venerdì 20 ottobre 2017

Colonie Portoghesi in Africa: Esplorazioni e Scoperte (1415-1446). Annone il Navigatore, ottenute dal governo cartaginese 60 navi e forse 20.000 coloni, iniziò una missione di colonizzazione che ebbe successo solo parzialmente, ma stabilì degli scambi commerciali “stabili” con le popolazioni poste sulla riva atlantica dell’Africa. Le difficoltà di comunicazione e il carattere primitivo delle tribù africane costrinse i Cartaginesi a trovare un ingegnoso metodo di commercio. Una volta giunti sulla spiaggia, ponevano le loro merci in piccoli mucchi e si ritiravano; appena andati via i Cartaginesi, i nativi si recavano sulla spiaggia e piazzavano le loro merci di fronte a quelle che gli interessavano, poi si ritiravano anche loro. A questo punto, i Cartaginesi ritiravano le merci locali di cui avevano bisogno e lasciavano il loro mucchio corrispondente, mentre ritiravano la loro stessa merce quando la controproposta non era sufficiente.

Colonie Portoghesi in Africa: Esplorazioni e Scoperte (1415-1446).
La storia delle Colonie Portoghesi in Africa inizia nel XV secolo, con le grandi spedizioni esplorative lungo la costa africana occidentale. La scoperta delle Americhe, avvenuta poche decadi dopo, ha portato a non dare la giusta attenzione a chi ha permesso di avventurarsi nell’Atlantico con buone possibilità di sopravvivenza.

Molto prima delle esplorazioni e delle colonie portoghesi, la linea costiera che scende dallo stretto di Gibilterra al Golfo di Guinea fu certamente esplorata dai navigatori fenici e romani, ma non ci è dato sapere quale sia stata l’effettiva magnitudine delle loro attività. 

Annone il Navigatore, ottenute dal governo cartaginese 60 navi e forse 20.000 coloni, iniziò una missione di colonizzazione che ebbe successo solo parzialmente, ma stabilì degli scambi commerciali “stabili” con le popolazioni poste sulla riva atlantica dell’Africa.

Le difficoltà di comunicazione e il carattere primitivo delle tribù africane costrinse i Cartaginesi a trovare un ingegnoso metodo di commercio.  Una volta giunti sulla spiaggia, ponevano le loro merci in piccoli mucchi e si ritiravano; appena andati via i Cartaginesi, i nativi si recavano sulla spiaggia e piazzavano le loro merci di fronte a quelle che gli interessavano, poi si ritiravano anche loro. A questo punto, i Cartaginesi ritiravano le merci locali di cui avevano bisogno e lasciavano il loro mucchio corrispondente, mentre ritiravano la loro stessa merce quando la controproposta non era sufficiente.

Ma i Cartaginesi furono anche in grado, stando a Erodoto, di circumnavigare l’Africa, mentre nell’impresa fallì Sataspes, incaricato di compiere l’impresa da re Serse.

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La costa africana occidentale nell’Atlante Catalano del 1375.

I Romani, pur conoscendo l’esistenza di grandi territori a sud del Sahara, ebbero più contatti con il Corno d’Africa, importante per il commercio con il subcontinente indiano.

Ad ogni modo, la netta cesura operata dalle conquiste arabe in nordafrica portò a un totale abbandono della navigazione europea verso l’occidente africano.

La ripresa di contatti continui con i territori al di là dello Stretto di Gibilterra ricominciò nel XIV secolo, quando diverse spedizioni genovesi, spagnole e portoghesi toccarono (e certe volte saccheggiarono) le Isole Canarie. Poiché la riscoperta delle Canarie e la loro conquista rappresentano un fatto molto interessante e meritevole di adeguata trattazione, cercherò di limitarmi alla questione africana.

L’Assedio di Ceuta.
I Portoghesi presero Ceuta nel 1415
La città era un importante centro dei pirati barbareschi e il punto di partenza di numerose aggressioni alle città costiere portoghesi. Lì il Principe di Portogallo Enrico (detto “Il Navigatore”) venne a sapere dai locali che, al di là del Sahara, esisteva un regno ricco d’oro e avorio, fertile e popoloso.

Alla conquista di Ceuta presero parte 45.000 soldati e le perdite portoghesi furono ridicole (si dice solo 8 uomini). Dal 1415, Ceuta è sempre stata amministrata da governi europei. I marocchini cercarono più volte di riconquistarla senza successo, e la città passò nelle mani del Re di Spagna, definitivamente, nel 1668.

Non avendo preso moglie, né avendo mai avuto figli, Enrico di Portogallo si dedicò in modo appassionato alla sua missione di scopritore e colonizzatore. Furono i suoi esperti di ingegneria nautica a ideare le famose caravelle ed egli cercò anche di riunire intorno a sé i migliori cartografi e marinai del tempo.

Nel 1418 inviò una spedizione per raggiungere Capo Bojador, di fronte alla isole Canarie, ma questa fu portata a largo da una tempesta e giunse all’isola di Porto Santo; un evento sfortunato che diede però il coraggio, alle successive spedizioni, di non limitarsi a una timida navigazione costiera, ma di provare a dirigersi anche verso il mare aperto.

Nonostante la spinta di Enrico, il Re di Portogallo Giovanni I (di cui Enrico era il quinto figlio) era indeciso se continuare il conflitto contro il Marocco o, invece, allearsi con il Re di Castiglia per attaccare Granada e gettare in mare gli ultimi musulmani della penisola. Ceuta, dal canto suo, era stata definita dal secondogenito di Giovanni I, Pietro, come “un pozzo senza fondo di uomini, armi e denaro” poiché aveva anche perso il suo ruolo di centro commerciale; le carovane beduine preferivano infatti il porto islamico di Tangeri. La morte di Giovanni I, nel 1433, portò però sul trono Edoardo che, assieme al fratello Enrico, era un fautore delle esplorazioni e della creazione di colonie portoghesi nell’Africa Occidentale.

L’ossessione di Enrico per questo argomento è bene evidenziata da Gomes Eanes de Zurara (conosciuto anche come Eannes o Azurara), che nel 1453 completò l’opera Chronica do Descobrimento e Conquista da Guiné. Il capitolo VII ha un titolo molto esplicativo: 

Le cinque ragioni che hanno portato l’Infante Enrico ha ordinare la ricerca delle terre di Guinea. Cinque ragioni che possono essere riassunte così:

  • Chiarire quando di vero ci fosse nelle leggende che volevano un mare impraticabile e terre infertili dopo Capo Bojador;
  • vedere se ci fossero Cristiani, a sud del Marocco, con i quali poter instaurare prolifici traffici commerciali;
  • conoscere a fondo la reale entità dei possedimenti islamici, poiché è sempre bene avere presente la forza complessiva del nemico;
  • trovare aiuto militare, da parte di eventuali regnanti cristiani del subsahara, contro i musulmani nordafricani;
  • aumentare il numero di fedeli del Cristianesimo.

L’ostacolo più grande all’esplorazione della costa africana era dunque ancora rappresentato da Capo Bojador, oltre il quale, dicevano decine di leggende marinare, la navigazione non era più possibile per la presenza di correnti terribili e di mostri marini
Alla fine, dopo decine di tentativi, il primo a doppiare Capo Bojador fu Gil Eanes.

Tornato in patria, il navigatore affermò che il mare era perfettamente navigabile anche oltre quel limite. Sebbene le condizioni della terraferma, perlopiù desertica, non fossero particolarmente gradite agli esploratori europei, Enrico continuò a organizzare spedizioni.

Nel 1441, Enrico inviò Antonio Gonsalvo, un giovanissimo capitano, a riempire una nave cargo di olio e pelle di foca. Ma Antonio era tremendamente ambizioso, ed ebbe l’idea di spingersi oltre Capo Bojador per catturare degli abitanti locali (i primi due schiavi mai catturati più a sud di Bojador) e portarli a Enrico. Lo raggiunse Nuno Tristao, cui Enrico aveva dato l’ordine di “arrivare il più lontano possibile“, che lo aiutò a catturare una decina di sub-sahariani e poi proseguì fino a Capo Branco, a oltre trecento miglia da Capo Bojador.

colonie portoghesi africa
Collocazione geografica di Capo Branco e dell’Isola di Argum


Nello scontro per catturare i dieci prigionieri, i Portoghesi combatterono con spade e picche, mentre i locali utilizzarono giavellotti, archi e frecce avvelenate con la punta di ferro (che causarono diverse perdite). Come strumento difensivo, questi ultimi avevano uno scudo rotondo, abbastanza grande, che Azurara sosteneva fosse “fatto con un orecchio di elefante”.

Dopo aver portato i primi locali a Enrico, Antonio Gonsalvo tornò nei luoghi della cattura per ottenere un riscatto per la liberazione di Adahu, uno prigioniero che si era rivelato essere un nobile locale. Per Adahu e altri due, Gonsalvo ottenne una decina di schiavi negri e un certo quantitativo di polvere aurea. Per questo motivo, Gonsalvo chiamò Rio d’Oro l’insenatura dove aveva attraccato.

Le narrazioni fantastiche e, soprattutto, l’oro e gli schiavi ricondotti in Portogallo, diedero altro vigore alle mire di Enrico.

Due anni dopo, nel 1443, Nuno Tristao portò le sue imbarcazioni fino all’isola di Arguin, dove catturò quattordici africani che si erano avvicinati a bordo di alcune canoe.

La produzione di Bolle Papali relative all’esplorazione, colonizzazione e riduzione in schiavitù degli abitanti dei nuovi territori fu rilevante. 

Nel 1434, la Creator Omnium di Eugenio IV prevede la scomunica per chiunque riduca in schiavitù i convertiti al cristianesimo delle Canarie;
 nel 1435, la Sicut Dudum chiede, sempre a pena di scomunica, di cessare immediatamente i raid schiavisti nelle Canarie e di rilasciare immediatamente (senza riscatto), tutti i prigionieri. 

Pochi anni dopo, il 19 dicembre 1442, sempre Eugenio IV riconosce, con la Illius qui se pro divini il diritto di continuare la sua crociata contro i saraceni marocchini. La Bolla incontra le critiche dei rivali del Regno di Portogallo, i regnanti di Castiglia, e quindi, tre settimane dopo, Eugenio IV ritorna sulle questioni portoghesi con la Rex Regum, in cui assume una posizione più neutrale nelle contese fra i regni iberici.

Grazie a una carta regia dell’ottobre 1443, Enrico ottenne un diritto di esclusiva sul commercio e le esplorazioni relative alla costa africana; le continue scoperte lo portarono anche a ordinare la redazione di nuove carte nautiche e geografiche, che purtroppo però non sono giunte fino a noi.

Non passò molto prima che avventurieri e navigatori lusitani si rendessero conto delle potenzialità dei traffici africani e di eventuali colonie portoghesi. Il primo a chiedere a Enrico una “licenza” per catturare schiavi africani fu tal Lanzarote, agente del fisco reale a Lagos. La sua prima spedizione, che lo portò a numerose incursioni nei dintorni di Capo Branco, gli fruttò 235 schiavi (e probabilmente un numero doppio o triplo di africani morti negli scontri). 
Ad accompagnarlo, fra gli altri, c’era anche il veterano Gil Eanes.

Secondo gli accordi, a Enrico sarebbe spettato 1/5 degli schiavi catturati (la stessa percentuale prevista dal Corano per il bottino spettante a Maometto, poi traslata anche ai rapporti fra governanti locali e corsari): 46 anime. Azurara narra il loro arrivo con parole che, ancora oggi, sono capaci di suscitare grande compassione:

Quale cuore potrebbe essere così duro da non provare pietà di fronte a questa compagnia 
[di schiavi]? Mentre alcuni rimanevano a testa bassa, scambiandosi sguardi fra di loro, altri piangevano con enorme dolore, guardando verso il cielo e urlando a pieni polmoni, come a supplicare Dio; altri ancora si gettavano in terra con la mani sul viso; alcuni poi si lamentavano con cadenza musicale in base al loro costume. Sebbene non potessimo comprendere le loro parole, la misura della loro disperazione era molto chiara.
Per quanto colpiti dai lamenti degli africani, Lanzarote e i suoi uomini non ebbero problemi a iniziare la spartizione degli schiavi, il tutto alla presenza di Enrico, in sella al suo destriero. Ancora una volta, dagli schiavi arrivarono urla e lamenti; i padri venivano separati dai figli, i mariti dalle moglie, i fratelli dalle sorelle.

Azurara ci informa poi che gli schiavi, divenuti quasi tutti cristiani, erano trattati con grande umanità, alla pari dei servitori nati in Portogallo. Ai giovani veniva insegnato un mestiere e veniva loro permesso di sposarsi, e i più efficienti nel gestire le cose agricole erano liberati e forniti di un pezzo di terra padronale da mettere a frutto. Non mancavano inoltre i casi di vedove portoghesi che, dopo aver comprato delle schiave africane, le adottavano e lasciavano loro porzioni di eredità da portare in dote ai mariti:

Non mi è mai capitato di vedere uno di questi schiavi in catene come gli altri prigionieri, e praticamente nessuno che non sia divenuto cristiano o che sia stato trattato male.

Proprio nel 1444, mentre Lanzarote era sulla via del ritorno, Enrico inviò Gonzalo de Sintra verso la Guinea. Gonzalo era un guerriero, un uomo fisicamente imponente e coraggioso, che dopo la partenza maturò l’idea di cercare bottino nelle isole a largo di Capo Branco. Durante una sortita notturna con dodici dei suoi, rimase bloccato dalla marea in territorio nemico (molti di loro non sapevano nuotare e preferirono aspettare che la marea si ritirasse). Gli indigeni li attaccarono in duecento, arrivando anche dalle isole limitrofe grazie agli ottimi collegamenti via canoa di cui disponevano. In questo occasione, l’acciaio portoghese non poté nulla. Sette morirono, Gonzalo compreso, mentre cinque riuscirono a tornare indietro e fare rotta verso il Portogallo.

Sempre nel 1444 partirono di nuovo Antonio Gonsalvo, accompagnato da Gomez Pirez e Diego Alfonso, e Nuno Tristao. La spedizione guidata dal primo fu un buco nell’acqua, portando indietro solo un africano e un anziano arabo che voleva vedere di persona un regno tanto lontano come il Portogallo; quella guidata da Nuno non andò molto meglio, arrivato all’altezza del fiume Senegal (considerato un affluente occidentale del Nilo) le condizioni metereologiche avverse lo costrinsero a fare ritorno con solo una ventina di schiavi.
le esplorazioni e colonie portoghesi
Progressi portoghesi nel trentennio 1416-1446


L’anno successivo, Dinis Dias si spinse ancora più lontano, fino a Capo Verde, prima di tornare indietro con il solito carico di schiavi.

Sempre nel 1445, ottenne la licenza per inviare tre caravelle anche Gonzalo Pacheco di Lisbona; queste si spinsero forse 300 miglia a sud di Capo Verde. Lì non riuscirono a sbarcare a causa della (motivata) ostilità delle tribù locali, così i portoghesi tornarono verso l’isola di Arguin per fare bottino. Lo scontro per catturare altri schiavi fu molto violento e molti portoghesi morirono sul campo. Secondo le testimonianze dell’epoca, i loro cadaveri vennero divorati dagli indigeni.

Ancora nel 1445, la citata isola di Arguin venne dotata di un avamposto stabile per smistare il traffico di schiavi e di gomma arabica, forse il primo passo nella creazione delle colonie portoghesi in Africa.

Dopo altre spedizioni, spintesi sempre più lontano, nel 1445 o 1446, Nuno Tristao arrivò fino al Rio Grande e tentò di risalirlo con una sola imbarcazione. Ben presto però, Tristan e i suoi furono circondati dalle canoe dei nativi e bersagliati da un fitto tiro di frecce.  Tutti i Portoghesi morirono o furono feriti, compreso lo stesso Tristan. I quattro superstiti, feriti, riuscirono a rientrare in patria dopo due mesi.

Ma le spedizioni portoghesi più importanti del 1445 e 1446 furono portate a termine da Alvaro Fernandes. Nipote di Joao Gonsalvo Zarco, conquistatore e governatore di Madera (colonizzata dal Portogallo a partire dal 1419), Alvaro Fernandes raggiunse Cabo dos Mastos, oggi Cape Naze (sotto l’attuale Dakar) nel 1445. Tornò solo con due schiavi, barili d’acqua del fiume Senegal e qualche arma dei cacciatori locali. Ma si era spinto più lontano di qualunque altro europeo.

Nel 1446 superò di nuovo Cabo dos Mastos, e sbarcò nei pressi di un insediamento diverse miglia più a sud. Gli africani attaccarono i portoghesi con grande foga, ma Fernandes riuscì a uccidere il loro capo e a disperderli. Continuò poi la navigazione verso sud, arrivando fino a un fiume definito Rio Tabite.

Come Nuno Tristao, di cui conosceva la triste fine, anche Fernandes aveva intenzione di risalire il fiume. La lancia messa in acqua per lo scopo fu però aggredita dai locali, e Fernandes fu colpito a una gamba da una freccia avvelenata. Nonostante la febbre alta e le convulsioni, Fernandes riuscì a sopravvivere, ma dopo altri giorni di navigazione verso sud, decise di tornare in Portogallo (anche perché non riusciva a capire se i nativi che seguivano la caravella dalla spiaggia, armati di tutto punto, fossero pacifici o ostili).

Enrico lo ricompensò per essersi spinto più lontano di qualsiasi altro europeo. 
Dopo la spedizione del 1446, per circa dieci anni il Portogallo preferì consolidare i suoi domini

Fu solo nel 1455-56, con l’opera del veneziano Alvise Da Mosto, che le esplorazioni ripresero vigore, raggiungendo l’apice nei decenni successivi.

L’opera di Enrico il Navigatore, dei suoi esploratori, ingegneri navali e cartografi, rappresentò comunque un vero punto di svolta nella storia della navigazione e della formazione dei grandi imperi coloniali.

Il Portogallo stesso, che all’inizio del XV secolo non aveva una tradizione marinara qualitativamente paragonabile a Venezia, in meno di tre decenni divenne il punto di riferimento per tutti i navigatori europei.

Bibliografia:
Davide Bertolotti (cur.) Storia di Portogallo dai primi tempi sino ai di nostri, Tomo II, 1824;
Gomes Eanes de Zurara, Chronica do Descobrimento e Conquista da Guiné, 1453, stamp. 1841;
Brodie Cruickshank, Eighteen Years on the Gold Coast of Africa: Including an Account of the Native Tribes, and Their Intercourse with Europeans, Volume 1, 1853;
A. B. Ellis, A History of the Gold Coast of Western Africa, 1893;
Bailey Wallys Diffie, Foundations of the Portuguese Empire 1415-1580, 1977;
John Vogt, Portuguese Rule on the Gold Coast 1469-1682, 1979;
Trevor P. Hall, Before Middle Passage: Translated Portuguese Manuscripts of Atlantic Slave Trading from West Africa to Iberian Territories 1513-26, 2015.

http://zweilawyer.com/2016/02/19/colonie-portoghesi-in-africa-esplorazioni-e-scoperte-1415-1446/


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