domenica 10 gennaio 2016

Benedetto Vertecchi. La ricerca Ocse Stando allo studio di Valsecchi, l’uso di mezzi digitali comporterebbe “l’attenuazione, e talvolta la perdita, della capacità di coordinare il pensiero con l’attività necessaria per tracciare i segni”. Secondo il pedagogista “l’intervento nella scrittura digitale di correttori automatici riduce la consapevolezza ortografica. Il ricorso ossessivo alla funzione copia e incolla riduce la necessità di sviluppare una linea argomentativa”

Scuola: difficoltà a scrivere, apprendere e ricordare se si esagera con tablet e lavagne elettroniche? 
di Redazione Il Libraio | 07.01.2016

L'ultimo studio del pedagogista Benedetto Vertecchi evidenzia i rischi (anche per la memoria) di un uso massiccio a scuola di tablet e Lim (le lavagne interattive multimediali) - I particolari “Alfabeto a rischio”. Si intitola così, come racconta Repubblica, l’ultimo studio del pedagogista Benedetto Vertecchi (docente di pedagogia sperimentale all’università di Roma Tre), che evidenzia i rischi di un uso massiccio a scuola di tablet e Lim (le lavagne interattive multimediali). Due i principali problemi individuati: l’uso eccessivo delle tecnologie in classe determinerebbe “una caduta nella capacità di scrivere”, ma anche problemi nell’apprendimento; rischi sia per la capacità di tracciare i caratteri, sia per quella di “organizzarli correttamente in parole, da usare per organizzare il messaggio”, dunque. Tra le difficoltà individuate, pure quelle legate alla memoria.

La ricerca Ocse
Stando allo studio di Valsecchi, l’uso di mezzi digitali comporterebbe “l’attenuazione, e talvolta la perdita, della capacità di coordinare il pensiero con l’attività necessaria per tracciare i segni”. Secondo il pedagogista “l’intervento nella scrittura digitale di correttori automatici riduce la consapevolezza ortografica. Il ricorso ossessivo alla funzione copia e incolla riduce la necessità di sviluppare una linea argomentativa”.


http://www.illibraio.it/scuola-difficolta-scrivere-tablet-314413/





Aurora Acciari 
[...] Le tecnologie moderne sono una cosa buona, ma vanno sapute usare nei modi e nei tempi giusti. A causa del computer, oggi i ragazzi non sanno più fare una ricerca tramite libri, per colpa della calcolatrice non sanno le tabelline, non parliamo poi dello svolgimento dei temi, spesso copiatissimi da internet pure quelli! Si è anche perso il piacere di arrivare ad una soluzione o ad un pensiero un pò per volta, applicandosi, approfondendo...





Christa Pichler 
Non è una questione di credere o no, ci sono studi scientifici che dimostrano che l'uso eccessivo dei mezzi tecnologi porta a seri problemi per lo sviluppo dei bambini.. Consiglio di leggere "la demenza digitale" di pfizer






Patrizia Babici 
La capacità di scrivere,cioè di elaborare il pensiero, organizzarlo, di sviluppare il discorso, dipende da quanto il bambino è stimolato a parlare. Nel nostro sistema scolastico, l'allievo è quasi sempre costretto all'ascolto passivo. Le interrogazioni orali sono sparite quasi del tutto, sostituite da verifiche scritte. L'opinione dei bambini, l'osservazione critica, il parere personale, non vengono mai richiesti, con conseguente calo dell'interesse, da cui dipendono apprendimento e memoria, grave compromissione della capacità di costruire il pensiero, organizzarlo in modo sintetico e logico, elaborarlo in modo personale e, soprattutto, la capacità (cosa più difficile), ad esporlo. Lo scrivere è diretta conseguenza di queste abilità. Tablet e Lim c'entrano poco. Lasciateli parlare ed esprimere a voce, insegnate ad argomentare in modo costruttivo e ragionato. Abituateli a parlare davanti agli altri. Scrivere sarà un piacere. [...]
Assolutamente sì, se pensiamo poi quanto poco parlano anche a casa (genitori assenti, televisione, costretti al nido e poi scuola materna da subito), i bambini parlano e argomentano assai poco. Quante persone desiderano oggi frequentare i corsi per riuscire ad esporre e parlare in pubblico?




Albertina Mora 
ed è proprio per questo che la scuola deve mantenere alto il suo livello d'insegnamento, i bambini devono parlare, devono esprimersi, devono formare il loro pensiero , la scuola deve lottare contro questo sistema innovativo , personalmente lo trovo pericoloso, lasciate che i bambini continuino ad usare penna matite e colori, lasciate che i bambini si esprimino liberamente , i bambini sono esseri in formazione non uccidiamo la loro creatività




Condivido il pensiero di Vertecchi....troppa tecnologia sta distruggendo la comunicazione verbale ed interpersonale....con questo non voglio assolutamente dire che la tecnologia non possa essere uno strumento efficace di..
Ma è necessario un certo equilibrio....l'uno non deve andare a scapito dell'altro....forse tra qualche decennio ci renderemo conto di ciò e ci sarà sicuramente una inversione di tendenza....


Cristina Costa 
Si esalta tanto la tecnologia,la modernità, la nuova era: ma non ci rendiamo conto che questo sta rovinando adulti ragazzi e adesso lo stanno facendo anche con i bambini.senza PC tablet cellulari non siamo più capaci di stare senza: prima queste cose non esistevano e si viveva ugualmente. I ragazzi non studiano più e non si può dare la colpa ai genitori perchè sono loro i primi ad essere rapiti dalla modernità e lo insegnano involontariamente ai ragazzi e che quindi si faranno trasportare ad insegnarlo anche ai bambini. Siamo bombardati quotidianamente da cose nuove innovative, c'è una speculazione commerciale pazzesca dove con il lavaggio del cervello devi sempre stare al passo della modernità,devi sempre comprare per stare al passo di tutti perche e' diventata una gara fra le persone.









Sono d'accordissimo con Vertecchi....ormai sono 36 anni che insegno nella scuola primaria sempre italiano e ultimamente mi sono accorta di queste difficoltà che hanno gli alunni di prima....Riescono sempre meno ad impugnare correttamente le matite e il lapis e faticano molto con il corsivo......Mi ero posta il problema ma francamente non avevo trovato risposte soddisfacenti....Alla faccia di tutti questi strumenti multimediali ho continuato e continuo ad insegnare a leggere e scrivere con il metodo tradizionale e tanta fantasia e creatività. ...I miei alunni non sanno mai chi hanno davanti xché un giorno sono un folletto.....nell'altro una strega......e così via ...Non sentono affatto la mancanza del tablet o della LIM....perché ogni giorno è come entrare in una fiaba sempre diversa e da scoprire...insieme...Grazie Vertecchi per aver confermato che i miei dubbi erano veri....Adesso però bisognerebbe aprire gli occhi a quei docenti malati di tecnologica e che non fanno nulla senza PC sotto le mani....E che diamine....scusate lo sfogo....






Attenzione a non confondere i mezzi con i fini ... anche la lavagna tradizionale se usata solo per proporre copiati faceva danni enormi. L'investimento su degli strumenti di lavoro, di cui avremmo dovuto disporre 15/20 anni fa, e ancora non garantiti a tutt'oggi, rappresenta, a mio avviso, un'esagerazione rispetto ad un investimento professionale completo nella didattica pedagogica, che rischia di essere sostituita dalla preoccupazione tecnologica. Il vero problema è il ritardo. La formazione di chi aveva vent,'anni di meno era più semplice prima. Ora tutto è più complicato, e a tratti frustrante, per qualcuno che ha svolto sempre con onestà il proprio mestiere. Si dice però che non è mai troppo tardi per imparare...e allora andiamo! Senza paure! Si fa quel che si può! E il prof ha ragione se presi dalla preoccupazione ci si concentra solo sugli aspetti tecnologici, che, se non si ha dimestichezza, impongono spesso lunghi tempi di esecuzione ...e se va tutto bene!!!




Daniela Ricci 

La scrittura manuale ti dà il tempo di riflettere e di organizzare i pensieri, inoltre sviluppa la motricità fine. La tecnologia semplifica e sveltisce alcune operazioni. Conclusione: l'una cosa non sostituisce l'altra.



Analfabetismo di partenza
di Maurizio Tiriticco

In un recente saggio di Benedetto Vertecchi intitolato “Alfabeto a rischio”, in cui, tra l’altro, vengono presentati i risultati della ricerca “Nulla dies sine linea” condotta dal Laboratorio di Pedagogia Sperimentale dell’Università di Roma Tre con alunni di alcune scuole romane sulla composizione scritta (https://www.academia.edu/19900866/Alfabeto_a_rischio), leggiamo tra l’altro: “Alla maggioranza dei bambini e dei ragazzi s’inviano messaggi contraddittori. Il loro impegno dovrebbe essere teso ad acquisire una conoscenza alla quale corrisponde un credito sociale decrescente. I mezzi di comunicazione enfatizzano il successo conseguito rapidamente e portatore di facile ricchezza. I comportamenti consumisti sono avvolti da suggestioni tecnologiche che nascondono le conseguenze che dal loro uso derivano allo sviluppo dei profili culturali. La caduta più insidiosa è quella che riguarda la capacità di scrivere. E’ una caduta che investe sia la capacità di tracciare i caratteri, sia quella di organizzarli correttamente in parole, da usare per organizzare il messaggio. L’uso di mezzi digitali comporta l’attenuazione, e talvolta la perdita, della capacità di coordinare il pensiero con l’attività necessaria per tracciare i segni! L’intervento nella scrittura digitale di correttori automatici (o di dispositivi automatizzati per la composizione delle parole, come nei telefonini), riduce la consapevolezza ortografica. Il ricorso ossessivo alla funzione copia e incolla riduce la necessità di sviluppare una linea argomentativa”.

La strumentazione digitale, dunque, provocherebbe forme nuove e diverse di analfabetismo?
E la scuola, suo malgrado, sarebbe complice di questa pericolosa deriva?
Stante la situazione – che poi non interessa solo il nostro Paese e le nostre giovani generazioni – non so se non sia il caso di riflettere su queste nuove forme di analfabetismo. In effetti, la storia ci insegna che è analfabeta colui che non è in grado di leggere e scrivere, pur sapendo, ovviamente, parlare e ascoltare, anche se all’interno di un gruppo sociale ristretto e che ha scarsi scambi con altrettanti piccoli e/o grandi gruppi. Essere analfabeta, comunque, non è sempre sinonimo di ignoranza tout court. Va detto che ricercatori come il Morgan o il Lévi Strauss hanno fatto giustizia di quell’inveterato concetto di analfabeta come di un minus habens. Del resto, è notorio come lo stesso Carlo Magno fosse analfabeta, nel senso che non sapeva né leggere né scrivere. Eppure animava quella Scuola Palatina che ad Aquisgrana riuniva i migliori cervelli dell’impero. E non solo lui: forse un altro Magno, Alessandro, che pur aveva avuto come maestro Aristotele, non aveva alcun interesse di apprendere strumentalmente a leggere e a scrivere. E ciò perché la lettura e la scrittura venivano considerate come un semplice supporto strumentale, da affidare a “segretari esperti” – potremmo dire – al fine di conservare o di trasmettere informazioni. E so di un mio antenato latinista, che era “scrittore apostolico di maggior grazia” presso la corte pontificia, intento a tradurre in perfetto latino curiale le bolle pontificie, originariamente nate in chissà quale imperfetto italiano! Indubbiamente, a parte queste considerazioni, l’analfabeta oggi è colui che non sa e non può né leggere né scrivere”.

Va però considerato che il “piccolo gruppo” pur analfabeta di un tempo ha espresso pur sempre un suo linguaggio e una sua cultura. La cosiddetta cultura popolare, che poi qualche “colto” ha voluto scrivere e conservare perché altri la potessero conoscere, ha un suo valore, un suo stigma. Ciò che ci ha descritto un Carlo Salinari con la sua Storia popolare della letteratura italiana – a valle di qiell’idealismo crociano e gentiliano che per certi versi aveva ovattato la crescita culturale della nostra popolazione tutta – e ciò che ci ha rappresentato un Dario Fo con il suo Mistero Buffo, possono essere una larga testimonianza della dignità che spesso ha la cultura popolare, anche a fronte di quella prodotta da scrittori, poeti, filosofi, scienziati, che – com’è noto – è tutt’altra cosa in quanto segna le tappe dello svolgersi di quella ricerca che da sempre sostanzia lo sviluppo civile e sociale dell’umanità. Per non dire poi di tutto il patrimonio delle fiabe, strumento prezioso di trasmissione di valori e disvalori, e in larga misura per via orale: l’eroe e l’orco, la fata e la strega, il bene e il male, il bello e il brutto in pillole, se vogliamo. La ricerca di Valdimir Propp ci ha dimostrato come anche in ambienti analfabeti – sotto il profilo della incompetenza nella lettura/scrittura – potessero comunque essere veicolati valori che possiamo definire universali, costituzionali, potremmo dire oggi. Per non dire infine della preoccupazione di Platone che vedeva nelle scrittura – e nella lettura quindi – una sorta di congelamento del pensiero e della sua natura dialettica. Insomma, il solo parlare/ascoltare non è di per sé segno di ignoranza.

Abbiamo a monte un’ampia tradizione orale, che per secoli ha costituito il background comportamentale e “civico” di gruppi sociali piccoli e grandi in cui il non saper scrivere non costituiva quel limite che poi invece verrà fortemente denunciato in epoche successive profondamente diverse. Basti pensare a un Lutero, a un Gutemberg o a un Comenio, in lotta perché la trasmissione orale fosse implementata – e per certi versi corretta – da quella scritta, in quanto il leggere e scrivere veniva inteso come segno di una rinnovata libertà: dall’invadenza di un Chiesa che non si poneva alcun limite dall’inquisire e mandare al rogo gli eretici, o meglio coloro che, stando all’etimo greco della parola, operavano “altre scelte” in campo religioso, quindi anche morale e civile. Leggere e scrivere diventavano così una bandiera nuova, una lotta per la libertà di pensiero!

Ed è ovvio che l’affermazione della scrittura ha relegato nell’ignoranza – se si può dir così – quei gruppi sociali che ne erano esclusi. Ovviamente, si tratta solo di rapidi accenni, incompleti e che meriterebbero un’attenzione maggiore. Comunque, sono tutte considerazioni che ci portano a concludere che non è detto in assoluto che la strumentazione leggere/scrivere – per come l’abbiamo costruita fino ad oggi e trasmessa nelle scuole fin dal grado cosiddetto elementare – possa essere la garanzia in assoluto di un progressivo sviluppo culturale civile e sociale. Concordo con tutti coloro che temono un’attenuazione e una perdita di certe competenze logico/sintattiche indotte dalla scrittura digitale, ma è anche vero che la strumentazione digitale implementa la competenza scrittoria manuale: la sola cancellazione automatica, il taglia e cuci operati costantemente nel progredire del testo elimina le brutte copie e le belle copie di un tempo. Chi scrive ha la possibilità di autocorreggersi all’infinito, e il suo pensiero al termine dell’operazione è sempre formattato in bella copia!

L’uso di mezzi digitali comporta l’attenuazione, e talvolta la perdita, della capacità di coordinare il pensiero con l’attività necessaria per tracciare i segni?
Sinceramente, non so! Però, la domanda che dobbiamo porci è la seguente:
ciò che si sta verificando nella testa delle nuove generazioni a fronte della incapacità di scrivere con penna/carta e che provoca ricadute sulla capacità stessa di formulare pensieri, interpretare sensazioni ed emozioni, trasmettere dati, informazioni, conoscenze, è segno di quale fenomeno? Indica una caduta verticale e inarrestabile della competenza linguistica in senso lato? E, quindi, della competenza comunicativa e creativa? Oppure siamo alla vigilia di nuovi modi di comunicare, che non passano più attraverso l’interazione circolare e progressiva dita-mano-occhio-carta-cervello? O meglio, siamo forse costruendo senza avvedercene mezzi e modi nuovi di produrre pensiero, di comunicare e di produrre cultura? Se è vero che “il mezzo è il messaggio”, sarà anche vero che i nuovi mezzi possono indurre a produrre nuove forme di messaggi, nuovi contenuti e nuovi modi di produrre cultura.

Volendo essere ottimisti, potremmo anche pensare che non siamo di fronte a un analfabetismo di ritorno, come si suol dire – che poi è quello più preoccupante e che interessa la popolazione adulta di tutti i Paesi ad alto sviluppo, e in particolare il nostro (si vedano i dati riportati dall’ultima edizione della ricerca Education at glance) – ma di un analfabetismo che potremmo definire di partenza. Non so se a farmi esprimere questi pensieri sia il mio inguaribile ottimismo, oppure la mia profonda ignoranza in materia.

Comunque, mi sembrerebbe più corretto parlare non tanto di analfabetismo di ritorno ma di un analfabetismo di partenza, a cui forse si dischiudono orizzonti nuovi, di cui non abbiamo ancora perfetta conoscenza.

http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=70956


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