mercoledì 14 novembre 2012

Claude Monet. Sono costretto a continue trasformazioni, perché tutto cresce e rinverdisce. Insomma, a forza di trasformazioni, io seguo la natura senza poterla afferrare, e poi questo fiume che scende, risale, un giorno verde, poi giallo, oggi pomeriggio asciutto e domani sarà un torrente



Nel 1912 a Claude Monet (1840-1926), che da qualche anno lamentava problemi agli occhi, fu diagnosticata una cataratta bilaterale, che comporta un processo di progressiva perdita di trasparenza del cristallino e un ingiallimento e oscuramento dei colori percepiti. Tra il 1919 e il 1922 Monet temeva di dover smettere di dipingere. Poteva farlo solamente durante certe ore in cui l’illuminazione era ottimale, ed era conscio che la vividezza dei colori che vedeva era compromessa. Aveva da qualche anno rifiutato la proposta di un intervento chirurgico almeno all'occhio più colpito, perché temeva di perdere la vista o, quantomeno, di non riuscire più a cogliere distintamente le forme degli oggetti. La situazione stava tuttavia peggiorando, ed egli fu infine persuaso dall'amico Georges Clemenceau (suo futuro biografo) a vincere le proprie paure. Dopo anni di cure infruttuose, nel gennaio 1923, Monet fu operato per la rimozione del cristallino dell’occhio sinistro. Con una spessa lente correttiva, Monet poteva di nuovo vedere in modo accettabile, ma all’inizio lamentò visione doppia e distorsione delle immagini, rifiutando l’operazione all’altro occhio. Anche la percezione dei colori era radicalmente mutata: “Vedo il blu e non vedo più il rosso; ciò mi fa arrabbiare terribilmente perché so che questi colori esistono, perché so che sulla mia tavolozza c’è il rosso, il giallo, un verde speciale, un violetto particolare; non li vedo più come li vedevo un tempo”. Verso la fine dell’anno i problemi visivi si risolsero ed egli poté tornare a dedicarsi alla pittura. Solo che poteva vedere anche colori che non aveva mai visto prima. Monet, infatti, incominciò verosimilmente a vedere (e a dipingere) anche nell’ultravioletto.
http://keespopinga.blogspot.it/2012/08/monet-la-cataratta-e-i-colori.html

Così scriveva intorno al 1914: 
"i colori non avevano più la stessa intensità per me; non dipingevo più gli effetti di luce con la stessa precisione. Le tonalità del rosso cominciavano a sembrare fangose, i rosa diventavano sempre più pallidi e non riuscivo più a captare i toni intermedi o quelli più profondi (...) Cominciai pian piano a mettermi alla prova con innumerevoli schizzi che mi portarono alla convinzione che lo studio della luce naturale non mi era più possibile ma d'altra parte mi rassicurarono dimostrandomi che, anche se minime variazioni di tonalità e delicate sfumature di colore non rientravano più nelle mie possibilità, ci vedevo ancora con la stessa chiarezza quando si trattava di colori vivaci, isolati all'interno di una massa di tonalità scure". 


nel gennaio 1923, Monet fu operato per la rimozione del cristallino dell’occhio sinistro. 
Con una spessa lente correttiva, Monet poteva di nuovo vedere in modo accettabile, ma all’inizio lamentò visione doppia e distorsione delle immagini, rifiutando l’operazione all’altro occhio. Anche la percezione dei colori era radicalmente mutata: 
Vedo il blu e non vedo più il rosso; ciò mi fa arrabbiare terribilmente perché so che questi colori esistono, perché so che sulla mia tavolozza c’è il rosso, il giallo, un verde speciale, un violetto particolare; non li vedo più come li vedevo un tempo”. Verso la fine dell’anno i problemi visivi si risolsero ed egli poté tornare a dedicarsi alla pittura. Solo che poteva vedere anche colori che non aveva mai visto prima. Monet, infatti, incominciò verosimilmente a vedere (e a dipingere) anche nell’ultravioletto. 


Un artista vede sempre cose che gli altri non vedono, è il suo dono ed è il suo compito rivelarle: così Marcel Proust (1871-1922), che amava i quadri di Monet e ne condivideva la sensibilità, dipinse (è il caso di dirlo) ad esempio le ninfee, in un brano del primo libro di Alla ricerca del tempo perduto, 
“La strada di Swann” (1913), che mostra rispetto all’opera del pittore una vicinanza impressionante: 

 Ma più lontano il fiume rallenta il suo corso, percorre una tenuta il cui accesso era aperto al pubblico da colui che la possedeva e che s’era compiaciuto in lavori d’orticoltura acquatica, facendo fiorire, nei piccoli stagni formati dalla Vivonne, veri giardini di ninfee. (…) Qua e là, alla superficie, rosseggiava come una fragola un fior di ninfea dal cuore scarlatto, bianco agli orli. Più lontano, i fiori più numerosi erano più pallidi, meno lisci, più graniti, più increspati, e disposti dal caso in volute di tanta grazia che pareva di vedere nuotare alla deriva, come dopo lo sfogliarsi malinconico d’una festa galante, delle rose borraccine in ghirlande disciolte. Altrove, un angolo sembrava riservato alle specie più comuni, che sciorinavano i lindi bianchi e rosa della giuliana, lavati come porcellana con cura casalinga, mentre un po’ più lontano, serrati gli uni contro gli altri in una vera aiuola galleggiante, si sarebbero detti delle viole del pensiero, venute a posare come farfalle le loro ali bluastre e lucenti sull’obliquità trasparente di quell’aiuola acquatica; (…) 
(traduzione di Natalia Ginzburg, Einaudi, 1978, pp. 180-181) 




Seguo la natura senza poterla afferrare; questo fiume scende, risale, un giorno verde, poi giallo, oggi pomeriggio asciutto e domani sarà un torrente. 
Claude Monet



 é il cambiamento, insieme alla nostra docilità alle trasformazioni, il vero motore della natura e del cuore


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