Scipione detto l'Africano.
La Battaglia di Zama fu l'ultima battaglia della Seconda Guerra Punica e determinò il definitivo ridimensionamento di Cartagine quale potenza militare e politica del Mar Mediterraneo.
Fu combattuta il 18 ottobre 202 a.C. fra truppe romane e cartaginesi nella località di Zama.
La fine dello scontro con Cartagine, segnerà la fine della fase eroica di Roma: da questo momento, i Romani, ormai padroni del Mediterraneo e del mondo, inizieranno più a guardarsi tra di loro, nel senso di lotte intestine di potere, piuttosto che essere coesi contro i pericoli esterni! Finirà con le infinite guerre civili, la perdita di troppo sangue romano, in scontri non con eserciti tecnologicamente arretrati, ma in scontri fraterni tra legioni! con la classe senatoriale praticamente estinta in eccidi, avvelenamenti, suicidi comandati…e la nascita, da una Res Publica quantomai equilibrata, di un Impero!
Publio Cornelio Scipione, - per “restituire” l’invasione di Annibale, che con il suo:
“Hannibal ad portas!!!” aveva fatto temere per la sopravvivenza stessa della Città Eterna, - era sbarcato in Africa nel 204 a.C. e aveva iniziato subito la sua campagna per costringere i Cartaginesi ad arrendersi. Affrontò in diverse battaglie i generali nemici sconfiggendoli tutti e perfezionando la tattica d'accerchiamento, che ora riusciva a fare anche senza cavalleria.
Il romano era riuscito a portare dalla sua, anche un principe numida in esilio, Massinissa, appoggiandolo nella sua campagna per conquistare il trono, tenuto da Siface, alleato di Cartagine. Il giovane principe ricambiò il quirita, offrendo il suo aiuto e la sua preziosa cavalleria, che tanto aveva aiutato Annibale nelle numerose battaglie.
Dopo una serie di pesanti sconfitte, il sinedrio cartaginese decise di richiamare Annibale dall'Italia, per affrontare la minaccia nel proprio territorio. Il Barcide (dal cognome familiare Barca) toccò il suolo africano, dopo 33 anni, non a Cartagine ma ad Hadrumetum (oggi Susa), 80 km più a sud nella Byzacena, dove la sua famiglia aveva dei possedimenti. Era il 203 a.C. e subito, appena sbarcato con i suoi 15.000 veterani, si diede a risistemare l'esercito, ricevendo reclute da Cartagine e i mercenari di Gisgone e Magone, per prepararsi a combattere la più difficile delle sue battaglie.
I Punici, ora rassicurati, rifiutarono un trattato di pace offerto da Scipione, il quale immediatamente si diede a devastare i territori dell'interno della Tunisia, mentre richiamava Massinissa e la sua cavalleria, impegnati a pacificare alcune zone del regno numida in rivolta.
Annibale, sollecitato ad agire dai suoi concittadini e per evitare che i due s’incontrassero, marciò a tappe forzate verso l'interno, senza però riuscire nel suo intento. Dopo aver cercato ancora una soluzione pacifica, perché conscio dei limiti dei suoi uomini, fu costretto a combattere.
Il luogo della battaglia di Zama non è certo; è stata di recente collocata a Naraggara o a Margaron, perché nell'Africa settentrionale vi erano probabilmente due, forse tre città chiamate Zama.
Zama Regia era con ogni probabilità Seba Biar, ma questo insediamento può essere scomparso e la Zama dell'impero romano può essersi trovata nell'odierna Jama: siamo comunque a pochi chilometri a sud di Tunisi, dove forse c'era solo l'accampamento di Annibale.
Dal canto suo, Scipione si accampò a Naraggara, un centinaio di chilometri a sud ovest di Cartagine.
I Romani, guidati da Publio Cornelio Scipione l'Africano erano forti di:
Fanteria: 23.000 Romani e Italici, 6.000 Numidi e probabilmente 900 berberi.
Cavalleria: 1.500 Romani e Italici, 4.000 Numidi, 600 Berberi.
I Cartaginesi, guidati da Annibale Barca avevano:
Fanteria: 12.000 mercenari tra Liguri (sicuramente vi erano tra loro gli Apuani di Garfagnana e Lunigiana), Celti, Baleari e Mauri, 15.000 Libi e Cartaginesi, 15.000 veterani della campagna d'Italia e probabilmente anche 4.000 macedoni.
Cavalleria: 2.000 Cartaginesi, 2.000 Numidi.
Elefanti: 80 o un numero leggermente maggiore.
Annibale lanciò la carica degli elefanti, ma ormai i Romani avevano imparato come trattare quelle enormi bestie; con trombe acute e alte grida spaventarono i bestioni che, imbizzarriti, fuggirono da quel fracasso e si volsero contro la cavalleria numidica dell'ala sinistra cartaginese. Questo causò il caos e le file della cavalleria cartaginese furono scompaginate, così Scipione ne approfittò, mandando Massinissa, che era posto di fronte a questa, con i suoi cavalieri, per sbaragliare totalmente gli avversari diretti.
Tuttavia qualche elefante, che non si era spaventato, si avventò contro la fanteria romana. Allora i veliti iniziarono immediatamente a bersagliare dalla distanza i pachidermi, che per sfuggire alla pioggia di dardi, cercarono di utilizzare tutte le vie di fuga possibili.
I manipoli degli hastati romani, utilizzando lo spazio libero, semplicemente si fecero da parte, creando dei veri e propri "corridoi" nello schieramento romano, e lasciarono passare i bestioni. Colpiti dai veliti, che si erano riparati dietro le file degli hastati, e dai principes, questi elefanti fuggirono addosso all'altra ala della cavalleria cartaginese.
Anche qui, Lelio, al comando della cavalleria italica approfittò dell'occasione per chiudere la partita con i diretti avversari.
Si arrivò infine allo scontro fra le fanterie.
Gli astati romani ebbero la meglio sulla prima linea cartaginese (formata da mercenari), che iniziò ad arretrare. Ma la seconda linea (formata da punici) non glielo permise e si accese uno scontro interno nello schieramento di Annibale.
Comunque sia, gli astati di Scipione erano stanchi e le seconde file cartaginesi rinforzavano la difesa.
Un ulteriore problema per i Romani, derivò dal fatto che la tattica utilizzata da Scipione, per evitare la carica degli elefanti si rivelò errata, per contrastare le linee di fanteria cartaginese. I corridoi creati, infatti, non permettevano l'utilizzo della tattica manipolare, che necessitava di una disposizione a scacchiera per essere utilizzata.
A questo punto, la battaglia era diventata molto difficile per la compagine romana. Le perdite erano state sicuramente minori, rispetto a quelle puniche, ma i combattimenti con le prime due linee cartaginesi avevano permesso ad Annibale di stancare i fanti romani, nonché di sfruttare nel migliore dei modi la superiorità numerica.
Per evitare un accerchiamento che gli sarebbe riuscito fatale, Scipione estese il suo fronte, assottigliando i ranghi fino a coprire tutto il fronte punico. La battaglia era arrivata ad una fase critica, senza possibilità di manovra e senza le cavallerie che ancora dovevano tornare dall'inseguimento, i Romani dovettero arrivare allo scontro frontale, con un nemico che li soverchiava per numero e per la maggiore freschezza.
Definitivamente dispersa la cavalleria avversaria o disperatamente chiamati indietro da Scipione, alla fine tornarono Lelio e Massinissa con i loro cavalieri e si avventarono alle spalle delle forze cartaginesi, creando scompiglio e massacrando il nemico. L'esercito cartaginese venne accerchiato e definitivamente annientato, diventando questa la disfatta finale di Annibale e di Cartagine.
Tuttavia Annibale e pochi cavalieri riuscirono a fuggire.
Alessandra Cortese
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