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Disabili, i bravi insegnanti che frenano l’attrazione delle scuole speciali
Riflessioni sul sostegno nella giornata dedicata ai docenti.
Merlo (Ledha):
“Solo in Lombardia sono 16 le scuole speciali.
Sembrano offrire alle famiglie la risposta ideale, però la strada giusta resta l’inclusione".
Nocchetti (Tuttiascuola):
“Ma l’organico inadeguato e la formazione mediocre”
Scuola dell’inclusione o “attrazione speciale”?
E’ la scelta, quasi il dilemma, con cui si misurano ogni anno i genitori di ragazzi con disabilità:
da una parte, la scelta prioritaria, preferenziale e assai più diffusa in Italia per una scuola che sia per tutti, in cui i loro figli studino e crescano accanto ai loro compagni; dall’altra, però, i soliti problemi, le risorse che sono sempre meno, gli insegnanti di sostegno che non arrivano, o che non sono competenti, gli assistenti che non ci sono, le ore che non bastano.
Certo, sono gli insegnanti a fare la differenza: e “viva gli insegnanti che sanno fare bene il loro mestiere: ce ne sono molti, bisogna ringraziarli uno per uno”, ci suggerisce Giovanni Merlo, di Ledha Lombardia, autore del libro “L’attrazione speciale. Minori con disabilità: integrazione scolastica, scuole speciali, presa in carico, welfare locale”.
A lui abbiamo chiesto di lanciare un messaggio nella Giornata mondiale degli insegnanti.
Ed è da questo che bisogna partire: “dalle buone notizie – afferma Merlo – che difficilmente fanno notizia”. In questo caso, la buona notizia è che la scuola italiana è e continua ad essere modello d’inclusione, “è la scuola che non può dire a nessuno: ‘tu qui non entri’. Solo in Lombardia.- riferisce – ci sono quasi 35 mila bambini disabili che frequentano le scuole con tutti gli altri: e tanti di loro, che a chiunque sembrerebbero incompatibili con la scuola, entrano in classe e raggiungono bei risultati”, grazie soprattutto a quei “tanti bravi insegnanti” che oggi bisogna ringraziare.
Finiti i ringraziamenti, però, iniziano i problemi:
“risorse inadeguate, ma soprattutto precarie – riferisce Merlo –.
In Lombardia, per esempio, quest’anno non mancano le cattedre di sostegno, ma gli insegnanti”.
In altre parole, il rapporto tra studenti certificati e numero di cattedre è quasi in regola, ma le cattedre restano vacanti e “virtuali”, perché gli insegnanti di sostegno non ci sono e “il numero di docenti specializzati è notevolmente inferiore alla domanda. Così la macchina parte tardi”: e per settimane, anche per mesi, non riescono a salirci proprio coloro che a piedi non dovrebbero restare.
Per questo, è “molto arrabbiato” Toni Noccheti, che con l’associazione Tuttiascuola ha recentemente scritto una lettera al presidente dalla Repubblica Mattarella per dire che “la cosiddetta ‘buona scuola’ per gli oltre 235.000 alunni disabili italiani oggi non è ancora cominciata” e ricordare che “i promessi 116 mila insegnanti specializzati saranno assolutamente insufficienti con circa 170 mila alunni disabili intellettivi gravi.
Presidente Mattarella – sintetizza Nocchetti - la verità è che a questa politica la disabilità non piace, non piace perché è scomoda, è improduttiva, è costosa”. Il problema, per Nocchetti, è quantitativo e qualitativo: “organici ampiamente insufficienti e composizione delle classi assolutamente inadeguata”.
Qualche esempio? “Nelle superiori, la maggior parte delle classi ha almeno 26 studenti, di cui 2 o 3 con disabilità. La scuola di oggi è frutto di un approccio puramente economico, che la rende fallimentare soprattutto in materia d’inclusione. Sfido il ministro dell’Istruzione e il sottosegretario Faraone e un dibattito pubblico sul tema dell’istruzione dei disabili: dove e quando preferiscono, purché siano presenti giornalisti che possano raccontare le cose come stanno”.
Poi c’è la questione della qualità: e qui Nocchetti è ben più pessimista di Merlo:
“la qualità degli insegnanti di sostegno non c’è.
Perché? Perché l’Italia non ha investito nella formazione, in nessun settore.
Ora, la grande novità è il bonus di 500 agli insegnanti: ma non è così che si fa formazione.
E chiediamoci: come si fanno i corsi di formazione?
Sono frontali oppure on line?
La scuola dell’inclusione richiede una scuola di qualità, mentre il nostro sistema di formazione è di mediocrità, a parte eccellenze e buone pratiche isolate”.
Il risultato di queste carenze?
“Studenti disabili che, nella maggior parte dei casi, vanno a scuola per 3 ore al giorno.
O genitori a cui viene chiesto di riprenderseli urgentemente, perché nessuno li sa gestire.
O, ancora, bambini disabili gravi che nessuno pulisce, perché i bidelli sono ultra cinquantenni con 104 e quindi esonerati dall’assistenza materiale”.
Un quadro decisamente nero, insomma, quello dipinto in pochi tratti da Nocchetti.
Ma che si veda il bicchiere mezzo pieno (come Merlo) o mezzo vuoto (come Nocchetti) quel che è certo è che la scuola italiana dell’inclusione c’è, è un modello per tutto il mondo, ma non naviga in buone acque.
Ed è per questo che “solo in Lombardia ci sono 16 plessi speciali frequentati da circa 900 studenti disabili”, riferisce Merlo. Un dato che Sonia Zen, di Angsa Veneto, commenta con estremo, quasi crudo realismo: “Mi sembra logora la formula che la scuola speciale esclude da una reale inclusione: piuttosto la scuola di tutti è pronta ad includere? – domanda - Ci sono delle belle esperienze nella scuola di tutti ma anche storie di discriminazione. Qui la discriminazione viene dalla mancanza di accoglienza e preparazione adeguata. Sono convinta che nella scuola di tutti ci siano più stimoli per imparare con il rapporto tra pari. Ma quante volte chi pilota l'inclusione sa guidare?”.
Di fatto accade che, di fronte agli “sbandamenti” di questo pilota, tante famiglie si rivolgano alle scuole speciali. “Succede – spiega Merlo – quando la scuola comune non è accogliente, i servizi spingono verso servizi separati e le nostre associazioni non riescono a intercettare queste famiglie. In questo stato di abbandono, la scuola speciale si presenta come quella in grado di dare al ragazzo tutto ciò di cui ha bisogno”. E in alcuni casi, questo può essere vero: soprattutto all’estero e nel mondo anglosassone in particolare, questa è un’opzione molto diffusa tra le famiglie, che si trovano davanti vere e proprie eccellenze: basti pensare alla Crossroads School di Cambridge, frequentata da una quarantina di ragazzi con diversi problemi, dove tutti gli insegnanti, dal primo all’ultimo, con uno staff di insegnanti laureati Aba, come racconta Marina Viola. O come la Queensmill di Londra, dove perfino la mensa e lo chef pare siano specializzati per offrire l’ambiente e il menu migliore per i ragazzi con disturbo autistico.
Ma se intanto va detto che il panorama delle “scuole speciali” italiane è assai meno idilliaco, soprattutto bisogna comprendere che “queste scuole danno tutto, forse, tranne quello di cui il ragazzo ha veramente bisogno: essere riconosciuto come cittadino tra altri cittadini”, afferma Merlo. La strada giusta è quella dell’inclusione, insomma, per quanto sia piena di salite e di ostacoli. “I bambini disabili devono andare a scuola con gli altri – ribadisce Merlo – e dobbiamo essere orgogliosi che questo in Italia accada nella maggior parte dei casi. Per questo chiedo, nel mio libro, che ogni volta che un bambino disabile entra in una scuola speciale, tutti coloro che l’hanno incontrato si chiedano dove hanno sbagliato. Perché quello non è il posto giusto per lui. La scuola speciale è una tentazione, ma le famiglie devono resistere. A noi tutti il compito di migliorare la scuola dell’inclusione, perché è l’unica strada giusta”. (cl)
Redattore Sociale
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