"Uscire da questo mondo" dice don Juan. Ecco la più eretica delle eresie. Il motivo della crocifissione di Cristo è stata l'affermazione "il mio regno non é di questo mondo". La stessa cosa possiamo dire del rogo di Giordano Bruno. Fuori dal mondo i "pinches tiranos" non possono più nutrirsi di noi. Uscire dal mondo equivale ad evadere dal pollaio. Elémire Zolla é autore di una straordinaria opera sul tema: "Uscite dal mondo" - "Libro di mirabile ricchezza tematica, presenta una serie di itinerari che, partendo dai luoghi, dalle civiltà e dai tempi più lontani, sboccano tutti in uno spazio improvvisamente libero e da sempre aperto a chi sappia percepirlo. Tale spazio aggiunge una sorta di "quarta dimensione" ad ogni nostra esperienza."
Carlos Castaneda. Fuoco del Profondo. Pinches Tiranos
PRIMA PARTE
……«Se non parleremo della Gorda, di che parleremo": gli chiesi. «Continueremo il discorso che cominciammo a 'Oaxaca» rispose. «Capire questa spiegazione richiederà il tuo massimo sforzo. Devi essere disposto a cambiare di continuo livello di consapevolezza, e mentre saremo presi dalla nostra conversazione, esigerò la tua totale concentrazione e pazienza”. A mo' di lamentela gli dissi che mi aveva fatto sentire molto a disagio rifiutando si di rivolgermi la parola dopo il mio arrivo a casa sua. Mi guardò e inarcò le sopracciglia. Un sorriso apparve e scomparve sulle sue labbra, fugacemente. Mi resi conto che mi stava facendo capire come anch'io fossi confuso quanto la Gorda. «Stavo punzecchiando la tua importanza personale» disse col volto aggrottato. «L'importanza personale è il nostro peggior nemico. Pensaci, quello che ci indebolisce è sentirei offesi dai fatti e misfatti dei nostri simili. La nostra importanza personale chiede che noi si passi la maggior parte della nostra vita offesi da qualcuno. «I nuovi vedenti raccomandavano che si facesse ogni possibile sforzo per sradicare l'importanza personale dalla vita dei guerrieri. Ho seguito quella raccomandazione alla lettera e ho cercato di dimostrarti con tutti i mezzi possibili che senza importanza personale noi siamo invulnerabili. All'improvviso, mentre lo ascoltavo, gli brillarono di più gli occhi. La prima idea che mi venne in mente fu che sembrava sul punto di scoppiare a ridere e che non c'era motivo per farlo, quando uno schiaffo repentino e doloroso sulla guancia destra mi fece sobbalzare. Mi alzai in piedi. La Gorda era ritta alle mie spalle, con la mano ancora per aria. Aveva il viso arrossato dall'ira. «Ora puoi dire quello che vuoi di me e a maggior ragione» urlò. «Però, se hai qualcosa da dire, dimmelo in faccia, figlio di puttana." La sua uscita sembrò averla svuotata; si sedette per terra e cominciò a piangere. Don Juan era bloccato da un giubilo inesprimibile. Io ero teso dalla furia. La Gorda mi fulminò con lo sguardo e poi si girò verso don Juan e sommessamente gli disse che non avevamo alcun diritto di criticarla. Don Juan rise con tanta foga da piegarsi quasi in due, fino a terra. Non riusciva neanche a parlare. Due o tre volte cercò di dirmi qualcosa, ma alla fine si alzò e se ne andò, con il corpo ancora scosso da un convulso di risa. Fui sul punto di corrergli dietro, ancora furibonda contro la Gorda che in quel momento mi pareva spregevole, quando mi accadde qualcosa di straordinario. Mi resi conto all'improvviso di cosa avesse fatto tanto ridere don Juan. La Gorda ed io eravamo tremendamente somiglianti. La nostra importanza personale era enorme. La mia sorpresa e la mia furia per essere stato schiaffeggiato erano del tutto eguali all'ira, e alla sfiducia della Gorda. Don Juan aveva ragione. Il peso dell'amor proprio è in verità un impaccio terribile. Gli corsi dietro, tutto eccitato, con le lacrime che mi sgorgavano dagli occhi. Lo raggiunsi e gli dissi che lo avevo compreso. Ebbe un brillio di malizia e gioia nello sguardo. «Che posso fare per la Gorda?» chiesi. «Nulla» rispose. «Aprire gli occhi su qualcosa è sempre una faccenda molto personale.» Cambiò argomento e disse che i presagi dicevano di continuare la nostra discussione in casa, o in un'ampia sala con comode seggiole oppure nel patio posteriore che aveva tutt' intorno un passaggio coperto. Disse che ogniqualvolta avesse tenuto le proprie spiegazioni all'interno della casa, quelle due zone sarebbero state vietate a tutti gli altri. Ritornammo alla casa. Don Juan raccontò a tutti quello che aveva fatto la Gorda. Il diletto dei veggenti e le beffe che le fecero al riguardo, aumentarono l'imbarazzo della Gorda. «L'importanza personale non si può combattere con le belle maniere» commentò Don Juan quando gli manifestai la mia preoccupazione per lo stato d'animo della Gorda. Poi chiese a tutti di uscire dalla stanza. Ci sedemmo e don Juan cominciò la sua spiegazione.
Mi disse che i veggenti, antichi o nuovi, si dividono in due categorie.
La prima è formata da: quelli disposti a controllare se stessi. Questi veggenti sono capaci di canalizzare le proprie attività verso obiettivi pragmatici di cui beneficeranno altri veggenti e l'uomo in generale.
L'altra categoria è composta da quelli a cui non importa né il controllo di sé, né alcun obiettivo pragmatico. Si pensa unanimemente fra i veggenti che questi ultimi non abbiano saputo risolvere il problema dell'importanza personale. «L'importanza personale non è qualcosa di semplice e ingenuo» spiegò. «Da un lato, è il nucleo di tutto ciò che in noi ha valore, dall'altro il nucleo di tutto il nostro marciume. Disfarsi dell'importanza personale richiede un capolavoro di strategia. I veggenti di tutte le epoche hanno espresso i più alti apprezzamenti per coloro che ci sono riusciti.» Mi rammaricai di non capire affatto l'idea di sradicare l'importanza personale, nonostante a volte mi attraesse molto; gli dissi che le sue direttive e i suoi suggerimenti per disfarsene erano talmente vaghi che non c'era modo di seguirli. «Sono stanco di ripeterti » disse «che, per poter seguire la via della conoscenza, occorre avere molta immaginazione. Come tu stesso stai constatando, sulla via della conoscenza tutto. È oscuro. La chiarezza costa infiniti sforzi, infinita immaginazione.» La mia inquietudine mi fece arguire che i suoi ammonimenti sull'importanza personale mi ricordavano il catechismo. E se qualcosa mi era odioso, era il ricordo delle prediche sul peccato. Le trovavo sinistre. <<I guerrieri combattono l'importanza personale come una questione di strategia, non come una questione di fede» replicò. «Il tuo errore sta nell'interpretare quello che dico in termini morali.» «lo la considero uomo di grande moralità» insistei. «Quello che tu intendi per moralità è semplicemente la mia impeccabilità» disse. «L'impeccabilità, come la liberazione dall'importanza personale, sono concetti troppo vaghi per essermi utili» commentai. Don Juan soffocò dalle risa ed io lo sfidai a spiegarmi l'impeccabilità. «L'impeccabilità non è altro che l'uso adeguato dell'energia» disse. «Tutto quello che io ti dico non ha la benché minima traccia di moralità. Ho risparmiato energia e questo mi rende impeccabile. Per poter capire ciò, tu devi aver risparmiato sufficiente energia o non lo capirai mai. Restammo a lungo in silenzio. Volevo pensare a quanto aveva detto. D'improvviso cominciò a parlare di nuovo. «I guerrieri fanno inventari strategici”- disse. «Elencano le loro attività, i loro interessi. Dopo decidono quali si possono cambiare per ottenere così' una pausa nel consumo di energia. Io dissi che una lista siffatta avrebbe dovuto includere tutto l'immaginabile. Con molta pazienza mi rispose che l'inventario strategico di cui parlava riguardava modelli di comportamento che non erano essenziali alla nostra sopravvivenza e al nostro benessere. Approfittai dell’opportunità per segnalargli che la sopravvivenza e il benessere erano categorie che potevano interpretarsi in infiniti modi. Gli dichiarai che non era possibile mettersi d'accordo su quel che fosse o no essenziale al benessere e alla sopravvivenza. Mentre continuavo a parlare, cominciai a perdere il mio impulso iniziale. Infine mi fermai perché mi resi conto dell'inutilità dei miei argomenti. Mi resi conto che don Juan aveva ragione quando diceva che io avevo il pallino di fare il difficile. Don Juan allora disse che negli inventari strategici dei guerrieri l’importanza personale figura come l'attività che consuma la maggior quantità di energia e per questo si sforzavano di vincerla. «Una delle prime preoccupazioni del guerriero è liberare quell'energia per affrontare con essa l'ignoto» proseguì don Juan. «L'azione di ricanalizzare quell'energia è l'impeccabilità». Disse che la strategia più efficace fu sviluppata dai veggenti della Conquista, indiscutibili maestri .dell’agguato, che consiste di sei elementi che hanno influenza reciproca. Cinque sono detti attributi del guerriero: controllo, disciplina, equilibrio, tempismo e intento: Questi cinque elementi appartengono al mondo privato del guerriero che lotta per perdere l'importanza personale. Il sesto elemento, forse il più importante di ogni altro, appartiene al mondo esterno e si chiama il pinche tiranno, cioè piccolo, Meschino, da poco. Mi guardò come se, senza parlare, mi chiedesse se avevo capito o no. «Sono davvero confuso» dissi. «L'altro giorno mi disse che la Gorda è la piccola tiranna della mia vita. Cos'è esattamente un pinche tirano? . «Un pinche tirano è un torturatore» rispose «qualcuno che ha potere di vita e di morte sui guerrieri» o che semplicemente gli rende la vita impossibile. Don Juan sorrise maliziosamente e disse che i suoi veggenti avevano sviluppato una loro propria classificazione dei pinches tiranni. Nonostante il concetto fosse una delle loro scoperte più serie e importanti, i nuovi veggenti lo prendevano molto alla leggera. Mi assicurò che c'era un tocco di malizioso humour in quelle loro classificazioni, perché il senso dell'umorismo è l'unico modo di far fronte all'umana costrizione di noiosi inventari e classificazioni. In conformità con le loro pratiche umoristiche, i nuovi veggenti reputarono corretto iniziare la classificazione con la fonte primaria di energia, l'unico e supremo monarca dell'universo e lo chiamarono semplicemente il tiranno. Naturalmente trovarono che gli altri despoti e dittatori restavano molto al di sotto della categoria del Tiranno. Paragonati alla fonte di tutto, gli uomini più temibili sono dei buffoni; di conseguenza i nuovi veggenti li classificarono come meschini, piccoli, da poco: pinches tiranos, appunto. La seconda categoria consiste in qualcosa meno del meschino tiranno, qualcosa che loro chiamarono pinches tiranitos, tirannucci meschini, persone che perseguitano e fanno danni ma senza di fatto provocare la morte di nessuno. La terza categoria la chiamarono dei repinches tiranitos, tirannucci meschinetti, oppure dei pinches tiranitos chiquititos, i meschini tirannucci da niente, e vi inclusero le persone che sono solo esasperanti e molestanti a più non posso. Le classificazioni mi sembrarono ridicole. Ero sicuro che don Juan si stesse inventando i termini spagnoli, Gli chiesi se fosse così. «Assolutamente no» rispose con espressione divertita. «I nuovi veggenti erano favolosi a fare classificazioni. Senza dubbio Genaro è tra i migliori; se lo osservi con attenzione, ti rende impeccabile. Per poter capire ciò, tu devi aver risparmiato sufficiente energia o non lo capirai mai.» Restammo a lungo in silenzio. Volevo pensare a quanto aveva detto. D'improvviso cominciò a parlare di nuovo. «I guerrieri fanno inventari strategici» disse. «Elencano le loro attività, i loro interessi. Dopo decidono quali si possono cambiare per ottenere così una pausa nel consumo di energia.» Io dissi che una lista siffatta avrebbe dovuto includere tutto l'immaginabile. Con molta pazienza mi rispose che l'inventario strategico di cui parlava riguardava modelli di comportamento che non erano essenziali alla nostra sopravvivenza e al nostro benessere. . Approfittai dell'opportunità per segnalargli che la sopravvivenza e il benessere erano categorie che potevano interpretarsi in infiniti modi. Gli dichiarai che non era possibile' mettersi d'accordo su quel che fosse o no essenziale al benessere e alla sopravvivenza. Mentre continuavo a parlare, cominciai a perdere il mio impulso iniziale. Infine mi fermai perché mi resi conto dell'inutilità dei miei argomenti. Mi resi conto che don Juan aveva ragione quando diceva che io avevo il pallino di fare il difficile. Don Juan allora disse che negli inventari strategici dei guerrieri, l'importanza personale figura come l'attività che consumala maggior quantità di energia e per questo si sforzavano di vincerla. «Una delle prime preoccupazioni del guerriero è liberare quell'energia per affrontare con essa l'Ignoto proseguì don Juan. «L'azione di ricanalizzare quell'energia è l'impeccabilità. » Disse che la strategia più efficace fu sviluppata dai veggenti della Conquista, indiscutibili maestri, dell'agguato, che consiste di sei elementi che hanno influenza reciproca. Cinque sono detti attributi del guerriero: controllo, disciplina, equilibrio, tempismo e intento, Questi cinque elementi appartengono al mondo privato del guerriero che lotta per perdere l'importanza personale. Il sesto elemento, forse il più importante di ogni altro, appartiene al mondo esterno e si chiama il pinche tirano, cioè piccolo, meschino, da poco. Mi guardò come se, senza parlare, mi chiedesse se avevo capito o no. «Sono davvero confuso» dissi. «L'altro giorno mi disse che la Gorda è la piccola tiranna della mia vita. Cos' è esattamente un pinche tirano?” «Un pinche tirano è un torturatore » rispose «qualcuno che ha potere di vita e di morte sui guerrieri, o che semplicemente gli rende la vita impossibile.» Don Juan sorrise maliziosamente e disse che i suoi veggenti avevano sviluppato una loro propria classificazione dei pinches tiranos. Nonostante il concetto fosse una delle loro scoperte più serie e importanti, i nuovi veggenti lo prendevano molto alla leggera. Mi assicurò che c'era un tocco di malizioso humour in quelle loro classificazioni, perché il senso dell'umorismo è l'unico modo di far fronte all'umana costrizione di noiosi inventari e classificazioni. In conformità con le loro pratiche umoristiche, i nuovi veggenti reputarono corretto iniziare la classificazione con la fonte primaria di energia, l'unico e supremo monarca dell'universo e lo chiamarono semplicemente il tiranno. Naturalmente trovarono che gli altri despoti e dittatori restavano molto al di sotto della categoria del tiranno. Paragonati alla fonte di tutto, gli uomini più temibili sono dei buffoni; di conseguenza i nuovi veggenti li classificarono come meschini, piccoli, da poco: pinches tiranos, appunto. La seconda categoria consiste in qualcosa meno del meschino tiranno, qualcosa che loro chiamarono pinches tiranitos, tirannucci meschini, persone che perseguitano e fanno danni ma senza di fatto provocare la morte di nessuno. La terza categoria la chiamarono dei repinches tiranitos, tirannucci meschinetti, oppure dei pinches tiranitos chiquititos, i meschini tirannucci da niente, e vi inclusero le persone che sono solo esasperanti e moleste' a più non posso. Le classificazioni mi sembrarono ridicole. Ero sicuro che don Juan si stesse inventando i termini spagnoli. Gli chiesi se fosse, così. «Assolutamente no» rispose con espressione divertita. «I nuovi veggenti erano favolosi a fare classificazioni. Senza dubbio, Genaro è tra i migliori; se lo osservi con attenzione, ti renderai conto con esattezza di quel che sentono i nuovi veggenti per le loro classificazioni.» Quando gli chiesi se mi stesse prendendo in girò, scoppiò in una risata fragorosa. «Non lo farei mai» disse sorridendo. «Forse lo farebbe Genaro, ma io no, soprattutto quando so quel che rappresentano per te le classificazioni. E solo che i nuovi veggenti erano tremendamente irriguardosi.» .. Aggiunse che la categoria dei meschini tirannucci era stata ulteriormente divisa in quattro parti . Una era composta da quelli che tormentavano con brutalità e violenza. Un'altra da quelli che lo fanno creando un'insopportabile apprensione. Un"altra ancora da quelli che opprimono con la tristezza. L'ultima da quelli che tormentano facendo infuriare. «La Gorda è in una categoria speciale. Ti rende la vita impossibile, per il momento. Ti dà perfino degli schiaffi. Con tutto questo ti sta insegnando a essere imparziale, a essere indifferente. » «Ma com'è possibile?» protestai. «Tuttavia non hai ancora messo insieme gli ingredienti della strategia dei nuovi veggenti» disse. «Una volta che l'avrai fatto, saprai quanto sia efficace e ingegnoso lo stratagemma di usare un meschino tiranno che non solo elimina l'importanza personale, ma prepara anche i guerrieri a capire che l'Impeccabilità è l'unica che conti sulla via della conoscenza.» Disse che la strategia dei nuovi veggenti era una manovra mortale nella quale il meschino tiranno è una vetta montagnosa e gli attributi dell'esser guerriero sono come dei rampicanti che si abbarbicano fino in cima. «In genere si usano solo i primi quattro attributi» proseguì. «Il quinto, l’intento, si riserva sempre per l'ultimo confronto, per così dire; per quando i guerrieri affrontano il plotone di esecuzione.» «A che si deve questo?» I «Al fatto che l'intento appartiene ad un'altra sfera, alla sfera dell'Ignoto. Gli altri quattro appartengono al conosciuto, esattamente dove sono i meschini tiranni. Infatti, quel che trasforma gli esseri umani in meschini tiranni è proprio l'ossessiva manipolazione di quanto si conosce.» Don Juan mi spiegò che solo i veggenti che sono guerrieri impeccabili e che hanno il controllo dell'intento ottengono il collegamento di tutti e cinque gli attributi. Un'azione di questa natura è una manovra suprema che non può realizzarsi al livello umano di tutti i giorni. «Per trattare con i tiranni meschini peggiori sono necessari solo quattro attributi» continuò. «E' chiaro, sempre e qualora si sia incontrato un meschino tiranno. Come ho detto, il meschino tiranno è l'elemento esterno, quello che non possiamo controllare, e l'elemento forse più importante di tutti. Il mio benefattore diceva sempre che il guerriero che incontra un meschino tiranno è un guerriero fortunato. La sua filosofia era che, se non hai la fortuna di trovarlo sulla tua strada, devi andare a cercarlo.» . Mi spiegò che uno dei più grandi successi conseguiti dai veggenti dell'epoca coloniale fu uno schema che lui chiamava la progressione trifase. I veggenti, comprendendo la natura dell'uomo, erano giunti alla conclusione che se uno può vedersela con i meschini tiranni, è certamente in grado di far fronte all'ignoto senza pericolo e allora addirittura può sopravvivere in presenza di ciò che non si può conoscere «La reazione dell'uomo comune è pensare che SI dovrebbe invertire tale ordine» proseguì. «È naturale credere che un veggente, se può far fronte all'ignoto, può senza dubbio tener testa a qualunque meschino tiranno. Però non è così. Ciò che distrusse i superbi veggenti del passato fu questo assunto. Lo sappiamo solo ora. Sappiamo che nulla può temprare lo spirito di un guerriero come trattare con persone impossibili in posizioni di potere. Solo in queste condizioni i guerrieri possono acquisire la sobrietà e la serenità necessaria per fronteggiare l’inconoscibile.» . Espressi rumorosamente il mio disaccordo. Gli dissi che, secondo me, ì tiranni trasformavano le proprie vittime in esseri indifesi o tanto brutali quanto gli stessi tiranni. Gli feci . notare che erano stati effettuati innumerevoli studi sugli effetti della tortura fisica e psicologica su questo tipo di vittime. «La differenza sta in qualcosa che hai appena finito di dire» ribatté. «Tu parli di vittime, non di guerrieri. Anch'io la pensavo come te. Ti racconterò quel che mi fece cambiare; però prima torniamo ancora a quello che ti stavo dicendo dei tempi della colonizzazione. I veggenti di quell'epoca ebbero la migliore opportunità. Gli spagnoli furono tali pinches tiranos da porre a dura prova le più recondite abilità dei veggenti; dopo aver avuto a che fare con i conquistatori, i veggenti erano pronti ad affrontare tutto. Loro furono davvero fortunati. A quel tempo c'erano meschini tiranni ovunque: erano prezzemolo in ogni minestra. «Dopo quei meravigliosi anni di abbondanza, le cose cambiarono molto. I meschini tiranni non tornarono più ad avere tanta potenza; solo in quell’epoca la loro sovranità fu illimitata. L'ingrediente perfetto per produrre un perfetto veggente è un pinche tirano dalla sovranità illimitata. «Disgraziatamente ai nostri giorni i veggenti devono giungere agli estremi per incontrare un tiranno che meriti. Per lo più devono accontentarsi di roba da poco.»
L’ESPERIENZA DI DON JUAN LO ZUCCHERIFICIO IL PINCHE TIRANO
SECONDA PARTE
Da “FUOCO DAL PROFONDO"
…… «E lei, don Juan, ha trovato un pinche tirano?» «Ho avuto fortuna. Un vero e proprio orco trovò me. Al momento, però, come te, non mi riusciva di considerarmi fortunato, anche se il mio benefattore mi diceva il contrario ». Don Juan disse che la sua penosa esperienza cominciò qualche settimana prima di conoscere il suo benefattore. A quel tempo aveva solo vent'anni. Lo avevano ingaggiato alla giornata in uno zuccherificio. Era sempre stato molto forte e per questo gli era stato facile ottenere lavori che richiedevano muscoli. Un giorno, mentre stava spostando alcuni pesanti sacchi di zucchero, arrivò una signora. Era molto ben vestita, e sembrava aver mezzi e autorità. Don Juan disse' che sembrava sulla cinquantina e se ne stette a guardarlo, poi parlò con il caposquadra e se ne andò. Il caposquadra chiamò don Juan e gli disse che, se lo avesse pagato, lui l'avrebbe raccomandato per un lavoro in casa del padrone. Don Juan gli rispose di non avere un centesimo. Il caposquadra sorrise e gli disse di non preoccuparsi, che il giorno di paga ne avrebbe avuto abbastanza. Gli diede una pacca sulla spalla, gli ripeté che era un grande onore lavorare per il padrone. Don Juan disse che, poiché era un povero indio ignorante che viveva alla giornata, non solo credette a ogni parola, ma giunse a pensare che una fata buona gli avesse fatto un regalo. Promise di pagare al caposquadra tutto quel che lui chiedeva. Il caposquadra menzionò una somma considerevole, da pagarsi a rate. Subito dopo il caposquadra stesso lo portò alla casa del padrone, che era parecchio lontana dalla città, e qui lo lasciò con un altro caposquadra, un omone cupo dall'aspetto tremendo che lo sottopose a un fuoco di fila di domande. Voleva informazioni sulla famiglia di don Juan. Don Juan gli disse che non aveva nessuno" Questa notizia gli giunse così gradita che sorrise perfino, mostrando denti cariati. Promise a don Juan che sarebbe stato pagato bene e avrebbe anche potuto mettere denaro da parte perché non avrebbe dovuto spendere niente, visto che avrebbe mangiato e dormito nella casa. Il modo con cui l'uomo rideva era terrificante tanto che don Juan decise di scappar via di corsa. Arrivò fino alla porta ma l'uomo gli tagliò la strada con un revolver in mano. Alzò il cane e lo conficcò nello stomaco di don Juan. «Sei qui per lavorare come un mulo» disse. «Non te lo dimenticare. » Lo spintonò con gran forza e lo picchiò con un randello. Lo portò su un lato della casa e, dopo avergli fatto osservare che lui faceva lavorare i suoi uomini dall'alba al tramonto senza intervallo, mise don Juan a tirar fuori dal terreno due enormi ciocchi recisi. Disse anche a don Juan che se avesse tentato ancora di scappare o fosse andato dalle autorità, lui gli avrebbe sparato. «Lavorerai qui fino alla morte» gli disse. «E, dopo, un altro indio prenderà il tuo posto, così come tu ora stai prendendo il posto di un indio morto.» Don Juan disse che la casa sembrava una fortezza inespugnabile, con uomini armati di machete dovunque. Così che, fece l'unica cosa sensata che potesse' fare: si mise a lavorare cercando di non pensare alle sue sventure. Al finire della giornata l'uomo tornò e poiché non gli piacque lo sguardo di sfida negli occhi di don Juan, lo spinse a calci fino in cucina. Minacciò di tagliargli i tendini delle braccia se non gli ubbidiva. In cucina una vecchia gli servì il pasto, ma don Juan era così turbato che non riusciva a mangiare. La vecchia gli consigliò di mangiare più che potevi. Doveva essere forte, disse lei, perché il suo lavoro non sarebbe finito mai. Lo avvisò che l'uomo che occupava quel posto era morto proprio il giorno prima. Era troppo debole per lavorare ed era caduto da una finestra del secondo piano. Don Juan disse di aver lavorato in casa del padrone per tre settimane, maltrattato in ogni momento da quell'omone. Il caposquadra lo faceva lavorare nelle condizioni più pericolose, assegnandoli i compiti più gravosi immaginabili, sotto costante minaccia di coltello, pistola o bastone. Ogni giorno lo mandava alle scuderie a pulire i box occupati da nervosi stalloni. Al sorgere di ogni nuovo giorno, don Juan aveva la ferma convinzione che non sarebbe riuscito ad arrivare a sera. E questo avrebbe solo voluto dire affrontare lo stesso inferno il giorno seguente. Quel che fece precipitare gli eventi fu la richiesta di don Juan di avere un giorno di ferie. Chiese qualche ora per andare in paese a pagare il suo debito al caposquadra dello zuccherificio. Era un pretesto. Il caposquadra se ne rese conto e rispose che don Juan non poteva smettere di lavorare neanche per un minuto perché era indebitato fino alle orecchie per il solo privilegio di lavorare lì. Don Juan ebbe la certezza di non aver più speranze. Capì le manovre dei due capisquadra: erano d'accordo per procurarsi poveri indios dallo zuccherificio, sfruttarli facendoli morire di lavoro é dividersene il salario. A quella scoperta don Juan esplose. Cominciò a dar grida isteriche e, urlando, attraversò la cucina ed entrò nell'edificio principale. Prese tanto di sorpresa il caposquadra e gli altri operai che correndo riuscì a uscire dalla: porta padronale. Quasi ce la fece a scappare, ma il caposquadra lo inseguì, e in mezzo alla strada gli sparò al petto, dandolo per, morto. Don Juan disse che non era suo destino morire; il suo benefattore lo trovò proprio lì e lo curò finché non fu guarito. «Quando raccontai tutta la storia al mio benefattore» proseguì don Juan «egli riuscì a malapena a trattenere la sua emozione. "Quel caposquadra è un vero tesoro" disse il mio benefattore. "È qualcosa di tanto raro che sarebbe un peccato sprecarlo. Un giorno devi tornare in quella casa." «Continuò a farneticare su quanto ero stato fortunato a trovare un pinche tirano unico nel suo genere, con un potere quasi illimitato. Pensai che fosse fuori di testa. Mi ci vollero anni per capire completamente ciò che mi aveva detto in quella circostanza. » «È una delle storie più tremende che abbia sentito in vita mia» dissi. «Ed è davvero tornato ancora in quella casa?» «Certo che ci sono tornato, tre anni dopo. Il mio benefattore aveva ragione. Un meschino tiranno come quello era unico nel suo genere e non andava sprecato.» «Come riuscì a tornare?» . “Il mio benefattore escogitò un piano strategico usando i suoi quattro attributi di guerriero: controllo, disciplina, pazienza e abilità, di cogliere il momento opportuno.» Don Juan disse che il suo benefattore, oltre a spiegargli quello che doveva fare in casa del padrone per tener testa a quell'orco di un uomo, gli rivelò anche che i nuovi veggenti credevano ci fossero quattro gradi sul cammino della conoscenza. Il primo è il passo che fanno i comuni esseri umani quando decidono di diventare apprendisti. Nel momento in cui gli apprendisti cambiano le proprie idee su se stessi e sul mondo, fanno il secondo passo e si tramutano in guerrieri, cioè in esseri capaci della massima disciplina e controllo su se stessi. Il terzo passo lo compiono i guerrieri dopo aver acquisito pazienza e abilità di cogliere il momento opportuno, diventando uomini di conoscenza. Quando gli uomini di conoscenza imparano a vedere, hanno fatto il quarto passo e sono divenuti veggenti. Il suo benefattore enfatizzò il fatto che don Juan aveva percorso il cammino della conoscenza abbastanza a lungo per aver appreso un minimo dei primi due attributi: controllo e disciplina. «A quel tempo gli altri due attributi mi erano vietati» proseguì don Juan. «La pazienza e l'abilità di cogliere il momento opportuno rientrano nell'ambito dell'uomo di conoscenza. Il mio benefattore mi fece usare una strategia per concedermene l'accesso.» «Questo significa che da solo non avrebbe potuto tener testa al meschino tiranno?» chiesi. «Sono sicuro che ce l'avrei fatta anche da solo, benché ho il forte dubbio che non ci sarei riuscito con stile ed eleganza. Il mio benefattore si divertì molto a dirigere la mia impresa. L'idea di usare un pinche tirano non serviva solo a perfezionare lo spirito del guerriero, ma anche per la sua gioia e il suo godimento ». . «Come poteva qualcuno godersi un mostro come quello da lei descritto?» «Questo tipo non era nulla a paragone dei veri mostri frequentati dai nuovi veggenti durante la colonizzazione. Tutto sta a indicare che a quei veggenti vennero gli occhi strabici dal divertimento. Dimostrarono che perfino i peggiori tiranni possono far divertire, purché, naturalmente, uno sia guerriero.» Don Juan mi spiegò che l'errore che un comune mortale fa, trovandosi di fronte un pinche tirano è non avere una strategia a cui appoggiarsi; il difetto fatale è prendere troppo sul serio i propri sentimenti, così come le azioni dei meschini tiranni. I guerrieri, d'altra parte, non solo hanno una strategia ben congegnata, ma sono liberi dall'importanza personale. Ciò che distrugge l’importanza personale è l'aver compreso che la realtà è una nostra interpretazione. Questa conoscenza era il vantaggio definitivo che i nuovi veggenti ebbero sugli spagnoli. Disse di essersi convinto di poter sopraffare il caposquadra usando solo la convinzione che i meschini tiranni si prendono mortalmente sul serio mentre i guerrieri no. Seguendo il piano strategico del suo benefattore, don Juan cercò lavoro nello stesso zuccherificio di prima. Nessuno ricordava che lui aveva già lavorato lì; i peones lavoravano nello zuccherificio stagionalmente. La strategia del suo benefattore specificava che don Juan dovesse stare attento a chi arrivava in cerca di un'altra vittima. Arrivò la stessa signora e, come aveva fatto anni prima, notò subito don Juan che ora mostrava ancora più forza della volta precedente. Si ripeté la stessa routine con il caposquadra. Tuttavia la strategia richiedeva che in principio don Juan si rifiutasse di pagare la tangente al caposquadra. Nessuno gli aveva mai fatto questo prima e l'uomo restò di stucco. Minacciò di licenziare don Juan. A sua volta don Juan lo minacciò dicendo che sarebbe andato direttamente a casa della signora, a trovarla. Disse al caposquadra di sapere dove lei abitava perché aveva lavorato nei campi della zona a tagliare canna da zucchero. L'uomo cominciò a mercanteggiare e don Juan gli chiese del denaro prima di accettare di andare a casa della signora. Il caposquadra cedette e gli diede qualche banconota. Don Juan sapeva benissimo che il caposquadra acconsentiva solo come stratagemma per fargli accettare il lavoro. «Lui stesso mi accompagnò di nuovo alla casa» disse don Juan. «Era una vecchia tenuta, di proprietà della gente dello zuccherificio: ricconi che, o sapevano benissimo quanto accadeva e non gliene importava, o erano troppo indifferenti per farei caso.” «Appena arrivati, mi precipitai in casa a cercare la signora. La incontrai, caddi in ginocchio davanti a lei, baciandole la mano per ringraziarla. I due capisquadra erano lividi. «Il caposquadra della casa seguì lo stesso schema di prima. Però io ero preparatissimo a trattare con lui: avevo controllo e disciplina. Il risultato fu quello che il mio benefattore aveva previsto. Il mio controllo mi fece rispondere alle più assurde richieste di quel tipo. Ciò che di solito ci abbatte in una simile situazione, è l'offesa inferta al nostro amor proprio. Chiunque abbia un briciolo di orgoglio si dispera quando lo fanno sentire inutile e stupido. «Facevo con gusto tutto quel che mi chiedeva. Ero allegro e forte. E non m'importava un accidente del mio orgoglio o del mio terrore. Ero come un guerriero impeccabile. Affinare lo spirito quando qualcuno ti maltratta, si chiama controllo.» Don Juan mi spiegò che la strategia del suo benefattore prevedeva che, invece di provare compassione per se stesso; come aveva fatto prima, si dedicasse subito a studiare il carattere del caposquadra, le sue debolezze, le sue peculiarità. Trovò che i punti di forza del caposquadra erano audacia e violenza. Aveva crivellato di colpi don Juan in pieno giorno e davanti a decine di testimoni. La sua grande debolezza era che gli piaceva il proprio lavoro e non voleva rischiarlo. Per nessun motivo avrebbe voluto uccidere don Juan durante il giorno all'interno della proprietà. L'altra sua grande debolezza consisteva nell'aver famiglia. Moglie e figli abitavano in una casupola vicino alla casa padronale. «Raccogliere queste informazioni mentre ti stanno picchiando richiede disciplina» disse don Juan. «Quell'uomo era un demonio. Non aveva nessuna grazia a salvarlo. Secondo i nuovi veggenti; il pinche tirano perfetto non ha alcuna caratteristica che possa redimerlo.» Don Juan disse che gli ultimi due attributi dei guerrieri, che lui allora non aveva ancora, erano stati automaticamente inclusi nella strategia del suo benefattore. La pazienza è aspettare con calma, senza fretta, senza angoscia: è un'attesa semplice e lieta della ricompensa che deve arrivare. «La mia vita era una quotidiana umiliazione» proseguì don Juan «a volte perfino piangevo quando l'uomo mi frustava con la cinghia, e tuttavia ero felice. La strategia del mio benefattore mi fece vivere giorno dopo giorno senza odio. Ero un guerriero. Sapevo che stavo aspettando e sapevo ciò che aspettavo. È proprio qui la grande gioia di essere guerriero.» Aggiunse che la strategia del suo benefattore includeva l'infastidire sistematicamente l'uomo facendosi scudo di un suo superiore, così come avevano fatto i veggenti del nuovo ciclo, durante la colonizzazione, facendosi scudo della Chiesa cattolica. Un umile sacerdote a volte era stato più potente di un nobile. Lo scudo di don Juan era la padrona di casa. Ogni volta che la vedeva, le s’inginocchiava davanti e la chiamava santa. La supplicava di dargli una medaglia del suo santo patrono in modo che lui lo potesse pregare per ottenerle salute e benessere. «Mi diede una medaglietta della Vergine» continuò don Juan «e questo quasi distrusse il caposquadra. E quando riuscii a riunire le cuoche a pregare per la salute della padrona, gli venne quasi un attacco di cuore. Credo che abbia deciso di uccidermi allora. Non gli conveniva lasciarmi andare oltre. «Come contromisura organizzò un rosario tra tutti i servitori della casa. La signora credeva che io avessi tutte le carattéristiche di un sant'uomo. «Dopo di allora non dormii più della grossa né dormii più nel mio letto. Ogni notte mi arrampicavo sul tetto. Da lì vidi per due volte l'uomo che si avvicinava al mio giaciglio con un coltello. «Tutti i giorni mi spingeva nei recinti degli stalloni con la speranza che mi uccidessero a calci, però io avevo un tavolato di pesanti assi che appoggiavo in uno degli angoli: mi ci nascondevo dietro e mi proteggevo dalle zampate dei cavalli. L'uomo non lo sapeva perché i cavalli lo nauseavano; era un'altra delle sue debolezze, la più mortale di tutte, come poi risultò alla fine.» Don Juan disse che l'abilità di cogliere il momento opportuno è una qualità astratta che pone in libertà tutto quello che è stato trattenuto. Controllo, disciplina, pazienza sono come una diga dietro cui è bloccato tutto. L'abilità di cogliere il momento opportuno è la saracinesca della diga. Il caposquadra conosceva solo la violenza con la quale terrorizzava. Se si neutralizzava la sua violenza, rimaneva quasi indifeso. Don Juan sapeva che l'uomo non avrebbe osato ucciderlo sotto gli occhi della gente di casa e così un giorno, in presenza degli altri lavoranti e della signora, lo insultò. Gli disse che era un vigliacco e un assassino che si proteggeva con il posto di caposquadra. La strategia del suo benefattore esigeva che don Juan stesse all'erta per cogliere il momento opportuno e approfittarne per voltar le carte al pinche tirano. Le cose inattese capitano sempre così. All'improvviso lo schiavo più umile si burla del despota, lo vitupera, lo fa sentir ridicolo dinanzi a testimoni importanti e poi scappa via senza dargli tempo di far rappresaglie. «Un attimo dopo» continuò don Juan «L'uomo era pazzo di rabbia, però io mi ero già inginocchiato davanti alla padrona.» Don Juan disse che quando la signora rientrò in casa, il caposquadra e i suoi amici lo chiamarono sul retro, con la scusa che c'era un lavoro da fare. L'uomo era molto pallido, bianco d'ira. Dal tono della voce don Juan capì quel che l'uomo aveva intenzione di fargli. Don Juan finse di obbedire ma invece di dirigersi dove gli ordinava il caposquadra, corse verso le stalle. Sperava che i cavalli avrebbero fatto un tale trambusto da far uscire i padroni per vedere che cosa stesse succedendo. Sapeva che l'uomo non avrebbe osato sparargli né tantomeno si sarebbe avvicinato ai cavalli. Questa supposizione non si avverò. Don Juan aveva spinto l'uomo molto al di là dei suoi limiti. «Saltai nel recinto del cavallo più selvaggio» disse don Juan «e il piccolo tiranno, accecato dall'ira, tirò fuori il coltello e mi venne dietro. Io mi nascosi subito dietro il mio tavolato. Il cavallo gli diede una zampata sola e tutto finì. «Avevo trascorso sei mesi in quella casa e in quel periodo avevo esercitato i quattro attributi del guerriero. Grazie a loro avevo avuto successo. Non provai compassione per me neanche una sola volta, né piansi d'impotenza. Provai solo gioia e serenità. Il mio controllo e la mia disciplina erano acuti come non mai. Inoltre sperimentai direttamente ciò che prova il guerriero impeccabile quando usa la pazienza e l'abilità di cogliere il momento opportuno, nonostante ancora non avessi questi attributi.» «Il mio benefattore mi spiegò una cosa molto interessante. Pazientare vuol dire trattenere con lo spirito ciò che il guerriero sa che deve giustamente verificarsi. Non significa che il guerriero se ne vada in giro, pensando di far male a qualcuno o facendo piani di vendetta e regolamenti di conti. La pazienza è una cosa indipendente. Mentre il guerriero ha controllo, disciplina e abilità di cogliere il momento opportuno, la pazienza assicura che chiunque se lo sarà guadagnato riceverà tutto quanto gli spetta." «Qualche volta riescono a spuntarla, i pinches tiranos, e a distruggere il guerriero che li affronta?» chiesi. «Naturalmente. Durante la Conquista e la colonizzazione, i guerrieri morirono come mosche. Le loro fila furono decimate. I piccoli tiranni potevano condannare a morte chicchessia, per puro capriccio. Sotto questo tipo di pressione, i veggenti raggiunsero stati sublimi.» Don Juan disse che, a quell'epoca, i veggenti sopravvissuti dovettero sforzarsi oltre ogni limite per trovare nuovi sbocchi. “I nuovi veggenti» disse don Juan, guardandomi fisso, «usavano i pinches tiranos non solo per disfarsi dell'importanza personale ma anche per effettuare la manovra più sofisticata per uscire da questo mondo. Capirai questa manovra a mano a mano che discuteremo sulla padronanza della consapevolezza.» Spiegai a don Juan che quel che gli avevo chiesto era se al presente, nella nostra epoca, i piccoli tiranni potessero qualche volta sconfiggere un guerriero. «Ogni giorno» rispose. «Le conseguenze non sono così terribili come nel passato. Oggi è sottinteso che i guerrieri hanno sempre l'opportunità di retrocedere, rifarsi subito e tornare più tardi. Però il problema della moderna sconfitta è di altro genere. Essere sconfitto da un repinche tiranito, un tirannucolo da strapazzo, non è mortale ma disastroso. In senso figurato, il grado di mortalità dei guerrieri è elevato. Con questo voglio dire che i guerrieri che soccombono dinanzi a un repinche tirano sono annientati dal loro personale senso di fallimento. Per me ciò equivale a una morte figurata.» «Come misura la sconfitta?» «Chiunque si unisca al meschino tiranno è sconfitto. Adirarsi e agire senza controllo e disciplina, non aver pazienza. Vuol dire essere sconfitti.» «Cosa accade quando un guerriero è sconfitto?» «O riformano gruppi e tornano nella mischia con maggior giudizio, o abbandonano la via del guerriero e si uniscono per sempre alle fila dei pinches tiranos »
L’ESPERIENZA DI DON JUAN LO ZUCCHERIFICIO IL PINCHE TIRANO
SECONDA PARTE
Da “FUOCO DAL PROFONDO"
…… «E lei, don Juan, ha trovato un pinche tirano?» «Ho avuto fortuna. Un vero e proprio orco trovò me. Al momento, però, come te, non mi riusciva di considerarmi fortunato, anche se il mio benefattore mi diceva il contrario ». Don Juan disse che la sua penosa esperienza cominciò qualche settimana prima di conoscere il suo benefattore. A quel tempo aveva solo vent'anni. Lo avevano ingaggiato alla giornata in uno zuccherificio. Era sempre stato molto forte e per questo gli era stato facile ottenere lavori che richiedevano muscoli. Un giorno, mentre stava spostando alcuni pesanti sacchi di zucchero, arrivò una signora. Era molto ben vestita, e sembrava aver mezzi e autorità. Don Juan disse' che sembrava sulla cinquantina e se ne stette a guardarlo, poi parlò con il caposquadra e se ne andò. Il caposquadra chiamò don Juan e gli disse che, se lo avesse pagato, lui l'avrebbe raccomandato per un lavoro in casa del padrone. Don Juan gli rispose di non avere un centesimo. Il caposquadra sorrise e gli disse di non preoccuparsi, che il giorno di paga ne avrebbe avuto abbastanza. Gli diede una pacca sulla spalla, gli ripeté che era un grande onore lavorare per il padrone. Don Juan disse che, poiché era un povero indio ignorante che viveva alla giornata, non solo credette a ogni parola, ma giunse a pensare che una fata buona gli avesse fatto un regalo. Promise di pagare al caposquadra tutto quel che lui chiedeva. Il caposquadra menzionò una somma considerevole, da pagarsi a rate. Subito dopo il caposquadra stesso lo portò alla casa del padrone, che era parecchio lontana dalla città, e qui lo lasciò con un altro caposquadra, un omone cupo dall'aspetto tremendo che lo sottopose a un fuoco di fila di domande. Voleva informazioni sulla famiglia di don Juan. Don Juan gli disse che non aveva nessuno" Questa notizia gli giunse così gradita che sorrise perfino, mostrando denti cariati. Promise a don Juan che sarebbe stato pagato bene e avrebbe anche potuto mettere denaro da parte perché non avrebbe dovuto spendere niente, visto che avrebbe mangiato e dormito nella casa. Il modo con cui l'uomo rideva era terrificante tanto che don Juan decise di scappar via di corsa. Arrivò fino alla porta ma l'uomo gli tagliò la strada con un revolver in mano. Alzò il cane e lo conficcò nello stomaco di don Juan. «Sei qui per lavorare come un mulo» disse. «Non te lo dimenticare. » Lo spintonò con gran forza e lo picchiò con un randello. Lo portò su un lato della casa e, dopo avergli fatto osservare che lui faceva lavorare i suoi uomini dall'alba al tramonto senza intervallo, mise don Juan a tirar fuori dal terreno due enormi ciocchi recisi. Disse anche a don Juan che se avesse tentato ancora di scappare o fosse andato dalle autorità, lui gli avrebbe sparato. «Lavorerai qui fino alla morte» gli disse. «E, dopo, un altro indio prenderà il tuo posto, così come tu ora stai prendendo il posto di un indio morto.» Don Juan disse che la casa sembrava una fortezza inespugnabile, con uomini armati di machete dovunque. Così che, fece l'unica cosa sensata che potesse' fare: si mise a lavorare cercando di non pensare alle sue sventure. Al finire della giornata l'uomo tornò e poiché non gli piacque lo sguardo di sfida negli occhi di don Juan, lo spinse a calci fino in cucina. Minacciò di tagliargli i tendini delle braccia se non gli ubbidiva. In cucina una vecchia gli servì il pasto, ma don Juan era così turbato che non riusciva a mangiare. La vecchia gli consigliò di mangiare più che potevi. Doveva essere forte, disse lei, perché il suo lavoro non sarebbe finito mai. Lo avvisò che l'uomo che occupava quel posto era morto proprio il giorno prima. Era troppo debole per lavorare ed era caduto da una finestra del secondo piano. Don Juan disse di aver lavorato in casa del padrone per tre settimane, maltrattato in ogni momento da quell'omone. Il caposquadra lo faceva lavorare nelle condizioni più pericolose, assegnandoli i compiti più gravosi immaginabili, sotto costante minaccia di coltello, pistola o bastone. Ogni giorno lo mandava alle scuderie a pulire i box occupati da nervosi stalloni. Al sorgere di ogni nuovo giorno, don Juan aveva la ferma convinzione che non sarebbe riuscito ad arrivare a sera. E questo avrebbe solo voluto dire affrontare lo stesso inferno il giorno seguente. Quel che fece precipitare gli eventi fu la richiesta di don Juan di avere un giorno di ferie. Chiese qualche ora per andare in paese a pagare il suo debito al caposquadra dello zuccherificio. Era un pretesto. Il caposquadra se ne rese conto e rispose che don Juan non poteva smettere di lavorare neanche per un minuto perché era indebitato fino alle orecchie per il solo privilegio di lavorare lì. Don Juan ebbe la certezza di non aver più speranze. Capì le manovre dei due capisquadra: erano d'accordo per procurarsi poveri indios dallo zuccherificio, sfruttarli facendoli morire di lavoro é dividersene il salario. A quella scoperta don Juan esplose. Cominciò a dar grida isteriche e, urlando, attraversò la cucina ed entrò nell'edificio principale. Prese tanto di sorpresa il caposquadra e gli altri operai che correndo riuscì a uscire dalla: porta padronale. Quasi ce la fece a scappare, ma il caposquadra lo inseguì, e in mezzo alla strada gli sparò al petto, dandolo per, morto. Don Juan disse che non era suo destino morire; il suo benefattore lo trovò proprio lì e lo curò finché non fu guarito. «Quando raccontai tutta la storia al mio benefattore» proseguì don Juan «egli riuscì a malapena a trattenere la sua emozione. "Quel caposquadra è un vero tesoro" disse il mio benefattore. "È qualcosa di tanto raro che sarebbe un peccato sprecarlo. Un giorno devi tornare in quella casa." «Continuò a farneticare su quanto ero stato fortunato a trovare un pinche tirano unico nel suo genere, con un potere quasi illimitato. Pensai che fosse fuori di testa. Mi ci vollero anni per capire completamente ciò che mi aveva detto in quella circostanza. » «È una delle storie più tremende che abbia sentito in vita mia» dissi. «Ed è davvero tornato ancora in quella casa?» «Certo che ci sono tornato, tre anni dopo. Il mio benefattore aveva ragione. Un meschino tiranno come quello era unico nel suo genere e non andava sprecato.» «Come riuscì a tornare?» . “Il mio benefattore escogitò un piano strategico usando i suoi quattro attributi di guerriero: controllo, disciplina, pazienza e abilità, di cogliere il momento opportuno.» Don Juan disse che il suo benefattore, oltre a spiegargli quello che doveva fare in casa del padrone per tener testa a quell'orco di un uomo, gli rivelò anche che i nuovi veggenti credevano ci fossero quattro gradi sul cammino della conoscenza. Il primo è il passo che fanno i comuni esseri umani quando decidono di diventare apprendisti. Nel momento in cui gli apprendisti cambiano le proprie idee su se stessi e sul mondo, fanno il secondo passo e si tramutano in guerrieri, cioè in esseri capaci della massima disciplina e controllo su se stessi. Il terzo passo lo compiono i guerrieri dopo aver acquisito pazienza e abilità di cogliere il momento opportuno, diventando uomini di conoscenza. Quando gli uomini di conoscenza imparano a vedere, hanno fatto il quarto passo e sono divenuti veggenti. Il suo benefattore enfatizzò il fatto che don Juan aveva percorso il cammino della conoscenza abbastanza a lungo per aver appreso un minimo dei primi due attributi: controllo e disciplina. «A quel tempo gli altri due attributi mi erano vietati» proseguì don Juan. «La pazienza e l'abilità di cogliere il momento opportuno rientrano nell'ambito dell'uomo di conoscenza. Il mio benefattore mi fece usare una strategia per concedermene l'accesso.» «Questo significa che da solo non avrebbe potuto tener testa al meschino tiranno?» chiesi. «Sono sicuro che ce l'avrei fatta anche da solo, benché ho il forte dubbio che non ci sarei riuscito con stile ed eleganza. Il mio benefattore si divertì molto a dirigere la mia impresa. L'idea di usare un pinche tirano non serviva solo a perfezionare lo spirito del guerriero, ma anche per la sua gioia e il suo godimento ». . «Come poteva qualcuno godersi un mostro come quello da lei descritto?» «Questo tipo non era nulla a paragone dei veri mostri frequentati dai nuovi veggenti durante la colonizzazione. Tutto sta a indicare che a quei veggenti vennero gli occhi strabici dal divertimento. Dimostrarono che perfino i peggiori tiranni possono far divertire, purché, naturalmente, uno sia guerriero.» Don Juan mi spiegò che l'errore che un comune mortale fa, trovandosi di fronte un pinche tirano è non avere una strategia a cui appoggiarsi; il difetto fatale è prendere troppo sul serio i propri sentimenti, così come le azioni dei meschini tiranni. I guerrieri, d'altra parte, non solo hanno una strategia ben congegnata, ma sono liberi dall'importanza personale. Ciò che distrugge l’importanza personale è l'aver compreso che la realtà è una nostra interpretazione. Questa conoscenza era il vantaggio definitivo che i nuovi veggenti ebbero sugli spagnoli. Disse di essersi convinto di poter sopraffare il caposquadra usando solo la convinzione che i meschini tiranni si prendono mortalmente sul serio mentre i guerrieri no. Seguendo il piano strategico del suo benefattore, don Juan cercò lavoro nello stesso zuccherificio di prima. Nessuno ricordava che lui aveva già lavorato lì; i peones lavoravano nello zuccherificio stagionalmente. La strategia del suo benefattore specificava che don Juan dovesse stare attento a chi arrivava in cerca di un'altra vittima. Arrivò la stessa signora e, come aveva fatto anni prima, notò subito don Juan che ora mostrava ancora più forza della volta precedente. Si ripeté la stessa routine con il caposquadra. Tuttavia la strategia richiedeva che in principio don Juan si rifiutasse di pagare la tangente al caposquadra. Nessuno gli aveva mai fatto questo prima e l'uomo restò di stucco. Minacciò di licenziare don Juan. A sua volta don Juan lo minacciò dicendo che sarebbe andato direttamente a casa della signora, a trovarla. Disse al caposquadra di sapere dove lei abitava perché aveva lavorato nei campi della zona a tagliare canna da zucchero. L'uomo cominciò a mercanteggiare e don Juan gli chiese del denaro prima di accettare di andare a casa della signora. Il caposquadra cedette e gli diede qualche banconota. Don Juan sapeva benissimo che il caposquadra acconsentiva solo come stratagemma per fargli accettare il lavoro. «Lui stesso mi accompagnò di nuovo alla casa» disse don Juan. «Era una vecchia tenuta, di proprietà della gente dello zuccherificio: ricconi che, o sapevano benissimo quanto accadeva e non gliene importava, o erano troppo indifferenti per farei caso.” «Appena arrivati, mi precipitai in casa a cercare la signora. La incontrai, caddi in ginocchio davanti a lei, baciandole la mano per ringraziarla. I due capisquadra erano lividi. «Il caposquadra della casa seguì lo stesso schema di prima. Però io ero preparatissimo a trattare con lui: avevo controllo e disciplina. Il risultato fu quello che il mio benefattore aveva previsto. Il mio controllo mi fece rispondere alle più assurde richieste di quel tipo. Ciò che di solito ci abbatte in una simile situazione, è l'offesa inferta al nostro amor proprio. Chiunque abbia un briciolo di orgoglio si dispera quando lo fanno sentire inutile e stupido. «Facevo con gusto tutto quel che mi chiedeva. Ero allegro e forte. E non m'importava un accidente del mio orgoglio o del mio terrore. Ero come un guerriero impeccabile. Affinare lo spirito quando qualcuno ti maltratta, si chiama controllo.» Don Juan mi spiegò che la strategia del suo benefattore prevedeva che, invece di provare compassione per se stesso; come aveva fatto prima, si dedicasse subito a studiare il carattere del caposquadra, le sue debolezze, le sue peculiarità. Trovò che i punti di forza del caposquadra erano audacia e violenza. Aveva crivellato di colpi don Juan in pieno giorno e davanti a decine di testimoni. La sua grande debolezza era che gli piaceva il proprio lavoro e non voleva rischiarlo. Per nessun motivo avrebbe voluto uccidere don Juan durante il giorno all'interno della proprietà. L'altra sua grande debolezza consisteva nell'aver famiglia. Moglie e figli abitavano in una casupola vicino alla casa padronale. «Raccogliere queste informazioni mentre ti stanno picchiando richiede disciplina» disse don Juan. «Quell'uomo era un demonio. Non aveva nessuna grazia a salvarlo. Secondo i nuovi veggenti; il pinche tirano perfetto non ha alcuna caratteristica che possa redimerlo.» Don Juan disse che gli ultimi due attributi dei guerrieri, che lui allora non aveva ancora, erano stati automaticamente inclusi nella strategia del suo benefattore. La pazienza è aspettare con calma, senza fretta, senza angoscia: è un'attesa semplice e lieta della ricompensa che deve arrivare. «La mia vita era una quotidiana umiliazione» proseguì don Juan «a volte perfino piangevo quando l'uomo mi frustava con la cinghia, e tuttavia ero felice. La strategia del mio benefattore mi fece vivere giorno dopo giorno senza odio. Ero un guerriero. Sapevo che stavo aspettando e sapevo ciò che aspettavo. È proprio qui la grande gioia di essere guerriero.» Aggiunse che la strategia del suo benefattore includeva l'infastidire sistematicamente l'uomo facendosi scudo di un suo superiore, così come avevano fatto i veggenti del nuovo ciclo, durante la colonizzazione, facendosi scudo della Chiesa cattolica. Un umile sacerdote a volte era stato più potente di un nobile. Lo scudo di don Juan era la padrona di casa. Ogni volta che la vedeva, le s’inginocchiava davanti e la chiamava santa. La supplicava di dargli una medaglia del suo santo patrono in modo che lui lo potesse pregare per ottenerle salute e benessere. «Mi diede una medaglietta della Vergine» continuò don Juan «e questo quasi distrusse il caposquadra. E quando riuscii a riunire le cuoche a pregare per la salute della padrona, gli venne quasi un attacco di cuore. Credo che abbia deciso di uccidermi allora. Non gli conveniva lasciarmi andare oltre. «Come contromisura organizzò un rosario tra tutti i servitori della casa. La signora credeva che io avessi tutte le carattéristiche di un sant'uomo. «Dopo di allora non dormii più della grossa né dormii più nel mio letto. Ogni notte mi arrampicavo sul tetto. Da lì vidi per due volte l'uomo che si avvicinava al mio giaciglio con un coltello. «Tutti i giorni mi spingeva nei recinti degli stalloni con la speranza che mi uccidessero a calci, però io avevo un tavolato di pesanti assi che appoggiavo in uno degli angoli: mi ci nascondevo dietro e mi proteggevo dalle zampate dei cavalli. L'uomo non lo sapeva perché i cavalli lo nauseavano; era un'altra delle sue debolezze, la più mortale di tutte, come poi risultò alla fine.» Don Juan disse che l'abilità di cogliere il momento opportuno è una qualità astratta che pone in libertà tutto quello che è stato trattenuto. Controllo, disciplina, pazienza sono come una diga dietro cui è bloccato tutto. L'abilità di cogliere il momento opportuno è la saracinesca della diga. Il caposquadra conosceva solo la violenza con la quale terrorizzava. Se si neutralizzava la sua violenza, rimaneva quasi indifeso. Don Juan sapeva che l'uomo non avrebbe osato ucciderlo sotto gli occhi della gente di casa e così un giorno, in presenza degli altri lavoranti e della signora, lo insultò. Gli disse che era un vigliacco e un assassino che si proteggeva con il posto di caposquadra. La strategia del suo benefattore esigeva che don Juan stesse all'erta per cogliere il momento opportuno e approfittarne per voltar le carte al pinche tirano. Le cose inattese capitano sempre così. All'improvviso lo schiavo più umile si burla del despota, lo vitupera, lo fa sentir ridicolo dinanzi a testimoni importanti e poi scappa via senza dargli tempo di far rappresaglie. «Un attimo dopo» continuò don Juan «L'uomo era pazzo di rabbia, però io mi ero già inginocchiato davanti alla padrona.» Don Juan disse che quando la signora rientrò in casa, il caposquadra e i suoi amici lo chiamarono sul retro, con la scusa che c'era un lavoro da fare. L'uomo era molto pallido, bianco d'ira. Dal tono della voce don Juan capì quel che l'uomo aveva intenzione di fargli. Don Juan finse di obbedire ma invece di dirigersi dove gli ordinava il caposquadra, corse verso le stalle. Sperava che i cavalli avrebbero fatto un tale trambusto da far uscire i padroni per vedere che cosa stesse succedendo. Sapeva che l'uomo non avrebbe osato sparargli né tantomeno si sarebbe avvicinato ai cavalli. Questa supposizione non si avverò. Don Juan aveva spinto l'uomo molto al di là dei suoi limiti. «Saltai nel recinto del cavallo più selvaggio» disse don Juan «e il piccolo tiranno, accecato dall'ira, tirò fuori il coltello e mi venne dietro. Io mi nascosi subito dietro il mio tavolato. Il cavallo gli diede una zampata sola e tutto finì. «Avevo trascorso sei mesi in quella casa e in quel periodo avevo esercitato i quattro attributi del guerriero. Grazie a loro avevo avuto successo. Non provai compassione per me neanche una sola volta, né piansi d'impotenza. Provai solo gioia e serenità. Il mio controllo e la mia disciplina erano acuti come non mai. Inoltre sperimentai direttamente ciò che prova il guerriero impeccabile quando usa la pazienza e l'abilità di cogliere il momento opportuno, nonostante ancora non avessi questi attributi.» «Il mio benefattore mi spiegò una cosa molto interessante. Pazientare vuol dire trattenere con lo spirito ciò che il guerriero sa che deve giustamente verificarsi. Non significa che il guerriero se ne vada in giro, pensando di far male a qualcuno o facendo piani di vendetta e regolamenti di conti. La pazienza è una cosa indipendente. Mentre il guerriero ha controllo, disciplina e abilità di cogliere il momento opportuno, la pazienza assicura che chiunque se lo sarà guadagnato riceverà tutto quanto gli spetta." «Qualche volta riescono a spuntarla, i pinches tiranos, e a distruggere il guerriero che li affronta?» chiesi. «Naturalmente. Durante la Conquista e la colonizzazione, i guerrieri morirono come mosche. Le loro fila furono decimate. I piccoli tiranni potevano condannare a morte chicchessia, per puro capriccio. Sotto questo tipo di pressione, i veggenti raggiunsero stati sublimi.» Don Juan disse che, a quell'epoca, i veggenti sopravvissuti dovettero sforzarsi oltre ogni limite per trovare nuovi sbocchi. “I nuovi veggenti» disse don Juan, guardandomi fisso, «usavano i pinches tiranos non solo per disfarsi dell'importanza personale ma anche per effettuare la manovra più sofisticata per uscire da questo mondo. Capirai questa manovra a mano a mano che discuteremo sulla padronanza della consapevolezza.» Spiegai a don Juan che quel che gli avevo chiesto era se al presente, nella nostra epoca, i piccoli tiranni potessero qualche volta sconfiggere un guerriero. «Ogni giorno» rispose. «Le conseguenze non sono così terribili come nel passato. Oggi è sottinteso che i guerrieri hanno sempre l'opportunità di retrocedere, rifarsi subito e tornare più tardi. Però il problema della moderna sconfitta è di altro genere. Essere sconfitto da un repinche tiranito, un tirannucolo da strapazzo, non è mortale ma disastroso. In senso figurato, il grado di mortalità dei guerrieri è elevato. Con questo voglio dire che i guerrieri che soccombono dinanzi a un repinche tirano sono annientati dal loro personale senso di fallimento. Per me ciò equivale a una morte figurata.» «Come misura la sconfitta?» «Chiunque si unisca al meschino tiranno è sconfitto. Adirarsi e agire senza controllo e disciplina, non aver pazienza. Vuol dire essere sconfitti.» «Cosa accade quando un guerriero è sconfitto?» «O riformano gruppi e tornano nella mischia con maggior giudizio, o abbandonano la via del guerriero e si uniscono per sempre alle fila dei pinches tiranos »
"Il peso dell'amor proprio è in verità un impaccio terribile."
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