La speranza è un sogno fatto da svegli
Aristotele, in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III sec.
La trasformazione inizia nel punto dove non c'è speranza
James Hillman, Il suicidio e l'anima
di citazioni si muore [...] e sinceramente ammiro la tua cornucopia di fonti illustri.
Io parlo da un angolo molto più modesto, chiamalo personale, da cui ho visto e vedo l'effetto della speranza quando rispunta dopo che tutto e' venuto a mancare. Sara', come dici tu, uno specchietto per allodole, e siamo tutti un po' allodole, ma per me la speranza e' il motore di ricerca dell'animo umano, quella che lo fa vivere nonostante tutto. I sapienti si esprimono anche loro in base alla loro esperienza, mettendolo giù in modo molto più aulico. Eppure, sono certa che anche chi dichiarò di non crederci, sotto sotto sperava anche lui che almeno qualcuno gli credesse. Nel mio lavoro, ricollegare un cliente con la speranza era sempre un momento magico, per lui/lei e per me, come se si rinnovasse la vita.
LOWITH, LA SPERANZA NON HA DIGNITA' FILOSOFICA
Il mito di Pandora indica, come racconta Esiodo, che la speranza è un male, anche se di tipo particolare, distinto dagli altri mali che sono racchiusi nel vaso di Pandora. Essa è un male che sembra tuttavia buono, perché la speranza induce sempre ad attendere qualcosa di meglio. Eppure sembra vano aspettarsi un futuro migliore, perché difficilmente si dà un futuro che, quando diviene attuale, non deluda le nostre speranze. Le speranze dell’uomo sono “cieche”, cioè irrazionali ed erronee, ingannevoli e illusorie. Tuttavia l’uomo mortale non può vivere senza questo precario dono di Giove, così come non può vivere senza il fuoco, il dono rubato da Prometeo. Se rimanesse senza speranze, de-sperans, egli si dispererebbe nella sua disperata situazione. L’opinione più diffusa nell’antichità era che la speranza è un’illusione che aiuta l’uomo a sopportare la vita, ma in sostanza è un ignis fatuus. Se d’altro lato Paolo condannava la società pagana proprio perché non possedeva la speranza, egli intendeva evidentemente una speranza il cui valore e la cui garanzia sono dati dalla fede cristiana, e non da un’illusione mondana”.
Karl Löwith, Significato e fine della storia, Edizioni di Comunità, pp. 233-234
http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaL/Lowith_01.htm
La trasformazione inizia nel punto dove non c'è speranza
James Hillman, Il suicidio e l'anima
di citazioni si muore [...] e sinceramente ammiro la tua cornucopia di fonti illustri.
Io parlo da un angolo molto più modesto, chiamalo personale, da cui ho visto e vedo l'effetto della speranza quando rispunta dopo che tutto e' venuto a mancare. Sara', come dici tu, uno specchietto per allodole, e siamo tutti un po' allodole, ma per me la speranza e' il motore di ricerca dell'animo umano, quella che lo fa vivere nonostante tutto. I sapienti si esprimono anche loro in base alla loro esperienza, mettendolo giù in modo molto più aulico. Eppure, sono certa che anche chi dichiarò di non crederci, sotto sotto sperava anche lui che almeno qualcuno gli credesse. Nel mio lavoro, ricollegare un cliente con la speranza era sempre un momento magico, per lui/lei e per me, come se si rinnovasse la vita.
LOWITH, LA SPERANZA NON HA DIGNITA' FILOSOFICA
Il mito di Pandora indica, come racconta Esiodo, che la speranza è un male, anche se di tipo particolare, distinto dagli altri mali che sono racchiusi nel vaso di Pandora. Essa è un male che sembra tuttavia buono, perché la speranza induce sempre ad attendere qualcosa di meglio. Eppure sembra vano aspettarsi un futuro migliore, perché difficilmente si dà un futuro che, quando diviene attuale, non deluda le nostre speranze. Le speranze dell’uomo sono “cieche”, cioè irrazionali ed erronee, ingannevoli e illusorie. Tuttavia l’uomo mortale non può vivere senza questo precario dono di Giove, così come non può vivere senza il fuoco, il dono rubato da Prometeo. Se rimanesse senza speranze, de-sperans, egli si dispererebbe nella sua disperata situazione. L’opinione più diffusa nell’antichità era che la speranza è un’illusione che aiuta l’uomo a sopportare la vita, ma in sostanza è un ignis fatuus. Se d’altro lato Paolo condannava la società pagana proprio perché non possedeva la speranza, egli intendeva evidentemente una speranza il cui valore e la cui garanzia sono dati dalla fede cristiana, e non da un’illusione mondana”.
Karl Löwith, Significato e fine della storia, Edizioni di Comunità, pp. 233-234
http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaL/Lowith_01.htm
Non dimentichiamo che dal vaso di Pandora , aperto dallo stolto Epimeteo, uscirono tutte le sciagure che afflissero l'uomo, rimase nel fondo uno dei mali, la massima jattura per i Greci, la Speranza. Essa dipende dall'uomo: se è saggio, la renderà inoffensiva tenendola chiusa là dentro, evitando di lasciarsene contaminare. Così pensavano i Greci. Come ogni vizio, basterà rovesciarla, ed ecco la speranza trasformata in cosa virtuosa. Ma chi è più saggio e incontaminato di un bambino?
Elémire Zolla.
I Greci narravano la storia di Pandora che gli dèi invidiosi avevano inviato sulla terra, provvista d’un vaso, quale dono nuziale. Prometeo, che era saggio, la respinse, invece lo stolto Epimeteo aprì il vaso e ne uscirono in volo tutte le sciagure che hanno afflitto gli uomini da allora. Una volta sparse per l’aria, chi può più arrestarle? Imperverseranno quante sono, inafferrabili e invincibili, le malattie, le corruzioni e ogni sorta di disgrazia. Tuttavia, in fondo al vaso restò uno dei mali: la speranza. Essa dipende dall’uomo: se è saggio, la renderà inoffensiva tenendola chiusa là dentro, evitando di lasciarsene contaminare. Così pensavano i Greci, la Speranza era la jattura massima, e il Timeo attesta che era annoverata fra i vizi capitali.
Elémire Zolla, Gli arcani del potere, Elzeviri 1960-2000
Speranza è sinonimo di illusione. Se si è saggi non ci si abbandona all'illusione, ma fanciullescamente si vuol credere nel positivo e quindi sperare, e quindi illudersi.............
Prometeo, il cui nome significa «colui che riflette prima», era figlio del titano Giapeto e di Climene; ebbe come fratelli Epimeteo, «colui che riflette dopo il fatto», Atlante e Menezio.
Prometeo, pur appartenendo ai ribelli Titani, si schierò dalla parte di Zeus e convinse il fratello Epimeteo a fare altrettanto.
Atena, nata dalla testa di Zeus, fu assai gentile e benevola con Prometeo, gli insegnò arti utilissime come l’architettura, l’astronomia, la matematica, la medicina, la metallurgia e la navigazione.
Prometeo trasmise agli uomini, da lui stesso creati, quanto apprese dalla dea. Zeus, però, non approvava la benevolenza di Prometeo e considerava i doni del titano troppo pericolosi, perché in tal modo gli uomini sarebbero divenuti sempre più potenti e capaci.
Quanto a Prometeo, questi non aveva una grande fede nel senno di Zeus e, per metterlo alla prova, avendo ucciso un toro per un sacrificio, nascose nella pelle dell’animale la carne migliore e poi fece un mucchio più grosso con le ossa, col grasso e con le interiora, lasciando scegliere a Zeus quale dei due mucchi preferisse. Zeus scelse il mucchio più grosso e fu gabbato. Irato, Zeus tolse il fuoco agli uomini, condannandoli a mangiare la carne e gli altri cibi crudi. Prometeo, allora, con l’aiuto di Atena, entrò nell’Olimpo, sottrasse una fiaccola e la portò agli uomini, insegnando loro a mantenerla accesa. Zeus per vendicarsi di questo ulteriore affronto, ordinò a Efesto di forgiare una donna bellissima, la prima del genere umano, sulla quale i Venti alitarono lo spirito vitale. Tutte le dee dell’Olimpo le recarono doni meravigliosi. A questi doni, Zeus aggiunse un misterioso vaso chiuso che mai avrebbe dovuto essere aperto. La fanciulla fu chiamata Pandora, che in greco significa appunto che essa aveva ricevuto «tutti i doni».
Pandora fu mandata in dono al fratello di Prometeo, Epimeteo, che però la rifiutò. Zeus, più indignato che mai per l’affronto subito prima da uno poi dall’altro fratello, per punire Prometeo, lo fece incatenare mani e piedi al Caucaso e ordinò a un avvoltoio di divorargli ogni giorno il fegato, che però durante la notte ricresceva, così da rinnovare continuamente il tormento.
Epimeteo, dispiaciuto per la sorte del fratello, si rassegnò a sposare Pandora.
Pandora si rivelò tanto stupida quanto bella, perché sventatamente e per pura curiosità aprì il vaso donatole da Zeus, che mai avrebbe dovuto aprire. In quel vaso erano stati rinchiusi tutti i mali che possono tormentare l’uomo: la fatica, la malattia, la vecchiaia, la pazzia, la passione e la morte. Essi uscirono e immediatamente si sparsero fra gli uomini; solo la speranza, rimasta nel vaso tardivamente richiuso, da quel giorno sostenne gli uomini anche nei momenti di maggiore scoramento.
Con questa paradossale leggenda i Greci dimostravano l’origine della donna e giustificavano qualche giudizio poco riguardoso nei suoi confronti: in fondo essa era stata inviata da Zeus come punizione.
Fu Eracle a liberare dal tormento Prometeo, dopo che questi svelò che se Zeus avesse sposato Teti, la dea del mare, dalle loro nozze sarebbe nato un figlio che lo avrebbe cacciato dal trono, proprio come Zeus aveva fatto con Cronos e come Cronos in precedenza aveva fatto con Urano. Conosciuto il segreto, Zeus perdonò Prometeo e, per scongiurare definitivamente il pericolo che lo minacciava, si affrettò a sposare Hera, e fece sposare Teti a un mortale, Peleo.
Prometeo godé di un culto molto diffuso in Atene, tanto che la città gli dedicò delle feste pubbliche, le Prometheia, nelle quali si percorrevano le strade correndo con fiaccole accese per celebrare i più grande dono che Prometeo aveva fatto all’umanità: il fuoco.
http://www.studiarapido.it/prometeo-e-pandora-mitologia/
La speranza e' uno stato di fiduciosa attesa rispetto a qualcosa di cui non possiamo essere certi ...
Il padre degli uomini e degli dei comandò all’inclito Efesto che subito impastasse terra con acqua e vi infondesse voce umana e vigore, e che il tutto fosse d’aspetto simile alle dee immortali, e di bella, virginea, amabile presenza; e quindi che Atena le insegnasse le arti: il saper tessere trame ben ordite. Comandò all’aurea Afrodite di spargerle sopra il capo grazia, tormentosi desideri e le pene che struggono le membra; e a Ermes, messaggero Argifonte, di dargli un’anima di cagna e indole ingannatrice. Così parlo, e quelli obbedirono ai voleri del Cronide Zeus. (…) Questa donna fu chiamata Pandora, perché tutti gli abitanti dell’Olimpo le fecero dei doni, rovina per gli uomini operosi. (…) Fino ad allora, infatti, viveva sulla terra lontana dai mali, la stirpe mortale, senza la sfibrante fatica e senza il morbo crudele che trae gli umani alla morte: ché rapidamente invecchiano gli uomini nel dolore. Ma la donna, levando di sua mano il grande coperchio dell’orcio, disperse i mali, preparando agli uomini affanni luttuosi. Soltanto la Speranza rimase là dentro, nell’intatta dimora sotto i labbri dell’orcio: non volò fuori, perché prima Pandora rimise il coperchio sull’orcio, secondo il volere dell’egoico Zeus, adunatore di nembi. Ma gli altri, i mali infiniti errano in mezzo agli umani: piena, infatti, di mali è la terra, pieno ne è il mare, e le malattie, a loro piacere, si aggirano in silenzio di notte e di giorno fra gli uomini, portando dolore ai mortali; e questo perché l’accorto Zeus tolse loro la voce. Non si può evitare l’intendimento di Zeus.
Speranza è sinonimo di illusione. Se si è saggi non ci si abbandona all'illusione, ma fanciullescamente si vuol credere nel positivo e quindi sperare, e quindi illudersi.............
Prometeo e Pandora – Mitologia
Prometeo, il cui nome significa «colui che riflette prima», era figlio del titano Giapeto e di Climene; ebbe come fratelli Epimeteo, «colui che riflette dopo il fatto», Atlante e Menezio.
Prometeo, pur appartenendo ai ribelli Titani, si schierò dalla parte di Zeus e convinse il fratello Epimeteo a fare altrettanto.
Atena, nata dalla testa di Zeus, fu assai gentile e benevola con Prometeo, gli insegnò arti utilissime come l’architettura, l’astronomia, la matematica, la medicina, la metallurgia e la navigazione.
Prometeo trasmise agli uomini, da lui stesso creati, quanto apprese dalla dea. Zeus, però, non approvava la benevolenza di Prometeo e considerava i doni del titano troppo pericolosi, perché in tal modo gli uomini sarebbero divenuti sempre più potenti e capaci.
Quanto a Prometeo, questi non aveva una grande fede nel senno di Zeus e, per metterlo alla prova, avendo ucciso un toro per un sacrificio, nascose nella pelle dell’animale la carne migliore e poi fece un mucchio più grosso con le ossa, col grasso e con le interiora, lasciando scegliere a Zeus quale dei due mucchi preferisse. Zeus scelse il mucchio più grosso e fu gabbato. Irato, Zeus tolse il fuoco agli uomini, condannandoli a mangiare la carne e gli altri cibi crudi. Prometeo, allora, con l’aiuto di Atena, entrò nell’Olimpo, sottrasse una fiaccola e la portò agli uomini, insegnando loro a mantenerla accesa. Zeus per vendicarsi di questo ulteriore affronto, ordinò a Efesto di forgiare una donna bellissima, la prima del genere umano, sulla quale i Venti alitarono lo spirito vitale. Tutte le dee dell’Olimpo le recarono doni meravigliosi. A questi doni, Zeus aggiunse un misterioso vaso chiuso che mai avrebbe dovuto essere aperto. La fanciulla fu chiamata Pandora, che in greco significa appunto che essa aveva ricevuto «tutti i doni».
Pandora fu mandata in dono al fratello di Prometeo, Epimeteo, che però la rifiutò. Zeus, più indignato che mai per l’affronto subito prima da uno poi dall’altro fratello, per punire Prometeo, lo fece incatenare mani e piedi al Caucaso e ordinò a un avvoltoio di divorargli ogni giorno il fegato, che però durante la notte ricresceva, così da rinnovare continuamente il tormento.
Epimeteo, dispiaciuto per la sorte del fratello, si rassegnò a sposare Pandora.
Pandora si rivelò tanto stupida quanto bella, perché sventatamente e per pura curiosità aprì il vaso donatole da Zeus, che mai avrebbe dovuto aprire. In quel vaso erano stati rinchiusi tutti i mali che possono tormentare l’uomo: la fatica, la malattia, la vecchiaia, la pazzia, la passione e la morte. Essi uscirono e immediatamente si sparsero fra gli uomini; solo la speranza, rimasta nel vaso tardivamente richiuso, da quel giorno sostenne gli uomini anche nei momenti di maggiore scoramento.
Con questa paradossale leggenda i Greci dimostravano l’origine della donna e giustificavano qualche giudizio poco riguardoso nei suoi confronti: in fondo essa era stata inviata da Zeus come punizione.
Fu Eracle a liberare dal tormento Prometeo, dopo che questi svelò che se Zeus avesse sposato Teti, la dea del mare, dalle loro nozze sarebbe nato un figlio che lo avrebbe cacciato dal trono, proprio come Zeus aveva fatto con Cronos e come Cronos in precedenza aveva fatto con Urano. Conosciuto il segreto, Zeus perdonò Prometeo e, per scongiurare definitivamente il pericolo che lo minacciava, si affrettò a sposare Hera, e fece sposare Teti a un mortale, Peleo.
Prometeo godé di un culto molto diffuso in Atene, tanto che la città gli dedicò delle feste pubbliche, le Prometheia, nelle quali si percorrevano le strade correndo con fiaccole accese per celebrare i più grande dono che Prometeo aveva fatto all’umanità: il fuoco.
http://www.studiarapido.it/prometeo-e-pandora-mitologia/
L'immaginazione galoppa perché la realtà zoppica!
La speranza è l'ultima a morire ma è la prima ad ammalarsi.
Pace....Fede....Amore....
Le Quattro Candele, bruciando, si consumavano lentamente.
Il luogo era talmente silenzioso che si poteva ascoltare la loro conversazione.
La Prima Candela diceva:
"IO SONO LA PACE
Ma gli uomini non riescono a mantenermi: penso proprio che non resti altro da fare che spegnermi!".
Così fu, e a poco a poco, la candela si lasciò spegnere completamente.
La Seconda Candela disse:
"IO SONO LA FEDE
Purtroppo non servo a nulla. Gli uomini non ne vogliono sapere niente di me, e per questo motivo non ha senso che io resti accesa".
Appena ebbe terminato di parlare, una leggera brezza soffiò su di essa e la spense.
Triste Triste,
La Terza Candela a sua volta disse:
"IO SONO L' AMORE
Non ho la forza per continuare a rimanere accesa. Gli uomini non mi considerano e non comprendono la mia importanza.
Essi odiano perfino coloro che più li amano, i loro familiari."
E senza attendere oltre, la candela si lasciò spegnere.
INASPETTATAMENTE.................
un bimbo in quel momento entrò nella stanza e vide le TRE CANDELE SPENTE.
Impaurito per la semi oscurità disse:
"MA COSA FATE VOI DOVETE RIMANERE ACCESE, IO HO PAURA DEL BUIO!"
E così dicendo scoppiò in lacrime.
Allora La Quarta Candela impietositasi disse:
"NON TEMERE, NON PIANGERE:
POTREMO SEMPRE RIACCENDERE,
LE ALTRE CANDELE:
Io Sono LA SPERANZA".
Con gli occhi lucidi e gonfi di lacrime, il bimbo presela LA CANDELA DELLA SPERANZA, E RIACCESE TUTTE LE ALTRE.
CHE NON SI SPENGA MAI LA SPERANZA DENTRO IL NOSTRO CUORE..................
E CHE CIASCUNO DI NOI POSSA ESSERE LO STRUMENTO, COME QUEL BIMBO, CAPACE IN OGNI MOMENTO DI RIACCENDERE CON LA SUA SPERANZA:
LA FEDE, LA PACE E L' AMORE!!!.
di: una tribù che balla
La speranza e' uno stato di fiduciosa attesa rispetto a qualcosa di cui non possiamo essere certi ...
Preferisco il dubbio alla certezza .. Solo così ho la possibilità di pormi domande, crescere, ragionare e agire .. Non e' certo uno stato di passività' :)
La speranza deriva dal latino: spes ultima dea, ovvero la speranza è l'ultima possibilità disponibile all'uomo...quindi, denota un'incertezza, un forse che potrebbe succedere. Beh che dire,per te è uno stato di fiduciosa attesa? A me non sembra, la fiducia c'è se credi pienamente, il credere è un agire che muove delle forze, è un 'energia...la speranza è ferma, è passiva. speri ma nello stesso tempo credi che non sia vero che accada....lo stesso discorso vale per i miracoli, è il credere che fa succedere!!! Il dubbio ti stimola? Interessante, ma secondo te gli scienziati, i grandi pensatori sono stati stimolati dal dubbio o credevano fermamente nelle loro idee?
Giuseppe Ferrari
Il femminile traumatizzato e il “pericolo” della sua natura divina
Viene in mente il titolo di un libro di racconti della scrittrice giapponese Banana Yoshimoto, Il corpo sa tutto. Oltre a sapere tutto, il corpo femminile trattiene, custodisce, a volte nasconde, o al contrario esibisce platealmente, la ferita d’origine. Il femminile traumatizzato (Persiani editore) racconta una storia antichissima, sempre reiterata, di repressione e annientamento del femminile da parte del potere patriarcale in Occidente; storia che al di là delle apparenze continua a reincarnarsi perché il trauma collettivo, storico-culturale, si manifesta ogni volta da capo in forma di ferita individuale ed esistenziale sulla pelle o sotto la pelle di ognuna. L’autrice, Rossella Sofia Bonfiglioli, antropologa e psicoterapeuta, dà un taglio originale a un’indagine ancora troppo minoritaria: rintraccia in chiave medico-antropologica attraverso il linguaggio dei sintomi la neutralizzazione della potenza femminile. Cosa è avvenuto nella storia? Come è stato permesso al femminile di esserci, esistere? A che prezzo? Cosa si è dovuto rimuovere e sacrificare di sé per non essere ‘arse’ ai roghi perpetui, almeno all’apparenza? L’operazione fondamentale è stata la repressione dell’istinto di aggressività femminile fino a raggiungere una convenzionale ‘ipoaggressività’, aspetto a tal punto ‘naturalizzato’ che nei secoli si è costruita un’iconografia della donna all’insegna di debolezza, fragilità, dipendenza, depressione, malinconia come fossero suoi connotati di natura.
Icona di questo tradimento/travisamento, la Madonna, così come è rappresentata nell’iconografia convenzionale cattolica: passiva, inconsapevole, contenitore funzionale alla procreazione del figlio di dio, quando invece la vera divinità è in lei,perché vergine, ovvero non contaminata ma in contatto spirituale col cosmo. L’altra operazione decisiva compiuta dalla cultura patriarcale misogina è stata, appunto, l’aver privato il cielo e le stelle della componente divina femminile, l’aver spogliato la donna della sua divinità, obbligato le divinità a declinarsi al maschile o, al limite, al neutro. Con queste due operazioni di neutralizzazione del femminile, non è restato alla donna che fare del proprio corpo mutilato uno strumento di comunicazione, protesta, grido, ribellione, insurrezione, atto di accusa. Allora il corpo si è messo a bollire e ribollire, a fare il pazzo, a incutere terrore, trasformando in sintomi ‘psicopatologici’ la costrizione, la rimozione, la marginalizzazione, la censura subite a poter essere sé, fino al capolavoro di comunicazione e strategia di resistenza creativa che è stata l’isteria al femminile deflagrata nell’Ottocento. Rendiamo grazie alle isteriche, è proprio il caso di dire, rendiamo grazie alle isteriche è l’invito delle autrice perché davvero loro è il regno dei cieli, non solo quello della terra dove l’imperio maschile le ha precipitate. Loro hanno fatto esplodere le sbarre della galera, incrinato il grande edificio e dato avvio a una nuova storia: l’inizio dellapsicoanalisi considerata con il femminismo la grande rivoluzione del ‘900. Che poi quest’inizio sia stato segnato dal misogino patriarca Freud che, lo racconta il fallimento del caso di Dora, voleva aggiustare le cose secondo una solita logica maschile, e sia: ma proprio la scoperta dell’inconscio da parte di Freud “costringe la medicina e la psichiatria a interrogarsi sull’anima”, tappa fondamentale per aprire la strada a una generazione di psicoanaliste-guaritrici fino alle luminose visioni di Luce Irigaray, filosofa e psicoanalista francese. Ora che la violenza esplode in tutto l’edificio sociale, forse è tempo di dare ascolto alla divinità nella donna e trovare un dialogo tra maschile e femminile a cominciare dalle differenze.
In principio ci sono stati i miti fondativi che spiegano il nostro essere state messe a tacere da subito: il mito di Pandora, capolavoro e caposaldo della misoginia greca, “indica una delle grandi radici della stigmatizzazione del potere e della conoscenza del femminile all’interno della storia patriarcale dell’Occidente nella cui tradizione culturale il peccato originale viene strettamente legato alla donna, primaria latrice di tutti i mali”. Pandora riceve da Zeus un vaso con la raccomandazione di non aprirlo. Lei, curiosa, lo fa e libera tutti i mali del mondo. Resta al fondo del contenitore solo la speranza. Il corpo contenitore della donna conserva la speranza, ma contiene anche tutti i segreti più pericolosi, la ‘colpa’ iniziale che accomuna Pandora, Lilith, Eva: storie di disobbedienza a un logos maschile. E i miti stanno a raccontare “la repressione dell’intero complesso istintuale-creativo femminile” da parte dell’inconscio collettivo.
Il trauma di questa storia occidentale “o più propriamente la sua memoria incorporata è psicoterapeuticamente e antropologicamente da considerare come causa significativa (cioè dotata di senso, eppure poco nominata, cioè nascosta, misconosciuta) delle nuove sintomatologie che esplodono nel corpo femminile a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento nel cuore dell’Europa razionalistica e scientifica moderna”. L’autrice rintraccia nei sintomi diagnosticati dalla biomedicina e biopsichiatria in chiave riduzionista sul corpo delle donne precise forme di resistenza, “critiche incarnate rispetto a ideologie di potere dominanti”. Ecco un repertorio di diagnosi nella storia medica occidentale: “stati alterati di coscienza (trance, possessione demoniaca, stregoneria, estasi mistica), disturbi psichici della personalità (manie ossessive, isteria, nevrastenia, nevrosi, schizofrenia), comportamenti compulsivi e dipendenza (cibo: anoressia, bulimia e sostanze: alcolismo, tossicodipendenze), scompensi bio-funzionali associati al sistema circolatorio e immunitario (iper e ipo tensione, mal di cuore, stress e sindromi da fatica cronica), disagi associati al sistema nervoso (ansia, depressione, fobie, attacchi di panico)”. Cambiano le forme esteriori: dal corpo stregonesco siamo passati “al corpo isterico prima quindi al corpo nevrotico, bulimico, chirurgizzato, anestetico del Duemila”.
È evidente, secondo le indicazioni di Luce Irigaray cui l’autrice dedica un sentito omaggio e che ricorda per aver de-costruito gli scritti di Freud ma anche dialogato con essi in forme creative, che occorre ora più che mai passare da una cultura per secoli e tuttora a soggetto unico, all’insegna del pensiero maschile universale neutro, a una cultura che verta sulla differenza ignorata o rimossa: il corpo sessuato della donna non ridotto all’uno al medesimo. L’autrice ha ben imparato a riconoscere la persistenza dell’antico trauma e i suoi segnali corporei anche nella stanza della terapia delle pazienti attuali: “l’antico trauma può provocare una paralisi alle gambe o alle braccia, può dare dolori cronici alla cervicale o alla schiena, può produrre una sindrome da affaticamento cronico o una grave amenorrea, emicranie, sintomi respiratori o gastrointestinali, coliche, incubi, visioni, pianti improvvisi”: tutti segnali non solo di un abuso sessuale magari subito nell’infanzia, quanto di un antico trauma individuale storico-culturale che ha provocato nella donna “un disordine intimo, una sofferenza un’assenza, una mancanza di senso”. Ecco perché la relazione di cura, gli strumenti della psicoterapia vanno integrati con gli strumenti culturali dell’analisi medico-antropologica. E il senso della donna, la realizzazione del sé, si realizzerà quando le verrà restituito ciò che le è stato amputato: la sacralità incarnata, il dono dell’integrità spirituale, l’essere collegata con il cosmo. “Attraverso il vasto continente della vita di una donna si disegna l’ombra di una spada, attraversare l’ombra della spada si può rendere la vita di una donna molto più interessante, ma anche più pericolosa”, scrisse Virginia Woolf. Bisogna correre il pericolo di tornare divine.
Il mito racconta che passeggiando sul monte Cillene (o secondo un'altra versione Citerone), vide due serpenti che copulavano, ne uccise la femmina perché quella scena lo infastidì. Nello stesso momento Tiresia fu tramutato da uomo a donna. Visse in questa condizione per sette anni provando tutti i piaceri che una donna potesse provare. Passato questo periodo venne a trovarsi di fronte alla stessa scena dei serpenti. Questa volta uccise il serpente maschio e nello stesso istante ritornò uomo.
Un giorno Zeus ed Era si trovarono divisi da una controversia: chi potesse provare in amore più piacere: l'uomo o la donna. Non riuscendo a giungere ad una conclusione, poiché Zeus sosteneva che fosse la donna mentre Era sosteneva che fosse l'uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l'unico che avrebbe potuto risolvere la disputa essendo stato sia uomo che donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere sessuale si compone di dieci parti: l'uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea Era, infuriata perché l'indovino aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Zeus, per ricompensarlo del danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni.
In altre versioni del mito fu la stessa madre a chiedere il dono della profezia, dopo che la dea Atena lo aveva accecato per punirlo di averla vista nuda mentre si faceva il bagno.
Nel corso dell'attacco degli Epigoni contro Tebe, Tiresia fuggì dalla città insieme ai tebani; sfiancato si riposò nei pressi della fonte Telfussa dalla quale bevve dell'acqua gelata e morì. In un'altra versione l'indovino, rimasto a Tebe con la figlia Manto, venne fatto prigioniero e mandato a Delfi con la figlia, dove sarebbero stati consacrati al dio Apollo. Tiresia morì per la fatica durante il cammino.
La storia di Tiresia è narrata tra gli altri da Ovidio nelle metamorfosi (per quanto riguarda l'episodio di "transessualità") e da Stazio nella Tebaide.
Dante Alighieri lo citò vicino al suo rivale in divinazione nella guerra di Tebe, Anfiarao, tra gli indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno (XX, 40-45). Il poeta fiorentino però non fa accenno alle sue arti divinatorie ma cita solo il prodigio del cambio di sesso dovuto all'aver colpito due serpentelli, che rese necessario colpirli di nuovo sette anni dopo. Forse all'Alighieri qui interessava solo deprecare come i maghi talvolta adulterano le cose naturali con il loro intervento. Tiresia è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro in contrappasso con il suo potere "preveggente" in vita. Anche sua figlia Manto si trova nello stesso girone.
Titolo: Il femminile traumatizzato.
Un’analisi medico-antropologica nella cultura patriarcale in occidente
Un’analisi medico-antropologica nella cultura patriarcale in occidente
Autore: Rossella S. Bonfiglioli
Editore: Persiani
Dati: 2011, 172 pp., 16.90 €
Tiresia
Tiresia è una figura della mitologia greca. Il celebre indovino era figlio di Evereo, della stirpe degli Sparti, e della ninfa Cariclo. Tiresia ebbe una figlia, Manto, anche lei indovina.Il mito racconta che passeggiando sul monte Cillene (o secondo un'altra versione Citerone), vide due serpenti che copulavano, ne uccise la femmina perché quella scena lo infastidì. Nello stesso momento Tiresia fu tramutato da uomo a donna. Visse in questa condizione per sette anni provando tutti i piaceri che una donna potesse provare. Passato questo periodo venne a trovarsi di fronte alla stessa scena dei serpenti. Questa volta uccise il serpente maschio e nello stesso istante ritornò uomo.
Un giorno Zeus ed Era si trovarono divisi da una controversia: chi potesse provare in amore più piacere: l'uomo o la donna. Non riuscendo a giungere ad una conclusione, poiché Zeus sosteneva che fosse la donna mentre Era sosteneva che fosse l'uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l'unico che avrebbe potuto risolvere la disputa essendo stato sia uomo che donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere sessuale si compone di dieci parti: l'uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea Era, infuriata perché l'indovino aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Zeus, per ricompensarlo del danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni.
In altre versioni del mito fu la stessa madre a chiedere il dono della profezia, dopo che la dea Atena lo aveva accecato per punirlo di averla vista nuda mentre si faceva il bagno.
Nel corso dell'attacco degli Epigoni contro Tebe, Tiresia fuggì dalla città insieme ai tebani; sfiancato si riposò nei pressi della fonte Telfussa dalla quale bevve dell'acqua gelata e morì. In un'altra versione l'indovino, rimasto a Tebe con la figlia Manto, venne fatto prigioniero e mandato a Delfi con la figlia, dove sarebbero stati consacrati al dio Apollo. Tiresia morì per la fatica durante il cammino.
La storia di Tiresia è narrata tra gli altri da Ovidio nelle metamorfosi (per quanto riguarda l'episodio di "transessualità") e da Stazio nella Tebaide.
Dante Alighieri lo citò vicino al suo rivale in divinazione nella guerra di Tebe, Anfiarao, tra gli indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno (XX, 40-45). Il poeta fiorentino però non fa accenno alle sue arti divinatorie ma cita solo il prodigio del cambio di sesso dovuto all'aver colpito due serpentelli, che rese necessario colpirli di nuovo sette anni dopo. Forse all'Alighieri qui interessava solo deprecare come i maghi talvolta adulterano le cose naturali con il loro intervento. Tiresia è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro in contrappasso con il suo potere "preveggente" in vita. Anche sua figlia Manto si trova nello stesso girone.
http://youtu.be/WL8mA4wzorY
René Magritte, Il vaso di Pandora, 1951
Immagine: John William Waterhouse - Pandora
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