta cui i politici hanno delegato l’onore del sacrificio, coi suoi Malavoglia, coi suoi Pecorella, coi suoi laici cornuti, coi suoi folli, coi suoi demoni meridiani e notturni, con le sue arance, il suo zolfo e i suoi cadaveri nella stiva: affonda, amico mio, affonda».
Leonardo Sciascia (tratto da A ciascuno il suo)
IL GIORNO DELLA CIVETTA
Il racconto incomincia nella piazza di un paese della Sicilia, dove Salvatore Colasberna, un socio di una piccola azienda, viene assassinato mentre sale sulla corriera per Palermo.
All'arrivo della forza pubblica, i passeggeri si allontanano di nascosto senza farsi vedere, l'autobus resta vuoto e nessuno riconosce il morto.
L'autista e il bigliettaio non ricordano chi ci fosse sull'autobus al momento dell'assassinio.
Il venditore di panelle, che era rimasto a terra al momento del delitto, è scomparso. Un carabiniere lo trova all'ingresso della scuola elementare e lo accompagna dal maresciallo. Ma neppure lui sa nulla e afferma che non si è nemmeno accorto che abbiano sparato. Dopo due ore di interrogatorio il panellaro ricorda che all'angolo tra via Cavour e piazza Garibaldi, tra le sei e le sei e trenta, sono venuti due lampi di fuoco.
Le indagini vengono affidate a Bellodi, capitano dei carabinieri, emiliano di Parma, ex partigiano, destinato alla carriera di avvocato, ma rimasto in servizio in nome di alti ideali. Bellodi è deciso a indagare, senza arrendersi davanti al muro di silenzio e omertà che gli si crea intorno e arriva a scoprire i rapporti che legano la criminalità mafiosa e la politica.
Intanto in un Caffè di Roma, un ricco possidente chiede a un onorevole del suo partito di far trasferire Bellodi. Bellodi interroga un ambiguo confidente, dai doppi giochi noti alla mafia, un certo Calogero Dibella, detto Parrinieddu e ricava una pista che si rivela falsa, ma in compenso riesce a sapere il nome di Santo Pizzuco, che si rivela utile.
Il nome del presunto assasino, un certo Diego Marchica, detto Zicchinetta, viene dato a Bellodi dalla moglie di Paolo Nicolosi, un potatore scomparso e certamente ucciso per aver riconosciuto l'assassino. Bellodi scopre nel fascicolo investigativo di Marchica, che è un noto sicario, una fotografia che lo ritrae insieme con don Calogero Guicciardo e all'onorevole Livigni.
Nel frattempo, Parrineddu viene assassinato e Bellodi ottiene che Marchica, Pizzuco e il padrino don Mariano Arena vengano fermati, ma l'interrogatorio si risolve in un nulla di fatto.
I giornali fanno molto clamore e pubblicano le foto di Arena insieme a Mancuso.
Questo fatto porta a un dibattito in Parlamento, al quale partecipano anche due anonimi mafiosi e alcuni onorevoli, e durante il dibattito un sottosegretario dichiara che la mafia esiste solamente "nella fantasia dei socialcomunisti".
Bellodi, che intanto era andato a Parma, perché gli era stata obbligata una vacanza, legge sui giornali, inviati da un suo amico brigadiere della Sicilia, che il castello probatorio è stato smantellato grazie a un alibi di ferro costruito da rispettosissimi personaggi per il Marchica.
Quanto sembrava essere stato svelato sulla realtà mafiosa viene cancellato e la tesi viene sostituita con quella di un delitto passionale e don Mariano viene scarcerato.
Bellodi leggendo queste notizie si rammaricò molto e per la rabbia iniziò a girovagare per tutta Parma.
Leonardo Sciascia
Durante l'interrogatorio tra Arena e Bellodi, Arena dice:
"Io ho una certa pratica del mondo, e quello che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie : gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i piglianculo e i quaquaraqua.......
Nelle pagine finali del racconto, Sciascia fa dire al dottor Brescianelli, medico parmense amico di Bellodi: forse tutta l'Italia va diventando Sicilia.....
«Il popolo» sogghignò il vecchio «il popolo... Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... [...]».
Leonardo Sciascia, “Il giorno della civetta”
Il popolo, la democrazia - disse il vecchio rassettandosi a sedere, un po' ansante per la dimostrazione che aveva dato del suo saper camminare sulle corna della gente - sono belle invenzioni: cose inventate a tavolino, da gente che sa mettere una parole in culo all'altra e tutte le parole nel culo dell'umanità, con rispetto parlando... Dico con rispetto parlando per l'umanità... Un bosco di corna, l'umanità, più fitto del bosco della Ficuzza quand'era bosco davvero. E sai chi se la spassa a passeggiare sulle corna? Primo; tienilo bene a mente: i preti; secondo: i politici, e tanto più dicono di essere col popolo, di volere il bene del popolo, tanto più gli calcano i piedi sulle corna; terzo: quelli come me e come te... È vero che c'è il rischio di mettere il piede in fallo e di restare infilzati, tanto per me quanto per i preti e per i politici: ma anche se mi squarcia dentro, un corno è sempre un corno; e chi lo porta in testa è un cornuto... La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione: mi va male, muoio, ma siete dei cornuti...
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta
"Io" proseguì don Mariano "ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) piglianculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, chè mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora di più: i piglianculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…."
Leonardo Sciascia. Il giorno della Civetta. don Mariano Arena al capitano Bellodi
Incredibile è anche l'italia: e bisogna andare in Sicilia per constatare quanto è incredibile l'Italia.
"Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già oltre Roma..."
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta
Incredibile è anche l'italia: e bisogna andare in Sicilia per constatare quanto è incredibile l'Italia.
"Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già oltre Roma..."
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta
Non credere che uno è cornuto perché le corna gliele mettono in testa le donne, o si fa prete perché ad un certo punto gli viene la vocazione: ci si nasce. Ed uno non si fa sbirro perché ad un certo punto ha bisogno di buscare qualcosa, o perché legge un bando d'arruolamento: si fa sbirro perché sbirro era nato. Dico per quelli che sono sbirri sul serio: ce n'è, poveretti, che sono paste d'angelo; e questi io non li chiamo sbirri. Un galantuomo come quel maresciallo che c'era qui durante la guerra, come si chiamava?, quello che stava bene con gli americani: e quello sbirro lo vuoi chiamare? Favori ne faceva: e noi gliene abbiamo fatti, casse di pasta e damigiane d'olio. Un galantuomo. Non era nato sbirro, ecco: ma stupido non era... Noi chiamiamo sbirri tutti quelli che sul cappello portano la fiamma col V. E...
- Lo portavano, il V. E.
- Lo portavano: io mi scordo sempre che il re non c'è piú... Ma tra loro ci sono gli stupidi, ci sono i galantuomini e ci sono gli sbirri veri, gli sbirri nati. E così è coi preti: vuoi chiamare prete padre Frazzo? Il bene che si può dire di lui e che è un buon padre di famiglia. Ma padre Spina: ecco uno che è nato prete.
- E i cornuti?
- Vengo coi cornuti, ora. Uno scopre le tresche che gli fanno in case, fa un macello: non è cornuto nato. Ma se fa finta di niente, o con le corna si dà pace: e allora è nato cornuto... Ora ti dico com'è lo sbirro nato. Arriva in un paese: tu cominci ad avvicinarti a lui, a fargli delle gentilezze, ad arruffianarti; magari, se ha moglie, porti tua moglie a fargli visita, le mogli diventano amiche, diventate amici, la gente vi vede assieme e pensa che facciate un canestro d'amicizia. E tu ti illudi che lui ti veda come una persona gentile, di buoni sentimenti, a prove d'amicizia; e invece, per lui, tu sei sempre quello che risulta dalle carte che tiene in ufficio. E se hai avuto una contravvenzione, per lui sei in ogni momento, anche mentre bevete il caffè in salotto, uno che ha avuto una contravvenzione. E se cadi a fare qualcosa che è vietata, una piccola cosa, anche se siete tu e lui soli e nemmeno il padreterno vi vede, ti fa la contravvenzione come niente. Figurati poi se cadi in qualcosa di più grosso. Nel '27, mi ricordo, c'era qui un maresciallo che in casa mia faceva, come si suol dire, casa e bottega: la moglie e i figli non c'era giorno che non venissero da noi, e c'era tanta amicizia che il figlio più piccolo, un bambino di tre anni, chiamava mia moglie zia. Un giorno me lo vedo spuntare in casa con un mandato di arresto. Era il suo dovere, lo so: erano tempi brutti, c'era Mori... Ma come mi ha trattato: mai visti, mai conosciuti... E come ha trattato mia moglie, quando è andata in caserma per sapere qualcosa: un cane arrabbiato... Cu si mitti cu li sbirri, giusto dice il proverbio, ci appizza lu vinu e li sicarri: e con quel maresciallo io ci ho rimesso davvero vino e sigari, che a scialo beveva il mio vino e fumava i miei sigari.
Leonardo Sciascia - Il giorno della civetta (I)
- Nel '27 - disse il giovane - c'era il fascismo, la cosa era diversa: Mussolini faceva i deputati e i capi di paese, tutto quello che gli veniva in testa faceva. Ora i deputati e i sindaci li fa il popolo...
- Il popolo - sogghignò il vecchio - il popolo... Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera solo alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...
- Io non mi sento cornuto - disse il giovane.
- E nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri: come se ballassimo... - e il vecchio si alzò ad accennare dei saltelli di danza, e voleva figurare l'equilibrio e il ritmo del camminare sulle corna, da una punta all'altra.
Il giovane rise: sentirlo discorrere era un piacere. La fredda astuta violenza per cui in gioventù era stato famoso, il calcolato azzardo, la prontezza di mente e di mano, tutte le qualità insomma che lo avevano portato al rispetto e alla paura di cui era circondato, a volte parevano ritirarsi da lui come il mare dalla rive, lasciando alla sabbia degli anni vuoti gusci di saggezza. «Diventa filosofo, a volte», pensava il giovane: ritenendo la filosofia una specie di giuoco di specchi in cui la lunga memoria e il breve futuro si rimandassero crepuscolare luce di pensieri e distorte incerte immagini della realtà. Ma a momenti ecco che veniva fuori l'uomo duro e spietato che era stato: e curioso era che quando ritrovava il suo più duro e giusto giudizio sulle cose del mondo, le parole corna e cornuti grandinassero nei suoi discorsi, in significati e sfumature diverse, ma sempre ad esprimere disprezzo.
- Il popolo, la democrazia - disse il vecchio rassettandosi a sedere, un po' ansante per la dimostrazione che aveva dato del suo saper camminare sulle corna della gente - sono belle invenzioni: cose inventate a tavolino, da gente che sa mettere una parole in culo all'altra e tutte le parole nel culo dell'umanità, con rispetto parlando... Dico con rispetto parlando per l'umanità... Un bosco di corna, l'umanità, più fitto del bosco della Ficuzza quand'era bosco davvero. E sai chi se la spassa a passeggiare sulle corna? Primo; tienilo bene a mente: i preti; secondo: i politici, e tanto più dicono di essere col popolo, di volere il bene del popolo, tanto più gli calcano i piedi sulle corna; terzo: quelli come me e come te... È vero che c'è il rischio di mettere il piede in fallo e di restare infilzati, tanto per me quanto per i preti e per i politici: ma anche se mi squarcia dentro, un corno è sempre un corno; e chi lo porta in testa è un cornuto... La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione: mi va male, muoio, ma siete dei cornuti...
Leonardo Sciascia. Il giorno della civetta ( II )
IN RICORDO DI SCIASCIA A VENT’ANNI DALLA MORTE
(Agrigento – Teatro Pirandello – 28 novembre 2009)
Pubblichiamo il discorso che il Presidente della Università della terza età di Canicattì, Dr. Carmelo Sciascia Cannizzaro ha tenuto al teatro Pirandello di Agrigento il giorno 28.10.2009 in occasione della MESSA IN SCENA DELL’OPERA TEATRALE DI LEONARDO SCIASCIA “L’ONOREVOLE” per la regia di Mario Gaziano.
[…] Gaspare Agnello
[…] Era nato il 21 gennaio 1921 a Racalmuto, che una definizione, assolutamente fuori posto, vuole “paese della ragione”.
E, come parafrasando il vescovo Ficarra, il mio concittadino finito “in partibus infidelium” e da lui immortalato, che amava ripetere “anche da Canicattì si può andare in Paradiso”, EGLI DIMOSTRÒ CHE ANCHE NASCENDO E VIVENDO IN UN LUOGO RELEGATO AI CARATTERI PIÙ PICCOLI, SE NON OMESSO NELLE CARTE GEOGRAFICHE, SI PUÒ RAGGIUNGERE LA VETTA DELLA NOTORIETÀ; una circostanza, questa, in verità, dal sapore di privilegio solo spiegabile tenendo presente la sommità del personaggio, NON ESSENDO FACILE A TANTA GENTE – CHE PURE SI CIMENTA CON PASSIONE IN SVARIATE DISCIPLINE – USCIRE DAL GUSCIO DI UN PAESINO DEL PROFONDO SUD e, per giunta, dell’isola della “sicilitudine”.
In verità, nel tempo, egli ebbe varie occasioni per allontanarsene fin da quando, quattordicenne, dovette trasferirsi, con la famiglia a Caltanissetta, ma VI RITORNAVA SPESSO COME ATTRATTO DA UN INCANTESIMO. Più avanti negli anni, ebbe a dire: “IL MIGLIORE OSSERVATORIO DELLE COSE SICILIANE CONTINUA AD ESSERE PER ME IL PAESE IN CUI SONO NATO e in cui, anche se spesso ne sono lontano, effettualmente vivo: Racalmuto, in provincia di Agrigento”. […]
Con questo lavoro SCIASCIA APRÌ IL PRIMO SQUARCIO SULLE INGIUSTIZIE, PICCOLE E GRANDI, CHE SI CONSUMANO NEL SILENZIO DELL’OMERTÀ E MISE A NUDO LE SCONFITTE PERPETRATE NEL CORSO DELLA STORIA IN UNA SICILIA SEGNATA DALLA CULTURA DELLA ILLEGALITÀ E DELLA SOPRAFFAZIONE; di fronte alle RIVENDICAZIONI DEI LAVORATORI DEL SUO PAESE ASSOCIATI NEI FASCI PER UN GIUSTO SALARIO E MAGGIORE RISPETTO, suonava per lui scandalo lo slogan di don Filippo Buscemi, “da tutti i benpensanti – sono parole sue – approvato e diffuso: CHE TEMPI! UN GALANTUOMO NON PUÒ PIÙ DARE UN CALCIO A UN CONTADINO”.
UN FATTO NUOVO, RIVOLUZIONARIO CHE SAPEVA DI DENUNCIA, che aveva qualche precedente, per esempio, in Manzoni, lo scrittore prediletto, attraverso la Storia della colonna infame e il “dalli all’untore” de I promessi sposi, ma che in Sciascia va oltre la stessa denuncia, che assume, non solo il sapore della compenetrazione dei drammi e della MORTIFICAZIONE DELLE VITTIME, MA ANCHE IL SENSO DELLA MILITANZA PER GRIDARE LA VERITÀ.
“La povera gente di questo paese – ebbe a precisare – ha una gran fede nella scrittura, dice – BASTA UN COLPO DI PENNA – COME DICESSE UN COLPO DI SPADA – E CREDE CHE UN COLPO VIBRATILE ED ESATTO DELLA PENNA BASTI A RISTABILIRE UN DIRITTO, A FUGARE L’INGIUSTIZIA E IL SOPRUSO”. IN QUESTO SENSO, ”MI PIACEREBBE DARE QUALCHE BUON COLPO DI PENNA”. DA CIÒ LA LETTERATURA COME IMPEGNO CIVILE CHE METTE A NUDO L’IMPOSTURA A COSTO DI FINIRE COME IL SUO CONCITTADINO, L’ERETICO FRA DIEGO LA MATINA, CON CUI SI IDENTIFICAVA. “UNO SCRITTORE DESTABILIZZANTE” SARÀ DEFINITO dal nostro Collura.
Basta scorrere LE PAGINE DI MORTE DELL’INQUISITORE – “LA COSA PIÙ CARA FRA QUELLE CHE HO SCRITTO E L’UNICA CHE RILEGGO E SU CUI ANCORA MI ARROVELLO” – per avere chiaro con quale spirito, con quale accanimento, DILEGGIA L’INQUISITORE E PARTEGGIA PER IL SUO EROE, CHE, PRIMA DI FINIRE AL ROGO, RIUSCÌ A MASSACRARE IL TORTURATORE A COLPI DI MUFFOLE (MANETTE). C’è in questa storia, non a caso pubblicata in aggiunta alla seconda edizione de Le parrocchie, quasi che ne fosse un completamento e un’esplicitazione, l’IDENTIFICAZIONE DI SCIASCIA COL SUO CONCITTADINO CAPACE DI FIACCARE, PRIMA DEL ROGO, CON I SUOI ARGOMENTI, BEN 10 TEOLOGI AVVICENDATISI NELLA CONTESTAZIONE DELL’ERESIA al punto da non potere nascondere l’orgoglio per “l’onore di appartenere alla stessa gente, di avere avuto i natali dalla stessa terra” con QUEST’UOMO CHE “NON MUTÒ ASPETTO, NÈ MOSSE COLLO, NÉ PIEGÒ SUA COSTA”. SCIASCIA, DUNQUE, FRA GLI UOMINI DI “TENACE CONCETTO”; “TESTARDI INFLESSIBILI, CAPACI DI SOPPORTARE ENORME QUANTITÀ DI SOFFERENZA, DI SACRIFICIO”.
PERFINO LA SUA STESSA PERSONA SUONAVA ERESIA. A seguirlo nel suo stile di vita, era spontaneo allocarlo nella schiera dei CONFORMISTI. SI MOSTRAVA, INFATTI COME UN BORGHESE FERMO NELLE SUE ATAVICHE ABITUDINI, SI DIREBBE PAESANE E CONTADINE, NEL VESTIRE TRADIZIONALE, NEL SUO MISURATO MODO DI PARLARE, VISIBILMENTE TIMIDO, RISPETTOSO DELLE CONVENZIONI SOCIALI, PER NIENTE ATTRATTO DALLE MONDANITÀ, DISINCANTATO DEL MARE E LEGATO ALLA TERRA NATIA, FINANCO NEGATO ALLA GUIDA DELL’AUTO E RILUTTANTE AD UTILIZZARE, SE NON IN CASI INESORCIZZABILI, IL MEZZO AEREO. Ma per la lettura della storia, per l’interpretazione delle vicende umane, per la vis polemica che sfoderava nel ribaltare certezze storiche e ideologiche è poco definirlo un ANTICONFORMISTA.
Come, del resto, nel MODO DI PORSI DI FRONTE AI FATTI DI CHIESA. Non parlo, ovviamente, della querelle “fede o ateismo in Sciascia” su cui si arrovellano gli esegeti […]. Mi riferisco al fatto che LEONARDO SCIASCIA ACCETTAVA I RITI E, RISPETTAVA I SACRAMENTI E, OSEREI DIRE, LE CONVENZIONI CHIESASTICHE dal momento che si sposò in chiesa, battezzò e cresimò le due figlie Laura e Anna Maria e, andate a nozze, LE ACCOMPAGNÒ ALL’ALTARE, NON SI SOTTRASSE A FARE DA PADRINO IN BATTESIMI DI FIGLI DI AMICI. EPPURE, I SUOI SCRITTI GRONDANO, TRANNE QUALCHE RARISSIMO CASO, ANTICLERICALISMO, CONDANNA DELLE GERARCHIE DELLA CHIESA DI CUI BOLLA GLI INTRIGHI E LE PREPOTENZE PERPETRATE NEL CORSO DELLA STORIA, come nella “controversia liparitana”, a maggior ragione quando esse si identificarono con la DEMOCRAZIA CRISTIANA, VERSO LA QUALE NON FU AFFATTO TENERO, come nel caso del ricordato vescovo Ficarra o NELL’OPERA L’ONOREVOLE […]. Se poi ci inoltriamo fra le pagine di TODO MODO, LA SIMBIOSI FRA GLI UOMINI DI CHIESA, CON IN TESTA IL DIABOLICO DON GAETANO, E GLI UOMINI DEL POTERE (MINISTRI, BANCHIERI, FUNZIONARI E MAGGIORENTI DEMOCRISTIANI) SI PRESENTA COMPLETA E L’ERESIA RAGGIUNGE IL SUO ACME NEL PRECONIZZARE, DIREI, ALMENO IN PARTE, PROFETICAMENTE, L’AUTODISTRUZIONE DI UNA CLASSE DIRIGENTE.
Ma, fino a quando METTEVA A NUDO LA CORRUZIONE E LE DEGENERAZIONI DELLA CLASSE DOMINANTE, egli trovava compiacenze ed esaltazioni negli oppositori e nella schiera di intellettuali di sinistra molto affollata e rumorosa in quel tempo, cui non mancava ampia e ascoltata risonanza attraverso le colonne de L’Unità e di Rinascita. Del resto egli, NEGLI ANNI GIOVANILI, NON AVEVA NASCOSTO LE SUE SIMPATIE PER IL COMUNISMO. Lo scompiglio cominciò quando uscì Il contesto, la dove si ipotizza, se non il disarmo, l’opportunistico ACCANTONAMENTO DELLA RIVOLUZIONE in nome della ragion di Stato che coincide con la ragione del Partito Rivoluzionario; “SIAMO REALISTI – FA DIRE AL SUO VICE SEGRETARIO – NON POTEVAMO CORRERE IL RISCHIO DI UNA RIVOLUZIONE. NON IN QUESTO MOMENTO”. A nulla valse la nota (in verità poco rassicurante) a chiarimento di Sciascia secondo cui, nello scrivere il libro aveva davanti un paese immaginario, “un paese dove non avevano più corso le idee, dove i principi – ancora proclamati e conclamati – venivano quotidianamente irrisi, dove LE IDEOLOGIE SI RIDUCEVANO A PURE DENOMINAZIONI NEL GIUOCO DELLE PARTI CHE IL POTERE SI ASSEGNAVA, DOVE SOLTANTO IL POTERE PER IL POTERE CONTAVA”. Anzi, PROPRIO IL CHIARIMENTO VENNE VISTO COME UN PRECISO ATTO DI ACCUSA ALLA RINUNCIA DELL’OPPOSIZIONE MENTRE COMINCIAVA AD AFFACCIARSI SULLA SCENA LA STRATEGIA DI AVVICINAMENTO AL COMPROMESSO STORICO. Il libro venne considerato un pugno nello stomaco della sinistra che non gli risparmiò epiteti ed insulti a maggior ragione quando, IN CONTRAPPOSIZIONE A PAIETTA CHE, ALLA DOMANDA COSA PREFERISSE TRA LA VERITÀ E LA RIVOLUZIONE, AVEVA RISPOSTO LA RIVOLUZIONE, LO SCRITTORE DICHIARAVA DI SCEGLIERE:“ LA VERITÀ, È OVVIO. Posso dire anzi che Il contesto l’ho scritto in omaggio alla verità”.
Dopo una breve parentesi nella quale il Partito comunista si illuse di averlo recuperato presentandolo, pur da indipendente, al Consiglio Comunale di Palermo, da cui presto si dimise, L’ERETICO PERFEZIONÒ LA ROTTURA DEFINITIVA CON L’USCITA DI CANDIDO E DI L’AFFAIRE MORO.
Sugli SCONTRI CON UOMINI DELLA SINISTRA, in particolare comunista, la casistica è vasta, non essendo mancate le occasioni in un’epoca e in un’Italia sull’orlo della disgregazione (le brigate rosse e il modo di combatterle, l’uccisione del generale Dalla Chiesa e l’alterco col figlio Nando, la querela di Berlinguer e la controquerela del “maestro” con la dolorosa coda della mai sanata rottura dell’amicizia col conterraneo Guttuso), ma peccherei di incompletezza se non accennassi alle lacerazioni provocate dalla “questione giustizia”, la sua amministrazione e perfino la sua legittimità; la madre di tutte le questioni, anche oggi fonte di spaccature nel Paese..
PARODIANDO UN GIORNO JOHN DONNE, EBBE A DIRE: “QUANDO IN UN PAESE LA CAMPANA DELLA GIUSTIZIA SUONA A MORTO, NON MANDARE MAI A CHIEDERE PER CHI SUONA, SUONA PER TUTTI”. Al culmine della celebrità egli avrebbe potuto godersi una vita agiata, rispettata e tranquilla, ma L’IMPETUOSA FORZA PROFETICA CHE GLI BRUCIAVA DENTRO, lo indusse ad affrontare determinato, senza arretrare di un millimetro a costo di dolorosissime ferite, gli assalti dei gruppi militanti e delle penne del giornalismo più accreditate. EGLI AVVERTI, A TORTO O A RAGIONE, CHE LA MAGISTRATURA SI ALLONTANAVA DALLA GIUSTIZIA anche per esperienza personale; provocò in lui forte turbamento il comportamento dei giudici da due pesi e due misure sull’accennata CONTROVERSIA CON BERLINGUER che, pur conclusa con l’archiviazione, vide la testimonianza di Guttuso e l’audizione del leader comunista ma non quella di Sciascia cui fu impedito sostanzialmente di esporre le sue ragioni. Un altro tassello verso il discredito gli venne dal CASO TORTORA, PER LA CUI INNOCENZA, SCANDALIZZANDO I BENPENSANTI DI TUTTE LE TENDENZE, PRESE LE DIFESE, GRIDÒ AL MOSTRUOSO ERRORE GIUDIZIARIO, accusò la magistratura di leggerezza nella valutazione degli elementi di colpevolezza che avrebbero distrutto la vita del presentatore. Come NON ESITÒ A SCHIERARSI DALLA PARTE DEI FRATELLI DI BORIS GIULIANO NELL’ACCUSA, SEMPRE ALLA MAGISTRATURA, DI NON AVERE LETTO I SUOI RAPPORTI.
Gli episodi accennati non danno, tuttavia, la misura della CAPACITÀ DI ERESIA DEL “MAESTRO DI REGALPETRA”. Questa venne quando SI OCCUPÒ DI AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA SUI FATTI DI MAFIA. Erano gli anni in cui la Sicilia sembrava in preda al marasma, dove LE STRAGI E GLI ASSASSINII DI MAGISTRATI, POLITICI, GIORNALISTI, PROFESSIONISTI, COMUNI ED ECCELLENTI SERVITORI DELLO STATO SI SUSSEGUIVANO CON CADENZA AGGHIACCIANTE AL PUNTO DA FAR TEMERE A TANTI LA RESA DELLO STATO ALLA VIOLENZA CRIMINALE. SI GRIDAVA ALLA MOBILITAZIONE DELLE COSCIENZE, SI COSTITUIVANO COMITATI DI RESISTENZA, si promuovevano imponenti manifestazioni coinvolgendo la scuola e la società civile su un argomento divenuto di forte impatto emotivo. Ma Sciascia, smarcandosi ancora una volta dal coro ed incurante delle conseguenze che gli sarebbero potute derivare, VIDE IN TUTTO CIÒ IL RISCHIO DI UN CHIASSO CHE POTEVA DEGENERARE IN RETORICA VUOTA E INCONCLUDENTE, che si potessero violare le regole di vita democratica e della stessa Costituzione. E’ questo l’aspetto che fece scattare l’istinto di rivolta dell’eretico e che, lo indusse a scrivere l’articolo pubblicato dal Corriere della sera il 10 gennaio 1987 con il titolo: “I PROFESSIONISTI DELL’ANTIMAFIA” in cui, per dirla in breve, denunciava, con esempi concreti, il PERICOLO che venissero costruite carriere a scavalco delle regole o acquisite patenti di intangibilità e CHE SI POTESSE CREARE UN POTERE “INCONTRASTATO E INCONTRASTABILE, negato e insofferente a critiche e dissensi” PER IL SOLO FATTO CHE I DETENTORI POSSANO AVERE PROFESSATO, A FATTI O A PAROLE, ANTIMAFIA; COME DIRE, UNA NUOVA MAFIA ALL’INSEGNA DELL’ANTIMAFIA.
Consapevole della corsa che si sarebbe scatenata per arroventare la graticola su cui sarebbe stato posto, egli FECE PRECEDERE LO SCRITTO CON BRANI PRESI DA IL GIORNO DELLA CIVETTA E DI A CIASCUNO IL SUO e la precisazione: “autocitazione, da servire a coloro che hanno corta memoria o/e lunga malafede e che appartengono prevalentemente a QUELLA SPECIE (MOLTO DIFFUSA IN ITALIA) DI PERSONE DEDITE ALL’EROISMO CHE NON COSTA NULLA E CHE I MILANESI, DOPO LE CINQUE GIORNATE DENOMINAVANO “EROI DELLA SESTA”. Non valse a nulla, neanche il richiamo della profezia sull’evoluzione del fenomeno criminale o quello di avere INDICATO PER PRIMO NELLE BANCHE I SANTUARI IN CUI SI POTEVA RICONVERTIRE IL FRUTTO DEL MALAFFARE, a scongiurare LA VIOLENZA DEGLI INQUISITORI. L’ACCUSA PIÙ LEGGERA FU QUELLA DI AVERE INDEBOLITO IL FRONTE DELLA LOTTA, MA ALTRE SI SPINSERO FINO ALLA TACCIA DI MAFIOSO O DI QUAQUARAQUÀ CHE RESTA SEMPRE, IN SICILIA, UN TITOLO IGNOMINIOSO. Il Coordinamento antimafia comunicò di averlo collocato “ai margini della società”. Ma L’UOMO DI “TENACE CONCETTO”, cui non dispiaceva la polemica, rispose a tutti, argomentando e ribattendo alle accuse, ricorrendo pure alla presa in giro; a Giampaolo Pansa che aveva sentenziato “penso che non abbiamo che farcene di questo Sciascia”, rispose con un epigramma: “Pansa dice che mi pensa./Dunque Pansa pensa?/Ma se Pansa pensa/ che cosa mai è il pensare?/Forse è solo un pansare?
A conclusione, non sappiamo quanto la vicenda abbia addolorato lo scrittore. Di certo HA CONTROBATTUTO “AI MORALISTI SENZA MORALE” ED AI “CRETINI DI SINISTRA” CON LA SERENA FERMEZZA DI CHI SA DI ESSERE NEL GIUSTO. Piuttosto è la convinzione finale di avere combattuto invano che traspare dal seguito dei suoi atti: “AD UN CERTO PUNTO DELLA VITA NON È LA SPERANZA L’ULTIMA A MORIRE, MA LA MORTE L’ULTIMA SPERANZA”. Ai familiari lasciò scritto di non difenderlo dalle accuse perché “chi si è sentito ferito dalle cose vere che ho detto e ha fanaticamente reagito, non sarà mai in grado di ravvedersene”. In verità, col passare del tempo, molti ripensamenti vanno maturando e gli stessi “professionisti dell’antimafia” vanno rivalutando il profeta Sciascia, ma “questo pianeta” – la coscienza collettiva – nel consenso o nel dissenso non importa, se ne deve ricordare perché il suo esempio è uno stimolo ad interrogarsi costantemente sui valori che fanno civiltà.
Carmelo Sciascia Cannizaro
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