martedì 27 novembre 2012

Tahar Ben Jelloun. Non incontrerai mai due volti assolutamente identici. Non importa la bellezza o la bruttezza: queste sono cose relative. Ciascun volto è simbolo della vita. E tutta la vita merita rispetto. E' trattando gli altri con dignità che si guadagna il rispetto per se stessi

Non si ritorna mai 
da così lontano 
come da se stessi.
Tahar Ben Jelloun 


Non incontrerai mai due volti assolutamente identici. Non importa la bellezza o la bruttezza: queste sono cose relative. Ciascun volto è simbolo della vita. E tutta la vita merita rispetto. E' trattando gli altri con dignità che si guadagna il rispetto per se stessi. 
Tahar Ben Jelloun


Alla scuola coranica non c'era tempo per farsi degli amici. 
Ci depositavano al mattino nella piccola moschea del quartiere. Toglievamo le scarpe, ci sedevamo sulle stuoie dure e ripetevamo all'infinito i versetti del giorno. Dovevamo imparare il Corano a memoria. Il maestro - “fqih” - enunciava la prima frase e noi la ripetevamo dopo di lui in coro. Che piacere può provare un bambino di cinque anni a imparare a memoria versetti di cui non comprende il senso? Inoltre non avevamo ricreazione. Si andava avanti tutta la mattina. A mezzogiorno lasciavamo la scuola augurandoci di non tornarci più. Al pomeriggio ci tornavamo, approfittando della sonnolenza del fqih per dire qualsiasi cosa.
Il mio vicino avrebbe potuto diventare mio amico. Mi teneva un posto accanto a lui e, come me, smaniava d'impazienza all'avvicinarsi del mezzogiorno. Provavamo lo stesso senso di costrizione, ma non osavamo dirlo ai mostri genitori.
Lo fqih aveva un bastone abbastanza lungo per svegliare i bambini che si addormentavano in fondo all'aula. Non lo amavamo. Era un brutto vecchio. Aveva una barba chiazzata e sporca. Aveva lo sguardo cattivo. Ci domandavamo perché. In ogni caso a lui non piaceva il mio amico, Hafid, che aveva la testa grossa in modo anormale. Gli rimproverava di non essere come gli altri ragazzi. Non capivo quel suo modo di fare.
Avremmo potuto, Hafid e io, diventare buoni amici se la morte non l'avesse portato via durante l'anno.
Tahar Ben Jelloun, L’amicizia, Einaudi 
(collana Tascabili; traduzione di Egi Volterrani), 1999⁹; pp. 4-5.
[Edizione originale: La soudure fraternelle, Arléa, Paris, 1994]



L’amicizia è una religione senza Dio né Giudizio finale.
E non c’è neppure il diavolo.
Una religione che non è estranea all’amore.
Ma un amore dove la guerra e l’odio sono proscritti, dove il silenzio è possibile.
Potrebbe essere lo stato ideale dell’esistenza.
Uno stato tranquillo. Un legame necessario e raro.
Non sopporta impurità alcune.
L’altro, di fronte, la persona che si ama, non è solamente uno specchio che riflette, è anche l’altro se stesso sognato.
L’amicizia perfetta dovrebbe essere una sorta di solitudine felice, spurgata dai sentimenti d’angoscia, di rifiuto e di isolamento.
Non si tratta di una semplice storia di sdoppiamento nella quale l’immagine di sé sarebbe passata attraverso un filtro, un esame che dovrebbe ingrandire i difetti e le carenze e ridurre le qualità.
Lo sguardo dell’amico dovrebbe riconsegnarci la nostra immagine considerata in modo esigente.
L’amicizia allora consisterebbe in questa reciprocità senza sfasature, guidata dallo stesso principio di amore: il rispetto che ciascuno deve a se stesso se vuole che gli altri glielo ricambino, naturalmente.
Tahar Ben Jelloun, L'amicizia.





Tahar Ben Jelloun

(Premi Global Tollerance Award, Goncourt, Grinzane Cavour)
LO SPECCHIO DELLE FALENE
(La nuit de l'herreur)

Capitolo primo

Bisogna che io racconti questa storia. Devo svuotarmene, come un sacco pieno di grano. 
Riversero' il suo contenuto in un mulino e aspetterò l'alba per fare pane della sua farina. 
La storia che porto dentro mi pesa; se non me ne sbarazzo divento matta, perderò la ragione e il senso delle cose. Non ho chiesto di esserne depositaria, ne' di vivere con i suoi fantasmi. Ciascuno di noi ha un segreto. Lo custodisce gelosamente dentro di se'. A volte e' un segreto da poco, parole sussurrate da un vagabondo all'orecchio di un passante; a volte qualcosa che non si puo' dire, che non si deve svelare, una promessa fatta a primavera, un amore impossibile, un errore o semplicemente un tesoro nascosto in fondo al giardino. Il segreto e' il mio destino.
Ricordo di aver stretto un patto con una donna, l'ombra di una donna bella e inquieta, giovane e conturbante. Quando mi guardo allo specchio, la mia immagine svanisce. E' l'altra quella che vedo. Non ci assomigliamo. Lei ha gli occhi neri. I miei sono chiari, almeno a quanto mi dicono. Da quel giorno vado errando, abbandonata da coloro che amavo, dimenticata da quelli che frequentavo, separata da me stessa come se mi fossi sdoppiata. Vado girando intorno ai luoghi della mia infanzia, i tetti a terrazza delle mie fantasie. Sono stata concepita nella Notte dell' Errore, la notte senza amore. ................................................

***

...come nelle Mille e una notte, la storia di una donna e di una citta' diventa mille altre storie, narrate da tante voci diverse, in un romanzo in cui il mondo arabo si svela poco a poco raccontando le proprie paure e superstizioni, proprio come per le strade di Tangeri si racconta, a mezza voce e a testa bassa, la terribile leggenda di Zina. (Dal risvolto)






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