E una bellissima storia, anni fa avevo sentito questa storia su YouTube toub, era un racconto così realistico pensavo che questo post esisteva davvero, ero affascinata e l'ho pubblicato su fb convinta che era reale, finché un amico non mi disse che era un romanzo, ero rimasta molto delusa, ma nel mio cuore so che una civiltà così potrebbe esistere davvero, spero in un indomani, chi sa che non si realizzi, la speranza è l'ultima a morire 😊
LA POLITICA IN KIRGHISIA
La corruzione politica si è azzerata perché in questo Paese, chi appartiene all’apparato governativo, esercita il proprio ruolo in forma di “volontariato”, semplicemente continuando a mantenere per tutta la durata del mandato politico lo stesso stipendio che percepiva nella sua precedente attività. Quando ho saputo che ogni realtà politica nasce da una forma di volontariato, ho finalmente capito perché, ogni volta che vedo un rappresentante del parlamento italiano parlare alla televisione, c’è qualcosa sul suo volto che rivela un’incolmabile lontananza da ciò che sta dicendo. Ecco, ora mi è chiaro che chiunque abbia, come i nostri deputati occidentali, uno stipendio che sommando le varie voci si aggira intorno ai 20.000 euro al mese, non può in alcun modo essere convincente, in ciò che dice, pensa o fa.
Qui in Kirghisia, la possibilità di dedicare quotidianamente alla vita almeno mezza giornata ha consentito la realizzazione di rapporti completamente nuovi tra padri e figli, tra colleghi di lavoro e vicini di casa.
Finalmente i genitori hanno il tempo di conoscersi veramente tra loro e di frequentare i propri figli.
I parchi sono ogni giorno ricolmi di persone e il traffico stradale è oltre quattro volte inferiore, dato il variare degli orari di lavoro.
Le fabbriche sono in attività produttiva continua, ma chi fa i turni di notte lavora solo due ore.
Già al terzo anno di questa singolare esperienza è stato rilevato un fenomeno molto importante. Il consumo di droghe, sigarette, alcolici è diminuito in modo quasi totale e i farmaci rimangono in gran parte invenduti.
Certo, tutto ciò può sembrare incredibile a chi, come voi cari amici, è costretto a credere che l’attuale organizzazione dell’esistenza in occidente sia la sola possibile.
(dalla Prima Lettera)
LETTERE DALLA KIRGHISIA
LE SCUOLE IN KIRGHISIA
''Oggi ho chiesto di visitare le scuole. Pensavo di entrare, come da noi, in grandi edifici, suddivisi in aule, invece mi hanno portato in una decina di parchi, colmi di bambini e di giovani intenti a giocare. Ogni parco viene denominato “Valle della Vita.”
La Valle della Vita numero uno, numero due, etc.
Qui i bambini dai cinque anni in su e i ragazzi fino ai sedici anni, giocano, tutto il giorno, alla presenza di persone adulte disponibili a risolvere qualsiasi problema.
Ogni adulti si prende cura ed è responsabile di venti tra bambini o ragazzi.
È prevista un’interruzione a metà giornata, quando i genitori, finite le tre ore di lavoro al mattino, raggiungono i figli e pranzano con loro, spesso trattenendosi a giocare nel pomeriggio.
L’immagine di questi due o tremila ragazzi, ragazzini e bambini che si divertono inventando ogni sorta di giochi, mi ricorda le evoluzioni misteriose e spettacolari, le danze geometriche degli storni nel cielo di Roma in autunno.
Cosa desiderano il novantanove per cento dei bambini, ragazzi o giovani del mondo?
Desiderano giocare, e infatti qui in Kirghisia semplicemente giocano, qui, dove tutto viene relazionato ai desideri degli essere umani.
“Ma se giocano tutto il giorno quando studiano?” obbietto al mio accompagnatore.
Mi sorride.
“Loro non studiano, imparano.”
“Cioè?”
Per tutta risposta fa cenno a un ragazzino di fermarsi.
“Quanto fa tremilacinquecentoquarantatre per sessantotto?”
Il ragazzo, col volto intriso di gioco e di vitalità, guarda di sbieco verso l’alto per alcuni secondi e risponde rapido:
“Duecentoquarantamilanovecentoventiquattro.”
Poi riprende a correre con i compagni.
L'interprete ferma un'altro ragazzino:
“A cosa serve la milza?” Chiede.
“A produrre le piastrine che puliscono il sangue.”
“E il fegato?”
Con voce leggermente affannata ma ferma, guardandomi negli occhi, il ragazzino prosegue.
“È una centralina energetica, un senatorio di glicogeno detto anche glucosio, inoltre produce la bile che serve per la digestione, e un sacco di altre cose…” Poi, sorridendo, torna a giocare. Ricordo una mia esperienza sulla via Tuscolana a Roma, in un liceo psicopedagogico, dove, durante un dibattito seguito alla proiezione del mio fim “D’amore si vive”, ho chiesto invano a circa trecento ragazze se una di loro sapesse cos’è l’Imene (membrana importante del corpo femminile). Per interrompere un silenzio smarrito e imbarazzato, ho proposto all’insegnante di rispondere alla domanda. Non sapendolo a sua volta, la professoressa ha invitato bruscamente la scolaresca a parlare del film.
“Qui da noi in Kirghisia, i bambini crescono con la consapevolezza che il corpo umano, anche solo come macchina biologica, è un capolavoro della natura.
Lo conoscono e ne ammirano la perfezione. Scoprendo che il corpo umano è un capolavoro, la persona si relaziona a se stessa con lo stesso rispetto e cautela che si ha per un opera d’arte e di conseguenza tratterà anche i suoi simili, chiunque essi siano, come dei capolavori.”
“Posso fermarne uno io di questi giocatori?”
Chiedo avvicinandomi a una ragazzina che si sta sistemando una scarpa.
“Do you speak english?” (Parli inglese?) Le chiedo.
“I speak five languages” (Parlo cinque lingue) dice graziosamente e sfugge a un gruppo di altre bambine che evidentemente la stanno inseguendo.
“Ma come è possibile?”
Chiedo al mio amico Kirghiso.
“Ha frequentato la Casa delle lingue, dove proiettano in dieci diverse lingue i film che piacciono ai ragazzi di ogni età.
Comunque tutti i nostri ragazzi parlano almeno quattro lingue.
Le parlano perché nessuno gliele ha insegnate, proprio come la lingua madre.”
Mi accompagna ai margini del parco, spiegandomi che il meccanismo dell’imparare è permanente e più rapido di quello collegato allo studio, che, essendo quasi sempre obbligatorio, non penetra a fondo nella memoria conoscitiva e svanisce rapidamente con il trascorrere del tempo.
Lo studio impone l’apprendimento e quindi non nasce da un interesse o da un desiderio, ma da un obbligo.
Le nozioni che si apprendono con lo studio sono simili a fiori recisi che vengono immessi nel vaso della memoria e, pur rinnovandosi, le parole prima o poi appassiscono.
Ciò che si impara invece, nasce dal desiderio di sapere ed è simile a un seme messo nella terra che poco a poco cresce, fruttifica, vive e si rinnova.
Per questo, imparare è un piacere raro, mentre studiare è spesso fonte di oppressione, inquietudini e malattie. Si direbbe che lo studio abbia come scopo di creare negli esseri umani una repulsione definitiva per ogni forma di sapere.
Ma quando e come imparano questi giovani se giocano sempre?
Tutt’intorno al perimetro del parco una serie di costruzioni a un piano, ognuna adibita a un diverso settore del sapere Casa della Filosofia, Casa della Geografia, Casa del Corpo Umano, Casa degli Animali, Casa della Letteratura, Casa delle Lingue, Casa della Matematica, Casa dei Cibi, Casa della Storia, Casa della Pittura, Casa dell’Architettura, Casa della Musica, Casa del Teatro, Casa del Cinema, Casa dei Sogni.
In queste Case i ragazzi e i bambini si rifugiano quando piove o quando lo desiderano.''
(dalla Seconda Lettera)
LETTERE DALLA KIRGHISIA
Perché tutto l'Occidente vive in un'area di beneficio perché sta rubando otto decimi dei beni del resto del mondo. Quindi non è che noi stiamo vivendo in un regime politico capace di darci la televisione, la macchina... no. È un sistema politico che sa rubare otto decimi a tre quarti di mondo e dà un po' di benessere a un quarto di mondo, che siamo noi. Quindi, signori miei, o ci si sveglia o si fa finta di dormire − o bisogna accorgersi che siete tutti morti.
Silvano Agosti
Imparare è un piacere raro, mentre studiare è spesso fonte di oppressione, inquietudini e malattie.
Si direbbe che lo studio abbia come scopo di creare negli esseri umani una repulsione definitiva per ogni forma di sapere.
Silvano Agosti da “Lettere dalla Kirghisia”
Sei andato a scuola e ti hanno detto "siedi al tuo posto",
e già lì hai smesso di credere che il tuo posto sia dappertutto.
Silvano Agosti
Chiedo avvicinandomi a una ragazzina che si sta sistemando una scarpa. “Do you speak english?” (Parli inglese?) Le chiedo. “I speak five languages” (Parlo cinque lingue) dice graziosamente e sfugge a un gruppo di altre bambine che evidentemente la stanno inseguendo. “Ma come è possibile?” Chiedo al mio amico Kirghiso, “Ha frequentato la Casa delle lingue, dove proiettano in dieci diverse lingue i film che piacciono ai ragazzi di ogni età. Comunque tutti i nostri ragazzi parlano almeno quattro lingue. Le parlano perché nessuno gliele ha insegnate, proprio come la lingua madre.” Mi accompagna ai margini del parco, spiegandomi che il meccanismo dell’imparare è permanente e più rapido di quello collegato allo studio, che, essendo quasi sempre obbligatorio, non penetra a fondo nella memoria conoscitiva e svanisce rapidamente con il trascorrere del tempo. Lo studio impone l’apprendimento e quindi non nasce da un interesse o da un desiderio, ma da un obbligo. Le nozioni che si apprendono con lo studio sono simili a fiori recisi che vengono immessi nel vaso della memoria e, pur rinnovandosi, le parole prima o poi appassiscono. Ciò che si impara invece, nasce dal desiderio di sapere ed è simile a un seme messo nella terra che poco a poco cresce, fruttifica, vive e si rinnova. Per questo, imparare è un piacere raro, mentre studiare è spesso fonte di oppressione, inquietudini e malattie. Si direbbe che lo studio abbia come scopo di creare negli esseri umani una repulsione definitiva per ogni forma di sapere.
Silvano Agosti
Sei andato a scuola e ti hanno detto "siedi al tuo posto",
e già lì hai smesso di credere che il tuo posto sia dappertutto.
Silvano Agosti
Chiedo avvicinandomi a una ragazzina che si sta sistemando una scarpa. “Do you speak english?” (Parli inglese?) Le chiedo. “I speak five languages” (Parlo cinque lingue) dice graziosamente e sfugge a un gruppo di altre bambine che evidentemente la stanno inseguendo. “Ma come è possibile?” Chiedo al mio amico Kirghiso, “Ha frequentato la Casa delle lingue, dove proiettano in dieci diverse lingue i film che piacciono ai ragazzi di ogni età. Comunque tutti i nostri ragazzi parlano almeno quattro lingue. Le parlano perché nessuno gliele ha insegnate, proprio come la lingua madre.” Mi accompagna ai margini del parco, spiegandomi che il meccanismo dell’imparare è permanente e più rapido di quello collegato allo studio, che, essendo quasi sempre obbligatorio, non penetra a fondo nella memoria conoscitiva e svanisce rapidamente con il trascorrere del tempo. Lo studio impone l’apprendimento e quindi non nasce da un interesse o da un desiderio, ma da un obbligo. Le nozioni che si apprendono con lo studio sono simili a fiori recisi che vengono immessi nel vaso della memoria e, pur rinnovandosi, le parole prima o poi appassiscono. Ciò che si impara invece, nasce dal desiderio di sapere ed è simile a un seme messo nella terra che poco a poco cresce, fruttifica, vive e si rinnova. Per questo, imparare è un piacere raro, mentre studiare è spesso fonte di oppressione, inquietudini e malattie. Si direbbe che lo studio abbia come scopo di creare negli esseri umani una repulsione definitiva per ogni forma di sapere.
Silvano Agosti
Una falsa democrazia è più adatta a soggiogare gli esseri umani di quanto lo sia una dittatura.
La finta libertà elimina qualsiasi possibilità di ribellione.
Silvano Agosti
Quando i molti governano, pensano solo a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà
Luigi Pirandello
"La schiavitu. Cosa siginifica essere schiavi? Avere bisogni generati non tanto dal desiderio stesso, ma dalla noia generata dall'incomprensione della vita.
Si dalla noia, perchè questa è figlia dall'incomprensione delle cose,il trovarsi in stati noiosi spesso indica una situazione di base di non conoscenza.Ho detto spesso, poi ci sono altri tipi di interferenze,
le condizioni di nascita, le malattie, eventi che possono sconvolgere la sanità mentale.
Poi c'è un altra schiavitù, Quella alla quale siamo soggetti grazie al volersi integrare nella vita sociale, dove se non si ha scelta si accettano molto spesso (senza rendersene conto) delle regole a dir poco atroci, come la rinuncia alla vita stessa così come essa dovrebbe essere.
Quindi si porta la palla al piede gridando la nostra effimera felicità, grazie a un aumento di stipendio o ad una gratificazione.
Ma tutto questo fa parte di un meccanismo allucinante, il baratto della propria vita con le piccole soddisfazioni quotidiane. Allarme.
Parole straordinarie da due straordinari esseri umani.
Testo tratto da "Il Genocidio Invisibile" di Silvano Agosti, con lapidaria conclusione del grande Giorgio Gaber.
Tratto da: "IL GENOCIDIO INVISIBILE" di Silvano Agosti
Schiavi inconsapevoli di una gabbia senza sbarre
di Silvano Agosti
SE GLI ADULTI osservassero i bambini di quattro anni vedrebbero il capolavoro che sono stati e che questa società da sempre ha profanato e sta profanando. Se ognuno potesse crescere ascoltando le istruzioni del proprio seme, della propria interiorità, le strade sarebbero piene di capolavori ambulanti e ognuno avrebbe una sua personale visione del mondo e il mondo sarebbe pieno di infinite interpretazioni e questo sarebbe commovente.
Avviene quotidianamente un vero e proprio genocidio non tanto dei corpi quanto delle personalità di milioni, anzi miliardi di uomini, tenuti lontani da se stessi e dalla loro creatività e dal proprio vero destino, assediati come sono da falsi problemi, false culture, false superstizioni, false credenze, falsi progetti, false promesse.
Prendiamo ad esempio l’istituzione scolastica.
Avverto subito che alcune delle riflessioni che andrò formulando richiedono, per essere giustamente comprese e assimilate, un ascolto specifico, affettuoso e definitivo. Partiamo dunque, come premessa, dalla semplice constatazione che elementi naturali, indispensabili all’uomo per vivere possono, in diversa dose, provocare gravi danni o addirittura la morte.
L’acqua, per esempio, l’essere umano lo disseta ma in dose eccessiva lo affoga.
Il fuoco lo scalda ma lo può anche bruciare; il cibo lo nutre, ma lo può soffocare. L’apparato percettivo sensoriale e cerebrale è capace di miracolose estensioni – alcune delle quali sono a tutt’oggi inesplorate – ma un tale miracoloso apparato si guasta se gli stimoli percettivi sono sempre gli stessi, se le azioni compiute sono eccessivamente ripetitive, come accade nell’ambito lavorativo o scolastico.
Scuole moderne, antichi campi di sterminio
Accade pertanto che istituzioni nate per soccorrere l’uomo finiscano per danneggiarlo o addirittura sopprimerlo, o che l’infinito piacere di imparare venga sostituito dalla pratica poco amata dello “studiare”.
Imparare è pratica naturale di evoluzione e crescita della personalità e procura emozioni delicate e favorevoli, a volte perfino ineffabili.
“Studiare”, ovvero inserire di forza nel proprio apparato percettivo una serie di concetti e nozioni non chiamate dal desiderio, si rivela invece a lungo andare una pratica perversa, capace solo di annullare qualsiasi reale desiderio di conoscere.
Ma l’imparare nasce dalla brezza del desiderio e offre una risposta voluta, accolta con gioia e con la partecipazione attiva di tutta la personalità.
“Studiare” per contro “costringe” una mente spesso riluttante, spesso estraniata, ad applicarsi a nozioni e dati che non suscitano il minimo interesse e che quasi sempre sono lontani dalle reali necessità della persona.
Per questo le scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private, tradizionali e sperimentali, a un attento esame delle loro strutture operative rivelano inquietanti analogie con gli istituti di pena e a volte perfino con i campi di sterminio.
La scritta “il lavoro rende l’uomo libero” di sinistra concezione nazista, posta all’ingresso dei campi annunciati all’inizio come “campi di rieducazione” e divenuti ben presto campi di sterminio, potrebbe dunque trovare un perfetto analogo nella frase “lo studio rende l’uomo libero”.
Lo studio, nato così per promuovere ed estendere la creatività è divenuto ben presto uno strumento capace di estirpare qualsiasi creatività e demolire ogni desiderio naturale di apprendere.
Imparare, apprendere, ampliare le proprie conoscenze del mondo si rivela come uno dei massimi piaceri che la Natura offre, mentre “studiare” è ormai divenuto un tormento permanente. Cercherò di esemplificare una distinzione fondamentale tra i due procedimenti.
Studiare forzatamente, ossia nutrirsi nel modo peggiore possibile.
Imparare corrisponde grosso modo al piacere di nutrirsi: magari scegliendo i cibi a seconda dei propri desideri, che poi assai spesso corrispondono alle necessità dell’organismo.
Studiare invece corrisponde a un “trattamento sanitario obbligatorio” come se qualcuno lo programmasse così: ore 8 pane, ore 9 pasta, ore 10 carne, ore 11 verdure, ore 12 frutta. E così ogni giorno e, di fronte a tentativi legittimi di disperazione o di ribellione della vittima di turno, l’”ingozzatore” non senza innocente cinismo enunciasse la sua verità: “Guarda che se non ti nutri muori”.
Un’evidente analogia accade nel nutrire spietata osservanza “dei programmi”.
Sì, i ragazzi a scuola si annoiano, fingono di ascoltare, sono sempre meno capaci di esprimere una loro visione del mondo, ma “il programma è stato rispettato e ultimato”. Pian piano si è praticamente estinto ogni naturale desiderio di sapere, e smarrito per sempre il piacere di “conoscere”.
La tragedia delle ciliege triangolari
Il fatto è che l’essere umano intorno ai cinque anni di età si presenta come la miniatura di un universo perfetto: chiede il perché di tutto, tocca tutto, si offre a tutti, esplora incessantemente il mondo che lo circonda, si muove senza sosta, gioca, canta, si difende, si dispera fino a ottenere ciò che vuole e i suoi stessi comportamenti sono un’arte, in quanto coincidono perfettamente con ciò che sente e prova e afferma e nega.
Poi questo capolavoro vivente (qualsiasi sia la sua origine) approda nello spazio scolastico e viene immediatamente sottoposto a secche restrizioni: lo obbligano a star seduto, non può esprimersi o intervenire se non quando “tocca a lui” e, quando chino sul foglio si abbandona con gioia alla propria creatività e disegna ciuffi di ciliegie di forma triangolare di un delicato color rosa, implacabilmente “la maestra” fa notare che: “No piccolo mio, stai più attento, le ciliege non sono triangolari, sono rotonde.” La grande mano della maestra imprigiona la manina smarrita e la obbliga a correggere i triangoli in altrettanti cerchi. “Così… così… E poi non sono rosa, sono rosse. Le ciliege sono rosse!” E da quell’istante ha inizio il percorso della sfiducia in se stessi, indispensabile per sottomettere un essere umano e fargli credere sia ineluttabile negare a se stesso il tempo del gioco e della vita.
Abbastanza maturi da sottomettersi per tutta la vita.
Quando la sua sottomissione alla fine dell’esperienza scolastica sarà tale da subire con tremore e ossequio la tortura di esami insensati e vessatori, in cambio riceverà il diploma. Maturo. Maturo a sottomettersi per tutta la vita a un lavoro di otto o dieci ore al giorno, insomma un ergastolo vestito da “necessità sociale”.
Così, di anno in anno, di programma in programma, il genocidio si compie, facendo nascere nei giovani una legittima repulsione per qualsiasi cibo culturale che non sia la frivola, superficiale lista di scempiaggini da fast food culturale dei giornali sportivi o scandalistici, la pornografia, i film industriali, le soap opera, gli inviti lusinghieri a tentare la fortuna al lotto o al gratta e vinci, la cultura sciatta e triviale della tifoseria nel calcio, la bassa qualità del diverbio politico tra i partiti.
La libertà di imparare invece condurrebbe a una armonica crescita dell’infanzia all’interno di una personalità sempre più sicura di sé, capace di costruirsi un proprio destino, senza alcuna traccia di sottomissione o di dipendenza.
“Cosa proponi dunque come alternativa a proposito della scuola?”
“Mi piacerebbe che alle scuole accadesse quello che giustamente è accaduto ai manicomi. E cioè che tutte le scuole venissero chiuse. Messe fuorilegge. E che ci fossero dei Centri di Salute Culturale (così come invece dei manicomi ci sono dei Centri di Igiene Mentale) nei quali i bambini, i ragazzi e i giovani andrebbero, spinti dalla necessità di imparare, trovando operatori culturali in grado di fornire loro le informazioni giuste sui vari meccanismi di apprendimento, libri, cinema, computer, sull’uso di biblioteche, di nastroteche per accedere ai massimi capolavori dell’arte e così via… dei laboratori, insomma.
Spazi di incontro da frequentare soprattutto in caso di pioggia. Un buon computer costa mille volte meno di un insegnante e “sa” mille volte di più. Inoltre, una volta liberate le strade cittadine dalle automobili con efficienti installazioni di marciapiedi mobili e una volta liberati gli esseri umani dall’obbligo di lavorare più di tre ore al giorno, ognuno diverrebbe insegnante di ciascuno. E allora ogni essere umano sarebbe tanto “essere umano” quanto ogni gatto è stupendamente “Gatto”.
Ma dove si andrebbe a finire se tutti gli esseri umani coincidessero con se stessi?
Cosa potrebbero fare nel tempo che ora li occupa a lavorare?
Va detto che, a chiunque io abbia fatto questo discorso, la classica opposizione è la seguente: “Certo, lo so che sono prigioniero di una serie di gabbie invisibili, il lavoro obbligatorio, la famiglia subìta perché mal frequentata, il desiderio di denaro come frutto di una perenne indigenza ecc…ma tutto ciò mi offre almeno una certa sicurezza. Cosa farei se fossi libero?”
È proprio l’impossibilità di concepire la libertà che rende l’uomo schiavo.
Essere riusciti a togliergli la possibilità perfino di immaginare una vita vissuta nella libertà lo rende perfettamente sottomesso, uno schiavo moderno.
“La scuola è una roba da stare in gabbia, a scuola non puoi vivere, non puoi giocare… Poi la maestra se non stai seduto ti dà la nota, tutte robe che con la vita non c’entrano. Invece nella vita c’entra la gioia, l’amore, la felicità”
Francesco 8 anni
di Silvano Agosti
SE GLI ADULTI osservassero i bambini di quattro anni vedrebbero il capolavoro che sono stati e che questa società da sempre ha profanato e sta profanando. Se ognuno potesse crescere ascoltando le istruzioni del proprio seme, della propria interiorità, le strade sarebbero piene di capolavori ambulanti e ognuno avrebbe una sua personale visione del mondo e il mondo sarebbe pieno di infinite interpretazioni e questo sarebbe commovente.
Avviene quotidianamente un vero e proprio genocidio non tanto dei corpi quanto delle personalità di milioni, anzi miliardi di uomini, tenuti lontani da se stessi e dalla loro creatività e dal proprio vero destino, assediati come sono da falsi problemi, false culture, false superstizioni, false credenze, falsi progetti, false promesse.
Prendiamo ad esempio l’istituzione scolastica.
Avverto subito che alcune delle riflessioni che andrò formulando richiedono, per essere giustamente comprese e assimilate, un ascolto specifico, affettuoso e definitivo. Partiamo dunque, come premessa, dalla semplice constatazione che elementi naturali, indispensabili all’uomo per vivere possono, in diversa dose, provocare gravi danni o addirittura la morte.
L’acqua, per esempio, l’essere umano lo disseta ma in dose eccessiva lo affoga.
Il fuoco lo scalda ma lo può anche bruciare; il cibo lo nutre, ma lo può soffocare. L’apparato percettivo sensoriale e cerebrale è capace di miracolose estensioni – alcune delle quali sono a tutt’oggi inesplorate – ma un tale miracoloso apparato si guasta se gli stimoli percettivi sono sempre gli stessi, se le azioni compiute sono eccessivamente ripetitive, come accade nell’ambito lavorativo o scolastico.
Scuole moderne, antichi campi di sterminio
Accade pertanto che istituzioni nate per soccorrere l’uomo finiscano per danneggiarlo o addirittura sopprimerlo, o che l’infinito piacere di imparare venga sostituito dalla pratica poco amata dello “studiare”.
Imparare è pratica naturale di evoluzione e crescita della personalità e procura emozioni delicate e favorevoli, a volte perfino ineffabili.
“Studiare”, ovvero inserire di forza nel proprio apparato percettivo una serie di concetti e nozioni non chiamate dal desiderio, si rivela invece a lungo andare una pratica perversa, capace solo di annullare qualsiasi reale desiderio di conoscere.
Ma l’imparare nasce dalla brezza del desiderio e offre una risposta voluta, accolta con gioia e con la partecipazione attiva di tutta la personalità.
“Studiare” per contro “costringe” una mente spesso riluttante, spesso estraniata, ad applicarsi a nozioni e dati che non suscitano il minimo interesse e che quasi sempre sono lontani dalle reali necessità della persona.
Per questo le scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private, tradizionali e sperimentali, a un attento esame delle loro strutture operative rivelano inquietanti analogie con gli istituti di pena e a volte perfino con i campi di sterminio.
La scritta “il lavoro rende l’uomo libero” di sinistra concezione nazista, posta all’ingresso dei campi annunciati all’inizio come “campi di rieducazione” e divenuti ben presto campi di sterminio, potrebbe dunque trovare un perfetto analogo nella frase “lo studio rende l’uomo libero”.
Lo studio, nato così per promuovere ed estendere la creatività è divenuto ben presto uno strumento capace di estirpare qualsiasi creatività e demolire ogni desiderio naturale di apprendere.
Imparare, apprendere, ampliare le proprie conoscenze del mondo si rivela come uno dei massimi piaceri che la Natura offre, mentre “studiare” è ormai divenuto un tormento permanente. Cercherò di esemplificare una distinzione fondamentale tra i due procedimenti.
Studiare forzatamente, ossia nutrirsi nel modo peggiore possibile.
Imparare corrisponde grosso modo al piacere di nutrirsi: magari scegliendo i cibi a seconda dei propri desideri, che poi assai spesso corrispondono alle necessità dell’organismo.
Studiare invece corrisponde a un “trattamento sanitario obbligatorio” come se qualcuno lo programmasse così: ore 8 pane, ore 9 pasta, ore 10 carne, ore 11 verdure, ore 12 frutta. E così ogni giorno e, di fronte a tentativi legittimi di disperazione o di ribellione della vittima di turno, l’”ingozzatore” non senza innocente cinismo enunciasse la sua verità: “Guarda che se non ti nutri muori”.
Un’evidente analogia accade nel nutrire spietata osservanza “dei programmi”.
Sì, i ragazzi a scuola si annoiano, fingono di ascoltare, sono sempre meno capaci di esprimere una loro visione del mondo, ma “il programma è stato rispettato e ultimato”. Pian piano si è praticamente estinto ogni naturale desiderio di sapere, e smarrito per sempre il piacere di “conoscere”.
La tragedia delle ciliege triangolari
Il fatto è che l’essere umano intorno ai cinque anni di età si presenta come la miniatura di un universo perfetto: chiede il perché di tutto, tocca tutto, si offre a tutti, esplora incessantemente il mondo che lo circonda, si muove senza sosta, gioca, canta, si difende, si dispera fino a ottenere ciò che vuole e i suoi stessi comportamenti sono un’arte, in quanto coincidono perfettamente con ciò che sente e prova e afferma e nega.
Poi questo capolavoro vivente (qualsiasi sia la sua origine) approda nello spazio scolastico e viene immediatamente sottoposto a secche restrizioni: lo obbligano a star seduto, non può esprimersi o intervenire se non quando “tocca a lui” e, quando chino sul foglio si abbandona con gioia alla propria creatività e disegna ciuffi di ciliegie di forma triangolare di un delicato color rosa, implacabilmente “la maestra” fa notare che: “No piccolo mio, stai più attento, le ciliege non sono triangolari, sono rotonde.” La grande mano della maestra imprigiona la manina smarrita e la obbliga a correggere i triangoli in altrettanti cerchi. “Così… così… E poi non sono rosa, sono rosse. Le ciliege sono rosse!” E da quell’istante ha inizio il percorso della sfiducia in se stessi, indispensabile per sottomettere un essere umano e fargli credere sia ineluttabile negare a se stesso il tempo del gioco e della vita.
Abbastanza maturi da sottomettersi per tutta la vita.
Quando la sua sottomissione alla fine dell’esperienza scolastica sarà tale da subire con tremore e ossequio la tortura di esami insensati e vessatori, in cambio riceverà il diploma. Maturo. Maturo a sottomettersi per tutta la vita a un lavoro di otto o dieci ore al giorno, insomma un ergastolo vestito da “necessità sociale”.
Così, di anno in anno, di programma in programma, il genocidio si compie, facendo nascere nei giovani una legittima repulsione per qualsiasi cibo culturale che non sia la frivola, superficiale lista di scempiaggini da fast food culturale dei giornali sportivi o scandalistici, la pornografia, i film industriali, le soap opera, gli inviti lusinghieri a tentare la fortuna al lotto o al gratta e vinci, la cultura sciatta e triviale della tifoseria nel calcio, la bassa qualità del diverbio politico tra i partiti.
La libertà di imparare invece condurrebbe a una armonica crescita dell’infanzia all’interno di una personalità sempre più sicura di sé, capace di costruirsi un proprio destino, senza alcuna traccia di sottomissione o di dipendenza.
“Cosa proponi dunque come alternativa a proposito della scuola?”
“Mi piacerebbe che alle scuole accadesse quello che giustamente è accaduto ai manicomi. E cioè che tutte le scuole venissero chiuse. Messe fuorilegge. E che ci fossero dei Centri di Salute Culturale (così come invece dei manicomi ci sono dei Centri di Igiene Mentale) nei quali i bambini, i ragazzi e i giovani andrebbero, spinti dalla necessità di imparare, trovando operatori culturali in grado di fornire loro le informazioni giuste sui vari meccanismi di apprendimento, libri, cinema, computer, sull’uso di biblioteche, di nastroteche per accedere ai massimi capolavori dell’arte e così via… dei laboratori, insomma.
Spazi di incontro da frequentare soprattutto in caso di pioggia. Un buon computer costa mille volte meno di un insegnante e “sa” mille volte di più. Inoltre, una volta liberate le strade cittadine dalle automobili con efficienti installazioni di marciapiedi mobili e una volta liberati gli esseri umani dall’obbligo di lavorare più di tre ore al giorno, ognuno diverrebbe insegnante di ciascuno. E allora ogni essere umano sarebbe tanto “essere umano” quanto ogni gatto è stupendamente “Gatto”.
Ma dove si andrebbe a finire se tutti gli esseri umani coincidessero con se stessi?
Cosa potrebbero fare nel tempo che ora li occupa a lavorare?
Va detto che, a chiunque io abbia fatto questo discorso, la classica opposizione è la seguente: “Certo, lo so che sono prigioniero di una serie di gabbie invisibili, il lavoro obbligatorio, la famiglia subìta perché mal frequentata, il desiderio di denaro come frutto di una perenne indigenza ecc…ma tutto ciò mi offre almeno una certa sicurezza. Cosa farei se fossi libero?”
È proprio l’impossibilità di concepire la libertà che rende l’uomo schiavo.
Essere riusciti a togliergli la possibilità perfino di immaginare una vita vissuta nella libertà lo rende perfettamente sottomesso, uno schiavo moderno.
“La scuola è una roba da stare in gabbia, a scuola non puoi vivere, non puoi giocare… Poi la maestra se non stai seduto ti dà la nota, tutte robe che con la vita non c’entrano. Invece nella vita c’entra la gioia, l’amore, la felicità”
Francesco 8 anni
http://youtu.be/VoJz0YA58cs
http://youtu.be/jFkmPeqt4_0
Silvano Agosti - spiega "Il discorso tipico dello schiavo”
http://youtu.be/t9uz7gZIqDY
egonschiele1968:
Il bambino nasce filosofo, pone domande, ascolta, elabora risposte... poi arriva l'adulto con i suoi: "non puoi capire", "è così e basta", "quand crescerai capirai", "ascolta quello che dico perchè sono più grande", "zitto quando parlano i grandi", "è così, è semprwe stato così", "il tuo lavoro è andare bene a scuola"... Piano piano spegne la fiamma e il bambno vivo diventa un adulto morto.
http://youtu.be/gDjd2TXVqkU
Silvano Agosti. Discorso tipico dello schiavo
http://youtu.be/CWhYGNq-hKg
Dal sito: infinitafollia.it
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