L'uomo è un essere pensante, ma le sue grandi opere vengono compiute quando non calcola e non pensa. Dobbiamo ridiventare "come bambini" attraverso lunghi anni di esercizio nell'arte di dimenticare sè stessi. Quando questo è raggiunto, l'uomo pensa eppure non pensa. Pensa come la pioggia che cade dal cielo; pensa come le onde che corrono sul mare; pensa come le stelle che illuminano il cielo notturno; come le foglie verdi che germogliano sotto la brezza primaverile. Infatti è lui stesso la pioggia, il mare, le stelle, il verde.
da "Lo Zen e il tiro con l'arco", di Eugen Herrigel
Il tiro con l'arco non mira in nessun caso a conseguire qualcosa d'esterno, con arco e freccia, ma d'interno e con se stesso. Arco e freccia sono per così dire solo un pretesto per qualcosa che potrebbe accadere anche senza di essi, solo la via verso una meta, non la meta stessa, solo supporti per il salto ultimo e decisivo.
da "Lo Zen e il tiro con l'arco", di Eugen Herrigel
Il tiro con l'arco non mira in nessun caso a conseguire qualcosa d'esterno, con arco e freccia, ma d'interno e con se stesso. Arco e freccia sono per così dire solo un pretesto per qualcosa che potrebbe accadere anche senza di essi, solo la via verso una meta, non la meta stessa, solo supporti per il salto ultimo e decisivo.
Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco
"La vera arte" esclamò allora il Maestro "è senza scopo, senza intenzione! Quanto più lei si ostinerà a voler imparare a far partire la freccia per colpire sicuramente il bersaglio, tanto meno le riuscirà l'una cosa, tanto più si allontanerà l'altra. Le è d'ostacolo una volontà troppo volitiva. Lei pensa che ciò che non fa non avvenga".
Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco
Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco
La perfezione nell’arte della spada consiste, secondo Takuan, in questo:
che nessun pensiero dell’io e del tu,
dell’avversario e della sua spada,
della propria spada e del modo di usarla,
e persino della vita e della morte turba più il cuore.
«Tutto è dunque vuoto:
tu stesso, la spada sguainata e le braccia che la guidano.
Anzi, non c’è più nemmeno il pensiero del vuoto».
Da tale vuoto assoluto» afferma Takuan
«sboccia meravigliosamente l’azione».
Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco
“Ma perché anticipare nel pensiero ciò che solo l’esperienza può insegnare?
Non era finalmente tempo di abbandonare questa tendenza infruttuosa?”
Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco
Ogni tiro va eseguito con tutta la propria vita...
Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco
"
... Noi maestri d'arco diciamo:
un colpo - una vita!"
Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco
Una volta un arciere inesperto si pose di fronte al bersaglio con due frecce nella mano.
Il maestro disse:
"I principianti non dovrebbero portare con sé due frecce, perché facendo conto sulla seconda trascurano la prima. Ogni volta convinciti che raggiungerai lo scopo con una sola freccia, senza preoccuparti del successo o del fallimento."
Proverbio del Kyudo, Arco Zen Giapponse
Lo zen e l’importanza del rito
«Che debbo dunque fare? » chiesi pensieroso.
«Imparare la giusta attesa».
«E come si impara?»
«Staccandosi da se stesso, lasciandosi dietro tanto decisamente se stesso e tutto ciò che è suo, che di lei non rimanga altro che una tensione senza intenzione»
«Devo dunque spogliarmi intenzionalmente di ogni intenzione » mi scappò detto.
«Questo non me l’ha chiesto ancora nessun allievo e perciò non so la risposta giusta».
«E quando cominciamo questi nuovi esercizi?»
«Aspetti che sia l’ora!»
Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco, Adelphi, Milano, 1975, p. 48
A volte le cose che ti cambiano avvengono di notte.
A volte sono incontri, amori, avvenimenti incredibili straordinari che ti lasciano il segno.
Altre volte sono occasioni mancate, che poi guardi dopo tanto tempo, e ti accorgi che c’era un senso, e che magari è giusto che sia andata così. Ero reduce da una brutta serata, che mi aveva lasciato addosso insoddisfazione e malinconia, e nessuna voglia di dormire. Ero ospite da un amico, e per nulla abituato al fragore e allo stridore dei tram alle quattro di mattina, alle auto e alle moto (quelle sono le peggiori, ronzano attraverso i vetri e te le senti nelle orecchie) e mi rigiravo su un cuscino troppo sottile pensando e ripensando. Poi mi sono alzato, ho notato nella penombra un minuscolo Adelphi verde acqua. Lo zen e il tiro con l’arco, di un tale Eugen Herrigel. Lo apro. Non mi ricordo esattamente quando sono andato a dormire, ma mi ricordo che da quel momento avevo un solo obiettivo: finire quel libro.
Fino a quel momento, non mi ero mai occupato di Zen. Di taoismo sì, della Cina certamente, ma non avevo mai saltato quel braccio di mare che separa il Fiore di Mezzo dal Sol Levante. Il tiro con l’arco poi, era lontano mille miglia dal mio orizzonte. Forse è per questo che ho rizzato le antenne quando ho letto: «Per tiro con l’arco in senso tradizionale, che egli stima come arte e onora come retaggio, il giapponese non intende uno sport, ma, per strano che possa apparire, un rito[1]» Dell’importanza del rituale mi aveva già avvertito il buon Antoine de Saint-Exupéry:
«Che cos’è un rito?» disse il piccolo principe.
«Anche questa è una cosa da un pò di tempo dimenticata» disse la volpe. «E’ quello che fa diverso un giorno dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza».
Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Bompiani, Milano, 1949/2012 p.38-39
Il tiro con l’arco dunque per i giapponesi non è una pratica sportiva.
È molto di più, è una metafora di vita. E’ una pratica mistica, un’arte senza arte, ma che esaurisce il suo essere nell’atto. Herrigel, professore di filosofia a Heidelberg, già da studente si occupava di mistica. Ma era rimasto deluso dall’impossibilità di poterla comprendere: essa si ergeva di fronte a lui come una rocca inespugnabile. Si convinse che l’unico modo di comprendere un mistico era di fare la sua stessa esperienza. Bisognava «diventare mistici». E’ per questo che, quando nel ’24 viene invitato a tenere dei corsi in Giappone, non si fa mancare l’occasione: ecco che si incuriosisce subito di come quella pratica apparentemente tanto distante dalla speculazione filosofica sia tanto importante presso i monaci zen. Decide di “prendere lezioni” da un monaco.
Siamo nel 1924. Nessun europeo si era mai occupato davvero di Zen. Nessuno aveva mai preso sul serio questa decisione. I tentativi di dissuadere Herrigel da questo proposito furono molti. Nonostante ciò, Herrigel fu irremmovibile. Si trattava di un grande esperimento non solo culturale, ma antropologico: dimostrare che si poteva avvicinarsi all’Altro, che si poteva non solo studiarlo, ma anche interagire con lui, imparare da lui fino a farsi cambiare, fin quasi ad assomigliargli. Nel ’22 l’antropologo Malinowski aveva pubblicato i suoi Argonauti del Pacifico Occidentale, dove esponeva le sue idee sulla «osservazione partecipante», ovvero la necessità dello studioso di non limitarsi a osservare il popolo studiato, ma di interagire con esso. E’ così che Herrigel si lancia in un’opera da palombaro, immergendosi in una cultura completamente diversa dalla sua. E’ così che Herrigel impara a mettere da parte tutti i suoi pregiudizi, tutti i suoi valori occidentali, impara a «fare il vuoto dentro di sé», come dicono i maestri zen, per assimilare i nuovi insegnamenti. E’ attraverso il rito, la ripetizione di quegli atti apparentemente senza senso che si crea un legame (“religio” significa proprio questo) tra maestro e allievo, e tra allievo e il Tutto. Infatti l’obiettivo non è il centro del bersaglio: a quello Herrigel arriverà presto. Solo che scoprirà di dover rifare tutto daccapo; che aver fatto centro non significava niente. Bisognava fare centro nel bersaglio interiore; bisognava aver eseguito tutti i movimenti nel giusto modo, e a mente sgombra. «Privarsi di ogni intenzione». Ovvero privarsi del Sé, dell’individuo. Nulla di più difficile per chi è professore di una filosofia nata con il «conosci te stesso» socratico. E invece questa è la storia di un esperimento (parzialmente) riuscito: Herrigel riesce ad avvicinarsi a quel mondo, e ci regala una storia incredibile, avvincente come un romanzo.
http://www.lasepolturadellaletteratura.it/zen-importanza-del-rito/
Eugen Herrigel
Satori, in termini psicologici,
è un oltre i confini dell'Io.
Da un punto di vista logico
è scorgere la sintesi
dell'affermazione e della negazione,
in termini metafisici
è afferrare intuitivamente
che l'essere è il divenire
e il divenire è l'essere.
Daisetz T. Suzuki, dall'introduzione del libro Lo zen e il tiro con l'arco
Una freccia può essere scagliata solo tirandola prima indietro. Quando la vita ti trascina indietro con le difficoltà, significa che ti sta per lanciare in qualcosa di grande. Concentrati e prendi la mira. (anonimo)
LA FORMICA MANDIBOLE A TRAPPOLA
A cosa può servire un apparato mandibolare che si apre di 180° per poi richiudersi all'incredibile velocità di 250 km/h?
Per essere sicuri di catturare le prede che sfiorano i peli sensoriali, certo, ma non è finita qui. Quando una formica del genere Odontomachus si trova in una situazione di pericolo dove correre non basta, fa affidamento alle proprie mandibole, l'intento non è contrattaccare ma..saltare!
L'animale avvicina la bocca al terreno e, con una scena a dir poco cinematografica, si proietta a quasi 10 cm di altezza grazie al terzo principio della dinamica: a un'azione, il morso, corrisponde una reazione uguale e contraria, il volo.
Le tribù indigene a volte utilizzano questo tipo di formiche per suturare le ferite facendosi mordere i due lembi e rimuovendo in seguito il corpo similmente a come fanno i Masaai con le dorylus.
Ecco un video che mostra bene la tecnica di fuga
https://youtu.be/ET4v48deZhs
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