martedì 15 luglio 2014

Acqua alle funi (Aiga ae corde!). Nel 1586 papa Sisto V, volendo abbellire piazza San Pietro, ordinò che vi fosse innalzato il grande obelisco che tuttora vi si ammira, ma che a quel tempo si trovava dietro la Basilica Vaticana. L'obelisco era posto ad una estremità del Circo di Nerone, per volere di Caligolatrasportato a Roma da Eliopoli, dove si trovava nel Forum Iulii. Il lavoro, che venne affidato al ticinese Domenico Fontana, presentava gravi difficoltà. L'obelisco pesava 350 tonnellate ed era alto 25 metri, perciò il Fontana dovette far calcoli su calcoli e impegnare impalcature, argani e carrucole. Per azionare il tutto si ingaggiarono 800 uomini e 140 cavalli. Il 10 settembre 1586 l'obelisco doveva essere innalzato e, visti i pericoli inerenti al lavoro, fu diramato l'ordine agli operai e alla folla di non fiatare. Per chi avesse lanciato il minimo grido c'era la pena di morte e all'uopo c'erano già sul luogo la forca ed il boia. L'obelisco era quasi a posto quando si videro le funi cedere e allungarsi pericolosamente. Il monolito stava cadendo rovinosamente a terra. Allora nel gran silenzio si levò una voce temeraria a gridare: Daghe l'aiga ae corde! (espressione non genovese, dove sarebbe "Deghe l'aegua ae corde", ma ligure-ponentina per "Acqua alle funi!"). Il consiglio fu seguito subito dagli architetti con ottimo risultato. A sventare il pericolo era stato il capitano Benedetto Bresca, marinaio ligure, che sapeva bene che le corde di canapa si accorciano quando vengono bagnate. Bresca fu subito arrestato, ma Sisto V come ricompensa invece della punizione gli diede larghi privilegi, una lauta pensione e il diritto di issare la bandiera pontificia sul suo bastimento. Inoltre Bresca avrebbe chiesto ed ottenuto il privilegio, per sé e per i suoi discendenti, di fornire alla Chiesa di San Pietro degli ulivi per la Settimana Santa. Ancora oggi Bresca viene ricordato nella sua città natale, Bordighera.

Campanile di San Marco



Il 6 luglio 1902 il campanile veniva ultimato e decorato con la statua di legno dorato dell’Arcangelo Gabriele nella cuspide, assumendo l’aspetto attuale che tutti conosciamo; ma “el Paron de casa”, così com’è affettuosamente chiamato dai veneziani, il 14 luglio dello stesso anno crollò, per essere riedificato poi, com’era e dov’era, dieci anni più tardi. A causa di una frattura che si allargò spaventosamente in fretta, in meno di un minuto l’enorme mole della torre fu ridotta a un cumulo di macerie, alte quasi quando il palazzo Ducale, provocando un enorme boato e una poderosa scossa che mise in allarme tutta la popolazione veneziana. 



Aggiungerei che l'arcangelo Gabriele dopo il crollo della torre rimase in piedi e la campana non si fece un graffio, per questo la gente gridò al miracolo!


"Luigi Vendrasco “la Cassandra di Venezia” […]: un abile capomastro che lavorò ininterrottamente, per oltre settant’anni, sui principali monumenti di Venezia. […] Luigi Vendrasco e il figlio Giovanni Antonio si erano specializzati in progettazione e messa in stabilità di campanili e nella realizzazione dei relativi ponteggi. Vendrasco contribuì quindi in modo decisivo alla progettazione e alla posa in opera delle impalcature necessarie per i lavori di restauro di Palazzo Ducale, allorché fu necessario sostituire gran parte delle strutture architettoniche portanti […], inoltre riuscì a raddrizzare le colonne di Piazzetta San Marco dopo quasi quattro secoli di inclinazione, con un sistema semplice quanto mai geniale […].
L’attività del capomastro – coadiuvato incessantemente dall’inseparabile figlio, valido ed esperto geometra nonché brillante divulgatore (pubblicherà diverse monografie, articoli e recensioni in materia di conservazione e restauro monumentale) –, subisce una battuta d’arresto a seguito dell’istituzione degli Uffici Regionali per la Conservazione dei Monumenti (le attuali Soprintendenze) nel 1891, per opera dell’allora Ministro della Pubblica Istruzione Pasquale Villari. I due intendenti d’arte, fino a quel momento operanti sotto l’egida del Genio Civile, si vedono d’un tratto assorbiti nella nuova struttura, sottoposti alla direzione del nuovo soprintendente di nomina governativa, Federico Berchet. Con il trascorrere degli anni la gestione Berchet, alquanto opinabile nelle modalità di attuazione, verrà fortemente contrastata non solo dai Vendrasco, ma da buona parte dell’élite intellettuale veneziana; a Berchet viene in sostanza attribuita SCARSA COMPETENZA E RIMPROVERATA UNA CERTA INETTITUDINE NELLA CONDUZIONE DEI LAVORI DI RESTAURO DEI LOCALI INTERNI DI PALAZZO DUCALE. Nel 1898, nello specifico, un articolo scritto da Giovanni Antonio sulla “Gazzetta degli Artisti”, a difesa della linea di condotta assunta dal padre e, per contro, avversa a quella di Berchet, verrà da questi impugnato per intentare un processo di diffamazione contro Luigi Vendrasco. Al termine del processo, pur venendogli unanimemente riconosciute onestà e competenza professionale, VENDRASCO VERRÀ DESTITUITO DALL’INCARICO con delle MODALITÀ CHE ANTICIPANO DI OLTRE UN SECOLO CIÒ CHE OGGI DEFINIAMO “REATO DI MOBBING” (INTIMANDOGLI UN TRASFERIMENTO ALL’UFFICIO REGIONALE DI CAGLIARI a cui, ovviamente, e specie alla veneranda età di 77 anni, non può adempiere). Alla destituzione seguono anni di umiliazioni professionali, di difficili condizioni economiche, a cui si aggiunge la morte della consorte, avvenuta nel 1901.
Ma LUIGI VENDRASCO NON DEMORDE; insiste nella sua BATTAGLIA, ORMAI PERSONALE, CONDOTTA IN NOME DELL’ARTE E DELLA BELLEZZA, denunciando l’incompetenza e l’inavvedutezza nella conduzione di alcuni lavori di consolidamento e restauro. Se GIÀ NEL 1892 ERA INTERVENUTO DURAMENTE CONTRO LA PROPOSTA DI COLLOCARE UN ASCENSORE ALL’INTERNO DEL CAMPANILE DI SAN MARCO, scongiurandone di fatto la realizzazione […]. Tra i numerosi reclami, segnalazioni e lettere di sollecitazione che si preoccupa di inoltrare in quegli anni – solo credente tra una moltitudine di infedeli – spiccano quelli inviati alla regina Margherita e alla regina Vittoria (quest’ultima segnalazione in particolare, gli varrà il RICHIAMO DEL MINISTRO IN PERSONA, CHE GLI RICORDERÀ DI ESSERE ITALIANO, PRIMA CHE INGLESE). L’ULTIMO TENTATIVO DELL’ANZIANO CAPOMASTRO PER EVITARE LA CATASTROFE SARÀ QUELLO DI PREVEDERE CON NETTO ANTICIPO, E UN’ATTENDIBILITÀ CHE HA DELL’INCREDIBILE, LE MODALITÀ DEL FUTURO CROLLO DEL CAMPANILE. CIÒ NONOSTANTE, COME BEN CONOSCIAMO, LA TRAGEDIA NON VERRÀ EVITATA, e le vicende successive alla caduta del 14 luglio 1902 sono ormai note. Meno nota invece è la manifestazione di affetto e solidarietà che Vendrasco riceve dal popolo veneziano subito dopo l’evento: una moltitudine di persone si reca sotto la sua abitazione a San Zulian e gli tributa un plauso festante, riconoscendogli il merito e l’esattezza delle previsioni fatte, senza sapere tuttavia che il vegliardo, in preda allo sconforto e alla delusione di non aver potuto evitare la caduta del Paron de Casa, era fuggito in campagna (a Dolo), dove terminerà i suoi giorni. Lo stesso Ministro Nunzio Nasi, in visita a Venezia nei giorni successivi per istituire una commissione d’inchiesta per accertare le cause e le responsabilità inerenti al crollo, vorrà incontrare Vendrasco, dopo essere stato avvicinato in Piazza San Marco da un signore che gli grida in viso a squarciagola: “Viva Vendrasco!”.
L’“eco di Vendrasco” inizia quindi a propagarsi al di fuori del confine veneto: il “Corriere della Sera” ne pubblicherà un intervista decretandolo “uomo del giorno”, “Il Piccolo” di Trieste gli intitolerà un articolo, definendolo “PROFETA DELLA CATASTROFE”.
Alle elezioni amministrative parziali del luglio 1902 l’ottuagenario capomastro, candidatosi nelle file dei democratici, consoliderà la notorietà del momento con ben 5741 voti contro i 6602 ottenuti dal Sindaco Filippo Grimani.
LA CADUTA DEL CAMPANILE INGENERA TRA I VENEZIANI UNA SORTA DI “PANICO DA CROLLO” .
Tutto ciò che è pericolante (o che viene interpretato come tale) viene visto come un rischio da evitare con urgenza; alle pubbliche autorità iniziano a pervenire, da ogni parte di Venezia, RICHIESTE DI DEMOLIZIONI (PER GRAN PARTE IMMOTIVATE e non suffragate da un effettivo pericolo di crollo) riguardanti sia edifici pubblici che privati. SONO SOPRATTUTTO I CAMPANILI PENDENTI DELLA CITTÀ A ESSERE PRESI DI MIRA e, tra questi, il maggiore per interesse storico-artistico, quello di Santo Stefano.
DETERMINANTE PER LA SALVAGUARDIA DEL MONUMENTO SARÀ, ANCORA UNA VOLTA, L’INTERVENTO DI VENDRASCO, ALLORCHÉ IL PREFETTO NE AVEVA GIÀ DISPOSTO LA DEMOLIZIONE CONTROLLATA. Interpellato dal parroco di Santo Stefano monsignor Francesco Paganuzzi, Luigi Vendrasco gli risponde con una lettera appassionata, contenente una serie di indicazioni e suggerimenti preziosi, con la quale consiglia di procedere con meno avventatezza e di valutare con maggiore attenzione le reali condizioni del monumento.
IL SUO CONSIGLIO EVITERÀ L’ABBATTIMENTO DI UNO DEI PIÙ BEI MONUMENTI DELLA CITTÀ. […]"
Posted by Paolo Voltolina
http://www.cfrmagazine.it/ita/2013/02/20/luigi-vendrasco-la-cassandra-di-venezia-storia-di-una-ricerca/



Da Wikipedia, l'enciclopedia libera:
Il campanile di San Marco
Il campanile di San Marco è uno dei simboli della città di Venezia. I veneziani lo chiamano affettuosamente El parón de casa (Il padrone di casa).
Alto 98,6 metri è uno dei campanili più alti d'Italia. Si erge, isolato, in un angolo dipiazza San Marco di fronte alla basilica. Di forma semplice, si compone di una canna di mattoni, scanalata, avente un lato di 12 metri e alta circa 50 metri, sopra la quale si trova la cella campanaria, ad archi. [...]

Il crollo

Una delle tante foto che rappresentano il crollo del campanile. Sono tutte dei falsi in quanto durante il crollo non furono scattate foto.
Il 14 luglio del 1902, successivamente ad alcuni interventi sul paramento murario esterno, effettuati in maniera improvvida e ad insaputa del proto della Basilica di San Marco, sulla parete nord della costruzione venne segnalata la presenza di una pericolosa fenditura, che nei giorni seguenti aumentò di dimensioni fino a che, la mattina di lunedì 14 luglio, alle 9.47, il campanile crollò (altre fonti indicano le 9.52 come ora del crollo).
Le macerie del campanile
[...]Nella serata il consiglio comunale, riunito d'urgenza, ne deliberò la ricostruzione, stanziando 500.000 Lire per contribuire ai lavori. Il sindaco Filippo Grimani, durante il discorso in occasione della posa della prima pietra, il 25 aprile 1903, pronunziò più volte la famosa frase, che diventerà il motto di questa ricostruzione:
«dov'era e com'era»

Campane

Suono serale della campana Mezza Terza
Particolare della cella campanaria, primo piano della Nona e della Trottiera
[...]
  • Marangona (maggiore),  diametro 1,800 m; peso 3.625 kg;
    è la campana maggiore e l'unica ad essersi salvata dal crollo del campanile; i suoi rintocchi annunciavano l'inizio e la fine dell'orario di lavoro dei marangoni, cioè dei carpentieri dell'Arsenale, e le sedute del Maggior Consiglio;

Curiosità


Ai tempi della Repubblica di Venezia, alcuni reati, in particolare se commessi dal clero, erano puniti col 
suplissio dela cheba ovvero con l'esposizione del condannato in una gabbia appesa al campanile.
Macerie del Campanile di San Marco, tra di esse si scorge la Marangona
  • La base del campanile era, nel passato, circondata da osterie e botteghe in legno che vennero demolite in seguito ad una delibera del consiglio comunale del 1872. Da queste deriva il modo di dire veneziano andemo a bever un'ombra (andiamo a bere un bicchiere di vino), contrazione metonìmica per andemo a bever un goto de vin all'ombra del campanil (andiamo a bere un bicchiere di vino all'ombra del campanile).
  • Il campanile crollò a breve distanza di tempo dal suo "fratello" di Corbetta, crollato nel giugno di quello stesso anno. Una curiosa vignetta satirica d'epoca apparsa su "L'Asino", rappresenta gli altri principali campanili del nord Italia con tanto di fazzoletto che si asciugano le lacrime per la perdita dei due grandi fratelli.
  • Nella notte fra l'8 ed il 9 maggio 1997, un gruppo di nostalgici della Repubblica di Venezia in seguito definiti Serenissimioccupò la piazza e il campanile di San Marco. Dopo poche ore l'intervento del GIS dei Carabinieri pose fine alla dimostrazione.
  • Durante il Carnevale di Venezia, il Giovedì grassouna delle attrazioni consisteva nello svolo dell'angelo o del turco. Era l'esibizione di un equilibrista che scendeva dal campanile ad una barca ancorata nel bacino di San Marco camminando lungo una fune. In seguito, probabilmente a causa di cadute, venne sostituito da una colomba di legno.[2]. Ancora oggi, con alcune varianti sul tema originale, si può assistere allo spettacolo del volo della colombina, durante la domenica precedente il giovedì grasso. Il tragitto però va dal campanile alla Loggia del Palazzo Ducale, inscenando l’antico rito di omaggiare di uno scettro il doge che proclama l’inizio del Carnevale in un tripudio di coriandoli e palloncini. Per l'esattezza è il Carnevale 2001 che ha segnato un ritorno alla tradizione dei carnevali settecenteschi rimettendo in scena nuovamente, dopo secoli, il volo dell'angelo, così come si svolgeva i tempi della Repubblica Serenissima. Da quell’anno, infatti la manifestazione simbolo del Carnevale, il volo dal campanile di San Marco al Palazzo dei Dogi, è tornata ad essere eseguito da una "Angelo" in carne ed ossa, sostituendo la più recente Colombina "pupazzo"[...]

  • L'unica "vittima" del crollo del campanile di San Marco fu un gatto.

Giovanni Antonio Canal detto il Canaletto, Riparazioni del campanile di San Marco dopo essere stato colpito da un fulmine





















Il sistema di raddrizzamento delle torri di piazza san Marco probabilmente è quello denominato "acqua alle corde" così detto perchè si utilizzavano corde di canapa che venivano bagnate per fare in modo che si allungassero, dunque venivano legate all'oggetto da sollevare nel momento del massimo allungamento, dopo di che si aspettava che si asciugassero per ottenere il ritiro e quindi il sollevamento del corpo. Semplice ma geniale.

Acqua alle funi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Acqua alle funi (Aiga ae corde!) è una frase che fu gridata a Roma in piazza San Pietro durante l'innalzamento dell'obelisco situato al centro della piazza.

Storia

Nel 1586 papa Sisto V, volendo abbellire piazza San Pietro, ordinò che vi fosse innalzato il grande obelisco che tuttora vi si ammira, ma che a quel tempo si trovava dietro la Basilica Vaticana. L'obelisco era posto ad una estremità del Circo di Nerone, per volere di Caligolatrasportato a Roma da Eliopoli, dove si trovava nel Forum Iulii.
Il lavoro, che venne affidato al ticinese Domenico Fontana, presentava gravi difficoltà. L'obelisco pesava 350 tonnellate ed era alto 25 metri, perciò il Fontana dovette far calcoli su calcoli e impegnare impalcature, argani e carrucole. Per azionare il tutto si ingaggiarono 800 uomini e 140 cavalli. Il 10 settembre 1586 l'obelisco doveva essere innalzato e, visti i pericoli inerenti al lavoro, fu diramato l'ordine agli operai e alla folla di non fiatare. Per chi avesse lanciato il minimo grido c'era la pena di morte e all'uopo c'erano già sul luogo la forca ed il boia.
L'obelisco era quasi a posto quando si videro le funi cedere e allungarsi pericolosamente. Il monolito stava cadendo rovinosamente a terra. Allora nel gran silenzio si levò una voce temeraria a gridare: Daghe l'aiga ae corde! (espressione non genovese, dove sarebbe "Deghe l'aegua ae corde", ma ligure-ponentina per "Acqua alle funi!").

Il consiglio fu seguito subito dagli architetti con ottimo risultato. A sventare il pericolo era stato il capitano Benedetto Bresca, marinaio ligure, che sapeva bene che le corde di canapa si accorciano quando vengono bagnate.
Bresca fu subito arrestato, ma Sisto V come ricompensa invece della punizione gli diede larghi privilegi, una lauta pensione e il diritto di issare la bandiera pontificia sul suo bastimento. Inoltre Bresca avrebbe chiesto ed ottenuto il privilegio, per sé e per i suoi discendenti, di fornire alla Chiesa di San Pietro degli ulivi per la Settimana Santa. Ancora oggi Bresca viene ricordato nella sua città natale, Bordighera.

Utilizzo

La frase (anche nella variante "Acqua alle corde!") è oggi in disuso, ma viene talvolta usata per esaltare l'importanza del coraggio, della risolutezza e della presenza di spirito di qualcuno davanti ad un problema difficile, anche se c'è il rischio di pesanti conseguenze personali.
In altri casi si tratterebbe di una specie di grido d'allarme dato da chi si accorge di un'emergenza improvvisa e invita a porvi immediatamente riparo. La frase implica la necessità di agire.

http://it.wikipedia.org/wiki/Acqua_alle_funi

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