Dominata dalla sua natura estremamente competitiva, la società borghese mette gli uomini gli uni contro gli altri da un lato, e dall'altro mette l'intera razza umana contro la natura. Come gli uomini vengono trasformati in beni di consumo, ogni aspetto della natura, a sua volta, diventa un bene, una risorsa da essere trasformata e commercializzata in ogni modo possibile. Al saccheggio della coscienza umana da parte del mercato corrisponde il saccheggio della Terra da parte del capitale.
Murray Bookchin
La cultura, le relazioni sociali, il paesaggio urbano, i modi di produzione, l'agricoltura ed i trasporti di oggi hanno trasformato quello che una volta era il proletario in una moltitudine di piccoli borghesi insignificanti la cui mentalità si basa su un unico, utopico concetto, ovvero il "consumo fine a se stesso.
Murray Bookchin
La cultura, le relazioni sociali, il paesaggio urbano, i modi di produzione, l'agricoltura ed i trasporti di oggi hanno trasformato quello che una volta era il proletario in una moltitudine di piccoli borghesi insignificanti la cui mentalità si basa su un unico, utopico concetto, ovvero il "consumo fine a se stesso.
Murray Bookchin è stato uno dei pensatori libertari più importanti del Novecento.
Saggista e scrittore libertario, pioniere del movimento ecologista, è stato tra i primi a mettere in correlazione la questione ambientale e le strutture di potere economico e sociale che controllano la nostra esistenza.
Nato a New York nel 1921 da immigrati di origine russa, fu imbevuto dalla nonna materna di idee rivoluzionarie. Fin da giovanissimo fu convintamente anti-stalinista e con il passare degli anni si avvicinò ad idee anarchiche. Militante antirazzista e antifascista, nel corso del tempo elaborò una critica articolata tanto del pensiero capitalista che di quello marxista.
Noto per essere il fondatore del “municipalismo libertario”, la teoria secondo cui lo scardinamento di una società gerarchica passa attraverso la gestione collettiva di città, villaggi e piccole comunità, sosteneva la necessità di creare una democrazia diretta dal basso che pian piano andasse a sostituire le istituzioni burocratiche e governative.
Lungimirante anticipatore di molte questioni che sarebbero emerse soltanto a cavallo tra ventesimo e ventunesimo secolo, dedicò grande spazio nei suoi scritti alla critica del consumismo, dello stacanovismo, della cultura dell’esasperazione produttiva, dell’ambientalismo privo di connotazioni politiche e sociali, dell’egoismo come motore immobile del nostro tempo.
A partire dalla fine degli anni settanta Bookchin divenne l’ispiratore di interi movimenti ecologisti, pacifisti, libertari e con il passare degli anni le sue opere arrivarono ad influenzare attivisti in tutto il mondo. Oggi, in particolare, l’organizzazione politica che gli abitanti del Rojava (Rovaja), balzati alle cronache per la loro battaglia indomita contro l’ISIS, si stanno dando si ispira in parte alle sue teorie.
Cannibali e Re
https://www.facebook.com/cannibaliere/?hc_ref=ARToytYZ7p5ziH1mj8ydr_EAzSZjSdzRKmJWaWku3Dbz0zGIHuGEtBmTQusRe1wmGEA
L'intera sua opera può essere considerata una progressiva "assunzione, sussunzione e superamento" (secondo le sue stesse parole) dei contenuti di diverse correnti ideologiche radicali del ventesimo secolo, del marxismo come dell'anarchismo, della Scuola di Francoforte come dell'urbanesimo utopistico di Lewis Mumford e dell'ecologismo. [...]
Nel 1952, Bookchin pubblica - sotto lo pseudonimo di Lewis Herber per sfuggire alla persecuzione del maccartismo - un articolo dal titolo The Problems of Chemicals in Food. Nel 1964 pubblica il libro Our Synthetic Environment (Il nostro ambiente sintetico), che precede di qualche mese il ben più noto Primavera silenziosa di Rachel Carson, in cui vengono denunciati gli effetti della chimica di sintesi ed in particolare dei fitofarmaci sulla salute dell'uomo. [...]
Nel 1982 pubblica la prima sintesi della sua riflessione e del suo impegno politico, Ecologia della libertà: «Il dominio dell'uomo sulla natura è originariamente causato dal dominio reale dell'uomo sull'uomo. La soluzione a lungo termine della crisi ecologica dipenderà da una trasformazione fondamentale di come organizziamo la società, una nuova politica basata sulla democrazia face-to-face, su assemblee di vicinato e sulla dissoluzione delle gerarchie».
«Parlare di limiti dello sviluppo nel mercato capitalistico», scriveva nel 1990 in Remaking society, rivolgendosi agli analisti del Club di Roma e ad autori come Lester Brown o Jeremy Rifkin, «è privo di significato; è come parlare di porre limiti alla guerra in una società guerriera... Il capitalismo non può essere più "convinto" a porre dei limiti al proprio sviluppo di quanto un essere umano possa essere "convinto" a smettere di respirare».
«L'immediato obiettivo dell'agenda del municipalismo libertario è di riaprire la sfera pubblica in opposizione ad ogni statalismo, di permettere il massimo di democrazia nel senso letterale del termine, di creare istituti che in forma embrionale possano dare potenza alla gente»; «Non vi può essere politica senza comunità. E per comunità intendo una libera associazione di cittadini su base municipale, rinforzata nella propria autonoma capacità economica dai propri organismi di base e il sostegno confederativo di altre comunità, organizzate in reti territoriali».
libro From Urbanization to Cities
(1987, pubblicato in origine con il titolo The Rise of Urbanization and the Decline of Citizenship)
Oltre agli scritti propriamente politici, Bookchin ha elaborato una posizione filosofica che ha denominato "naturalismo dialettico", a partire dalla dialettica di Hegel.
Il suo ultimo testo pubblicato è stato The Third Revolution, una storia in quattro volumi delle correnti libertarie nei movimenti rivoluzionari in Europa e in America.
Fra i vari movimenti che si rifanno attualmente al pensiero di Bookchin vi è quello di Abdullah Öcalan e del Partito dei Lavoratori del Kurdistan che stanno tentando di realizzare a Rojava, Kobane e in tutto il Kurdistan un "confederalismo democratico" basato sulla democrazia diretta e un'economia solidale ed ecologica. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) è un'organizzazione di guerriglia in Turchia, che ha combattuto la Stato turco dal 1980 per cercare di garantire maggiori diritti politici e culturali per i curdi del paese. Anche se fondato su una rigida ideologia marxista-leninista, il PKK ha visto un cambiamento nel suo pensiero e nei suoi obiettivi dopo la cattura e la prigionia del suo leader, Abdullah Ocalan, nel 1999. Ocalan ha iniziato la lettura di una serie di teorie politiche post-marxiste, mentre era in carcere, e ha trovato particolare interesse nei lavori di Bookchin. Ocalan ha tentato all'inizio del 2004 di organizzare un incontro con Bookchin attraverso i suoi avvocati, e descrive se stesso come "studente" di Bookchin desideroso di adattare il suo pensiero alla società mediorientale. Sebbene Bookchin fosse troppo malato per accettare la richiesta, gli ha mandato un messaggio di sostegno. Quando Bookchin è morto nel 2006, il PKK ha salutato il pensatore americano come "uno dei più grandi scienziati sociali del XX secolo", e ha promesso di mettere la sua teoria in pratica. "Confederalismo Democratico", la variazione sul Communalismo o Municipalismo Libertario, sviluppato da Öcalan nei suoi scritti e adottato dal PKK, non cerca solo la difesa dei diritti dei curdi nel quadro della formazione di uno Stato indipendente curdo separato dalla Turchia. Il PKK sostiene che il suo progetto non è visto come rivolto solo ai curdi, ma per tutti i popoli della regione, indipendentemente dalla loro etnia, o religione nazionale. piuttosto, promulga la formazione di gruppi e organizzazioni che iniziano a livello di base a diffondere i loro ideali in un contesto non statale che inizia a livello locale. Si pone anche una particolare enfasi sulla protezione e promozione dei diritti delle donne. Il PKK ha avuto un certo successo nell'attuazione del suo programma, attraverso organizzazioni come il Congresso della Società Democratica (DTK), che coordina attività politiche e sociali in Turchia, e la Koma Civakên Kurdistan (KCK), che lo fa in tutti i paesi in cui vivono i curdi.
https://it.wikipedia.org/wiki/Murray_Bookchin
Murray Bookchin. Anarchismo senza classe lavoratrice
L'Anarchismo ha bisogno della rivoluzione della classe lavoratrice.
Murray Bookchin è stato un prolifico autore ed un influente teorico anarchico.
Recentemente il suo lavoro è tornato alla ribalta. Se da un lato si possono apprezzare i suoi significativi contributi, dall'altro egli commise un grave errore nel rifiutare il ruolo della classe lavoratrice quale importante componente all'interno della rivoluzione anarchica. In questo articolo si mette a fuoco il percorso teorico di Bookchin al riguardo e -di converso- si dimostra come la classe lavoratrice debba essere considerata quale forza decisiva perchè la rivoluzione anarchica abbia successo.
https://www.anarkismo.net/article/30054
capitalista contro i lavoratori, non credeva ad una nuova guerra di classe portata dall'alto verso il basso. (Questi temi sono stati affrontati da Price nel 2013).
Perchè Bookchin non credeva più nel ruolo della classe lavoratrice
“Contrariamente alle aspettative di Marx, la classe operaia industriale è numericamente in calo e sta inesorabilmente perdendo la sua tradizionale identità in quanto classe….La cultura odierna [ed]…i modi di produzione…hanno fatto del proletariato in gran parte uno strato della piccola borghesia...Il proletario …sarà completamente sostituito da mezzi di produzione automatizzati e persino miniaturizzati….Le categorie di classe sono ora mescolate a categorie gerarchiche basate sulla razza, sul genere, sulle preferenze sessuali e certamente sulle differenze nazionali o regionali.”
Bookchin 2015;
Il municipalismo libertario prende la sua vitalità e la sua integrità proprio dalla tensione dialettica che esso promuove tra la nazione-stato e la confederazione municipale. La sua "legge di vita“
Murray Bookchin
Per recuperare l'urbanesimo come il terreno adatto all'associazionismo, alla cultura, alla comunità, la megalopoli deve essere distrutta senza pietà, e sostituita da nuove comunità decentrate, ognuna inserita con cura nell'ecosistema di cui fa parte. Si può a ragione sostenere che queste ecocomunità avranno le caratteristiche migliori della polis e del comune medioevale, sostenute da ecotecnologie complete in grado di portare gli elementi più avanzati della tecnologia contemporanea – comprese fonti di energia come il vento e il sole – su scala locale. Vi sarà un nuovo equilibrio tra città e campagna – non sobborghi sparsi che mistifichino un pezzetto di prato o qualche albero disposto strategicamente come natura, ma un'ecocomunità funzionalmente interagente, che unisca il lavoro mentale e quello fisico, l'agricoltura e l'industria, l'individuo e la collettività.
Murray Bookchin, da I limiti della città.
(The Limits of the City, 1974), traduzione di Mila Leva e Alberto Friedemann,
Feltrinelli, Milano, p. 150; citato in Varengo 2007, p. 113)
Quello che è più importante è che il punto di vista ecologico conduce ad interpretare ogni relazione sociale, psicologica, naturale, in termini non gerarchici. Per l'ecologia non si può comprendere la natura se ci si pone da un punto di vista gerarchico. Inoltre, essa afferma che la diversità e lo sviluppo spontaneo, costituiscono dei fini in sé, che devono essere rispettati per se stessi.
Murray Bookchin, da Spontaneità e organizzazione
(On Spontaneity and Organization, Anarchos, n. 4, 1972), Torino,
Edizioni del Centro Documentazione Anarchica, 1977, p. 28; citato in Varengo 2007, p. 61)
Sto parlando di ecologia, non di ambientalismo. Quello che interessa l'ambientalismo è mettere al servizio dell'uomo il suo habitat, quello che è conosciuto come un insieme passivo di "risorse naturali" e "risorse urbane" che la gente utilizza. [...] L'ecologia è invece, nel suo aspetto migliore, una scienza artistica – o un'arte scientifica – è una forma di poesia che riunisce scienza ed arte in un'unica sintesi.
Murray Bookchin
(ivi, pp. 27-28; citato in Varengo 2007, p. 63)
Nei suoi aspetti migliori, il marxismo tradisce se stesso, poiché assimila inavvertitamente i caratteri più dubbi del pensiero illuminista ed è sorprendentemente vulnerabile dalle sue implicazioni borghesi. Nei suoi aspetti peggiori, invece, la teoria marxista rappresenta l'apologia di un'epoca storica nuova, testimone della fusione tra 'libero mercato' e pianificazione economica, tra proprietà privata e proprietà nazionalizzata, tra competitività e manipolazione oligopolistica della produzione e dei consumi, tra economia e stato – in breve, l'epoca moderna del capitalismo di stato.
Murray Bookchin
(da Il marxismo come ideologia borghese, A – Rivista Anarchica, n. 81, marzo 1980, p. 34 (tit. orig. Marxism as Bourgeois Sociology, "Comment", vol. 1, n. 2, febbraio 1979))
Chiedere la "decentralizzazione" senza l'autogestione, cioè senza libertà di partecipazione ai processi decisionali a tutti i livelli e senza proprietà, produzione e ripartizione comune dei mezzi materiali a seconda delle necessità individuali, sarebbe puro oscurantismo.
Murray Bookchin
(da Il futuro del movimento anzi-nucleare, Volontà, n. 3, luglio/settembre 1980, p. 72; citato in Varengo 2007, p. 116)
Per quasi due secoli, tutte le teorie di classe sul progresso sociale sono state fondate sull'idea che il 'dominio dell'uomo da parte dell'uomo' fosse imposto dalla necessità della "dominazione della natura" come presupposto per l'emancipazione dell'umanità nel suo complesso. Questa concezione della storia, già evidente negli scritti politici di Aristotele, divenne 'scienza socialista' nelle mani di Marx e costituisce ancora oggi una pericolosa giustificazione della gerarchia e del dominazione in nome dei principi di uguaglianza e di liberazione. In ultima analisi, nelle 'sacre scritture' del socialismo, il vero nemico non è il capitalismo, bensì la natura.
Murray Bookchin
(da L'armonia perduta, A – Rivista Anarchica, n. 121, agosto/settembre 1984, p. 12; citato in Varengo 2007, p. 135)
Il municipalismo libertario prende la sua vitalità e la sua integrità proprio dalla tensione dialettica che esso promuove tra la nazione-stato e la confederazione municipale. La sua "legge di vita" [...] consiste precisamente nella lotta con lo stato. La tensione tra le confederazioni municipali e lo stato deve essere chiara e senza compromessi. Dato che queste confederazioni esisteranno prima di tutto in opposizione all'entità statale, esse non potranno compromettersi con lo stato, o con elezioni provinciali o nazionali, e ancor meno potranno essere organizzate mediante questi mezzi.
Il municipalismo libertario viene plasmato dalla sua lotta con lo stato, viene rafforzato dalla sua lotta e in ultimo definito da questa lotta.
Murray Bookchin
(da Municipalismo libertario. La Mia Proposta (Libertarian Municipalism: An Overview, introduzione a Readings in Libertarian Municipalism, Burlington, Social Ecology Project, 1991; pubblicato con un'aggiunta in "Green Perspective", n. 24, ottobre 1991), A – Rivista Anarchica, n. 187, dicembre 1991/gennaio 1992, p. 19 ; citato in Varengo 2007, p. 111)
L'esperienza mi ha insegnato che quando gruppi più ampi cercano di raggiungere una decisione attraverso il consenso, questo dà adito a un subdolo autoritarismo e a pesanti manipolazioni, anche se fatte in nome dell'autonomia o della libertà. Inoltre il consenso obbliga di solito questi gruppi allargati a raggiungere il minimo comun denominatore intellettuale quando si opera una scelta: l'assemblea di grandi dimensioni adotta la decisione meno contestabile e perfino la più mediocre, proprio perché chiunque può essere d'accordo o altrimenti rinunciare al voto su quella questione.
Murray Bookchin
(da La via del comunitarismo (What Is Communalism?, 1994),
traduzione di Guido Lagomarsino, Volontà, n. 4, 1994, pp. 40-41; citato in Varengo 2007, p. 105)
Mentre la maggior parte dei teorici sociali sembrava non avere sufficiente consapevolezza del potere della gente di creare le proprie istituzioni e le proprie forme di organizzazione, ci sono molti esempi di questo potere che mi incoraggiano. Uno dei miei favoriti ha avuto luogo a New York negli ultimi anni '70. Questa esperienza si chiamava il "Movimento della undicesima strada est". Inizialmente il movimento era un'organizzazione di quartiere di portoricani, una delle tante del Lower East Side di Manhattan, che aveva formato un'alleanza con alcuni giovani ecologisti radicali per riabilitare un palazzo abbandonato che era stato completamente distrutto da un incendio. L'isolato stesso, uno dei peggiori nel ghetto ispanico, sarebbe divenuto un ritrovo per tossicodipendenti, ladri di auto, rapinatori e piromani. Dopo essere stato occupato illegalmente da una comunità di squatter, l'edificio fu completamente ricostruito dagli operai di una cooperativa, composti per la maggioranza da portoricani, una manciata di neri e qualche bianco. Il tentativo del movimento di acquistare la proprietà dell'edificio per finanziare la sua riabilitazione e allargare le sue attività ad altre strutture abbandonate, sarebbe divenuta una cause célèbre che ispirò imprese simili nel Lower East Side e in altri quartieri. […] Alla fine, l'edificio stesso fu non solo ricostruito, ma fu "ristrutturato ecologicamente" con dispositivi salva-energia, isolanti, pannelli solari per scaldare l'acqua e un generatore eolico per fornire una parte dell'energia elettrica. Si parlò di giardini pensili, riciclo dei rifiuti e di trasformare i terreni abbandonati nei paraggi in piccoli parchi di quartiere. Sarebbe troppo lungo fare un resoconto completo delle lotte del "Movimento della undicesima strada est". Tuttavia, sono felice di dire che alcune persone dell'Institute for Social Ecology giocarono un ruolo ispiratore e tecnico in questi progetti. Questo è, penso, un esempio poco conosciuto, ma notevole di come giovani ecologisti sociali bianchi hanno lavorato mano nella mano con persone ispaniche oppresse per ottenere un ambiente umano in maniera autenticamente ecologica. […] È stato un meraviglioso esempio della pratica dell'ecologia sociale che contrasta marcatamente con le carattaristiche bellicose, autoindulgenti e a volte misantropiche che trovo spesso nell'ecologia profonda e nell'ambientalismo della classe media.[1]
Murray Bookchin
(da Aa. Vv., Defending the Earth, A debate between Murray Bookchin and Dave Foreman, Black Rose Books, Montreal/New York, 1991, pp. 101-102)
Parlare di "limiti di crescita" in seno ad un'economia di mercato capitalistica non ha alcun senso, così come non ne ha parlare di limiti della guerra in una società guerriera. Gli scrupoli morali cui oggi danno voce tanti ambientalisti sapientoni sono tanto ingenui quanto quelli delle multinazionali sono fasulli. li capitalismo non può essere "persuaso" a porre un freno al suo sviluppo, così come non si può "persuadere" un essere umano a smettere di respirare. I tentativi di realizzare un capitalismo "verde", o "ecologico", sono condannati all'insuccesso a causa della natura stessa del sistema, che è un sistema di crescita continua.
Murray Bookchin, Per una società ecologica.
(p. 99; citato in Varengo 2007, p. 34)
Per generazioni i pensatori di sinistra hanno detto la loro circa i "limiti intrinseci" del sistema capitalistico, i "meccanismi interni" che l'avrebbero portato inevitabilmente all'autodistruzione. Marx si è guadagnato il plauso di schiere infinite di autori per aver previsto che il capitalismo sarebbe crollato e sarebbe stato sostituito dal socialismo, in seguito ad una crisi cronica che avrebbe portato perdita di profitto, stagnazione economica e lotta di classe da parte di un proletariato sempre più impoverito. Osservando oggi gli immensi squilibri biogeochimici che hanno aperto buchi nello strato di ozono dell'atmosfera e innalzato la temperatura del nostro pianeta in seguito all'"effetto serra", tali limiti appaiono chiaramente di natura ecologica. Quale che possa essere il destino del capitalismo come sistema con i suoi specifici "limiti interni" sul piano economico, possiamo comunque affermare che esso ha dei limiti esterni sul piano ecologico.
Murray Bookchin, Per una società ecologica.
(pp. 99-100; citato in Varengo 2007, p. 48)
A meno di non coltivare (futilmente, credo) miti di insurrezioni proletarie, in un impari scontro con le armi nucleari degli Stati nazionali moderni, non possiamo far altro che cercare contro-istituzioni che possano contrapporsi al potere nazionale.
Murray Bookchin, Per una società ecologica.
(p. 199; citato in Varengo 2007, p. 123)
Dobbiamo spezzare non soltanto i rapporti sociali imposti dalla società borghese, ma anche la dominazione, retaggio di una società gerarchica più che millenaria. Quello che dobbiamo creare per poter disciogliere i legami della società borghese non è soltanto una società priva di classi, come viene prospettata dal socialismo, ma l'utopia della non repressione, prospettata dall'anarchismo. Murray Bookchin, Post-Scarcity Anarchism.
(introduzione, p. 10; citato in Varengo 2007, p. 73)
La società gerarchica non ha futuro e la nostra alternativa all'estinzione sociale è solamente l'utopia.
Murray Bookchin, Post-Scarcity Anarchism.
(introduzione, p. 15; citato in Varengo 2007, p. 82)
La famiglia patriarcale seminò nel campo dei primi, elementari rapporti sociali il germe della dominazione; la classica antinomia, caratteristica del mondo antico, tra spirito e realtà – tra lavoro e intelletto – contribuì a fecondarlo; infine, esso crebbe e si sviluppò alla luce della concezione antinaturalistica del cristianesimo. Ma fu solo quando i rapporti organici all'interno delle forme comunitarie si mutarono in rapporti di mercato, che l'intero pianeta divenne fertile terreno per lo sfruttamento. Così, questa tendenza secolare trova il suo punto di massimo sviluppo nel capitalismo moderno.
Murray Bookchin, Post-Scarcity Anarchism.
(Ecologia e pensiero rivoluzionario (Ecology and Revolutionary Thought, 1964), p. 42; citato in Varengo 2007, p. 51)
Il fatto è che l'uomo sta disfacendo l'opera di secoli di evoluzione organica [...]
l'uomo sta distruggendo la piramide biologica che per millenni ha assicurato la sopravvivenza della razza umana. Nel corso di questa sostituzione di rapporti ecologici complessi, dai quali dipende la sopravvivenza di tutte le forme avanzate di vita, con rapporti più elementari, l'uomo sta gradualmente riportando la biosfera a un livello che le consentirà di assicurare la sopravvivenza solo a forme di vita estremamente semplici. Se questo capovolgimento del processo evolutivo continuerà, non è illegittimo pensare che le condizioni necessarie all'esistenza delle forme di vita più elevate saranno irrimediabilmente compromesse e che la terra non potrà più garantire la sopravvivenza del genere umano.
Murray Bookchin, Post-Scarcity Anarchism.
(Ecologia e pensiero rivoluzionario, p. 45; citato in Varengo 2007, p. 45)
È possibile collocare l'eredità teorica di Marx in una prospettiva che abbia qualche significato — separare ciò che del suo contributo ci arricchisce da ciò che invece rivela i propri limiti storici, che ci paralizza e pone dei ceppi anche al nostro tempo. La dialettica marxiana, i molto lumi fecondi del materialismo storico, la superba critica dei rapporti di produzione, molti elementi delle teorie economiche, la teoria dell'alienazione e, sopra ogni altra cosa, l'idea che la libertà necessiti di condizioni materiali — tutti questi furono contributi preziosi e durevoli al pensiero rivoluzionario.
Murray Bookchin, Post-Scarcity Anarchism.
(Ascolta, marxista!, p. 137; citato in Varengo 2007, p. 139)
Per lo meno potenzialmente siamo di fronte al più ampio concetto di libertà sinora conosciuto: la libertà dell'individuo autonomo di modellare la vita materiale in una forma che non sia né ascetica né edonistica, ma una miscela del meglio di entrambe le cose, una forma ecologica, razionale ed artistica [...].
Murray Bookchin, Post-Scarcity Anarchism.
(pp. 326 sg.; citato in Varengo 2007, p. 90)
Sin dai primi anni '60, il mio punto di vista poteva essere schematicamente così formulato:
il concetto di dominio dell'uomo sulla natura deriva dal concetto di dominio dell'uomo sull'uomo.
Murray Bookchin, L'ecologia della libertà.
(p. 22; citato in Varengo 2007, p. 50)
La gerarchia, pur includendo la definizione marxiana di classe e dando persino origine, storicamente, alla società classista, va oltre questo significato limitato, ascritto a una forma di stratificazione eminentemente economica. [...] Storicamente ed esistenzialmente la vedo come un complesso sistema di comando/obbedienza nel quale le élite godono di vari gradi di controllo sui propri subordinati, senza necessariamente sfruttarli. Queste élite possono essere assolutamente prive di ogni forma di ricchezza materiale; ne possono essere addirittura spogliate, come l'élite dei "guardiani" di Platone, ad esempio, che era socialmente potente ma materialmente povera.
Murray Bookchin, L'ecologia della libertà.
(pp. 26-27; citato in Varengo 2007, p. 73)
Anni fa, gli studenti francesi del maggio '68 espressero mirabilmente questa netta contrapposizione d'alternative con lo slogan: "Siate realisti, chiedete l'impossibile!". A questa proposta la generazione che va incontro al prossimo secolo può aggiungere l'ingiunzione più solenne:
"Se non faremo l'impossibile ci troveremo di fronte l'impensabile!".
Murray Bookchin, L'ecologia della libertà.
(p. 78; citato in Varengo 2007, p. 85)
Questa schiacciante tendenza della tecnica a colonizzare l'intero spazio della esperienza umana fa sì che sia oggi apocalitticamente necessario bloccarne l'avanzata, ridefinirne i fini, riassorbirla nuovamente in forme organiche di vita sociale e di soggettività umana.
Murray Bookchin, L'ecologia della libertà.
(p. 357; citato in Varengo 2007, p. 99)
Se concepiamo un mondo che la vita stessa ha plasmato nell'evoluzione – un mondo benigno, se abbiamo un'ampia visione ecologica della natura – possiamo formulare un'etica della complementarietà che si nutre di diversità, al posto di un'etica che tutela l'essenza individuale da un'alterità minacciosa e invadente. In realtà, l'essenza della vita può essere vista come un'espressione d'equilibrio piuttosto che come semplice resistenza all'entropia [...]. Infine, il sé può essere visto come risultato dell'integrazione, della comunità, del mutuo appoggio, senza che ne venga in alcun modo sminuita l'identità individuale e la spontaneità personale.
Murray Bookchin, L'ecologia della libertà.
(p. 533; citato in Varengo 2007, p. 95)
Riscopriamo la partecipazione:
Democrazia diretta o Communalism secondo Murray Bookchin
di: IRMA LOREDANA GALGANO
Nella versione tradotta e curata da Salvo Vaccaro, Elèuthera ha pubblicato già nel 1993, e in ristampe successive, Democrazia diretta di Murray Bookchin, autore anche di L’Ecologia della libertà (The ecology of freedom).
Bookchin può a buon diritto essere considerato uno degli studiosi che maggiormente ha approfondito il tema della partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica delle comunità di cui fanno parte. È anche uno dei più “imitati” senza essere quasi mai citato.
«Il Communalism rappresenta una critica della società gerarchica e capitalista nel suo insieme.»
In Democrazia diretta Bookchin sottolinea la differenza tra l’economia di mercato «avida ed espansiva» e i mercati pre-capitalisti «non tesi all’accumulazione dell’altro».
L’autore ricorda che nell’antichità la compravendita «lungi dall’essere esaltata, era percepita come opera del demonio e dunque il commercio era tenuto sotto controllo», oggi invece viene quasi idolatrata e la mentalità monetaria e speculativa, sebbene non inedita nella storia, diventa unica quando consegue una tale centralità: «persino la terra, un tempo rifugio di vecchi capitalisti dopo una vita dedicata al commercio, divenne semplicemente una merce tanto che il suo acquisto, in particolare nel Nuovo Mondo, non conferiva più alcuno status speciale al nuovo ceto mercantile».
E così da «associazione etica di mutuo soccorso», la comunità si trasforma in un «tessuto imprenditoriale teso alla concorrenza e alla manipolazione». Si potrebbe obiettare che pure nella comunità intesa come “associazione etica di mutuo soccorso” erano presenti predatori e di ciò l’autore tiene conto citando nel testo ad esempio i pirati e i briganti. Ma subito sottolinea la differenza tra questi, che consideravano intoccabili le proprie comunità, e i mercanti e gli industriali che le considerano invece territorio di conquista.
I pirati erano fondamentalmente degli anti-colonialisti. Si diventava pirata per vari motivi ma più di frequente per la miseria o per il desiderio di rivalsa contro i soprusi subiti come ceto meno abbiente.
Una nutrita schiera di briganti era costituita da pastori e contadini che si davano alla macchia come gesto di ribellione per le ingiustizie e lo sfruttamento subito.
Ci sono le eccezioni certo ma la Storia ci insegna che quando un popolo, o parte di esso, si ribella viene sempre additato come ingrato, ribelle, rivoluzionario, terrorista… dai governi, dai ceti alti, dalle gerarchie militari, ma a ben guardare il motivo da cui scaturiscono questi moti è un grande desiderio di riscatto sociale, un bisogno disperato di dignità per sé e soprattutto per i propri figli. Accadeva in passato e accade ancora oggi.
Per Murray Bookchin l’urbanizzazione rappresenta il modo con cui il processo destrutturante delle comunità ha assunto visibilità. «Mi riferisco a quello sviluppo industriale, commerciale e residenziale che chiamano centro urbano.» Gli effetti devastanti del capitalismo che maggiormente si osservano nei centri urbani per l’autore si possono così sintetizzare:
Maurizio Pallante nel suo saggio Monasteri del terzo millennio cerca di focalizzare l’attenzione del lettore su un problema reale della modernità: «nelle società industriali, in particolar modo nelle città che ne sono il cuore, nessuno produce ciò che gli serve per vivere e tutti dipendono dal mercato per ogni esigenza». Ipotizziamo che per una qualsiasi ragione il ‘mercato’ non fosse più in grado di soddisfare le richieste degli acquirenti-consumatori. Cosa accadrebbe?
«Il nazismo, con il suo cianciare sull’auspicabilità di una Volksgemeinschaft germanica, svendette il contenuto utopico di questa aspirazione popolare al localismo comunitario in nome del “principio di leadership” con il quale subordinò completamente il localismo al centralismo, la comunità alla nazione, il conservatorismo tecnologico all’innovazione industriale, particolarmente quella finalizzata alla progettazione bellica e ai metodi di sorveglianza politica.»
Paradossalmente, ma neanche poi tanto, a ben guardare le intenzioni e soprattutto i risultati della politica comunista si sono rivelati non molto dissimili.
Salvo Vaccaro nell’introduzione al testo di Bookchin li identifica soprattutto in due punti focali:
«Il peso che Marx e i marxisti di ogni risma hanno dato al ruolo “progressista” dello Stato-nazione sebbene comprensibile nel contesto delle lotte popolari del diciannovesimo secolo contro i residui del feudalesimo, si sono rivelate a posteriori una rovina per la quale siamo ancora oggi penalizzati.»
Una possibile soluzione secondo Murray Bookchin è «una politica senza partiti», in considerazione anche di ciò che è successo dove questi hanno agito e fallito, ripetutamente, e invita il lettore a qualche riflessione su quanto accaduto e a tutti noto in paesi come l’ex Unione Sovietica dove il partito costituiva lo Stato stesso. Una politica di decentramento e di assemblee popolari quella auspicata dall’autore. Una politica che non sia un «sistema di rapporti di potere gestito per lo più in modo professionale da persone in ciò specializzate, i cosiddetti “politici”» bensì, com’era prima dello Stato-nazione, «gestione degli affari pubblici da parte della popolazione a livello comunitario».
«Oggi, quel che chiamiamo “politica” è in realtà governo dello Stato.
Essa è professionismo, non controllo popolare; monopolio del potere da parte di pochi, non potere dei molti; delega a un gruppo “eletto”, non processo democratico diretto che comprenda il popolo nella sua totalità; rappresentazione, non partecipazione.»
Vaccaro ancora nell’introduzione si sofferma sul grande problema della collusione tra politici e poteri economico-finanziari, ricordando lo scandalo Watergate e quello Irangate, raccontando dell’ingerenza che hanno questi poteri, queste lobby, sui vari governi, inducendo il lettore a interrogarsi su quali siano o possano essere poi le conseguenze della loro influenza sulle decisioni che riguardano la popolazione della comunità che di fatto controllano.
La politica e la cittadinanza sono state, per Bookchin, le vittime di questo processo corrosivo che è il capitalismo, «ma possono rappresentare anche l’antidoto». Per l’autore è necessario dare agli ideali del localismo, del decentramento e dell’auto-sufficienza un significato più ampio e completo e propone le eco-comunità morali basate sul confederalismo che «non segna una chiusura della storia sociale bensì il punto di partenza di una inedita storia ecosociale segnata da una evoluzione partecipativa nella società e tra la società e il mondo della natura».
Secondo Bookchin, l’economia confederata di una comunità grande o piccola gestisce le proprie risorse in una fitta rete di relazioni intercomunitarie ed è una economia redistributiva, cioè capace di dare alle comunità secondo le loro necessità, al contrario delle cooperative di segno capitalista che affondano nell’equivoco dei rapporti di scambio.
In L’Ecologia della libertà Bookchin analizza i comportamenti dell’umanità verso la natura che vanno o andrebbero osservati all’interno di una cornice più ampia «in cui l’umano dispone dell’altro umano in senso prettamente politico, dando luogo a una specifica forma di vita che noi definiamo società». E tale costruzione sociale delinea il campo della politica che non deve o non dovrebbe essere l’arte del governare ma una «modalità di organizzazione sociale volontariamente progettata e costruita nel concorso conflittuale di soggetti consapevoli e rischiarati nel dialogo permanente di ragioni, argomentazioni e obiezioni critiche». Per questo Bookchin anche in Democrazia diretta ritorna sul concetto deragliante di classe politica eletta, quasi a voler identificare in modo professionale persone in ciò specializzate. Mentre per l’autore necessita un ritorno alla situazione pre-capitalista, quando «la popolazione gestiva la cosa pubblica in assemblee cittadine dirette».
Riscopriamo la partecipazione:
Democrazia diretta o Communalism secondo Murray Bookchin
di: IRMA LOREDANA GALGANO
Nella versione tradotta e curata da Salvo Vaccaro, Elèuthera ha pubblicato già nel 1993, e in ristampe successive, Democrazia diretta di Murray Bookchin, autore anche di L’Ecologia della libertà (The ecology of freedom).
Bookchin può a buon diritto essere considerato uno degli studiosi che maggiormente ha approfondito il tema della partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica delle comunità di cui fanno parte. È anche uno dei più “imitati” senza essere quasi mai citato.
«Il Communalism rappresenta una critica della società gerarchica e capitalista nel suo insieme.»
In Democrazia diretta Bookchin sottolinea la differenza tra l’economia di mercato «avida ed espansiva» e i mercati pre-capitalisti «non tesi all’accumulazione dell’altro».
L’autore ricorda che nell’antichità la compravendita «lungi dall’essere esaltata, era percepita come opera del demonio e dunque il commercio era tenuto sotto controllo», oggi invece viene quasi idolatrata e la mentalità monetaria e speculativa, sebbene non inedita nella storia, diventa unica quando consegue una tale centralità: «persino la terra, un tempo rifugio di vecchi capitalisti dopo una vita dedicata al commercio, divenne semplicemente una merce tanto che il suo acquisto, in particolare nel Nuovo Mondo, non conferiva più alcuno status speciale al nuovo ceto mercantile».
E così da «associazione etica di mutuo soccorso», la comunità si trasforma in un «tessuto imprenditoriale teso alla concorrenza e alla manipolazione». Si potrebbe obiettare che pure nella comunità intesa come “associazione etica di mutuo soccorso” erano presenti predatori e di ciò l’autore tiene conto citando nel testo ad esempio i pirati e i briganti. Ma subito sottolinea la differenza tra questi, che consideravano intoccabili le proprie comunità, e i mercanti e gli industriali che le considerano invece territorio di conquista.
I pirati erano fondamentalmente degli anti-colonialisti. Si diventava pirata per vari motivi ma più di frequente per la miseria o per il desiderio di rivalsa contro i soprusi subiti come ceto meno abbiente.
Una nutrita schiera di briganti era costituita da pastori e contadini che si davano alla macchia come gesto di ribellione per le ingiustizie e lo sfruttamento subito.
Ci sono le eccezioni certo ma la Storia ci insegna che quando un popolo, o parte di esso, si ribella viene sempre additato come ingrato, ribelle, rivoluzionario, terrorista… dai governi, dai ceti alti, dalle gerarchie militari, ma a ben guardare il motivo da cui scaturiscono questi moti è un grande desiderio di riscatto sociale, un bisogno disperato di dignità per sé e soprattutto per i propri figli. Accadeva in passato e accade ancora oggi.
Per Murray Bookchin l’urbanizzazione rappresenta il modo con cui il processo destrutturante delle comunità ha assunto visibilità. «Mi riferisco a quello sviluppo industriale, commerciale e residenziale che chiamano centro urbano.» Gli effetti devastanti del capitalismo che maggiormente si osservano nei centri urbani per l’autore si possono così sintetizzare:
- Dissolvimento di tutti i vincoli sociali.
- Mercificazione di tutti i valori.
- Monetizzazione di tutti gli ideali.
- Sfide incontrollate del mercato con acquirenti e venditori anonimi.
- Pienza, la cui progettazione fu affidata da papa Pio II a Leon Battista Alberti doveva rappresentare la città ideale, nella quale l’uomo potesse vivere in armonia con se stesso e con la natura. La modernità ha generato un’idea di urbanistica invece in cui l’uomo è a servizio della città e non il contrario.
Maurizio Pallante nel suo saggio Monasteri del terzo millennio cerca di focalizzare l’attenzione del lettore su un problema reale della modernità: «nelle società industriali, in particolar modo nelle città che ne sono il cuore, nessuno produce ciò che gli serve per vivere e tutti dipendono dal mercato per ogni esigenza». Ipotizziamo che per una qualsiasi ragione il ‘mercato’ non fosse più in grado di soddisfare le richieste degli acquirenti-consumatori. Cosa accadrebbe?
«Il nazismo, con il suo cianciare sull’auspicabilità di una Volksgemeinschaft germanica, svendette il contenuto utopico di questa aspirazione popolare al localismo comunitario in nome del “principio di leadership” con il quale subordinò completamente il localismo al centralismo, la comunità alla nazione, il conservatorismo tecnologico all’innovazione industriale, particolarmente quella finalizzata alla progettazione bellica e ai metodi di sorveglianza politica.»
Paradossalmente, ma neanche poi tanto, a ben guardare le intenzioni e soprattutto i risultati della politica comunista si sono rivelati non molto dissimili.
Salvo Vaccaro nell’introduzione al testo di Bookchin li identifica soprattutto in due punti focali:
- Massimo sostegno all’autorità centrale dello Stato.
- Nazionalizzazione della proprietà come unica alternativa alle forme capitalistiche di proprietà privata.
«Il peso che Marx e i marxisti di ogni risma hanno dato al ruolo “progressista” dello Stato-nazione sebbene comprensibile nel contesto delle lotte popolari del diciannovesimo secolo contro i residui del feudalesimo, si sono rivelate a posteriori una rovina per la quale siamo ancora oggi penalizzati.»
Una possibile soluzione secondo Murray Bookchin è «una politica senza partiti», in considerazione anche di ciò che è successo dove questi hanno agito e fallito, ripetutamente, e invita il lettore a qualche riflessione su quanto accaduto e a tutti noto in paesi come l’ex Unione Sovietica dove il partito costituiva lo Stato stesso. Una politica di decentramento e di assemblee popolari quella auspicata dall’autore. Una politica che non sia un «sistema di rapporti di potere gestito per lo più in modo professionale da persone in ciò specializzate, i cosiddetti “politici”» bensì, com’era prima dello Stato-nazione, «gestione degli affari pubblici da parte della popolazione a livello comunitario».
«Oggi, quel che chiamiamo “politica” è in realtà governo dello Stato.
Essa è professionismo, non controllo popolare; monopolio del potere da parte di pochi, non potere dei molti; delega a un gruppo “eletto”, non processo democratico diretto che comprenda il popolo nella sua totalità; rappresentazione, non partecipazione.»
Vaccaro ancora nell’introduzione si sofferma sul grande problema della collusione tra politici e poteri economico-finanziari, ricordando lo scandalo Watergate e quello Irangate, raccontando dell’ingerenza che hanno questi poteri, queste lobby, sui vari governi, inducendo il lettore a interrogarsi su quali siano o possano essere poi le conseguenze della loro influenza sulle decisioni che riguardano la popolazione della comunità che di fatto controllano.
La politica e la cittadinanza sono state, per Bookchin, le vittime di questo processo corrosivo che è il capitalismo, «ma possono rappresentare anche l’antidoto». Per l’autore è necessario dare agli ideali del localismo, del decentramento e dell’auto-sufficienza un significato più ampio e completo e propone le eco-comunità morali basate sul confederalismo che «non segna una chiusura della storia sociale bensì il punto di partenza di una inedita storia ecosociale segnata da una evoluzione partecipativa nella società e tra la società e il mondo della natura».
Secondo Bookchin, l’economia confederata di una comunità grande o piccola gestisce le proprie risorse in una fitta rete di relazioni intercomunitarie ed è una economia redistributiva, cioè capace di dare alle comunità secondo le loro necessità, al contrario delle cooperative di segno capitalista che affondano nell’equivoco dei rapporti di scambio.
In L’Ecologia della libertà Bookchin analizza i comportamenti dell’umanità verso la natura che vanno o andrebbero osservati all’interno di una cornice più ampia «in cui l’umano dispone dell’altro umano in senso prettamente politico, dando luogo a una specifica forma di vita che noi definiamo società». E tale costruzione sociale delinea il campo della politica che non deve o non dovrebbe essere l’arte del governare ma una «modalità di organizzazione sociale volontariamente progettata e costruita nel concorso conflittuale di soggetti consapevoli e rischiarati nel dialogo permanente di ragioni, argomentazioni e obiezioni critiche». Per questo Bookchin anche in Democrazia diretta ritorna sul concetto deragliante di classe politica eletta, quasi a voler identificare in modo professionale persone in ciò specializzate. Mentre per l’autore necessita un ritorno alla situazione pre-capitalista, quando «la popolazione gestiva la cosa pubblica in assemblee cittadine dirette».
https://www.articolo21.org/2015/10/riscopriamo-la-partecipazione-democrazia-diretta-o-communalism-secondo-murray-bookchin/
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