giovedì 17 luglio 2014

Gogol. Le anime morte. E si palesò chiaramente che genere di creatura sia l'uomo: saggio, intelligente e assennato in tutto quello che tocca gli altri, ma non se stesso. Che lungimiranti, ben fondati consigli sa porgere nei casi difficili della vita! – Che testa perspicace! – grida la folla: – che carattere incrollabile! – Ma lascia che su questa testa perspicace s'abbatta qualche sciagura, e che venga a trovarsi lui in persona nei casi difficili della vita, e vedrete dove va a finire tanto carattere! s'è già bell'e smarrito, l'uomo incrollabile, e n'è scappato fuori un miserevole pusillo, un inconsistente, debole fanciullo, o semplicemente un minchione, come diceva Nozdrëv

L'ispettore generale. Incipit.
Sindaco: Vi ho riuniti, signori, per comunicarvi una notizia estremamente spiacevole.
Sta per arrivare un ispettore.
Ammos Fëdorovič: Come un ispettore?
Artemij Filippovič: Che ispettore?
Sindaco: Un ispettore di Pietroburgo. In incognito. E per di più in missione segreta.
Nikolaj Vasil'evič Gogol', L'ispettore generale,
traduzione di Cristina Moroni e Luca Doninelli, Garzanti, 2009

Gogol', L'ispettore generale
http://www.larici.it/culturadellest/letteratura/gogol/gogol_ispettore.pdf



Fece anche qualcos’altro. Fece la cosa peggiore che uno scrittore potesse fare in quelle circostanze: cominciò a spiegare a mezzo stampa i punti del suo lavoro che i critici avevano o trascurato o rivolto contro di lui. Gogol’, essendo Gogol’ e vivendo in un mondo a specchio, aveva la speciale abilità di pianificare per intero le proprie opere dopo averle scritte e pubblicate. E così fece con Il revisore. Vi aggiunse una sorta di epilogo in cui spiegava che il vero Revisore che si profila di lontano alla fine dell’ultimo atto è la Coscienza dell’uomo mentre gli altri personaggi sono le Passioni che albergano nelle nostre Anime. In altre parole, si doveva credere che queste passioni erano simboleggiate da funzionari di provincia grotteschi e corrotti e che la Coscienza più elevata era simboleggiata dal Governo.
[Vladimir Nabokov, Nikolaj Gogol’, a cura di Cinzia De Lotto e Susanna Zinato, Milano, Adelphi 2014, p. 62]
http://www.paolonori.it/argomenti/vladimir-nabokov/


Italia – magnifico paese!
Per te l'anima geme e si strugge...
(citato in Quattro poeti russi per l'Italia, a cura di Mirella Meringolo, Poesia, n. 193 aprile 2005, Crocetti Editore)“

“Riderò la mia amara risata.”
epitaffio sulla sua tomba presso il Cimitero di Novodevičij, Mosca



L'occhio sinistro non ammiccava ormai più, ma uno dei sopraccigli era ancora alzato con un'espressione interrogativa. Che cosa desiderava sapere il defunto: perché fosse morto o perché era vissuto? Iddio solo lo può sapere.”
Nikolaj Gogol
(Storia del capitano Kopèikin; 2003, pp. 232-233)“


Sul modo di curare i malati, io e Christian Ivanovič abbiamo adottato un principio infallibile: assecondare il più possibile il corso della natura. Perché usare tutti quei farmaci che costano un occhio della testa? L'uomo è un essere semplice: se deve morire, muore lo stesso; se deve riprendersi, si riprende.
Nikolaj Gogol, Artemij Filippovič: I, I; p. 13


La bellezza fa autentici miracoli. Ogni difetto morale di una bella donna, lungi dal generare repulsione, diventa invece al massimo grado attraente; il vizio stesso spira leggiadria; ma scompaia la bellezza, e una donna dovrà essere venti volte più intelligente di un uomo per attirarsi, non dico amore, ma almeno stima.
Nikolaj Gogol, La Prospettiva; 2000, p. 147


Un giorno, mentre egli andava distratto, per poco non gli ando' addosso il calesse di un certo signore polacco, e il cocchiere che sedeva a cassetta coi suoi formidabili baffi, gli diede un ben aggiustato colpo di frusta. Il giovine collegiale montò in collera: con un ardimento insensato egli afferrò con la sua mano una delle ruote di dietro, e fece fermare il calesse. Ma il cocchiere, per paura di una rappresaglia, frustò i cavalli; questi tirarono... e Andrea che per sua fortuna s'era affrettato a staccare la mano, stramazzò a terra, addirittura con la faccia nel fango. La più sonora e armoniosa risata risuonò sopra di lui. Levando lo sguardo, egli vide affacciata a una finestra una ragazza, bella come finora da quando era al mondo non ne aveva ancora veduta nessuna: dagli occhi neri, dalle carni bianche come la neve illuminata dal sole rosseggiante del mattino. Ella rideva proprio di gusto, e il riso dava più vivo risalto alla sua bellezza abbagliante. Egli rimase sconcertato. La guardava come fuori di sé, mentre distrattamente cercava di pulirsi il viso dal fango e se ne imbrattava sempre peggio. Chi poteva essere quella bellezza?
Nikolaj Gogol


Tu hai talento, il talento è il più prezioso dono di Dio: non sciuparlo. Ricerca, studia ogni cosa vedi, sottomettila al tuo pennello, ma sappi sempre disvelare l'idea che vi si cela, e massimamente adoperati al fine di attingere al sublime mistero della creazione. Beato l'eletto che vi ha accesso. Non vi è per lui in tutta la natura oggetto vile. […] Preserva la purezza dell'anima tua. Colui che racchiude in sé il talento deve essere tra tutti il più puro d'anima. Ad altri vien molto perdonato, ma a lui non è dato perdono.
Nikolaj Gogol, Il Ritratto


L'imperatrice rilevò che non è sotto i regimi monarchici che si soffocano gli alti e nobili moti dell'animo, si disprezzano e perseguitano le creazioni dello spirito, della poesia e delle arti; che al contrario solo i monarchi le dilessero; che gli Shakespeare, i Molière, fiorirono sotto il loro generoso usbergo, laddove Dante non poté trovare angolo di terra che lo reggesse nella sua patria repubblicana; che i veri geni sorgono nelle epoche di splendore e di potenza dei sovrani e degli imperi, e non nelle epoche di disordinati movimenti politici e di agitazione repubblicana, le quali finora non hanno dato al mondo un solo poeta; […].
Nikolaj Gogol, Il ritratto, II; 2000, pp. 96 sg.



“Che forza strana e ammaliante, e trascinante, e piena d'incantesimo in questa parola: viaggio!
E com'è pieno esso stesso d'incantesimo, il viaggio!”
Nikolaj Gogol


“E si palesò chiaramente che genere di creatura sia l'uomo: saggio, intelligente e assennato in tutto quello che tocca gli altri, ma non se stesso. Che lungimiranti, ben fondati consigli sa porgere nei casi difficili della vita! – Che testa perspicace! – grida la folla: – che carattere incrollabile! – Ma lascia che su questa testa perspicace s'abbatta qualche sciagura, e che venga a trovarsi lui in persona nei casi difficili della vita, e vedrete dove va a finire tanto carattere! s'è già bell'e smarrito, l'uomo incrollabile, e n'è scappato fuori un miserevole pusillo, un inconsistente, debole fanciullo, o semplicemente un minchione, come diceva Nozdrëv.”
(I, 10; 1977, p. 209)“



Prendete con voi nel viaggio, uscendo dai dolci anni giovanili verso la severa maturità che indurisce, prendete con voi tutti i sentimenti umani, non lasciateli per strada, perché poi non li raccogliereste più!
Nikolaj Gogol, Le anime morte



“La sete di possedere è causa di ogni male:
fu per essa che accaddero tutti i fatti che il mondo chiama poco puliti.”
Nikolaj Gogol, Le anime morte


“Vedere il mondo, l'agitarsi turbinoso della gente è, per così dire, come leggere un libro vivente, come imparare una nuova scienza.” 
Nikolaj Gogol, Le anime morte


Conservare in mezzo a qualsiasi amarezza l'alta serenità che non deve mai abbandonare l'uomo - ecco che cosa chiamava intelligenza. 
Nikolaj Gogol, Le anime morte


Noialtri, vedete, ci siamo civilizzati, abbiam frequentato l'università: eppure, a che siamo buoni? Dite, che cosa ho imparato io? A vivere regolatamente non solo non ho imparato, ma peggio ancora, ho imparato l'arte di buttar via il piú denaro possibile in ogni sorta di nuove raffinatezze e comforts, e ho fatto l'abitudine a oggetti d'un certo genere, che per averli ci vuol del denaro. Forse perché io non ho studiato con profitto? No, giacché lo stesso è accaduto anche agli altri compagni. Due, tre fra tutti ne han ricavato un'utilità reale, ma anche questo, forse, perché erano di per sé intelligenti: tutti gli altri, vedete, non fanno che affaticarsi a imparare ciò che rovina la salute e scrocca il denaro. Verità di Dio! E sapete che mi viene in mente? Certe volte, credete, mi fa l'impressione che l'uomo russo sia in certo modo un uomo perduto. Vorremmo far tutto, e non riusciamo a far nulla. Sempre ti dici che da domani comincerai una nuova vita, da domani ti metterai a regime; e nulla ne vien fuori: quella sera stessa farai una scorpacciata tale, che sarai buono soltanto a sbattere gli occhi, e non potrai neppure rigirar la lingua: starai lí come un allocco, guardandoti intorno: questo è garantito! E tutti cosí. 
(II, 4; 1977, p. 328)

Pensi sempre che da domani comincerà una nuova vita, da domani farai tutto come si deve, da domani ti metterai a dieta - nemmeno per sogno: prima di sera ti sei talmente rimpinzato che non fai che sbattere le palpebre e hai la lingua impastata, siedi guardandoti intorno come un allocco - davvero, e così fanno tutti.” 
Nikolaj Gogol, Le anime morte

“Per quanto stupide siano le parole di uno sciocco, talvolta bastano per confondere un uomo intelligente.”
Nikolaj Gogol, Le anime morte


“Tutti noi abbiamo la piccola debolezza di essere un pochino indulgenti con noi stessi, mentre cerchiamo piuttosto fra il prossimo qualcuno su cui sfogare la nostra irritazione, per esempio un servo, un impiegato nostro dipendente capitatoci a tiro in quel momento, la moglie, oppure, infine, la sedia che viene scagliata chissà dove, fin contro la porta, tanto che ne volano via il bracciolo e lo schienale: che sappia che cosa vuol dire la collera.” 
Nikolaj Gogol, Le anime morte



“Ogni popolo, poiché reca in sé il segno delle proprie forze, colmo delle facoltà creative del suo proprio spirito, delle proprie splendenti caratteristiche e degli altri doni di Dio, si è a suo modo distinto con una particolare loquela. Qualsiasi concetto esprima, rivela nell'espressione usata un aspetto del carattere nazionale. Perspicacia e saggio intendimento della vita rivela la loquela britannica; con lieve eleganza brilla e si disperde l'effimera parola francese; ingegnosamente escogita la sua, secca ed acuta, non a tutti accessibile, il tedesco; ma non c'è parola che abbia lo slancio ardito, che scaturisca dal fondo del cuore, che ferva e palpiti di vita, quanto una parola russa detta a proposito.” 
Nikolaj Gogol, Le anime morte


“Vi sono, per ciascun uomo, dati discorsi, che gli riescono in qualche modo più vicini e più connaturati degli altri discorsi. E spesso, quando meno ce l'aspettiamo, in chissà che cieco, sperduto angolo di mondo, in chissà che solitudine selvaggia, incontri un uomo, la calda conversazione del quale ti fa scordare le impraticabili strade, e lo scomodo dei pernottamenti, e lo smodato tumulto contemporaneo, e la falsità degl'inganni che ingannano l'umanità. E al vivo ti s'incide dentro, una volta per sempre e in eterno, quella sera passata a quel modo, e tutto ne serba la fedele memoria: chi era presente, e in che posto sedeva ognuno, e che cosa si aveva tra mano, e le pareti, i cantoni, ogni inezia.” 
Nikolaj Gogol, Le anime morte


Che uomo strano, questo Cìcikov!», pensò Tentiètnikov.
«Che uomo strano, questo Tentiètnikov!», penso Cìcikov. 
Nikolaj Gogol (I; 2003, p. 337)

“L'esempio è più forte delle buone regole.”
Nikolaj Gogol, Le anime morte (Cìcikov: [... ]; 2003, p. 427)

Bada, Pavlus'ka, studia, non fare sciocchezze, non combinare guai, ma soprattutto cerca di compiacere i maestri e superiori. Se sarai gradito ai superiori, anche se non riuscirai nello studio, perché Iddio non ti ha dato ingegno, farai strada ugualmente e supererai tutti gli altri. Non bazzicare i compagni, non t'insegnerebbero niente di buono: e se proprio lo dovrai, frequenta quelli più ricchi, perché in caso di bisogno possono riuscirti utili. Non offrire niente a nessuno, ma fa piuttosto in modo che gli altri offrano a te, e soprattutto risparmia e conserva il soldino, che è la cosa più sicura che ci sia al mondo. Farai quello che vorrai e sfonderai dappertutto, se avrai danaro. 
Nikolaj Gogol (il padre di Cìcikov: XI; 2003, p. 250)


E su quel viso di legno scivolò ad un tratto non so che tiepido raggio, si rivelò non un sentimento, ma il pallido riflesso di un sentimento, un'apparizione simile all'inatteso affiorare alla superficie dell'acqua di un uomo che sta per annegare, la cui vista suscita un grido di gioia nella folla ferma sulla riva: ma invano i fratelli e le sorelle, che si erano rallegrati, gettano una corda dalla riva, aspettando che appaiano nuovamente la schiena e le braccia stanche di lottare; quell'apparizione è stata l'ultima, tutto è silenzio, ancora più terribile e desolata, dopo quel moto, è la quieta superficie delle acque indifferenti. Così il viso di Plius'kin, dopo il sentimento che per un attimo vi si era rivelato, divenne ancor più insensibile e ottuso.”  
Nikolaj Gogol, Le anime morte
(VI; 2003, p. 139)“


E si palesò chiaramente che genere di creatura sia l'uomo: saggio, intelligente e assennato in tutto quello che tocca gli altri, ma non se stesso. Che lungimiranti, ben fondati consigli sa porgere nei casi difficili della vita! – Che testa perspicace! – grida la folla: – che carattere incrollabile! – Ma lascia che su questa testa perspicace s'abbatta qualche sciagura, e che venga a trovarsi lui in persona nei casi difficili della vita, e vedrete dove va a finire tanto carattere! s'è già bell'e smarrito, l'uomo incrollabile, e n'è scappato fuori un miserevole pusillo, un inconsistente, debole fanciullo, o semplicemente un minchione, come diceva Nozdrëv.
Nikolaj Gogol, Le anime morte



Felice lo scrittore che, lasciando in disparte i caratteri noiosi, ripugnanti, quelli che colpiscono per la loro triste realtà, affronta i caratteri in cui si rilevano le più alte qualità dell'uomo; lo scrittore che dal profondo gorgo delle mulinanti figure quotidiane sceglie alcune rare eccezioni, e non abbandona un istante il tono elevato della sua lira, non si abbassa dalla sua altezza alle miserie, alle nullità dei suoi confratelli, e senza toccar terra, s'abbandona alle sue aeree, sublimate figure. Doppiamente invidiabile è la sua splendida sorte: egli se ne sta fra quelle come in una propria famiglia, e nello stesso tempo ampia, sonora si diffonde la sua gloria. Egli vela d'un fumo inebbriante gli occhi degli uomini; egli è un meraviglioso lusingatore, che nasconde loro il triste della vita, e mostra l'uomo nella luce più bella. Tutto il mondo, plaudendo, lo segue e si slancia dietro la sua traccia trionfale. Eccelso, universale poeta lo acclamano, librato ben alto su tutti gli altri geni del mondo, come si libra l'aquila sugli altri altovolanti. Al solo nome di lui già un palpito invade i focosi cuori dei giovani; lacrime gli rispondono, scintillanti, da tutti gli occhi... Non c'è nessuno che gli sia pari in potenza: egli è un Dio! Ma non questa è la sorte, e ben altro è il destino dello scrittore che osa evocare alla luce tutto quello che abbiam sempre sott'occhi, e che gli occhi indifferenti non percepiscono: tutto il tremendo, irritante sedimento delle piccole cose che impastoiano la nostra vita, tutta la profondità dei gelidi, frammentari, banali caratteri di cui ribolle, amaro e a tratti tedioso, il nostro viaggio terreno; e colla salda forza dell'implacabile cesello osa prospettarli ben in rilievo e in limpida luce agli occhi del mondo! Non a lui è riserbato raccogliere gli applausi delle folle, non a lui scorgere le lacrime di riconoscenza e il concorde entusiasmo degli spiriti da lui commossi; non a lui balzerà incontro la giovinetta sedicenne dalla fantasia esaltata e dall'eroico slancio; non a lui l'obliarsi del dolce incanto dei suoni da lui stesso creati; non lui, infine, sfuggirà al giudizio del proprio tempo, all'ipocritamente insensibile giudizio del proprio tempo, che proclamerà insignificanti e grette le creazioni da lui accarezzate, gli assegnerà un cantuccio vile fra gli scrittori che offendono l'umanità, gli attribuirà il carattere dei personaggi da lui stesso raffigurati, gli negherà cuore, e anima, e la divina fiamma del genio: giacché non riconosce, il giudizio contemporaneo, che sono allo stesso titolo mirabili le lenti che contemplano i soli e quelle che rendono i movimenti degl'invisibili microorganismi; non riconosce, il giudizio contemporaneo, che grande profondità di spirito occorre a illuminare una scena tolta dalla vita vile, ed elevarla a perla della creazione; non riconosce, il giudizio contemporaneo, che l'alto, ispirato riso è degno di stare a paro con l'alto impeto lirico, e che un abisso lo divide dalle smorfie del pagliaccio da fiera. Non riconosce questo, il giudizio contemporaneo, e tutto inscrive a carico e a rampogna del misconosciuto scrittore: senza consensi, senza echi, senza simpatie, egli, come il viaggiatore senza famiglia, si ritrova solo lungo la strada. Aspro è il corso della sua vita, e amaramente egli sente la sua solitudine.
Nikolaj Gogol, Le anime morte


Soltanto allora, con rammarico, ci s’accorse che il defunto possedeva per l’appunto un’anima, sebbene, nella sua modestia, non l’avesse mai dato a vedere. E frattanto la morte si mostrava altrettanto terribile in un piccolo uomo, quanto terribile si mostra in un uomo grande; quello stesso che fino a poc'anzi camminava, si muoveva, giocava al whist, firmava le varie carte, e appariva così di frequente tra i funzionari colle sue fitte sopracciglia e l’occhio ammiccante, adesso stava coricato lì sulla tavola, e l’occhio sinistro non ammiccava più: il sopracciglio solo era ancora sollevato, con un’espressione quasi interrogativa. Che cosa il defunto domandasse: perché era morto, o perché era vissuto - Iddio soltanto lo può sapere.
Nikolaj Gogol, Le anime morte


[...] rannicchiandosi sotto la coperta, s'addormentò profondamente, pesantemente, s'addormentò di quel sonno mirabile, di cui dormono solo i fortunati che non sanno che siano né emorroidi, né pulci, né troppo elevate capacità intellettuali.
Nikolaj Gogol, Le anime morte


Anche negli annali universali dell'umanità vi sono addirittura molti secoli, che, si direbbe, andrebbero cancellati e annullati, come superflui. Molti errori si sono compiuti a questo mondo, tali che, si direbbe, ora non li farebbe neppure un bambino. Che strade tortuose, cieche, anguste, impraticabili, lontane dal giusto orientamento, ha scelto l'umanità nel suo conato di pervenire alla verità eterna, mentre pure aveva innanzi tutta aperta la retta via, simile a quella che conduce alle splendide stanze, destinate all'imperatore in una reggia! Piú larga di tutte l'altre vie, piú fastosa era questa, rischiarata dal sole e illuminata tutta notte dai fuochi: ma fuori di essa, nella fitta oscurità, ha proceduto il flusso degli uomini. E quante volte, già guidati da un pensiero che scendeva dai cieli, essi hanno ancora saputo deviare e smarrirsi, hanno saputo nel pieno fulgore del giorno cacciarsi un'altra volta nei fondi impraticabili, hanno saputo un'altra volta spandersi l'un l'altro negli occhi una cieca nebbia, e vagando dietro ai fuochi fatui, hanno pur saputo spingersi fin sull'orlo dell'abisso, per poi, inorridendo, domandarsi l'un l'altro: – Dov'è l'uscita? dov'è la via? – Ora tutto appare chiaro alla generazione che passa, e si meraviglia degli errori, ride della semplicità dei suoi antenati, e non vede che un fuoco celeste irradia tutti questi annali, che grida da essi ogni lettera, e che di là, penetrante, un dito s'appunta proprio su essa, su essa, la generazione che passa. Ma ride la generazione che passa, e sicura di sé, orgogliosa, dà inizio a una nuova serie di errori, sui quali a loro volta rideranno i posteri.
Nikolaj Gogol, Le anime morte


Tutto può essere vero, tutto può accadere in un uomo. Colui che è ora un giovane ardente si ritrarrebbe inorridito alla vista di se stesso vecchio. Prendete con voi, quando uscite dai teneri anni giovanili e vi incamminate verso la rude maturià che indurisce, prendete con voi tutti i moti gentili dell’animo, non abbandonateli lungo il cammino, non potreste più ritrovarli! Minacciosa, terribile è la vecchiaia che avanza e non restituisce mai nulla. La tomba è più misericordiosa, sulla tomba è scritto “Qui è sepolto un uomo”, mentre nulla si può leggere nei freddi insensibili lineamenti di una disumana vecchiezza.
Nikolaj Gogol, Le anime morte



Cosí diranno molti lettori, e rimprovereranno l'autore d'inverosimiglianza, o daranno dell'imbecille ai poveri funzionari, giacché l'uomo è generoso di questa parola imbecille, e pronto a somministrarla venti volte al giorno al suo prossimo. È sufficiente, di dieci lati, averne uno un po' sciocco, per esser spacciato imbecille a onta dei nove buoni. Ai lettori riesce facile trinciar giudizi guardando dal loro angolo tranquillo, da una sommità da cui è tutta aperta la visuale su tutto quanto avviene in basso, dove l'uomo scorge soltanto gli oggetti vicini. Anche negli annali universali dell'umanità vi sono addirittura molti secoli, che, si direbbe, andrebbero cancellati e annullati, come superflui. Molti errori si sono compiuti a questo mondo, tali che, si direbbe, ora non li farebbe neppure un bambino. Che strade tortuose, cieche, anguste, impraticabili, lontane dal giusto orientamento, ha scelto l'umanità nel suo conato di pervenire alla verità eterna, mentre pure aveva innanzi tutta aperta la retta via, simile a quella che conduce alle splendide stanze, destinate all'imperatore in una reggia! Piú larga di tutte l'altre vie, piú fastosa era questa, rischiarata dal sole e illuminata tutta notte dai fuochi: ma fuori di essa, nella fitta oscurità, ha proceduto il flusso degli uomini. E quante volte, già guidati da un pensiero che scendeva dai cieli, essi hanno ancora saputo deviare e smarrirsi, hanno saputo nel pieno fulgore del giorno cacciarsi un'altra volta nei fondi impraticabili, hanno saputo un'altra volta spandersi l'un l'altro negli occhi una cieca nebbia, e vagando dietro ai fuochi fatui, hanno pur saputo spingersi fin sull'orlo dell'abisso, per poi, inorridendo, domandarsi l'un l'altro: – Dov'è l'uscita? dov'è la via? – Ora tutto appare chiaro alla generazione che passa, e si meraviglia degli errori, ride della semplicità dei suoi antenati, e non vede che un fuoco celeste irradia tutti questi annali, che grida da essi ogni lettera, e che di là, penetrante, un dito s'appunta proprio su essa, su essa, la generazione che passa. Ma ride la generazione che passa, e sicura di sé, orgogliosa, dà inizio a una nuova serie di errori, sui quali a loro volta rideranno i posteri.
(I, 10; 1977, p. 210)



“Il lettore non deve dunque irritarsi con l'autore se i personaggi apparsi fin qui non hanno incontrato i suoi gusti: la colpa è di Číčikov: qui egli è padrone assoluto, e dove pare a lui, anche noi dobbiamo trascinarci. Da parte nostra, se proprio ci sarà rivolta l'accusa che i personaggi e i caratteri sono squallidi e difformi, diremo soltanto che mai, da principio, si può cogliere per intero l'ampio andamento e le proporzioni d'un'opera.”
(I; 11; 1977, p. 241)


“È piú che dubbioso che l'eroe da noi scelto sia piaciuto ai lettori. Alle signore non piacerà, questo si può dir di sicuro, giacché le signore esigono che l'eroe sia una perfezione assoluta, e basta che abbia, nell'anima o nel corpo, una qualsiasi macchiolina – apriti cielo! Per quanto profondo sia sceso in lui lo sguardo dell'autore, per quanto abbia reso con piú nettezza d'uno specchio la sua immagine, non gliene riconosceranno il minimo pregio. La stessa complessione pienotta e la mezza età di Číčikov gli saranno di grave pregiudizio: la complessione pienotta non verrà a nessun patto perdonata al nostro eroe, e moltissime signore, torcendo il viso dall'altra parte, diranno: – Pfu! com'è detestabile! – Ahimè, son tutte cose che l'autore sa bene; e, nonostante tutto, egli non può scegliere per suo eroe un uomo virtuoso. Ma... chissà, nel corso di questa stessa narrazione, si faranno sentire altre corde, non tocche fin qui; verrà a risaltare la smisurata ricchezza dello spirito russo; apparrà un uomo dotato di virtú sovrumane, o una di quelle prodigiose giovinette russe, come altrove non se ne trovano al mondo, in tutta la stupenda bellezza della sua anima femminile, tutta aspirazioni magnanime e spirito di sacrificio. E morti sembreranno, di fronte a loro, tutti gl'individui virtuosi dell'altre stirpi, com'è morto un libro di fronte alla viva parola! Si solleveranno i moti propri dell'indole russa... e si vedrà quanto a fondo sia penetrato nella natura slava ciò che ha sfiorato appena la natura degli altri popoli... Ma a che scopo parlare di quello che è innanzi? Non si conviene all'autore, che è un uomo educato ormai da gran tempo alla severa vita interiore e alla fredda lucidità della solitudine, lasciarsi trasportare come un giovanotto. A ogni cosa il suo turno, e il suo luogo, e il suo tempo! Ma l'uomo virtuoso, no, non l'abbiamo scelto a nostro eroe. E possiamo anche dire perché non l'abbiamo scelto. Perché è tempo, una buona volta, di concedere un po' di riposo al povero uomo virtuoso; perché a vuoto gira su tutte le labbra la parola uomo virtuoso; perché hanno ridotto a un cavallo l'uomo virtuoso, e non c'è scrittore che non ci scarrozzi, incitandolo colla frusta, o qualunque altra cosa gli capiti; perché hanno talmente massacrato l'uomo virtuoso, che ormai non c'è piú in lui neppur l'ombra della virtú – gli sono restate le coste e la pelle, al posto del corpo; perché ipocritamente si fa venire in ballo l'uomo virtuoso; perché non si rispetta, l'uomo virtuoso. No, è tempo, una buona volta, d'attaccare alle stanghe anche un farabutto. Suvvia dunque, attacchiamo questo farabutto!
Nikolaj Gogol
(I, 11; 1977, p. 223)


“Ah, Pavel Ivànovič, Pavel Ivànovič! che uomo sarebbe potuto uscir da voi, se appunto cosí, colla forza e la pazienza, aveste lottato sulla buona strada, mirando a uno scopo migliore! Dio mio, quanto bene avreste potuto fare! Oh se qualcuno soltanto di coloro che amano il bene compissero altrettanti sforzi per esso, quanti se ne compiono per procacciarsi il centesimo, e sapessero sacrificare al bene ogni amor proprio, ogni ambizione, senza pietà di se stessi, come voi non avete avuto pietà di voi stesso nel procacciarvi il vostro centesimo: Dio mio, come fiorirebbe la nostra terra!... Pavel Ivànovič, Pavel Ivànovič! Il peggio non è che vi siate reso colpevole di fronte agli altri: il peggio è che di fronte a voi stesso vi siete reso colpevole, di fronte alla ricchezza di forze e di doni, che vi erano toccati in sorte. Il destino vostro era d'essere un grand'uomo; e voi invece vi siete degradato e perduto.”
(II, [... ]; 1977, p. 356)


Non sarà fuor di luogo notare che nella conversazione d'entrambe le signore venivano a mescolarsi moltissime parole straniere, e a volte, in blocco, lunghe frasi francesi. Ma per quanto l'autore sia pieno di rispetto per gl'insignì benefizi che la lingua francese arreca alla Russia; per quanto sia pieno di rispetto per la lodevole consuetudine della nostra alta società, che si esprime in francese a tutte le ore della giornata, ciò che in fondo è da attribuire a un profondo senso d'amor patrio; pure, nonostante tutto, non sa risolversi in alcun modo a introdurre una frase di qualsivoglia lingua straniera in questo suo russo poema. E così, continueremo pur sempre in russo.
(I, 9; 1977, pp. 182-3)


Gli tremavano le ginocchia; i sensi, i pensieri ardevano; un lampo di gioia gli trafisse il cuore con un aculeo insopportabile. No, ormai non era più un sogno! Dio! Quanta felicità in quell'attimo!
Che vita stupenda in due minuti!
Nikolaj Gogol, La prospettiva Nevskij



Da tempo avevo il sospetto che i cani fossero più intelligenti degli uomini; ed ero perfino convinto che potessero parlare, ma che, soltanto, ci fosse in loro una specie di cocciutaggine. Sono dei grandi politiconi: osservano ogni cosa, non perdono una sola mossa di una persona.
Nikolaj Gogol, Il diario di un pazzo, in "I racconti degli Arabeschi"


Allora il senato, composto di teologi e filosofi, spediva grammatici e retori, armati di sacchi, al comando di un qualche filosofo – a volte anche questi prendeva parte diretta all'azione – a far man bassa negli orti altrui: ed ecco che al Seminario compariva la minestra di zucche. I senatori si impinguavano talmente di meloni e cocomeri che, il giorno dopo, i capiclasse risentivano loro due lezioni anzi che una: ché l'una usciva fuor dalla bocca, l'altra gorgogliava nel ventre senatoriale. Ginnasiali e seminaristi portavano certe parvenze di gabbane che giungevano loro insino all'era presente: termine tecnico che stava a dire, al di là dei calcagni.
Nikolaj Gogol  (Mirgorod, p. 281)


Agafija Fedoseevna aveva una scuffia sul capo, tre verruche sul naso, e una vestaglia color caffè a fiori gialli. I suoi fianchi parevano un mastello, e perciò ritrovarne la cinta sarebbe stato arduo altrettanto come vedersi il naso senza lo specchio; le gambe le aveva assai corte, e a foggia di due cuscini. Spettegolava, e mangiava barbabietole lesse al mattino, e possedeva l'arte di leticare in modo perfetto; e nel corso di tutte queste molteplici cure mai un solo momento il suo viso cambiava espressione; cosa di cui, per solito, sono capaci soltanto le donne.
Nikolaj Gogol  (Mirgorod, p. 317)


Non questo è ciò che v'è di piú mirabile al mondo:
il lieto in un baleno si converte in triste, se appena un po' a lungo ti ci fermi innanzi; e Allora Dio sa che cosa ti potrebbe frullar per la testa. Chissà, potresti addirittura finire a pensare: «Ma in fin dei conti, soltanto la Koròbočka sta cosí in basso sulla scala infinita della perfettibilità umana? È proprio tanto grande l'abisso che la divide dalla sorella inaccessibile fra le pareti d'una casa aristocratica, con infiorate scale di ghisa, bronzi splendenti, legni preziosi e tappeti, mentre sbadiglia su un libro che si forza a finire, in attesa d'una visita mondano-intellettuale, durante la quale avrà campo di far scintillare il suo spirito e di metter fuori pensieri imparati a memoria, pensieri che secondo le leggi della moda interessano la città per la durata d'una settimana: pensieri che non riguardano già quel che avviene in casa sua e nei suoi possedimenti, trascurati e in isfacelo per l'insipienza dei padroni, bensí quale rivolgimento politico stia preparandosi in Francia, o quale indirizzo abbia preso il cattolicesimo di moda?» Ma avanti, avanti! Perché parlare di questo? Ma perché, dunque, proprio nei momenti che non si pensa a nulla, e si è allegri, senza inquietudini, d'improvviso, per conto suo, ci traversa un'altra bizzarra corrente? Ancora il riso non ha fatto in tempo a sparire del tutto dal volto, e già sei diventato un altro fra le stesse persone di poc'anzi, già un'altra luce t'illumina il volto...
Nikolaj Gogol
(I, 3; 1977, pp. 55-6)


Vi sono persone che esistono in questo mondo non già come un oggetto a sé, ma come supplementari moscature o screziature d'un dato oggetto. Se ne stanno sedute sempre a quel posto, tengono sempre in quella posizione la testa: stai lí lí per scambiarle per un mobile, e pensi che da quando sono nate non è uscita mai una parola da quelle labbra. E invece in qualche altro luogo, nelle stanze delle cameriere, o in dispensa, verrà fuori né piú né meno... ohoh, oh!
Nikolaj Gogol, Le anime morte
(I, 5; 1977, p. 95)



E si copriva la faccia colle mani, il povero giovane, e molte volte, in seguito, durante la sua vita, tremò vedendo quanta inumanità sia nelle creature umane, quanta feroce volgarità si nasconda nella mondanità raffinata e illuminata, e, Dio mio! persino negli uomini che il mondo tiene per nobili e onesti.
(Il mantello; 2000, p. 184



L'intreccio del Cappotto è molto semplice. Un povero impiegatuccio prende una grande decisione e ordina un cappotto nuovo. Il cappotto, mentre è in lavorazione, diventa il sogno della sua vita. Ma la prima sera che lo indossa glielo rubano in una strada buia. Muore di dolore e il suo fantasma incombe sulla città. (...) L'arte di Gogol', quale ce la rivela il Cappotto, suggerisce che le rette parallele non solo possono incontrarsi, ma possono contorcersi e aggrovigliari nei modi più pazzeschi, come due pilastri riflessi nell'acqua s'abbandonano alle più tremolanti contorsioni purche ci sia la necessaria increspatura. Il genio di Gogol' è esattamente questa increspatura - due e due fanno cinque, se non la radice quadrata di cinque, e tutto questo avviene in modo naturale nel mondo gogoliano, dove non si può seriamente sostenere la matematica razionale o qualunque accordo pseudofisico con noi stessi."
Vladimir Nabokov


Solamente, se lo scherzo era troppo insopportabile, quando gli urtavano il braccio, impedendogli di lavorare, diceva: «Lasciatemi in pace, perché mi offendete?»
Nikolaj Gogol, Il cappotto, Il cappotto


“Vedete fino a qual punto, nella Santa Russia, tutti sono contaminati dall'imitazione:
ciascuno mette in ridicolo il proprio superiore – e poi lo scimmiotta".
Nikolaj Gogol, Il cappotto, p. 456


“Di questo sarto non occorrerebbe certo dir molto, ma poiché è ormai invalso l'uso che in un racconto venga dichiarato appieno il carattere di ciascun personaggio, così non v'è nulla da fare: serviamo, allora, in tavola anche questo Petrovič!” 
Nikolaj Gogol, Il cappotto, p.  445


E Pietroburgo rimase senza Akakij Akakievič, come se non ci fosse mai neanche esistito. Si dileguò, scomparve un essere che non era protetto da nessuno, a nessuno caro, e che non interessava nessuno; che non aveva richiamato su di sé l'attenzione neppure del naturalista, il quale non manca di infilzare nello spillo anche una comune mosca e studiarla al microscopio; un essere che aveva sofferto umilmente ogni beffa dei compagni d'ufficio, e che era disceso nella tomba senza aver compiuto nulla di notevole nella vita, ma a cui, tuttavia, sia pure all'estremo declino della vita, era comparso fuggevolmente l'ospite luminoso nelle parvenze di un cappotto, ravvivando per un fugace istante la sua misera esistenza; ma sul cui capo si era poi abbattuta ineluttabilmente la sventura, così come essa si abbatte sopra i potenti della terra!...”
Nikolaj Gogol, Il cappotto, p.  459


“Per un bel pezzo ancora Nozdriòv non scomparirà dal nostro mondo; è dappertutto fra di noi e, forse, porta soltanto un'altra giacca; ma la gente è leggera e superficiale: un uomo con un'altra giacca le sembra un uomo diverso.” (IV; 2003, p. 80)
Nikolaj Gogol


Nikolaj Gogol, Il cappotto.
In un ministero... ma è meglio non dire in quale. Non c'è nulla di più suscettibile dei ministeri, dei reggimenti, degli uffici e, insomma, d'ogni sorta di corpo burocratico. Al giorno d'oggi, ormai, ogni privato cittadino ritiene che in esso venga offesa tutta la società.
[...] Quando e in qual modo Akakij Akakievic fosse entrato al ministero e chi ve l'avesse messo, è una cosa che nessuno ricordava. Per quanti direttori e vari superiori cambiassero, videro sempre lui allo stesso posto, nella stessa posizione, con le stesse funzioni, sempre lo stesso impiegato copista, tanto che poi si persuasero che, evidentemente, doveva esser venuto al mondo così, già pronto con l'uniforme e con la calvizie sulla testa. Nel ministero non gli dimostravano alcuna stima. Non soltanto i custodi non si alzavano dal loro posti quando passava, ma nemmeno lo guardavano, come se attraverso l'anticamera fosse volata una semplice mosca. I superiori si comportavano con lui in un certo modo freddamente dispotico. Un qualsiasi aiutante del capoufficio gli ficcava letteralmente sotto il naso gli incartamenti, senza neppure dirgli «copiate», oppure «ecco un bell'affaruccio interessante» o insomma qualcosa di piacevole come si usa negli uffici dove c'è della buona educazione. E lui prendeva, guardando solo l'incartamento, senza badare a chi gliel'aveva messo lì e se ne avesse il diritto. Prendeva e subito si metteva a copiarlo. I giovani funzionari ridevano di lui e lo motteggiavano per quanto poteva l'arguzia burocratica, raccontavano in sua presenza vane storie inventate sul suo conto; per esempio dicevano che la sua padrona di casa, una vecchia settantenne, lo picchiava; o domandavano quando loro due si sarebbero sposati; oppure gli spargevano sulla testa pezzi di carta, dicendo che era neve. A questo però Akakij Akakievic non rispondeva con una sola parola, come se non avesse nessuno davanti a sé; e non si lasciava distrarre dalle sue occupazioni: in mezzo a tutte queste molestie non faceva un solo sbaglio nel copiare. Solo se lo scherzo era troppo insopportabile, se gli davano un colpo sul braccio disturbandolo nel suo lavoro, esclamava:
«Lasciatemi stare, perché mi offendete?» [...]
Nikolaj Gogol, Il cappotto.

Nikolaj Gogol, Il cappotto.
Sarebbe stato difficile trovare un uomo che vivesse così del suo lavoro.
È poco dire che egli prestava servizio con zelo; no, prestava servizio con amore.
Lì, in quel copiare, egli vedeva un certo mondo proprio, vario e piacevole.
La soddisfazione si dipingeva sulla sua faccia; alcune lettere erano le sue favorite e, quando vi s'imbatteva, non era più lui: ridacchiava, ammiccava, si aiutava con le labbra, sicché pareva che sulla sua faccia si potesse leggere ogni lettera che la sua penna vergava. Se l'avessero ricompensato in maniera proporzionata al suo zelo, con sua meraviglia egli sarebbe forse diventato persino consigliere di stato; mentre tutto ciò che aveva ottenuto, come si esprimevano gli spiritosi suoi compagni, era una mostrina all'occhiello e le emorroidi ai lombi. Del resto, non si può dire che non si facesse alcuna attenzione a lui. Un direttore che era un buon uomo e voleva ricompensarlo per il lungo servizio, ordinò di dargli qualcosa di più importante della solita copiatura; gli fu così ordinato di stendere, di una pratica già pronta, una relazione a un altro ufficio; si trattava soltanto di cambiare il titolo di testa e poi di portare alcuni verbi dalla prima persona alla terza. Ma questo gli costò una tale fatica che egli diventò tutto un sudore, si terse la fronte e alla fine disse:
«No, datemi piuttosto qualcosa da copiare.»
Da quella volta lo lasciarono per sempre al suo lavoro di copiatura.
Fuori del copiare sembrava che per lui non esistesse niente.
Non pensava affatto al proprio abito: l'uniforme che portava non era verde, ma di un certo colore rossiccio farinoso. Il colletto l'aveva così basso e stretto, che il collo, quantunque non fosse affatto lungo, uscendo da quel colletto pareva insolitamente lungo, come in quei gattini di gesso che muovono la testa e che venditori ambulanti russi sedicenti stranieri portano sul capo a decine intere.
E poi c'era sempre qualcosa appiccicato alla sua uniforme, una pagliuzza o un filo; per di più aveva la speciale arte, quando usciva in strada, di capitare sotto una finestra proprio nell'istante in cui da essa buttavano fuori ogni sorta di porcherie e perciò sul suo cappello non mancavano mai scorze di anguria e di melone e altre sciocchezzuole del genere. [...]
Arrivando a casa si sedeva subito a tavola, trangugiava alla svelta i suoi cavoli e mangiava un pezzo di manzo con la cipolla, senza rendersi conto del loro sapore; mangiava tutto questo insieme con le mosche e con tutto quello che Dio gli mandava in quel momento. Quando sentiva che lo stomaco cominciava a gonfiarsi, si alzava da tavola, tirava fuori una boccetta d'inchiostro e ricopiava qualche incartamento che s'era portato a casa. Se non ne aveva, faceva apposta, per il proprio piacere, una copia per sé, specialmente se l'incartamento era considerevole non tanto per l'eleganza dello stile, quanto per il fatto che si rivolgeva a qualche personaggio nuovo o importante. [...]


C'è a Pietroburgo un forte nemico di tutti coloro che ricevono quattrocento rubli all'anno di stipendio o giù di lì. Questo nemico non è altri che il gelo pietroburghese, sebbene qualcuno dica che sotto diversi aspetti sia assai salutare. Alle nove del mattino, precisamente nell'ora in cui le strade si riempiono di coloro che si recano ai ministeri, esso comincia a dare pizzicotti così energici e pungenti su tutti i nasi senza distinzione, che i poveri funzionari non sanno più dove infilarli. A quest'ora, quando anche a chi occupa le cariche più elevate duole la fronte per il gelo e vengono le lacrime agli occhi, i poveri consiglieri titolari sono talvolta completamente indifesi. L'unica salvezza consiste nel percorrere di corsa con il leggero paltoncino cinque o sei strade e poi pestare per bene i piedi in anticamera fino a quando tutte le facoltà e le doti naturali necessarie alle mansioni d'ufficio, congelatesi lungo la strada, non si disgelano per bene. Da qualche tempo Akakij Akakievià cominciava ad avvertire in modo particolarmente acuto, sulle spalle e sulla schiena, i rigori del gelo, benché si sforzasse di percorrere al più presto e di corsa il tragitto dalla casa all'ufficio. Alla fine si chiese se il suo cappotto non avesse qualche difetto. Dopo averlo accuratamente esaminato, a casa sua, scoprì che in due o tre posti, precisamente sulla schiena e sulle spalle, esso era diventato leggero come un velo: il panno s'era talmente liso che ci si vedeva attraverso e la fodera si sfilacciava. Bisogna sapere che anche il cappotto di Akakij Akakievié era oggetto delle derisioni dei colleghi; gli avevano persino negato il nobile nome di «cappotto» e lo chiamavano «vestaglia». In realtà esso aveva una strana caratteristica: ogni anno il suo colletto diventava sempre più piccolo, perché serviva per rattoppare le altre parti. Il rattoppo non rivelava alcun'arte da parte del sarto e l'effetto non era bello: sembrava un sacco cadente. [...] Secondo l'abitudine dei sarti quando sono al lavoro, i piedi erano nudi. La prima cosa che saltò agli occhi di Akakij Akakievié fu l'alluce, che egli conosceva assai bene, con un'unghia deformata, grossa e robusta come il guscio d'una tartaruga. Al collo di Petróvic pendevano numerosi fili di seta e sulle ginocchia era steso un cencio. Erano già almeno tre minuti che egli tentava d'infilare il filo nella cruna dell'ago, non ci azzeccava, e perciò era molto arrabbiato con l'oscurità e anche con il filo, e brontolava a mezza voce: «Non entra, il barbaro; m'hai proprio stancato, razza di farabutto!»
Ad Akakij Akakievié dispiacque d'essere arrivato proprio in un momento in cui Petróvic era infuriato: a lui piaceva ordinare qualcosa a Petróvic quando quest'ultimo era già un po' brillo o, come si esprimeva la moglie, «s'era abboffato di vodka, diavolo guercio». In quello stato di solito Petróvic cedeva di buon grado e accettava tutto, e ogni volta persino s'inchinava e ringraziava. Poi, è vero, arrivava la moglie, piangendo che il marito era ubriaco e perciò aveva chiesto troppo poco, ma di solito si aggiungeva un grtvénnik e tutto andava a posto. Adesso invece Petrovié sembrava in perfetto stato di sobrietà e perciò duro, taciturno e pronto a esigere chissà quale prezzo. Akakij Akakievié capì questo e, come si dice, avrebbe voluto quasi quasi far marcia indietro, ma ormai la faccenda era avviata. Petrovié strizzò verso di lui molto attentamente il suo unico occhio e Akakij Akakievié senza volerlo mormorò: «Buon giorno, Petrovic"!»
«Buona salute, signoria,» disse Petrovié e fissò l'occhio sulle mani di Akakij Akakievié, per vedere che razza di preda avesse portato con sé. «E io, ecco, per te, Petrovié, questo...» [...]
«Che razza di roba è?» disse Petrovié, mentre squadrava col suo unico occhio l'uniforme di Akakij Akakievié dal colletto alle maniche, alla schiena, alle falde, alle asole, roba che però gli era tutta già ben nota perché lavoro suo. Questa è l'abitudine dei sarti; questa è la prima cosa che fanno nel vedervi.
«E io, ecco, che cosa, Petrovié... il cappotto, già, il panno... ecco vedi, negli altri posti regge bene, s'è un po' impolverato e sembra vecchio, ma invece è nuovo, solo che in un posto è un poco così.... sulla schiena, e poi anche su una spalla s'è un poco consumato; sì, ecco, su questa spalla un po'... ecco tutto. E non c'è tanto lavoro...»
Petrovié prese la «vestaglia», e la distese sulla tavola, la esaminò a lungo, scosse la testa e allungò la mano verso la finestra per prendere la sua tabacchiera rotonda con il ritratto di un generale, quale precisamente non si sa, perché il punto dove si trovava la faccia era stato sfondato dal dito e poi rattoppato con un quadratino di carta incollata. Annusato il tabacco, Petrovié allargò la «vestaglia» fra le mani e la esaminò controluce e di nuovo scosse la testa. Poi la rovesciò dalla parte della fodera e di nuovo scosse la testa, di nuovo levò il coperchio con la carta incollata sopra il generale e, riempitosi il naso di tabacco, chiuse la tabacchiera, la ripose e finalmente disse:
«No, non si può riparare: è in cattivo stato
A queste parole il cuore di Akakij Akakievié ebbe un balzo.
«Come non si può, Petrovié?» disse con voce quasi supplichevole, da bambino, «è consumato soltanto sulle spalle, tu devi pur avere dei pezzi di stoffa da metterci...»
«Certo, i pezzi si possono trovare, i pezzi si trovano,» disse Petrovié, «ma è cucirli che non si può: è roba completamente marcia, come la tocchi con l'ago, ti si disfa in mano
«Che si disfi pure, tu subito ci metti una pezza.»
«Ma non c'è dove poggiarle le pezze, non c'è presa, è troppo logoro ormai.
Non è panno questo, ma gloria: come soffia un po' di vento vola via
«E tu appunto rinforzalo. Come sarebbe a dire, cosi, davvero, questo!...»
«No,» disse deciso Petrovié, «non si può far nulla. E una brutta faccenda.


Nikolaj Gogol, Il cappotto.

http://www.larici.it/culturadellest/letteratura/gogol/gogol_cappotto.pdf


"Siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol’" è una celebre frase di Dostoevskij e voleva dire che tutta la letteratura successiva, quella del cosiddetto "realismo socialista", prendeva le mosse dai lembi del cappotto rubato al povero impiegatuccio dal nome cacofonico di Akakij Akakievič. [...]
Akakij Akakievič [...] in un freddo giorno d’inverno, va a ritirare dal sarto il cappotto nuovo di zecca, comprato a fronte di tanti sacrifici e privazioni. Già il titolo Šinel – Il cappotto – è simbolico: non è solo un indumento, ma la sintesi della condizione di vita del povero impiegato statale, mortificato e deriso. Designa uno status, l’unica cosa che, nel contesto della Russia di Nicola I divisa in ranghi, può restituirgli dignità. Per questo preferisco una delle prime traduzioni del titolo ossia "il mantello" o anche "il pastrano", che rendono meglio il russo "Šinel", un cappotto da uomo di taglio ampio con un piccolo collo di pelliccia e una mantellina, d’obbligo dal ‘700 in poi anche per i semplici addetti alla cancelleria. Inoltre è un termine che in russo è femminile, caricandosi ancor più di significato: oltre che uno status è “una compagna di vita”.
Non solo la felicità, anche la letteratura è una cosa seria. In Russia lo era oltremodo. Non c’era distinzione tra Storia, Politica e Letteratura. Belinskij, che era il più famoso critico ottocentesco, vedeva nella “penna socialmente impegnata” di Gogol’ lo strumento che meglio avrebbe risvegliato le coscienze, portandole a reagire. Peccato per quella lettera...
Pochi mesi prima di morire lo scrittore ricevette proprio dal critico che tanto lo aveva elogiato una lettera di insulti, in cui, detto volgarmente, Belinskij gli rinfacciava di essersi rincretinito dietro alle ciance del cristianesimo, dell’individualismo, dell’uomo alla ricerca di una propria spiritualità. E il realismo socialista? E la rivoluzione del popolo? Gogol’ ci rimase così male, che bruciò la terza parte de Le anime morte e finì morto impazzito, come uno dei suoi personaggi.
La storia de Il cappotto, forse, la conoscete. Akakij Akakievič è un impiegatuccio la cui unica mansione è quella di copiare documenti di cancelleria, attività che svolge con maniacale dedizione. Ciononostante è deriso e offeso da tutti. "Perché mi offendete?" è il suo amaro ritornello.
L’impossibilità di rispondere a questa domanda con un’unica affermazione determina la grandezza di questa breve novella. Già, perché l’offendono? Cattiveria gratuita, passatempo, divertimento, voglia di sopraffazione dei colleghi e della società stessa, incapace di compassione, imbrigliata com’è nei suoi "ranghi". Molti sono i motivi per cui gli esseri umani, talvolta, umiliano e offendono. Succedeva a Pietroburgo nell’Ottocento, succede tuttora e in ogni dove.
Malgrado tutto, il povero copista dal colorito, si potrebbe dire, emorroidale, riesce a mettere da parte qualche rublo e a comprare il tanto desiderato cappotto nuovo. Sorpresa delle sorprese, lo invitano a una serata tra colleghi, giusto due chiacchiere in compagnia. È felice il pover’uomo, lui non è antisociale come Raskol’nikov, a cui la gente proprio non piace e se può evitarla è meglio, a lui la gente piace ma purtroppo è solo Akakij Akakievič e col cappotto di prima, quello vecchio e rattoppato, con gli altri non ci poteva stare.
È una tipica notte pietroburghese e c’è la neve come in molte nostre città in questi giorni, solo che fa decisamente più freddo. Akakij ha il suo pastrano nuovo e a bere coi colleghi ci va tutto orgoglioso. Si sa come sono i russi, un bicchiere tira l’altro, arriva mezzanotte e per il nostro è già ora di tornare a casa. Ha mal di testa, la vodka non la regge, non capita certo tutte le sere di bere con l’allegra brigata. Così saluta tutti, ringrazia per la piacevole serata ed esce nel gelo della notte... Il finale non lo svelo. Dico soltanto che non si tratta di una fine "tragica", l’aggettivo migliore è "triste".
[...]
Scritto da Ornella Sabia

Nikolaj Vasil'evič Gogol’, Il cappotto
traduzione italiana a cura di Clemente Rebora
Feltrinelli, Milano 2009
pp. 112
http://www.ilpickwick.it/index.php/letteratura/item/1760-siamo-tutti-usciti-dal-cappotto-di-gogol


Akakij Akakievic, protagonista de Il cappotto, vive un’esistenza all’ombra degli altri colleghi d’ufficio; è umile, insicuro, sbeffeggiato da tutti, anche dal destino. Vive per potersi comprare un cappotto (una necessità assoluta, visto il freddo di Pietroburgo): quando riesce a permettersi la confezione di un pastrano, ringalluzzisce. Inizia a venire considerato dai colleghi, viene addirittura invitato ad una festa. Il destino, però, lo attende nelle vie della città dalle notti bianche: i ladri gli strappano il cappotto nuovo, lui cerca una giustizia troppo elevata, forse troppo astrusa per la sua umile condizione di copista, il gelo lo avvolge e in breve tempo se lo porta via. Ma Akakij non muore del tutto: il suo fantasma perseguita coloro i quali, ricchi, lo hanno umiliato ed offeso in vita, soprattutto chi avrebbe potuto rendergli giustizia e non lo ha fatto.
https://www.iisprever.gov.it/comprever/gogol-introduzione-ai-racconti-di-pietroburgo/


Tutt’a un tratto si fermò come inchiodato accanto al portone di una casa (…). Davanti all’ingresso si era fermata una carrozza (…); ne balzò fuori un uomo in uniforme e corse su per la scala. Quale non furono lo spavento e nello stesso tempo lo stupore di Kovalèv quando in lui riconobbe il proprio naso! (…) Dal cappello con le piume si poteva dedurre che si considerava in possesso del grado di consigliere di stato.
Nikolaj Gogol, Il naso.


Di lunga durata non c’è nulla al mondo.
E anche la felicità, nell’istante che tien dietro al primo, non è già più tanto viva.
Al terzo istante diventa ancor più debole.
Infine sensibilmente si fonde col nostro stato d’animo abituale.
Come sull’acqua il cerchio prodotto dalla caduta di un sasso si confonde con la liscia superficie a poco a poco.
Nikolaj Gogol, Il naso.
 in I racconti di Pietroburgo



Il 20 marzo 1809 è nato il grande scrittore russo (a dire il vero ucraino, direi che fa il paio con Oscar Wilde irlandese) Nikolaj Vasil'evič Gogol'. La sua importanza per la letteratura russa è stata immensa: basti pensare che Fëdor Dostoevskij disse: “Siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol”. [...]

Quando e in qual modo Akàkij Akakièvic fosse entrato al ministero e chi ve l'avesse messo, è una cosa che nessuno ricorda. Per quanti direttori e vari superiori cambiassero, videro sempre lui allo stesso posto, nella stessa posizione, con le stesse funzioni, sempre lo stesso impiegato copista, tanto che poi si persuasero che, evidentemente, doveva esser venuto al mondo così, già pronto con l'uniforme e la calvizie sulla testa. Nel ministero non gli dimostravano alcuna stima. Non soltanto i custodi non si alzavano dai loro posti quando passava, ma nemmeno lo guardavano, come se attraverso l'anticamera fosse volata una semplice mosca. I superiori si comportavano con lui in modo freddamente dispotico. Un qualsiasi aiutante del capufficio gli ficcava letteralmente sotto il naso gli incartamenti, senza neppure dirgli "copiate", oppure "ecco un bell'affaruccio interessante" o insomma qualcosa di piacevole come si usa negli uffici dove c'è della buona educazione. E lui prendeva, guardando solo l'incartamento, senza badare a chi gliel'avesse messo lì e se ne avesse il diritto. Prendeva e subito si metteva a copiarlo”.
Gogol, Il cappotto.

[...] Gogol, dunque, ha saputo raccontare magistralmente questo grigio, meschino e soffocante mondo di impiegati e piccoli burocrati in cui l’uomo viene privato della sua individualità e ridotto a semplice e intercambiabile ingranaggio di una macchina immensa e spietata, anticipando così, nella prima metà dell’800, tematiche novecentesche come l’alienazione e grandi autori del ‘900 come Kafka.

Ma il mio preferito tra i suoi racconti, e uno dei miei racconti preferiti in assoluto, è “IL NASO”, la storia di un naso che si stacca dalla faccia del suo proprietario, un impettito assessore di collegio, e comincia a vivere di vita propria diventando a sua volta assessore di collegio.
Perché mi piace? Semplicemente perché è divertentissimo, nella sua totale mancanza di qualsiasi logica e nel raccontare un evento assurdo come se fosse la cosa più normale del mondo:

«Egregio signore...» disse Kovalèv, obbligandosi nel suo intimo a farsi coraggio, 
«egregio signore...»
«Che cosa volete?» rispose il naso, voltandosi.
«Mi sembra strano, egregio signore... ho l'impressione... voi dovreste sapere qual è il vostro posto. 
E, tutt'a un tratto, vi trovo e dove? in una chiesa! Convenite che...»
«Scusatemi, ma non riesco a capire di che cosa intendete parlare... Spiegatevi.»
«Come posso spiegargli?» pensò Kovalèv e, fattosi animo, cominciò: «Certo, io... del resto sono maggiore. Andare in giro senza naso, sarete d'accordo, è cosa sconveniente. Una fruttivendola qualsiasi, che vende arance sbucciate sul Ponte Voskresènskij, può anche stare senza naso: ma io, avendo in vista di ottenere un posto di governatore... essendo inoltre in molte case amico di signore come la Èechtàreva, consiglieressa di stato, e altre... Giudicate voi stesso... io non so, egregio signore...» Nel dir questo Kovalèv si strinse nelle spalle «... Scusate... se questo si considera secondo le regole del dovere e dell'onore... voi stesso capirete...»
«Non capisco proprio nulla,» rispose il naso. «Spiegatevi in maniera più chiara.»
«Egregio signore...» disse il maggiore Kovalèv con tutto il sentimento della propria dignità, «non so come intendere le vostre parole... Qui tutta la faccenda, a quel che sembra, è perfettamente evidente... Oppure voi volete... Ma se voi siete il mio naso!»
Il naso guardò il maggiore e i suoi sopraccigli si aggrottarono alquanto.
«Vi sbagliate, egregio signore. Io sono per mio conto. Inoltre fra noi non può esservi alcuna stretta relazione. A giudicare dai bottoni della vostra uniforme, voi dovete prestar servizio in un'altra amministrazione

La forza dello stile di Gogol sta proprio in questa totale e allegra assurdità; come scrisse il grande scrittore e critico, Vladimir Nabokov: "L'arte di Gogol' suggerisce che le rette parallele non solo possono incontrarsi, ma possono contorcersi e aggrovigliarsi nei modi più pazzeschi, come due pilastri riflessi nell'acqua s'abbandonano alle più tremolanti contorsioni purché ci sia la necessaria increspatura. Il genio di Gogol' è esattamente questa increspatura - due e due fanno cinque, se non la radice quadrata di cinque, e tutto questo avviene in modo naturale nel mondo gogoliano, dove non si può seriamente sostenere la matematica razionale o qualunque accordo pseudofisico con noi stessi."
Tra gli estimatori di Gogol c’è anche Andrea Camilleri che ha scritto:
“Personalmente, come scrittore, io considero Gogol’ uno dei miei due nonni (l’altro si chiama Lawrence Sterne). Ma non sono per niente sicuro che essi mi considerino un loro nipote”.


Il Gogol di Nabokov gran maestro della risata “nera”.
RITRATTO
Le ultime ore di Gogol, l'autore immenso delle Anime morte, furono un incubo degno del marchese de Sade: mentre un rozzo assistente bloccava lo scrittore, un medicastro gli infilava nel naso delle sanguisughe, cosa che accelerò la fine di Gogol. Ma l'orrore era tanto più grande perché materializzava la fobia di Gogol per gli esseri striscianti, insetti e vermi che lui schiacciava con il suo bastone da passeggio: è anche questo ciò che ci racconta Nabokov nel suo Nikolaj Gogol, un libro appena uscito per Adelphi e curato e tradotto con bravura da Cinzia De Lotto e Susanna Zinato.

DIABOLICO
Ma la vicenda delle sanguisughe, come molti altri episodi della vita di Gogol, è raccontata da Nabokov con uno scopo preciso, che non è quello di sciorinare aneddoti sensazionali, ma quello di introdurci nel lato diabolico e oscuro del Gogol gran maestro della risata “nera”, l'inventore di un mondo di nasi che se ne vanno a spasso per la Prospettiva Nevskij sotto forme umane, di tizi che comprano anime di servi della gleba defunti e di impiegati che muoiono di crepacuore perché qualcuno ha rubato loro una mantella ma poi tornano a vivere sotto forma di errabondi fantasmi: un mondo di spettri demenziali e comici che ci appaiono più sinistri degli spettri seri e tragici. 

Nabokov demolisce l'idea che le Anime morte siano un “romanzo sociale”; ci mostra un Gogol nevroticissimo, che soffre per ogni minima critica ma vuole avidamente leggerle, e che appena è scontento per le recensioni ai suoi libri fugge via: letteralmente; e infine ci porta nel mondo di Gogol, ma lo fa attraverso lo stile di Nabokov, uno stile che in qualche modo sembra essere stato infettato da quella di Gogol: «La prosa di Puskin è tridimensionale, la prosa di Gogol è quadridimensionale, come minimo… Se le linee parallele non si incontrano, non è perché non possono incontrarsi, ma perché hanno altro da fare… Il mondo di Gogol è, in qualche modo, imparentato a concetti della fisica moderna come quello dell'Universo Fisarmonica o dell'Universo Esplosione… L'arte di Gogol suggerisce che linee parallele non solo possano incontrarsi, ma possano anche avanzare con movimento serpeggiante e aggrovigliarsi nei modi più bizzarri…».
Uno dei piaceri di questo Nikolaj Gogol è che si legge un Nabokov tipico, estroso e maniacale, crudele ma esatto, come quando analizza la “poshlust”, un termine che Nabokov spiega così: 
«La poshlust è non solo ciò che è dozzinale e falso ma è anche il falsamente bello, il falsamente intelligente, il falsamente seducente», un termine a partire dal quale l'autore di Lolita smaschera ovviamente Hollywood e Superman, ma che sembra parlare soprattutto dei libri che siamo costretti a sopportare noi oggi: «La cosa terribile della poshlust è che si scopre quanto sia difficile spiegare alla gente perché un determinato libro che sembra traboccare di nobile emozione e compassione sia molto, molto peggio del tipo di letteratura che tutti ammettono essere scadente». Alla fine Nabokov è anche un mirabile imbonitore, che fa venir voglia di correre subito a leggere o rileggere Il mantello e Le anime morte: e quale regalo migliore potrebbe farci e potremmo farci noi contro la stupidità e la melassa che ci annoiano? P.s. Una nota frivola, ma non tanto: la copertina di Nikolaj Gogol è di Edward Gorey, ed è una delle più straordinarie illustrazioni ispirate a Gogol che esistano. 
Giuseppe Montesano
http://www.ilmessaggero.it/pay/cultura_spettacoli_pay/il_gogol_di_nabokov_gran_maestro_risata_147_nera_148-725049.html



“Il Naso” di Gogol’.
Nikolaj Gogol scrive questa “novella dell’assurdo” all’inizio degli anni ’30 dell’Ottocento, quando aveva 27 anni, e nel 1835 la propone alla rivista “L’Osservatore Moscovita”(Московский наблюдатель) che però la rifiuta considerandola “brutta e triviale”. Al contrario Aleksandr Pushkin, dopo averla letta, la consiglia a “Il Contemporaneo” (Современник) che la pubblica l’anno successivo.

Gogol ci racconta che la mattina del 25 marzo di un anno qualsiasi il barbiere Ivan Yakovlevich trova nel panino preparato dalla moglie un “naso” che riconosce subito essere quello del signor Kovaliòv, suo cliente. Costui è un burocrate, assessore di collegio, che per darsi delle arie si fa chiamare “maggiore”. Il povero barbiere cerca di sbarazzarsi del naso gettandolo nella Nevà, ma viene fermato da una guardia.

Nel frattempo il maggiore Kovaliov resosi conto di essere rimasto senza naso si avvia verso il distretto di polizia per denunciare il “furto”, ma sul Nevskij Prospekt incontra il suo naso che passeggia avvolto in una uniforme dorata e con un cappello di piume. Il naso entra nella Cattedrale di Kazan (Казанский собор) e successivamente sale su una carrozza. Kovaliòv lo rincorre, nascondendosi la faccia con un fazzoletto per coprire la menomazione. Cerca di convincerlo a tornare al suo posto, ma il naso ormai ha una vita propria e non vi rinuncia. Kovaliòv lo perde di vista, allora per recuperarlo si rivolge sia al commissariato di polizia che con un annuncio sul giornale. Mentre se ne sta a casa sconsolato arriva la guardia che aveva bloccato il barbiere e gli riconsegna il naso che però non si riattacca più neppure con l’intervento di un dottore.

A questo punto tutta la città comincia a parlare del naso del maggiore Kovaliòv e molti giurano di averlo visto in vari punti di Pietroburgo, raccontando le peripezie più inverosimili che ognuno si può immaginare. Dopo alcuni giorni ( era la mattina del 7 aprile ) improvvisamente il maggiore, alzandosi e specchiandosi, si ritrova il naso al posto suo, e tutto ritorna come prima: Kovaliov riceve a casa Ivan Yakovlevich che come sempre gli fa la barba e – scrive Gogol – il naso, “come se niente fosse, se ne stava sulla faccia del maggiore non dando la minima impressione di essersene mai allontanato”.

In questo grottesco racconto lo scrittore, come ci dice il nostro Andrea Camilleri, con occhio ironico e contemporaneo mette a nudo le ingiustizie, i soprusi, il servilismo e i rituali vanitosi di una piccola borghesia grassa, ignorante e presuntuosa. Nel 1928 il grande compositore Dmitrj Shostakovich ha composto la musica per l’omonimo balletto.
http://www.italia-russia.it/2013/02/18/il-naso-di-gogol/



Quando però uscirono i suoi racconti col titolo Veglie alla fattoria presso Dikan'ka, il successo fu grande, e tale da procurare al loro autore amicizie influenti, grazie alle quali ottenne un posto di professore di storia al Collegio delle ragazze nobili. Gogol si esaltò, si credette uno storico, meditò di scrivere ponderose opere (è di quel tempo il romanzo storico Taras Bul'ba, una vigorosa e colorita rievocazione della vita dei cosacchi). Ma Gogol non sapeva parlar bene, timido com'era si sentiva in soggezione quando doveva interrogare le allieve, così dette le dimissioni: "Senza gloria sono salito sulla cattedra, senza gloria ne discendo", scrisse ad un amico.
http://www.sanpietroburgo.it/cultura/Gogol.asp



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