giovedì 5 marzo 2015

Vasilij Grossman. Vita e destino. «Ho appena terminato un grande romanzo a cui ho lavorato per quasi dieci anni...» scriveva nel 1960 Vasilij Grossman, scrittore noto in patria sin dagli anni Trenta (e fra i primi corrispondenti di guerra a entrare, al seguito dell’Armata Rossa, nell’inferno di Treblinka). Non sapeva, Grossman, che in quel momento il manoscritto della sua immensa epopea (che aveva la dichiarata ambizione di essere il Guerra e pace del Novecento) era già all’esame del Comitato centrale. Tant’è che nel febbraio del 1961 due agenti del KGB confischeranno non solo il manoscritto, ma anche le carte carbone e le minute, e perfino i nastri della macchina per scrivere: del «grande romanzo» non deve rimanere traccia. Gli occhiuti burocrati sovietici hanno intuito subito quanto fosse temibile per il regime un libro come Vita e destino: forse più ancora del Dottor Živago. Quello che può sembrare solo un vasto, appassionante affresco storico si rivela infatti, ben presto, per ciò che è: una bruciante riflessione sul male. Del male (attraverso le vicende di un gran numero di personaggi in un modo o nell’altro collegati fra loro, e in mezzo ai quali incontriamo vittime e carnefici, eroi e traditori, idealisti e leccapiedi – fino ai due massimi protagonisti storici, Hitler e Stalin) Vasilij Grossman svela con implacabile acutezza la natura, che è menzogna e cancellazione della verità mediante la mistificazione più abietta: quella di ammantarsi di bene, un bene astratto e universale nel cui nome si compie ogni atrocità e ogni bassezza, e che induce a piegare il capo davanti alle sue sublimi esigenze. «Libri come Vita e destino» ha scritto George Steiner «eclissano quasi tutti i romanzi che oggi, in Occidente, vengono presi sul serio».


 "Il tempo ama soltanto chi ha generato, ama i propri figli, i propri eroi, i propri operai. 
Mai potrà amare i figli del passato, così come le donne non amano gli eroi di tempi ormai andati e le matrigne non amano i figli altrui. 
Così è il tempo: tutto passa lui resta. Tutto resta, il tempo passa. E com'è lieve, silenzioso il suo fluire. Ieri eri ancora sicuro, allegro, forte, figlio del tempo. Oggi un altro tempo è arrivato, ma tu non lo sai ancora."



Perché mai alle bombe atomiche dei nostri nemici dovremmo aggiungere il suo libro?”,
si chiedeva il funzionario del partito incaricato di spiegare le ragioni ideologiche della requisizione.

« Perché dovremmo aggiungere il vostro libro alle bombe atomiche preparate dai nostri nemici contro di noi? Perché dovremmo pubblicare il vostro libro e cominciare una discussione pubblica sul fatto se vi è bisogno o no dell'Unione Sovietica? »
(Parole rivolte a Grossman da Michail Suslov, il potente capo della sezione ideologica del Partito)
A. Graziosi, L'URSS dal trionfo al degrado, p. 259.

«Ho appena terminato un grande romanzo a cui ho lavorato per quasi dieci anni» così Grossman scrive a un amico in una lettera del 1960. Ad ottobre di quell'anno presenta Vita e destino alla rivista sovietica Znamya (Знамя: bandiera). Vadim Kozhevnikov, caporedattore della rivista, letto il manoscritto, informa i funzionari politici bloccandone la pubblicazione.
^ Nadezhda Kozhevnikova, figlia di Vadim Kozhevnikov, ha negato che il padre abbia avvertito la polizia segreta ma ha affermato che "il manoscritto, date le sue pericolose intuizioni, il parallelo tra Hitler e Stalin, il fascismo, il comunismo, doveva essere in ogni caso inviato al Comitato Centrale, al settore ideologico" Ничего нового, chayka.org. URL consultato il 26 giugno 2015.


Il Comitato incaricato dell'esame delle pubblicazioni esamina il romanzo il 19 dicembre 1960, trovandolo "anti-sovietico". Il 14 febbraio 1961, alle 11.40 del mattino, il KGB fa irruzione nell'appartamento di Grossman sulla Begovaja e sequestra il manoscritto, le carte carbone, gli appunti, le copie e persino i nastri delle macchine da scrivere.

Grossman protesta contro questo sequestro scrivendo una lettera a Nikita Kruscev, che allora era il segretario del Partito comunista, subentrato a Stalin. Non sapeva però che Kruscev aveva un'autentica antipatia nei suoi confronti, risalente ai tempi di Stalingrado, quando lo stesso Kruscev era commissario in capo del Partito per le operazioni di guerra e si era aspettato, invano, che Grossman gli facesse un'intervista.

Così scrive Grossman nella sua lettera a Kruscev:
" Io chiedo di restituire la libertà al mio libro, affinché di esso parlino e discutano con me dei redattori, e non i collaboratori del Comitato di Sicurezza Nazionale. Non c'è senso, non c'è verità nell'attuale stato delle cose – nella mia libertà materiale, quando il libro al quale ho dedicato la vita si trova in prigione – visto che io l'ho scritto, visto che non l'ho rinnegato e non lo rinnegherò. Ritengo, come prima, di aver scritto la verità, di averla scritta amando e compiangendo gli uomini, credendo negli uomini. Io chiedo la libertà per il mio libro…"
Vasilij Grossman: una traduzione inedita, ed una lettera a Chruščev., quattrocentoquattro.com. URL consultato il 24 giugno 2015.



 Vasilij Grossman, Vita e destino, Adelphi.
https://it.wikipedia.org/wiki/Vita_e_destino#cite_ref-5





“In quest’epoca tremenda, un’epoca di follie commesse nel nome e nella gloria di Stati e nazioni o del bene universale, e in cui gli uomini non sembrano più uomini ma fremono come rami d’albero e sono come la pietra che frana e trascina con sé le altre pietre riempiendo fosse e burroni, in quest’epoca di terrore e di follia insensata, la bontà spicciola, granello radioattivo sbriciolato nella vita, non è scomparsa”.



Discutere con i capi è come pisciare controvento.
Quando la disperazione più nera e lo scoramento vengono scalzati dalla percezione lancinante dell’orrore, in nostro soccorso sopraggiunge l’oppio assurdo dell’ottimismo.
C’erano persone in presenza delle quali qualunque verità suonava falsa.
L’amicizia è uno specchio in cui l’uomo si riflette. A volte, chiacchierando con un amico impari a conoscerti e comunichi con te stesso… Capita che l’amico sia una figura silente, che per suo tramite si riesca a parlare con se stessi, a ritrovare la gioia dentro di sé, in pensieri che divengono chiari e visibili grazie alla cassa di risonanza del cuore altrui. L’amico è colui che ti perdona debolezze, difetti e vizi, che conosce e conferma la tua forza, il tuo talento, i tuoi meriti. E l’amico è colui che, pur volendoti bene, non ti nasconde le tue debolezze, i tuoi difetti, i tuoi vizi. L’amicizia si fonda dunque sulla somiglianza, ma si manifesta nella diversità, nelle contraddizioni, nelle differenze. Nell’amicizia l’uomo cerca egoisticamente ciò che gli manca. E nell’amicizia tende a donare munificamente ciò che possiede.
Nadja si zittì, il suo viso pareva vecchio, avvizzito, brutto. Voltò le spalle al padre, che riuscì comunque a cogliere un suo sguardo: restò folgorato dall’odio con cui la figlia lo guardava.
Ci si sentiva soffocare, lì dentro, l’aria era satura di cattiveria, di acredine. Ciò che per anni era rimasto nell’ombra come in ogni famiglia o quasi – affiorando per qualche istante per poi tornare a quietarsi, placato dall’amore e dalla fiducia – era salito in superficie, sgorgava e fluiva copiosamente, riempiendo la loro vita, ed era come se tra padre, madre e figlia ci fossero solo incomprensioni, sospetti, rabbia, biasimo.
Evidentemente il suo quieto disprezzo piramidale si estendeva anche a Einstein.
E in quella scena banalissima, sotto il cielo infinito di una terra senza fine, tutto era saturo di una tristezza crepuscolare.
Quando si volge al passato, la mente umana usa sempre un setaccio dai fori molto piccoli per filtrare il grumo degli eventi, e getta sempre via le sofferenze dei soldati, il loro sconforto, la loro nostalgia.


Vasilij Grossman. Vita e destino.
Sulla prima pagina del romanzo, al secondo paragrafo, si legge:
"Non aveva piovuto, ma all’alba il terreno era umido e, quando si accendeva il semaforo, sull’asfalto bagnato si spandeva un alone rossastro. Il respiro del lager si percepiva a chilometri di distanza – lì convergevano i fili della luce, sempre più fitti, la strada e la ferrovia. Era uno spazio riempito di linee rette, uno spazio di rettangoli e parallelogrammi che fendevano la terra, il cielo d’autunno, la nebbia. Sirene lontane – un ululato lungo e sommesso."


La ferocia disumana dell'enorme lager si esprimeva in quella regolarità perfetta.
Pagina 13


Si sarebbe potuto credere che per gestire l'enorme massa dei perseguitati servisse un numero enorme, un esercito di milioni - o quasi - di sorveglianti e sentinelle. Invece no. Passavano intere settimane senza nemmeno l'ombra di una SS! erano i detenuti a farsi carico del servizio di polizia all'interno delle città-lager. Erano i detenuti a far rispettare l'ordine dentro alle baracche, a controllare che nel paiolo ci fossero solo patate marce e guastate dal gelo e a curarsi che quelle più grandi e belle finissero ai depositi alimentari dell'esercito.
Prigionieri erano i dottori e i batteriologi negli ospedali e nei laboratori del campo, prigionieri gli spazzini che pulivano i marciapiedi, e gli ingegneri che al campo fornivano luce, calore, ricambi per i macchinari.
Pagina 16


"Ho temprato la mia fede all'inferno. É uscita dal fuoco dei forni crematori, dal cemento delle camere a gas, la mia fede. E ho visto che nella lotta contro il male non é l'uomo ad essere impotente: per quanto poderoso, il male non puó nulla nella sua guerra contro l'uomo"

[..] fa gridare una donna che va incontro alla morte dicendo al figlio:
VIVI, VIVI, VIVI PER SEMPRE”.


Vasilij Grossman. Vita e destino.
"Che cos'è la bontà? Esiste la bontà di tutti i giorni? E' la bontà della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero, la bontà del soldato che fa bere dalla sua borraccia un nemico ferito, la bontà della gioventù che ha pietà della vecchiaia, la bontà del contadino che nasconde un vecchio ebreo nel fienile. La bontà delle guardie che, a rischio della propria libertà, fanno avere a mogli e madri le lettere dei prigionieri. La bontà illogica. La bontà degli uomini al di là del bene religioso e sociale. Avendo dubitato del bene umano, sono costretto a dubitare anche della bontà. E' troppo debole. A che serve se non è contagiosa? E' delicata, bella e delicata come la rugiada. Come trasformarla in forza senza inaridirla, senza disperderla. Perchè la bontà è forte sino a quando è priva di forza. Ora conosco la vera forza del male. I cieli sono vuoti. Sulla terra c'è soltanto l'uomo. Eppure quanto più si estendono le tenebre del nazismo, tanto più constato che gli uomini restano - imperterriti - uomini, persino sul ciglio di una fossa sanguinante o sulla soglia di una camera a gas. E ho visto che nella lotta contro il male non è l' uomo a essere impotente: per quanto poderoso, il male non può nulla nella sua guerra contro l'uomo. La bontà è debole, fragile: questo è il segreto della sua immortalità. Essa è invincibile. Più è sciocca, più è illogica e indifesa, tanto più è imponente. Il male non può nulla contro la bontà! Profeti, apostoli, riformatori, leader, capi delle nazioni nulla possono contro di essa. La bontà, amore cieco e muto, è il senso dell' uomo. La storia degli uomini non è dunque la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male. La storia dell' uomo è la lotta del grande male che cerca di macinare il piccolo seme dell' umanità. Ma se anche in momenti come questi l' uomo serba qualcosa di umano, il male è destinato a soccombere."


Ikonnikov, uno dei personaggi russi imprigionati in un lager nazista, si interroga sul bene e sul male e conclude dicendo che il male non vincerà mai,” perché non è l’uomo che è impotente contro il male, ma perché è il male che è impotente contro l’uomo e la sua umanità più profonda: la bontà.”


il potente male è senza forza quando lotta con l’uomo […] il male non può riportare la vittoria definitiva”.


"Gli uomini sanno come vincerla, la paura: i bambini azzardano qualche passo nel buio, i soldati vanno in battaglia, qualcuno decide persino di saltare nel vuoto col paracadute. Quella, però, era una paura speciale, pesante, insormontabile per milioni di persone, una paura scritta a orride lettere rosso cangiante nel piombo del cielo di Mosca: Gosstrach*..."
* gioco di parole per "paura di Stato"



"Che cosa può fare l’uomo, nelle grinfie della Storia, succube della collera dello Stato? 
Soltanto cercare di difendere, a tutti i costi, il suo diritto di chiamarsi uomo."





...dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne.
Pagina 14


"Non ci credo, io,nel bene. Io credo nella bontà."
"Dunque, a sentire lei, dovremmo inorridire anche quando, a fin di bene, qualcuno impiccherà Hitler. Inorridisca lei, mi faccia il favore" gli ribattè Michail Sidorovic.
"Se lo chiede a Hitler, "disse Ikonnikov  "le dirà che anche questo lager è a fin di bene."
Pagina 23


E più parlavano, più discutevano, meno si capivano
Finché a un certo punto smisero di parlare, pieni d'odio e di disprezzo reciproco.
In quel mugolare di muti e parlare tra ciechi, nella mescola densa di uomini tenuti insieme dall'orrore, dalla speranza e dal dolore, nell'incomprensione di odio di gente che - comunque - parlava la stessa lingua, prendeva tragicamente forma una delle peggiori catastrofi del XX secolo.
Pagina 27


...dobbiamo essere felici che i nazisti ci odino. Noi odiamo loro e loro odiano noi. 
Lo capisci o no? Prova a pensare, invece se finissi nei lager di casa tua. 
Imprigionato dai tuoi. E' questa la sciagura vera.
Pagina 28


Chi, quella notte, si fosse trovato sulla riva del Volga scossa da boati di ogni sorta, avrebbe potuto pensare che un destino avverso l'avesse condotto a Stalingrado durante l'attacco decisivo; per i militari di lunga data, invece, la notte era il momento migliore per radersi, fare il bucato e scrivere lettere, il momento in cui meccanici, tornitori, saldatori e orologiai del fronte aggiustavano gli orologi a cucù e confezionavano accendini, bocchini e lampade con i bossoli, usando qualche lembo di cappotto come stoppino.
Pagina 30



Quella musica gli aveva fatto capire che cos'è il tempo.
Il tempo è lo spazio trasparente in cui gli uomini nascono, si muovono e scompaiono senza lasciare traccia... Nel tempo nascono e scompaiono anche le grandi città. Il tempo le crea e il tempo le distrugge. La sua, invece, era una concezione del tempo diversa, particolare. Quella che fa dire: 
«Ai miei tempi... Non è il nostro tempo, questo...».
Pagina 42


Il tempo confluisce nell'uomo e nel suo regno, vi si annida, e poi passa, si dilegua, ma l'uomo e il regno restano...il regno c’è ancora, il suo tempo è passato…L’uomo c’è ancora, il suo tempo è svanito…Non c’è niente di peggio dell’essere figliastri del proprio tempo. Non c’è sorte peggiore di chi vive un tempo non suo…il tempo ama soltanto chi ha generato, ama i propri figli, i propri eroi, i propri operai. Mai potrà amare i figli del passato, così come le donne non amano gli eroi di tempi oramai andati e le matrigne non amano i figli altrui. Così è il tempo: tutto passa, lui resta. Tutto resta, il tempo passa. E come è lieve e silenzioso il suo fluire. Ieri eri ancora sicuro, allegro, forte, figlio del tempo. Oggi un altro tempo è arrivato, ma tu non lo sai ancora.
Dal violino di compensato del barbiere Rubincik usciva il tempo dilaniato dalla battaglia. Il violino diceva agli uni che era giunto il loro momento, agli altri che il loro tempo era scaduto.”
Pagina 45


"Quella mattina d'ottobre il maggiore Berezkin si svegliò, pensò alla moglie, alla figlia e all'artiglieria pesante
(pag. 52); 



E questo sarebbe l'incipit della lettera lunga ben 12 pagine, secondo Adelphi,. 
Viktor Strum è un ebreo scienziato fisico, docente, lavora in un Istituto di ricerca, sposato, una figlia. Il nome della madre è Anna Semionovna, medico. La lettera è una lettera di addio perché la madre insieme agli altri ebrei rinchiusi nella "città vecchia" di Kazan, sarebbe stata fucilata poi sepolta in una delle fosse comuni. L'anno 1941.

"Viktor caro,
per quanto mi trovi oltre la linea del fronte e dietro il filo spinato di un ghetto ebraico, sono convinta che questa lettera giungerà fino a te. Non riceverò la tua risposta, ...... perchè non ci sarò più. Voglio, però che tu sappia come sono stati i miei ultimi giorni: mi sarà più facile, così, lasciare questa vita.
Gli uomini sono difficili da capire, Viktor caro.... Il 7 .... i tedeschi sono entrati in città. Ai giardini pubblici la radio  trasmetteva le ultime notizie, io tornavo dal Policlinico. avevo visitato alcuni malati, e mi fermai ad ascoltare il ... di guerra. Lo leggeva una donna, in ucraino. D'un tratto degli spari lontani, poi notai alcune persone che correvano attraverso il parco e ripresi la via di casa, meravigliata di non aver sentito l'allarme antiaereo. All'improvviso..... carro armato e udii una voce: "i tedeschi!". "Non diffonda il panico, lei!!" mi scappò detto, Prima ero passata dal segretario del Soviet cittadino per chiedergli quando ci avrebbero fatto sfollare. "E' presto.....
Pagina 73




Vasilij Grossman. Vita e destino.
[...] Ci sono parole d'uomo in grado di esprimere il mio amore per te? Ti bacio, bacio i tuoi occhi, la tua fronte, i capelli. Ricordati che l'amore di tua madre è sempre con te, nella gioia e nel dolore, e che nessuno potrà mai portartelo via. [...] Vivi, vivi per sempre... Mamma.
Pagina 85



Vasilij Grossman. Vita e destino.
Il secolo di Einstein e Planck era diventato anche il secolo di Hitler. 
La Gestapo e il Rinascimento scientifico erano figli della stessa epoca. Com'era umano il secolo XIX, il secolo della fisica ingenua, rispetto al XX: il XX secolo aveva ucciso sua madre. 
I principi del nazismo e della fisica contemporanea si somigliavano in modo terrificante.
Il nazismo aveva respinto il concetto di individuo singolo, il concetto di "persona", e agiva per insiemi enormi. La fisica contemporanea parlava di maggiori o minori probabilità dei fenomeni nel tale o talaltro insieme di individui fisici. Ma nel suo meccanismo spaventoso il nazismo non si fondava forse sulla legge della politica dei quanti, della probabilità politica?
Il nazismo era pervenuto all’idea di eliminare interi strati della popolazione, insiemi legati dalla razza e dall’etnia, sulla base del fatto che in quegli strati e sottostrati la probabilità di un’opposizione nascosta era maggiore che altrove. La meccanica delle probabilità e degli insiemi umani.” E invece no! Il nazismo è destinato a perire proprio perchè vuole applicare all'uomo le leggi degli atomi e dei ciottoli! Uomo e nazismo non possono convivere. Se vince il nazismo, l'uomo cesserà di esistere, resteranno solamente delle creature antropomorfe con'un anima manomessa. Se invece sarà l'uomo a vincere, l'uomo tornerà libero, razionale e buono, il nazismo perirà e gli umiliati torneranno a essere uomini.
Pagina 85



Il fascismo e l’uomo non possono coesistere. Quando il fascismo vince, l’uomo smette di esistere, restano solo degli umanoidi, a immagine d’uomo. Ma quando a vincere è l’uomo, dotato di ragione e bontà, allora il fascismo muore e chi accetta questa nuova realtà torna uomo.”






Lo spirito del partito e i suoi interessi dovevano permeare ogni responso in qualsiasi circostanza, si trattasse di decidere le sorti di un bambino da mandare in orfanotrofio, di riorganizzare la cattedra in biologia o di sfrattare da un locale di proprietà della biblioteca un laboratorio che produceva manufatti in plastica. Lo spirito del partito doveva permeare anche l'atteggiamento dei dirigenti verso qualunque questione, libro o quadro, e dunque, per quanto difficile fosse, se gli interessi del partito contraddicevano le simpatie personali, si era tenuti a rinunciare senza un battito di ciglia a eventuali consuetudini o al libro preferito. Getmanov, tuttavia,sapeva che c'era un livello ancora più alto d'appartenenza al partito, dove nessuno aveva inclinazioni o simpatie proprie, e dove ciascuno aveva a cuore solo e soltanto ciò che stava a cuore al partito.
Pagina 92



Quando parlavano con lei, gli uomini non mancavano mai di notare che era una bella donna, ed
Evgenija Nikolaevna lo sentiva. Grisin, invece, la guardava come si guardano le vecchie lacrimose e gli invalidi: in quell'ufficio non era più una persona, non era più una giovane donna, era solo una questuante.
Pagina 113


L'anima passa attraverso mille tormenti, costruisce per anni, a volte per decenni, pietra dopo pietra, il suo tumulo, prima di arrivare ad ammettere una perdita eterna, prima di rassegnarsi all'evidenza.
Pagina 140


Abarcuk aveva sempre odiato gli opportunisti,i doppiogiochisti e i "socialmente estranei",i non comunisti,insomma. La sua forza interiore,la sua fede erano il suo potere discrezionale. Aveva dubitato della moglie e si era separato. Non l'aveva creduta capace di fare del figlio un combattente inflessibile e aveva deciso di non dargli il suo nome. Combatteva i dubbiosi, disprezzava chi si piangeva addosso e le persone di poca fede. Aveva portato in tribunale gli ingegneri del Kuzbass che avevano nostalgia della famiglia a Mosca. Aveva fatto condannare quaranta operai socialmente ambigui che avevano lasciato il quartiere per tornare al paese. E aveva rinnegato suo padre, un borghese.
Pagina 170



"Il vecchio prese la gallina, borbottò qualcosa, la bestiola chiocciò fiduciosa, dopo di che il vecchio fece un movimento rapido, impercettibile, ma evidentemente tremendo e lanciò l’animale alle sue spalle. La gallina strepitò, corse via sbattendo le ali, e David si accorse che non aveva più la testa, che a correre era solo un corpo decapitato: il vecchio l’aveva ammazzata. Fatto qualche passo, il moncherino stramazzò, grattò la terra con le sue zampette giovani e forti e disse addio alla vita.
Quella notte gli sembrò che la stanza fosse invasa dall’odore acre delle vacche abbattute e dei loro piccoli sgozzati. Quel giorno la morte nel bosco finto, dove un lupo finto si avvicinava furtivo a un capretto finto, lasciò per sempre le pagine del libro. David capì che anche lui sarebbe morto, e non come nella favola, non come nel libro illustrato, ma per davvero, sul serio.
Capì che un giorno sarebbe morta anche sua madre. E per lui come per lei, la morte sarebbe arrivata non da un bosco fatato con gli abeti persi nelle tenebre, ma dall'aria, dalla vita, dalle pareti domestiche, e non ci sarebbe stato modo di sfuggirle.
Capì la morte con la chiarezza e la profondità di cui sono capaci i bambini piccoli e i grandi filosofi, che sanno pensare con la semplicità e la forza dei sentimenti di un bambino."
Pagina 174


Vasilij Grossman. Vita e destino.
"uno dei tratti più stupefacenti della natura umana è la remissivitàCi furono casi in cui in prossimità del patibolo si formavano code lunghissime che le vittime stesse provvedevano a regolare ... consapevoli dell'arresto milioni di innocenti preparavano per tempo un fagotto con la biancheria e un asciugamano e per tempo si congedavano dai propri cari. milioni di persone vissero in lager giganteschi che non solo avevano costruito, ma che erano loro stessi a sorvegliare"
il passo continua con l'ammissione che sommosse e tentativi di protesta, ci furono, ma nulla in confronto alla "remissività della massa che resta un fatto inconfutabile".
la conclusione qual è? non un "nuovo tratto della natura umana. no, piuttosto un nuovo modo, tremendo di plagiare gli esseri umani. la violenza estrema dei sistemi totalitari si è mostrata capace di paralizzare i cuori su interi continenti"
Pagina 178



Quando la disperazione più nera e lo scoramento vengono scalzati dalla percezione lancinante dell'orrore, in nostro soccorso sopraggiunge l'oppio assurdo dell'ottimismo.
Pagina 181


"Di lì a poco Sof'ja Osipovna smise di suscitare l'interesse del vagone e divenne l'ennesimo passeggero di quel treno, ignara come gli altri di dove la stessero portando e perché. 
Nessuno le chiese il suo nome, e anche il cognome venne presto dimenticato.
Era sconcertata: c'erano voluti pochi giorni per percorrere a ritroso il cammino da uomo a bestia sporca, infelice, senza nome né libertà, laddove la strada per diventare esseri umani si era allungata per milioni di anni". 
(pag. 181)



In uno stato totalitario la violenza è talmente grande che smette di essere strumento e diventa oggetto di culto.
(...) Uno dei modi grazie ai quali il nazismo plagia l'uomo è rendendolo cieco - o quasi - a tutto. L'uomo non si capacita di essere destinato allo sterminio. L'ottimismo di chi ha un piede nella fossa lascia attoniti. E' una speranza folle, a volte disonesta, altre vile, a generare la remissività che a tale speranza si addice: patetica, quando non vile anch'essa.
Pagina 197



Il desiderio congenito di libertà non può essere amputato; lo si può soffocare, ma non distruggere.
Il totalitarismo non può fare a meno della violenza. Se vi rinunciasse, cesserebbe di esistere.
Il fondamento del totalitarismo è la violenza: esasperata, eterna, infinita, diretta o mascherata.
L'uomo non rinuncia mai volontariamente alla libertà.
Pagina 198



"- Se ne stanno belli nascosti a scrivere, quei figli di buona donna, non vedono nulla di persona, restano oltre il Volga, nelle retrovie. Lev Tolstoj, lui sí, ha scritto Guerra e pace. Lo leggono da cent'anni e lo leggeranno per altri cento. Perché? Perchè c'era anche lui a combattere, e sapeva di chi bisognava scrivere. - Mi perdoni compagno generale, disse Krymov, ma Tolstoj non ha mai combattuto. -Come sarebbe che non ha mai combattuto? Chiese il generale. - Sarebbe che non ha combattuto, disse Krymov , ai tempi della guerra con Napoleone Tolstoj non era neanche nato. - Sul serio? Domando a sua volta Gurev, E com'è che non era nato? Chi gliel'ha scritto allora quel libro se non era ancora nato, eh, che mi dice?


(pag. 220).

A pagina 266 di “Vita e Destino”, uno dei personaggi di Grossmann ci riferisce che: 
Čechov ha detto che l'importante è che gli uomini siano prima di tutto uomini e solo poi arcipreti, russi , bottegai, tatari, operai. Lo capite? Non siamo buoni o cattivi perché siamo arcipreti o operai, tatari o ucraini. Siamo tutti uguali perché siamo tutti esseri umani”.


A pagina 267, lo stesso personaggio che parlava di Čechov dice: 
Quando proclama di non volersi opporre al male con la violenza è intollerante persino Tolstoj, perché -e soprattutto- non ha in mente l'uomo, ma Dio. Per lui ciò che conta è che trionfi l'idea della bontà, ma gli uomini di Dio cercano sempre di inculcartelo con la forza, il Divino, e in Russia, poi, non si fermano di fronte a nulla: ti infilzano, ti ammazzano. Čhechov ha detto: Dio si faccia da parte e si facciano da parte le cosiddette grandi idee progressiste. Partiamo dall'uomo, mostriamogli bontà e attenzioni chiunque egli sia”.



Chi ti dà contro tutta una vita ne diventa parte suo malgrado.
Pagina 283


Quando la giornata è fatta solamente di frastuono e sei immerso fino alle orecchie nel calderone della guerra, non la vedi, la tua vita, non la capisci: serve almeno un passo indietro. Solo sulla riva lo sguardo coglie tutta l'imponenza del fiume. Eri davvero tu, qualche minuto prima, in quella furia di acqua e schiuma?
Pagina 238



Ne aveva scritto il poeta Chodasevic (...)
Passa un viandante, si regge a un bastone,
non so perché, ma penso a te,
passa una carrozza, ha le ruote rosse,
non so perché, ma penso a te.
Questa sera hanno acceso una luce in corridoio,
non so perché, ma penso a te.
Qualunque cosa accada, in terra, per mare
o in cielo, è a te che penso ...
Pagina 290



A volte l'amicizia è egoista, altre è incline all'abnegazione. Ma, per quanto suoni strano, l'egoismo dell'amicizia avvantaggia l'amico in modo disinteressato, laddove l'abnegazione ha un fondo di egoismo.
Pagina 341

"Capita che l'amico sia una figura silente, che per suo tramite si riesca a parlare con sé stessi, a ritrovare la gioia dentro di sé, in pensieri che divengono chiari e visibili grazie alla cassa di risonanza del cuore altrui. [...]  L'amico è colui che ti perdona debolezze, difetti e vizi, che conosce e conferma la tua forza, il tuo talento, i tuoi meriti."
Pagina 342


Grossman in un dialogo tra un detenuto sovietico (Mostovskoï, un vecchio bolscevico) e un ufficiale delle SS (Liss, un rappresentante di Himmler nel campo) fa dire a quest'ultimo un parallelo tra il regime staliniano e quello hitlerano:
Quando io e lei ci guardiamo in faccia, non vediamo solo un viso che odiamo. È come se ci guardassimo allo specchio. È questa la tragedia della nostra epoca. Come potete non riconoscervi in noi, non vedere in noi la vostra stessa volontà? Il mondo non è forse pura volontà anche per voi? Vi si può forse indurre a esitare? Vi si può fermare?». Liss avvicinò il viso a quello di Mostovskoj. «Mi segue? Non parlo bene la sua lingua, ma vorrei che mi capisse. Voi credete di odiarci, ma è solo un'impressione: odiando noi odiate voi stessi. Tremendo, vero? Mi capisce?». E se dovessimo vincere? Voi non ci sareste più e noi, i vincitori, ci ritroveremmo soli contro un mondo che non conosciamo e che ci odia.
Sarebbe stato facile confutare le parole di quell’uomo…Ma c’èra qualcosa ancor più raccapricciante e pericoloso delle parole di un esperto provocatore delle SS. Una corda che vibrava, ora timida, ora maligna, nel cuore e nel cervello di Mostovskoj. I dubbi rivoltanti che già nutriva senza bisogno di parole altrui.
Liss continuava a parlare…“…Due poli! Proprio così! Perché se così non fosse, oggi non combatteremmo questa guerra tremenda. Siamo i vostri peggiori nemici, è vero. Ma se noi vinciamo, vincete anche voi. Mi capisce? E se anche vinceste voi, noi saremmo spacciati, sì, ma continueremmo a vivere nella vostra vittoria. E’ una sorta di paradosso: se perdiamo la guerra, la vinciamo e ci sviluppiamo in un’altra forma pur conservando la nostra natura”.
Mostovskoj non aveva paura delle torture. A spaventarlo, piuttosto, era l’idea che quel tedesco non stesse mentendo, ma dicesse la verità. Che avesse solo voglia di parlare. Orrore: erano entrambi malati, tormentati dalla stessa malattia, però uno resisteva e parlava, mentre l’altro restava in silenzio, si nascondeva. Ma ascoltava, ascoltava eccome.
“…Se togliamo la guerra e i suoi prigionieri, chi ci resta nei nostri Lager? Senza la guerra ci restano i nemici del partito, i nemici del popolo. Gente che lei conosce, che è anche nei vostri Lager. Eppure e anche in tempo di pace, se la Direzione della sicurezza del Reich si trovasse ad assorbire i vostri prigionieri nel nostro sistema, stia certo che non li libereremmo nemmeno noi: i vostri prigionieri sono i nostri prigionieri”.
“…Conoscere le lingue straniere tornerebbe comodo nei vostri lager quanto nei nostri. Oggi vi spaventa l’odio che proviamo per gli Ebrei, ma domani potreste far tesoro della nostra esperienza. E dopodomani potreste quasi tollerarci…”.
“…Una cosa mi tormenta, però: voi avete ucciso milioni di persone e gli unici a capire che andava fatto siamo stati noi tedeschi! E’ verissimo! E si sforzi di capire quel che intendo. Deve farle orrore, questa guerra…”.
Un nuovo pensiero fulminò Mostovskoj….
Se i suoi dubbi non fossero stati segno di debolezza, di scarsa forza, di bieca ambiguità, di stanchezza e sfiducia? Se i dubbi che ogni tanto lo coglievano alla sprovvista, ora timidi, ora maligni, fossero stati proprio quanto di più puro aveva dentro di sé?...
…Per respingere Liss…doveva abiurare ciò per cui aveva vissuto tutta la vita, condannare quanto aveva difeso e giustificato…
…No, non bastava ancora! Non doveva condannare, ma odiare con tutta l’anima e con tutta la sua passione di rivoluzionario i lager…Stalin e la sua dittatura! No, no, neanche questo bastava! Lenin andava condannato! Giù, fino all’orlo dell’abisso!
Liss aveva finalmente vinto. Non la guerra sui campi di battaglia, ma quella incruenta e piena di veleno che il funzionario della Gestapo stava combattendo contro di lui.
Gli sembrava di impazzire.
…Poi, però, tirò un sospiro di sollievo…L’ossessione era durata giusto qualche istante…
Liss lo fissò…poi riprese a parlare:”Crede che oggi guardino a noi con orrore e a voi con affetto e speranza? Si fidi: chi guarda noi con orrore prova lo stesso sentimento verso di voi”.
“…A cosa si deve tanta ostilità tra noi? Non capisco…Voi non avete la proprietà privata e noi sì? Da voi fabbriche e banche appartengono al popolo? Voi siete internazionalisti e noi predichiamo l’odio razziale? Noi abbiamo appiccato le fiamme e voi state cercando di spegnerle?...
Sciocchezze! Non c’è nessun abisso tra noi!
“…I nostri capitalisti non sono i nostri padroni. E’ lo Stato a fornire loro un piano e un programma. E’ lo Stato ad intascare produzione e profitto. Per sé tengono il sei per cento degli utili, è questo il loro stipendio. E il vostro Stato di partito fa lo stesso. Fornisce un piano e un programma e intasca la produzione. E dà uno stipendio a quelli che voi chiamate padroni, gli operai”.
“La bandiera rossa sventola anche sul nostro Stato popolare, anche noi chiamiamo all’unità nazionale, alla cooperazione, anche noi diciamo: “Il partito esprime il sogno dell’operaio tedesco”. E anche voi usate parole come “popolo” e “lavoro”. E come noi sapete che il nazionalismo è la grande forza del XX secolo…E il socialismo in un solo paese è la forma suprema di nazionalismo! Non capisco perché dobbiamo essere nemici…Ci sono due grandi rivoluzionari al mondo: Stalin e il Führer. La loro volontà ha generato il socialismo nazionalista dello Stato. Per me essere vostri fratelli è più importante che combattervi per aprirci un varco ad oriente. Le due case che stiamo costruendo devono stare fianco a fianco.
Ma ora, maestro, vorrei lasciarla…perché lei possa riflettere bene…
“E perché mai? E’ idiota. Assurdo. Non ha senso…”.
No, non è affatto ridicolo. Io e lei dobbiamo capire che il futuro non si decide sul campo di battaglia. Lei ha conosciuto Lenin. Lenin ha creato un partito di tipo nuovo. E’ stato il primo a capire che un partito e il suo leader sono i soli ad esprimere la volontà di un paese…Anche Stalin ci ha insegnato molto. Il socialismo in un solo paese esige che si elimini la libertà di seminare e di vendere e Stalin non ha esitato a far fuori milioni di contadini. Hitler s’è reso conto che il socialismo nazionalista tedesco aveva un nemico:l’ebraismo. E ha deciso di eliminare milioni di Ebrei…Io ho parlato, lei ha taciuto, ma so di essere il suo specchio”.
Pagina 364


"Quando io e lei ci guardiamo in faccia, non vediamo solo un viso che odiamo. E' come se ci guardassimo allo specchio. E' questa la tragedia della nostra epoca. Come potete non riconoscervi in noi, non vedere in noi la vostra stessa volontà? Il mondo non è forse pura volontà anche per voi? Vi si può forse indurre a esitare? Vi si può fermare?"
Liss avvicinò il viso a quello di Mostovskoj.
"Mi segue? Voi credete di odiarci, ma è solo un' impressione: odiando noi odiate voi stessi. Tremendo vero? Mi capisce? Mi segue? Attacchiamo voi, ma in realtà colpiamo noi stessi. I nostri blindati non hanno violato solo i vostri confini, ma anche i nostri, c' è il nazionalsocialismo sotto i loro cingoli. E' terribile, è come sognare il suicidio. Può finire in tragedia, per noi. Mi capisce? E se dovessimo vincere...Voi non ci sarete più, e noi, i vincitori, ci ritroveremo soli contro un mondo che non conosciamo e che ci odia".
Pagina 376


...la tragedia di Napoleone consisteva nell'essere l'espressione dell'anima inglese pur avendo nell'Inghilterra il suo peggior nemico.
Pagina 377


Due poli! Perché se così non fosse, oggi non combatteremmo questa guerra tremenda. Siamo i vostri peggiori nemici, è vero. Ma se noi vinciamo, vincete anche voi. Mi capisce? E se anche vinceste voi, noi saremmo spacciati, sì, ma continueremmo a vivere nella vostra vittoria. E' una sorta di paradosso: se perdiamo la guerra, la vinciamo e ci sviluppiamo in un' altra forma pur conservando la nostra natura.
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 A cosa si deve tanta ostilità, tra noi? Voi non avete la proprietà privata della terra e noi sì? 
Da voi fabbriche e banche appartengono al popolo? Voi siete internazionalisti e noi predichiamo l' odio razziale? Noi abbiamo appiccato le fiamme e voi state cercando di spegnerle? L' umanità odia noi e guarda con speranza alla vostra Stalingrado? Sciocchezze! Non c'è nessun abisso tra di noi! Se lo sono inventato. Siamo due ipostasi della stessa sostanza: uno Stato di partito. I nostri capitalisti non sono i nostri padroni. E' lo stato a fornire loro un piano e un programma. E' lo stato a intascare produzione e profitto. Per sé tengono il sei per cento degli utili, è questo il loro stipendio. E il vostro Stato di partito fa lo stesso: fornisce un piano e un programma e intasca la produzione. E dà uno stipendio a quelli che voi chiamate padroni, gli operai.
La bandiera rossa sventola anche sul nostro Stato popolare, anche noi chiamiamo all' unità nazionale, alla cooperazione, anche noi diciamo: "Il partito esprime il sogno dell' operaio tedesco". E anche voi usate parole come popolo e lavoro. E come noi sapete che il nazionalismo è la grande forza del XX secolo. Il nazionalismo è l' anima della nostra epoca. E il socialismo in un solo paese è la forma suprema di nazionalismo! Non capisco perché dobbiamo essere nemici.
Ci sono due grandi rivoluzionari al mondo: Stalin e il Fuhrer. La loro volontà ha generato il socialismo nazionalista dello Stato. Per me essere vostri fratelli è più importante che combattervi per aprirci un varco a oriente. Le due case che stiamo costruendo devono stare fianco a fianco.
Pagina 382


Il socialismo in un solo paese esige che si elimini la libertà di seminare e di vendere, e Stalin non ha esitato a far fuori milioni di contadini. Hitler s'è reso conto che il socialismo nazionalista tedesco aveva un nemico: l'ebraismo. E ha deciso di eliminare milioni di ebrei. Hitler non è solo un allievo, però, è anche un genio!
Pagina 383

Vasilij Grossman. Vita e destino.
In che cosa consiste il bene? A chi lo si fa? Chi lo fa? Esiste un bene comune, applicabile a ogni uomo, a ogni razza, a ogni circostanza? Oppure il mio bene è il tuo male, e il bene del mio popolo il male del tuo? E' eterno, il bene, immutabile, o forse quello che ieri era bene oggi diventa vizio, e il male di ieri è il bene di oggi?
Pagina 384


Il bene dei primi cristiani, il bene degli uomini tutti venne sostituito dal bene dei soli cristiani, a cui si affiancava il bene dei musulmani e il bene degli ebrei.
Passarono i secoli, e il bene dei cristiani si scisse nel bene dei cattolici e dei protestanti, e nel bene degli ortodossi. E dal bene degli ortodossi nacque il bene dei vecchi e dei nuovi credenti.
Poi è toccato al bene dei ricchi e a quello dei poveri, e infine al bene dei gialli, dei neri, dei bianchi. E così, scissione dopo scissione, sono nati il bene di una setta, di una razza o di una classe; e quanti si trovavano oltre la linea chiusa del cerchio non ne erano parte.
Un bene siffatto non è che una buccia vuota da cui è caduto, perdendosi, il seme più sacro.
Che cos'è, dunque, il bene? Una volta si diceva: il bene è il disegno e l' azione che ne deriva, la quale conduce alla vittoria e alla forza dell' umanità, di una famiglia, di una nazione, di uno Stato, di una classe, di una fede religiosa.
Persino il sangue versato da Erode non fu versato in nome del male, ma di ciò che per Erode era il bene. Perché la nuova forza che era nata minacciava di morte lui, la sua famiglia, i suoi amici e favoriti, il suo regno, il suo esercito.
E tuttavia non era nato il male, bensì il cristianesimo.
Pagina 385


Che cosa ha portato agli uomini questa parola di pace e di amore?
L'iconoclastia bizantina, le torture dell' Inquisizione, la lotta alle eresie in Francia, in Italia, nelle Fiandre e in Germania, quella tra cattolici e protestanti, la crudeltà degli ordini monastici, secoli di persecuzioni che hanno soffocato la scienza e la libertà, lo sterminio per mano cristiana delle tribù pagane della Tasmania, interi villaggi africani dati alle fiamme.
Questo è stato il destino tremendo e irrazionale della dottrina più umana dell'umanità, che non ha saputo sottrarsi al destino comune e si è divisa nei tanti gironi del bene personale, del bene piccolo.
La mente umana crede che la vita sia una lotta del bene contro il male, ma così non è. 
Chi vuole il bene dell'umanità non è in grado di arginare il male.
Là dove si leva l'alba del bene eterno che mai sarà vinto dal male, là muoiono vecchi e bambini e scorre il sangue. E dinanzi al male della vita non solo gli uomini, ma anche Dio è impotente.
Pagina 386


E allora forse è la vita il male?
Ho visto la forza incrollabile dell'idea del bene sociale, che è nata nel mio paese. 
L'ho vista nel periodo della collettivizzazione forzata e nel Trentasette. 
Ho visto uccidere nel nome di un ideale bello e umano come quello cristiano
Ho visto le campagne morire di fame, e i figli dei contadini che morivano tra le nevi della Siberia; ho visto le tradotte che da Mosca, Leningrado e altre città della Russia portavano in Siberia centinaia di migliaia di uomini e donne, i nemici della grande, luminosa idea del bene sociale.
Era un' idea bella e grande, e ha ucciso senza pietà, ha rovinato le vite di molti, ha separato le mogli dai mariti, i figli dai padri.
Ora sul mondo incombe il grande orrore del nazismo tedesco. 
L' aria è impregnata delle grida e dei lamenti dei giustiziati. 
Nero è il cielo, e il sole si è spento nel fumo dei forni crematori.
Ma anche questi crimini sono compiuti in nome del bene.
Quando vivevo nelle foreste del Nord credevo che il bene non albergasse nell'uomo né nel mondo rapace degli animali e degli insetti, ma in quello silenzioso degli alberi. Invece no! L'ho vista muoversi, la foresta, l'ho vista contendere senza pietà un palmo di terra all'erba e agli arbusti. Miliardi di semi volanti, crescendo, uccidono l'erba e soffocano un cespuglio amico, e milioni di germogli combattono gli uni contro gli altri.
Solo chi sopravvive va a formare, in un'adunanza di forti, la coltre del giovane bosco bramoso di luce.
Anche per loro, tuttavia, verrà il momento di avvizzire, e allora gli abeti pesanti si apriranno un varco verso la luce e metteranno a morte l'ontano e la betulla.
Così vive il bosco, nell'eterna lotta di tutti contro tutti. 
Solo un cieco può pensare che ci sia pace nel regno degli alberi e delle erbe.
Il bene non è nella natura, non è nelle prediche di apostoli e profeti né nelle teorie di grandi sociologi o capi di stato, né nell'etica dei filosofi.
Pagina 387



E dunque oltre al bene grande e minaccioso esiste la bontà di tutti i giorni
La bontà della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero, la bontà del soldato che fa bere dalla sua borraccia un nemico ferito, la bontà della gioventù che ha pietà della vecchiaia, la bontà del contadino che nasconde un vecchio ebreo nel fienile.
La bontà delle guardie che, a rischio della propria libertà, fanno avere a mogli e madri le lettere dei prigionieri.
Pagina 388




[...] l'epica, molto russa, molto patriottica, molto maschia, del civico Sei barra uno, la fabbrica trattori Stalingrado. Ci dovesse capitare una guerra, non sia mai, almeno si muoia da eroi assieme a Grekov al civico sei barra uno, la casa accerchiata dai tedeschi nel cuore dell'inferno (vv. Le memorabili pagine che vanno dalla 391 alla 419: 
"- Lei ha gli occhi buoni, disse Grekov all'improvviso, Ma sta soffrendo. Preso alla sprovvista Krymov allargò le braccia e non rispose. E Grekov, quasi avesse visto confermate le sue parole, disse: - Soffro anch'io lo sa? Ma sono sciocchezze, cose personali. Che non si mettono a verbale" (p. 407).



Quando l'amicizia lega la vita di un uomo a quella di un altro uomo, può capitare che si litighi o ci si accusi ingiustamente, ma poi le offese reciproche svaniscono senza conseguenze. Se a insorgere sono invece differenze profonde tra persone che non sapevano di averne, anche una parola fortuita, anche il minimo sgarbo diventa un'arma letale.
Spesso la divergenza è talmente profonda da non riuscire ad affiorare, da restare sopita. E allora la responsabilità nefasta della fine di lunghi anni di amicizia spetta a un diverbio sciocco, ma acceso o a una qualche battutaccia.
Pagina 440


Uno stato Nazionalsocialista non poteva tollerare che la vita fluisse liberamente: 
essa andava guidata in ogni suo passo.
Per indirizzare il respiro delle persone, il loro senso materno, un circolo di lettori, le fabbriche, il canto, l'esercito o le gite estive ci volevano dei capi, delle guide.
La vita aveva perso il diritto di crescere come l'erba e di incresparsi come il mare.
Pagina 458


Se il partito aveva sempre ragione, se la sua logica - o la sua illogicità - trionfava su ogni altra logica e la sua filosofia su ogni altra filosofia era tutto merito della polizia segreta. La bacchetta magica! Bastava perderla, però, perché la magia svanisse all'istante: un grande rivoluzionario diventava un trombone, un corifeo della scienza un divulgatore di idee altrui. Bisognava tenersela ben stretta, dunque.
Pagina 456


L'antisemitismo si manifesta in modi diversi:
nell'indulgenza beffarda e schizzinosa come negli stermini dei pogrom.
Diverse sono le sue ipostasi: l'antisemitismo può essere ideologico, interiore, latente, storico, quotidiano, fisiologico. Diverse le sue forme: individuale, sociale, di Stato.
L'antisemitismo lo trovi al mercato e alle riunioni della presidenza dell'Accademia delle Scienze, in fondo al cuore di un vecchio o fra i bambini che giocano in cortile. E passato indenne dall'epoca del fuoco, della navigazione a vela e dei telai a mano a quella dei motori a reazione, dei reattori nucleari e dei calcolatori elettronici. L'antisemitismo non è mai lo scopo, è sempre e soltanto il mezzo, la misura di contraddizioni senza via d'uscita.
L'antisemitismo è lo specchio dei difetti del singolo, della società civile e del sistema statale.
Dimmi di che cosa accusi gli ebrei, e ti dirò quali colpe hai.
Anche nella coscienza di chi si è battuto per la libertà, di un prigioniero dello Schlisselburg come del contadino Olejnicuk, l'odio per la servitù della gleba si è espresso nell'odio per giudei e polacchi.
E persino quel genio di Dostoevskij ha voluto vedere un usuraio ebreo là dove avrebbe dovuto riconoscere gli occhi spietati di un russo: appaltatore, industriale o latifondista che fosse.
Attribuendo a un fantomatico ebraismo mondiale componenti razziste, velleità di potere e un'indifferenza cosmopolita verso la patria germanica, il nazionalsocialismo ha vestito gli ebrei dei propri tratti specifici. Ma è, questa, solo una delle tante facce dell'antisemitismo.
L'antisemitismo è l'espressione della mediocrità, dell'incapacità di vincere in uno scontro ad armi pari: nella scienza, nel commercio, nell'artigianato e nella pittura. L'antisemitismo è la misura della mediocrità umana. Nelle macchinazioni dell'ebraismo mondiale gli Stati cercano una spiegazione ai propri fallimenti. Ma è, anche questa, soltanto una faccia dell'antisemitismo.
L'antisemitismo è l'espressione dell'ignoranza delle masse che non sanno trovare una ragione a disgrazie e patimenti. E allora è fra gli ebrei, e non nello Stato o nella società, che gli ignavi vedono la ragione delle proprie sventure. Ma anche l'antisemitismo di massa è solo una faccia.
Pagina 460


L'antisemitismo si manifesta in modi diversi: nell'indulgenza beffarda e schizzinosa come negli stermini dei pogrom. E' lo specchio dei difetti del singolo, della società civile e del sistema statale. Attribuendo a un fantomatico ebraismo mondiale componenti razziste, velleità di potere e un'indifferenza cosmopolita verso la patria germanica, il nazionalsocialismo ha vestito gli ebrei dei propri tratti specifici. E' l' espressione della mediocrità, dell' incapacità di vincere in uno scontro ad armi pari: nella scienza, nel commercio, nell'artigianato e nella pittura. L'antisemitismo è la misura della mediocrità umana. Nelle macchinazioni dell'ebraismo mondiale gli Stati cercano una spiegazione ai propri fallimenti. Ma è, anche questa, soltanto una faccia dell' antisemitismo. E' l'espressione dell' ignoranza delle masse che non sanno trovare una ragione a disgrazie e patimenti. L'antisemitismo è la misura dei pregiudizi religiosi che covano nei bassifondi della società.
Ma è, pure questa, solo una delle sue facce.
Pagina 460


Quando il Rinascimento fece irruzione nel deserto del Medioevo cattolico, il mondo delle tenebre accese i roghi dell'Inquisizione. Quel fuoco, tuttavia, non rischiarò soltanto le forze del male, ma anche lo spettacolo della loro fine.
Nel XX secolo il vecchio nazionalismo ormai allo stremo di Stati fisiologicamente arretrati e in declino ha acceso i roghi di Auschwitz e i crematori di Lublino e Treblinka. Ma dopo aver rischiarato il breve trionfo nazista, la loro fiamma ne ha annunciato al mondo la fine imminente. Epoche storiche, governi di Stati reazionari e in declino e singoli individui in cerca di un rimedio ai fallimenti della propria esistenza ricorrono all'antisemitismo prima che il loro ineluttabile destino si compia. In due millenni si sono mai visti casi in cui siano stati la libertà e l'amore per l'uomo a impiegare l'antisemitismo quale strumento della propria battaglia? L'antisemitismo del quotidiano è un antisemitismo non cruento. E' la prova che al mondo esistono idioti, invidiosi e falliti. Nei paesi democratici può insorgere un antisemitismo di natura sociale, che si manifesta negli organi di stampa appartenenti a gruppi reazionari, nell'operato di quegli stessi gruppi e in un sistema religioso o ideologico reazionario. Nei paesi totalitari, dove la società civile non esiste, può svilupparsi solo un antisemitismo di Stato. L' antisemitismo di Stato è la prova che lo Stato si serve di idioti, reazionari e falliti, che sfrutta l' ignoranza dei superstiziosi e il rancore di chi ha fame. Al suo primo stadio un tale antisemitismo è discriminatorio: lo Stato permette agli ebrei di vivere solo in determinati luoghi e di svolgere determinate professioni, vieta loro di occupare posizioni di rilievo, di frequentare le università, di ottenere titoli accademici e via dicendo. Dopo di che passa allo sterminio.
Pagina 462


Soldati, carne viva.
L'aveva vista mandare più volte incontro al fuoco nemico, quella carne viva, quei soldati, non per copertura né per eseguire un ordine, ma per mera ostinazione, per spavalderia. Perché il sancta sanctorum della guerra, la sua tragicità, consistono nel diritto di un uomo di mandare a morte un altro uomo. Esponendolo al fuoco nemico in nome di una causa comune.
Pagina 478


Esiste il giudizio divino ed esiste il giudizio dello Stato e della società, ma esiste anche un giudizio supremo: quello di un peccatore su un altro peccatore. Chi ha peccato ha conosciuto sulla sua pelle la potenza - sterminata - di uno Stato totalitario, una forza tremenda che incatena la volontà umana con la propaganda, la fame, la solitudine, il lager, la minaccia di morte, l'anonimato, l'ignominia. Ma a ogni passo che compie sotto la minaccia della miseria, della fame, del lager e della morte, accanto a sé l' uomo ha sempre e comunque la propria volontà, libera e senza catene.
Pagina 511


Se si fosse trovato a rispondere di fronte al tribunale celeste, a propria discolpa avrebbe giustamente raccontato al giudice di come fosse stata la sorte a eleggerlo carnefice e responsabile dell'assassinio di cinquecentonovantamila persone. Perché cosa poteva, lui, contro la volontà di forze possenti come una guerra mondiale, un poderoso movimento nazionalista, un partito implacabile e uno stato coercitivo? Chi avrebbe potuto fare di testa propria? Era un uomo come tanti, lui, e avrebbe preferito vivere nella casa di suo padre.
Pagina 511



Il destino prende per mano l'uomo, ma l'uomo lo segue perché lo vuole ed è comunque libero di non seguirlo. Il destino prende per mano l' uomo e l' uomo diventa strumento di forze di sterminio: perché ci guadagna, non perché ci rimette. Lui lo sa bene e sceglie di guadagnarci; il destino e l'uomo avranno anche scopi diversi, ma la strada è una sola.
E a emettere il verdetto non sarà un giudice celeste misericordioso e immacolato, né l'equa corte suprema che mira al bene dello Stato e della società; non sarà un santo e nemmeno un profeta, ma un poveruomo sporco e peccatore schiacciato dal nazismo che per primo ha subito sulla sua pelle il terribile potere di uno stato totalitario, un uomo che è caduto, ha avuto paura e ha chinato il capo.
Pagina 512

Vasilij Grossman. Vita e destino.
E così si era arrivati all'ultimo giorno di strada. I vagoni cigolarono, i freni stridettero, poi seguì il silenzio, lo sferragliare dei chiavistelli e il comando: "Alle herraus!". La gente cominciò a scendere sulla banchina ancora bagnata per la pioggia recente. Quei volti familiari dopo il buio del vagone avevano un aspetto strano. I cappotti e i fazzoletti erano cambiati meno delle persone; le camicette, i vestiti, ricordavano le case in cui erano stati indossati, gli specchi davanti ai quali erano stati provati. La gente che usciva dai vagoni si spostava a branchi e quell'affollamento gregario aveva un che di abituale, rassicurante; noto calore, noto odore, noti volti e occhi estenuati, folla compatta di persone che escono da ventidue carri merci.
Pagina 512

La colonna è composta di file di sei e per le file si sparge la notizia: «Al bagno, per prima cosa ci portano al bagno!». Sembrava che Dio misericordioso non avrebbe potuto inventare nulla di più prezioso.
Pagina 513


Davanti ai deportati si spalancò una grande città. I suoi limiti, a ovest, si perdevano nella nebbia. Il fumo scuro delle lontane ciminiere delle fabbriche si confondeva con la foschia, la rete a scacchiera delle baracche era coperta di smog e la fusione della nebbia con i reticoli geometrici delle strade trasmetteva un'impressione allucinante.
[...] I deportati furono convogliati nel piazzale. Al centro, su un podio di legno di quelli che al solito si allestiscono in occasione di feste popolari, c'era una decina di persone: l'orchestra. I suonatori si differenziavano gli uni dagli altri in modo netto, come i loro strumenti. Alcuni si voltarono verso la colonna che arrivava, poi l'uomo dai capelli bianchì disse qualcosa e tutti imbracciarono gli strumenti. Parve d'un tratto che un uccellino avesse lanciato un trillo timido e ardito, e l'aria lacerata dal filo spinato e dall'urlo delle sirene, che esalava un tanfo di sporcizia e di grasso bruciato, s'inondò di musica.
[...] Nessuno sente la musica come quelli che hanno provato il lager e la prigione, come quelli che vanno incontro alla morte. La musica che sfiora il condannato, suscita d'improvviso nella sua anima non pensieri né speranze ma solo il miracolo cieco e penetrante della vita.
[...] Qui, al riverbero dei forni, nello spiazzo del lager, la gente percepiva che la vita è più della felicità, che essa è anche sofferenza. La libertà non è solo bene. La libertà è difficile, alle volte anche terribile: essa è la vita. La musica fu in grado di esprimere l'ultima scossa inferta all'anima, che riuniva nella sua oscura profondità la felicità e la pena provate in vita con questa nebbiosa mattinata, con l'alba sospesa sulla testa.
Ma forse non era così. Forse la musica era solo la chiave dei sentimenti dell'uomo, aveva spalancato le sue viscere in quell'istante spaventoso, ma non era lei a riempirlo. Capita che una canzoncina infantile faccia piangere un vecchio. Ma non è per la canzoncina che piange il vecchio, essa è solo la chiave che apre la sua anima.
Pagina 514



Chi è in lager, chi è in prigione, chi dalle prigioni è uscito e chi va incontro alla morte conosce bene la forza della musica.
Nessuno la sente come chi ha provato il lager e la prigione o sta andando a morire.
Quando sfiora un morituro, la musica non risveglia in lui pensieri o speranze, ma il miracolo cieco e straziante della vita.
Un singhiozzo scosse la colonna. Tutto era cambiato, e ciò che era disperso - la casa, il mondo, l'infanzia, il viaggio, il rumore delle ruote, la sete, la paura, quella città spuntata dalla nebbia, quel bagliore rosso, fosco - tornava a ricomporsi di colpo, e non nella memoria né in un quadro, ma nella sensazione cieca, calda e struggente di una vita vissuta. Nel bagliore dei forni, sullo spiazzo del lager, capirono tutti che la vita è più della felicità, che è anche dolore. Che la libertà non è soltanto un bene. Che è difficile, la libertà, e a volte è persino amara: è la vita. Capita, che un vecchio pianga per una canzoncina di bambini. Che però non è il motivo vero delle sue lacrime, ma la chiave per giungere a quanto ha nel cuore.
Pagina 514

(...) Forse la musica era solo la chiave per i sentimenti dell'uomo, e in quel momento terribile aveva, sì, spalancato le porte del suo mondo interiore, ma non era stata lei a riempirlo.
Capita infatti che un vecchio pianga per una canzoncina di bambini. Che però non è il vero motivo delle sue lacrime, ma la chiave per giungere a quanto ha nel cuore.
Pagina 515


Come si può descrivere quanto accade nel cuore di un uomo che ha dovuto lasciare la mano della moglie, il suo ultimo, rapido sguardo al viso amato? Come si può vivere se una memoria spietata ti riporta alla mente l'istante di un congedo silenzioso, quando per qualche frazione di secondo i tuoi occhi si sono chiusi per nascondere la gioia spicciola di avere salvato la pelle? Come soffocare il ricordo di una moglie che ti mette in mano un involto con la fede, qualche zolletta di zucchero e un pezzo di pane duro? Come si può viver vedendo che il bagliore si è acceso di nuovo, nel cielo, e sapendo che forse ad ardere sono le mani che avevi baciato, gli occhi che avevano gioito nel vederti, i capelli che sapevi riconoscere anche al buio, dall'odore, i tuoi figli, tua moglie, tua madre? Come si fa a chiedere un posto vicino alla stufa, nella baracca, a mettere la gamella sotto il mestolo che ti versa un litro di brodaglia grigia, o a riattaccare la suola allo scarpone? E come si può sollevare il piccone, respirare o bere con le grida dei tuoi figli, i gemiti di tua madre nelle orecchie...
Pagina 516


Sofja Osipovna camminava con passo cadenzato e pesante e il bambino si aggrappava alla sua mano. L'altra mano di David tastava nella tasca la scatola di fiammiferi in cui giaceva, tra il cotone sporco, la crisalide marron-scuro che da poco, nel vagone, si era dischiusa dal bozzolo.
Pagina 516

Che strana sensazione! Non è possibile descriverla, non la si può condividere neanche con la persona amata, con mogli, madri, fratelli, figli, amici, padri, è un segreto del cuore, e il cuore - quand'anche lo volesse con tutte le sue forze - non lo rivelerà mai. L'uomo tiene per sé la percezione della propria vita, non la condivide con nessuno. Il miracolo di ogni uomo, di ogni singolo uomo - bontà, cattiveria, piacere, affetto, vergogna, pietà, timidezza, timore e stupore, tutto ciò che dall'infanzia alla vecchiaia si è depositato nella coscienza e nel subconscio -, si fonde, si riunisce nella percezione muta e segreta dell' unicità della vita umana.
Pagina 518


Quando l'orchestra attaccò a suonare, David provò il desiderio di togliere dalla tasca la scatola,
schiuderla per un istante perché la crisalide non prendesse freddo e mostrarla ai musicisti. Ma dopo qualche passo, smise di provare interesse per quelle persone sul podio. Erano rimasti solo il bagliore nel cielo e la musica. Quella melodia triste e potente riempiva la sua anima fino all'orlo, come una tazza, del desiderio doloroso di rivedere la madre: la madre non forte né calma, che si vergognava di esser stata abbandonata dal marito.
Aveva cucito per David una camicina e i vicini di corridoio ridevano che suo figlio indossasse una camicia di cotonina a fiorellini con le maniche attaccate storte. La sua unica difesa e speranza era costituita dalla madre. Sempre e costantemente, in maniera incrollabile e assurda, aveva sperato in lei. Ma, forse, la musica aveva fatto sì che mettesse di sperare in sua madre.
Pagina 518



Il piccolo David suscitava in lei una tenerezza particolare che non aveva mai provato nei confronti dei bambini, benché le fossero sempre piaciuti. Nel vagone, quando gli dava un pezzo del suo pane, David voltava il viso verso di lei nella penombra e lei sentiva voglia di piangere, di stringerlo a sé, di coprirlo con quei baci rapidi e fitti con i quali di solito le madri baciano i bambini piccoli; in un sussurro, perché lui non udisse, ripeteva: «Mangia bambino mio, mangia.»
Pagina 520

Vasilij Grossman. Vita e destino.
"Se è destino che un uomo venga ucciso da un altro uomo, sarebbe interessanti osservarli mentre le loro strade convergono lentamente. Magari in un primo momento i due sono lontanissimi: per esempio, io raccolgo stelle alpine sul Pamir scattando foto su foto, mentre colui che sarà la mia morte è a ottomila verste di distanza e va a pescare dopo la scuola. Io mi preparo per un concerto e lo stesso giorno lui compra un biglietto del treno per andare dalla suocera. Ma tanto ci incontreremo e quel che deve succedere succederà".
Pagina 524

Vasilij Grossman. Vita e destino.
All'ingresso della camera a gas erano attesi da un uomo che stringeva in mano un tubo di piombo. Indossa un camiciotto marrone con le maniche a tre quarti chiuso da una cerniera lampo. Era stato il suo sorriso vago, infantile, folle e inebriato a far gridare in maniera così spaventevole Rebecca Buchman. Gli occhi dell'individuo sfioravano il viso di Sof’ja Osipovna: ecco finalmente si sono incontrati! Sentì che le sue dita dovevano afferrare quel collo che sgusciava fuori dalla camicia aperta. Ma l’uomo, che sorrideva mite, alzò con un gesto breve il bastone e attraverso il rombo che le risuonava nella testa e il tintinnio di vetri rotti udì: «Non toccarmi, fottuta ebrea
Riuscì a reggersi in piedi e con passo lento e pesante varcò con David la soglia d'acciaio della porta.
Pagina 525


Lo scalpiccio dei passi si arrestò, ogni tanto arrivava il suono di parole confuse, di lamenti e grida. Non serviva più parlare, muoversi era senza senso: queste sono azioni protese verso il futuro, e nella camera a gas non c'è più futuro. I gesti che David compiva con la testa e il collo non fecero insorgere in Sof’ja Osipovna il desiderio di guardare nella stessa direzione di un altro essere umano.
I suoi occhi che avevano letto Omero, I"'Izvestija", Huckleberry Finn, Mayne Reid, la Logica di Hegel, che avevano visto gente buona e cattiva, che avevano visto oche di Kursk trotterellare su ponticelli, le stelle nell'Osservatorío di Pulkovo, il lampo dell'acciaio chirurgico, la Gioconda al Louvre, pomodori e rape sulle bancarelle dei mercati, l'azzurro del lago Issyk-Kui', ora non servivano più. Se qualcuno in quel momento l'avesse accecata, lei non avrebbe sentito la mancanza della vista.
Sof’ja respirava, ma respirare era diventato un esercizio faticoso, e questo semplice atto la sfiniva.
Desiderava concentrarsi sull'ultimo pensiero, malgrado il frastuono che le risuonava nella testa. 
Ma il pensiero non veniva. Stava in piedi muta, senza chiudere gli occhi che non vedevano nulla. 
I contorcimenti del bambino la riempivano di compassione. Il sentimento che provava nei suoi confronti era così semplice che non le occorrevano più né parole né occhi. Il bambino agonizzante respirava, ma l'aria che gli veniva concessa non gli prolungava la vita, la scacciava. La sua testa si girava: continuava a voler vedere. Guardava quelli che si erano lasciati andare sul pavimento, bocche aperte sdentate, bocche con denti bianchi e d'oro, il sottile rivolo di sangue che colava dal naso. Vedeva gli occhi curiosi che guardavano nella camera attraverso il vetro; gli occhi attenti di Roze si incrociarono per un istante con quelli di David. A lui serviva anche la voce, avrebbe chiesto a zia Sonja cos'erano quegli occhi da lupo. A lui serviva anche il pensiero. Aveva compiuto solo qualche passo nel mondo, aveva visto le orme dei talloni nudi di bambini sulla terra calda e polverosa, a Mosca viveva sua madre, la luna guardava in giù e da sotto la guardavano degli occhi, sul fornello a gas bolliva la teiera, il mondo dove vivevano le ranocchie che faceva ballare reggendole per le zampette anteriori e il latte del mattino, continuava a interessarlo. Per tutto questo tempo delle braccia forti e calde avevano tenuto David abbracciato e il bambino non capiva che negli occhi erano calate le tenebre, il cuore svuotato rimbombava e il cervello si stava annebbiando, invaso dal sopore. L'avevano ucciso, aveva cessato di esistere. Sof’ja Osipovna Levinton sentì il corpo del bambino afflosciarsi tra le sue braccia. Nelle miniere, in caso di avvelenamento, gli indicatori di gas, uccellini e topi, muoiono subito. I loro corpi sono piccoli come era piccolo il corpo da uccellino di David, che se n'era andato prima di lei.
"Sono madre' - pensò.
Questo fu il suo ultimo pensiero. Ma nel suo cuore c'era ancora vita: si stringeva, duoleva, aveva pietà di voi, uomini vivi e morti. La nausea la invase. Strinse a sé David, la crisalide, e divenne lei stessa morta crisalide.
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Quando l'uomo muore passa dal mondo della libertà al regno della schiavitù. La vita è libertà, e la morte la cancella progressivamente, la libertà. La prima a offuscarsi è la coscienza, che poi si spegne del tutto; in un organismo incosciente i processi vitali continuano ancora per qualche tempo: il sangue circola, i polmoni funzionano, il metabolismo non si ferma. Ma è comunque un movimento irreversibile verso la schiavitù: la coscienza si è spenta e con essa si è spento anche il fuoco della libertà.
Pagina 529



L'Universo dentro l'uomo ha smesso di esistere. Un Universo che somiglia incredibilmente all'Universo al di fuori dell' uomo. E che somiglia incredibilmente all'Universo che continua a riflettersi in milioni di teste ancora vive. Un Universo incredibile, perché capace di distinguere il rumore del suo oceano, l'odore dei suoi fiori, il fruscio delle sue foglie, le venature dei suoi graniti e la tristezza dei suoi campi in autunno da ogni altro Universo fra quanti sono esistiti ed esistono in ogni uomo, e dall'Universo eterno al di fuori dell' uomo. La sua irripetibilità, la sua unicità sono l'anima di ogni singola vita, sono la libertà. Il riflesso dell'Universo nella coscienza umana è alla base della forza dell'uomo, ma la vita diventa felicità, libertà, valore supremo solo quando l'uomo esiste come mondo che mai potrà ripetersi nell'infinità del tempo. Solo quando riconosce negli altri ciò che ha già colto dentro di sé l'uomo assapora la gioia della libertà e della bontà.
Pagina 530




La storia delle battaglie dimostra che i generali non introducono mai idee nuove per spezzare una difesa, inseguire i nemici, assediarli o ridurli allo stremo. Si limitano a usare e applicare princìpi già noti all'uomo di Neanderthal, ai lupi che circondano un gregge e al gregge che dai lupi si difende.
Pagina 610



Si decidevano le sorti dei prigionieri di guerra tedeschi, che avrebbero imboccato la via della Siberia. E si decidevano le sorti dei prigionieri di guerra sovietici nei lager di Hitler: per volontà di Stalin, una volta liberati avrebbero condiviso il destino siberiano dei prigionieri tedeschi.
Pagina 618


“Era in gioco la sorte dei calmucchi, dei tartari di Crimea, di balkari e ceceni che, sempre per volontà di Stalin, sarebbero stati deportati in Siberia e Kasakistan, perdendo il diritto a ricordare la propria storia e a insegnare ai figli nella loro lingua madre […] si decidevano le sorti degli ebrei salvati dall’Armata Rossa, sui quali, a dieci anni dalla vittoria di Stalingrado, Stalin avrebbe levato il gladio sottratto ad Hitler […] Si decidevano le sorti della Polonia, dell’Ungheria, della Cecoslovacchia e della Romania […] Si decidevano le sorti dei contadini e degli operai russi, della libertà del pensiero russo, della letteratura e della scienza russe” 
(pag. 619)



Quando studiavo l' evoluzione delle stelle ho capito che no c'è da scherzare nemmeno con il minimo sussulto di una macchiolina grigia di umore vivo. Pensi al primo ramo dell' evoluzione, a quello che va dal livello minimo al massimo.
A un certo punto avremo un uomo con tutte le caratteristiche di Dio
ubiquità, onnipotenza, onniscienza. E nel secolo venturo scopriremo anche come trasformare la materia in energia e come creare materia vivente. In parallelo, l'evoluzione andrà verso la conquista dello spazio e di velocità estreme. E nei prossimi millenni il progresso si orienterà verso l'acquisizione della forma suprema di energia: quella psichica.
Con i suoi strumenti l' uomo riuscirà a materializzare il contenuto, il ritmo dell'attività psichica degli esseri dotati di ragione in tutta la metagalassia. In uno spazio in cui la luce viaggia per milioni di anni, il movimento dell' energia psichica si compirà in un solo istante.
E la ragione conquisterà l' ubiquità, dove divina.
Tuttavia, raggiunta l' uguaglianza con Dio, l'uomo non si accontenterà. Creerà un legame con gli esseri razionali dei piani più alti dell' Universo, esseri di un altro spazio e di un altro tempo, per i quali la storia dell' umanità è solo un bagliore fosco ed estemporaneo. Creerà legami consapevoli con il microcosmo, la cui evoluzione è, per l'uomo, lunga un istante. Sarà un'epoca di totale annientamento del baratro spazio-temporale in cui l'uomo guarderà a Dio dall'alto in basso.
Pagina 659


L' uomo guarderà a Dio dall' alto in basso, ma non farà lo stesso anche con il Diavolo? Non sopravanzerà anche lui? Lei dice che la vita è libertà. Ma cosa ne pensa, al riguardo, chi è nei lager? Una volta confluita nell' Universo, la vita non userà la propria forza per instaurare una schiavitù ancora più tremenda di quella della sua materia inerte? Mi dica: l' uomo del futuro farà meglio di Gesù Cristo quanto a bontà? Perché è questo l' essenziale. E ancora, che cosa darà al mondo la potenza di un essere ubiquo e onnisciente, se quell' essere manterrà la nostra attuale presunzione e il nostro attuale egoismo, prerogative fisiologiche, di classe, di razza, di Stato e anche individuali? Quell' uomo non trasformerà il mondo in un gigantesco campo di concentramento? Lei crede nell' evoluzione della bontà, della morale, della carità? L' uomo ne è capace?
Pagina 660


Vasilij Grossman. Vita e destino.
...sotto la neve tutto spariva: i cadaveri dei caduti, le armi, i vestiti putridi, i sassi, il ferro ritorto
Non era la neve, ma il tempo - soffice, bianco - a posarsi, strato su strato, sul massacro della città, e il presente era già passato e non c' era futuro nel baluginare lento e soffice della neve.
Pagina 709


Facevano quel che dovevano senza rabbia ne passione. Non sembravano forti, quei colpi, e invece erano tremendi, come tremenda è un'infamia pronunciata senza accalorarsi.
Pagina 748


"ogni epoca ha una città che la rappresenta e ne costituisce l'anima, la volontà (...)
Stalingrado era i pensieri e le passioni del genere umano".

La disputa silenziosa tra il popolo e lo Stato, entrambi vincitori, 
dalla quale dipendeva il destino dell’uomo e la sua libertà”.

"Le anime superiori conoscono sempre e comunque il dubbio. A dominare il mondo, però, sono i mediocri e la loro convinzione inflessibile di essere nel giusto. Le anime superiori non dominano gli Stati, non prendono le decisioni importanti." 
(p. 755)


Deboli sono i giusti e deboli i peccatori. La differenza è che, compiuta un'opera buona, un uomo meschino se ne vanta in eterno, mentre il giusto non si accorge nemmeno delle sue buone azioni, ma ricorda in eterno un peccato che ha commesso.
Pagina 799


Vasilij Grossman. Vita e destino.
Lo capiva con tutto il cuore il senso della vita che era toccata a lei e ai suoi cari, e per quanto né lei né loro potessero dire che cosa avesse in serbo la sorte, e per quanto sapessero tutti che in epoche tremende l'uomo non è più artefice del proprio destino e che è il destino del mondo ad arrogarsi il diritto di condannare o concedere la grazie, di portare agli allori o di ridurre in miseria, e persino di trasformare in polvere di lager, tuttavia né il destino del mondo, né la storia, né la collera dello Stato, né battaglie gloriose e ingloriose erano in grado di cambiare coloro che rispondono al nome di uomini; ad attenderli potevano esserci la gloria per le imprese compiute oppure la solitudine, la disperazione, il bisogno, il lager e la morte, ma avrebbero comunque vissuto da uomini e da uomini sarebbero morti, e chi era già morto era comunque morto da uomo: è questa la vittoria amara ed eterna degli uomini su tutte le forze possenti e disumane che sempre sono state e sempre saranno nel mondo, su ciò che passa e ciò che resta.
Pagina 818


«per quanto sapessero tutti che in epoche tremende l'uomo non è più artefice del proprio destino...tuttavia né il destino del mondo, né la storia, né la collera dello Stato, né battaglie gloriose e ingloriose erano in grado di cambiare coloro che rispondono al nome di uomini».

Ogni giorno, ogni ora, anno dopo anno, è necessario condurre la propria lotta per il diritto di essere uomo, di essere buono e pulito. In questa lotta non ci deve essere posto né per l'orgoglio, né per la vanagloria, ma solo per l'umiltà. E se nel momento più terribile si presenta l'ora disperata, non devi aver paura della morte, non devi aver paura se vuoi restare uomo.
Pagina 829




"In quella penombra polverosa e soffocante Krymov si scoprí a pensare che non avrebbe mai potuto raccontare a Evgenya Nikolaevna di averla pensata mentre si infilava in una tana-forno a Stalingrado. C'era stato un tempo in cui il suo unico desiderio era sbarazzarsi di lei, dimenticarla. Adesso, invece, si era rassegnato ad averla sempre con sé. Anche in quel forno era arrivata, non c'era modo di sfuggirle".







«Ed eccola, una vecchia ormai, che vive in perpetua attesa del meglio, e crede, e teme il male, è piena di ansia per la vita degli uomini, e non distingue chi vive da chi è morto, sta qui e guarda le rovine della sua casa, ammira il cielo primaverile senza neanche accorgersi di ammirarlo, sta qui e si chiede perché il futuro di coloro che ama è così intricato, perché la loro vita è costellata di tanti errori, e non si accorge che in questa confusione, in questa nebbia, dolore e groviglio, c'è già la risposta, e chiarezza, e speranza […] la luce e la speranza erano proprio in quella vaghezza, in quella nebbia, nel dolore e nel caos; lo conosceva, lo capiva con tutto il cuore il senso della vita che era toccata a lei e ai suoi cari, e per quanto ne' lei ne' loro potessero dire che cosa avesse in serbo la sorte, e per quanto sapessero tutti che in epoche tremende l'uomo non è più artefice del proprio destino e che è il destino del mondo ad arrogarsi il diritto di condannare o concedere la grazia, di portare agli allori o di ridurre in miseria, e persino di trasformare in polvere di lager, tuttavia ne' il destino del mondo, ne' la storia, ne' la collera dello Stato, ne' battaglie gloriose e ingloriose erano in grado di cambiare coloro che rispondono al nome di uomini; ad attenderli potevano potevano esserci la gloria per le imprese compiute oppure la solitudine, la disperazione, il bisogno, il lager e la morte, ma avrebbero comunque vissuto da uomini e da uomini sarebbero morti, e chi era già morto era comunque morto da uomo: è questa la vittoria amara ed eterna degli uomini su tutte le forze possenti e disumane che sempre sono state e sempre saranno nel mondo, su ciò che passa e su ciò che resta".


"Era strano percorrere quel corridoio dritto come un fuso mentre la sua vita era così contorta, un intrico di sentieri, fossi, paludi, ruscelli, polvere della steppa e grano non trebbiato da scansare o attraversare... Il destino, invece, era lineare, dritto, fatto di corridoi e di porte..."


"Sof'ja Osipovna sentì la musica.
L'aveva sentita per la prima volta quand'era bambina, poi da studentessa, poi da giovane medico; questa musica le aveva sempre suscitato come il presentimento del futuro.
La musica l'aveva ingannata.
Sof'ja Osipovna non aveva futuro, solo passato.
E il sentimento della sua propria, personale vita passata, 
per un istante offuscò il presente davanti a lei: l'orlo del precipizio.
Era il più terribile dei sentimenti! Non si può comunicare, non si può farne partecipe neanche la persona più vicina, la moglie, la madre, il fratello, il figlio, l'amico, il padre; è un segreto dell'anima e l'anima, perfino se lo desidera allo spasimo, non può svelare il proprio segreto.
L'uomo porta con sé il senso della sua vita e non lo può condividere con nessuno.
Il miracolo del singolo individuo, nella cui coscienza, nel cui inconscio s'è accumulato quanto c'è stato di divertente, caro, vergognoso, triste, timido, affettuoso, schivo, sorprendente, dall'infanzia alla vecchiaia, è fuso, saldato in questo sentimento unico, muto, segreto, dell'unica sua vita."


Vasilij Grossman. Vita e destino.
"Quando un uomo muore le stelle nel cielo notturno si sono smorzate, la Via Lattea è scomparsa, s’è spento il sole, si sono spente milioni di foglie, anche il vento è cessato, i fiori hanno perso colori e profumo, è sparito il pane, l’acqua, il freddo e il caldo dell’aria. L’universo che esisteva nell’uomo ha cessato di esistere. Questo universo assomigliava straordinariamente all’altro, l’unico, che esiste al di fuori degli uomini. Questo universo assomigliava straordinariamente a quello che continua a riflettersi in milioni di teste vive.
Ma questo universo era particolare per il fatto che in esso c’era qualcosa che distingueva il rumore del suo oceano, il profumo dei suoi fiori, lo stormire delle sue foglie, le sfumature dei suoi graniti, le tristezze dei suoi campi d’autunno, da ciascuno di quelli che sono esistiti ed esistono in ogni individuo. La libertà consiste nell’irripetibilità, nella unicità dell’anima di ogni singola vita".



"Il socialismo in un solo paese esige che si elimini la libertà di seminare e di vendere, e Stalin non ha esitato a far fuori milioni di contadini. Hitler s'è reso conto che il socialismo nazionalista tedesco aveva un nemico: l' ebraismo. E ha deciso di eliminare milioni di ebrei. Hitler non è solo un allievo, però, è anche un genio!"

"Come l'ombra ci dà un'idea del profilo di un uomo, così l'antisemitismo ci parla del destino storico e del cammino percorso dagli ebrei."


http://www.anobii.com/books/Vita_e_destino/9788845923401/01610036c8b4dbd678


“La prima metà del XX secolo passerà alla storia dell'umanità anche come l'epoca dello sterminio capillare di enormi strati della popolazione europea in nome di teorie sociali e di razza. [...] E non furono decine di migliaia né di milioni, bensì moltitudini sterminate i testimoni rassegnati e docili di questa strage degli innocenti. Non solo: quando era loro ordinato, quegli stessi testimoni votavano a favore dello sterminio, acclamando a gran voce il massacro. Tanta succube obbedienza pareva inimmaginabile. Che cosa ne deduciamo? Un nuovo tratto della natura umana? No. Piuttosto un nuovo modo, tremendo, di plagiare gli esseri umani. La violenza estrema dei sistemi totalitari si è mostrata capace di paralizzare i cuori su interi continenti. [...] Per sopravvivere l'istinto scende a patti con la coscienza. In suo soccorso sopraggiunge la forza ipnotica di idee grandiose. Che esortano a compiere qualunque sacrificio, a usare qualunque mezzo per raggiungere lo scopo supremo: la grandezza futura della Patria, la felicità del genere umano, di una nazione o di una classe, il progresso mondiale.”
Vasilij Semënovič Grossman, giornalista e scrittore sovietico 1905 – 1964
Brano tratto da "Vita e destino", Adelphi, 2008





Le anime superiori conoscono sempre e comunque il dubbio.
A dominare il mondo, però, sono i mediocri e la loro convinzione inflessibile di essere nel giusto.
Vasilij Grossman, da "Vita e Destino", traduzione di Claudia Zonghetti, Biblioteca Adelphi, 2008


«Ho appena terminato un grande romanzo a cui ho lavorato per quasi dieci anni...» 
scriveva nel 1960 Vasilij Grossman, scrittore noto in patria sin dagli anni Trenta (e fra i primi corrispondenti di guerra a entrare, al seguito dell’Armata Rossa, nell’inferno di Treblinka). Non sapeva, Grossman, che in quel momento il manoscritto della sua immensa epopea (che aveva la dichiarata ambizione di essere il Guerra e pace del Novecento) era già all’esame del Comitato centrale. Tant’è che nel febbraio del 1961 due agenti del KGB confischeranno non solo il manoscritto, ma anche le carte carbone e le minute, e perfino i nastri della macchina per scrivere: del «grande romanzo» non deve rimanere traccia. Gli occhiuti burocrati sovietici hanno intuito subito quanto fosse temibile per il regime un libro come Vita e destino: forse più ancora del Dottor Živago. Quello che può sembrare solo un vasto, appassionante affresco storico si rivela infatti, ben presto, per ciò che è: una bruciante riflessione sul male. Del male (attraverso le vicende di un gran numero di personaggi in un modo o nell’altro collegati fra loro, e in mezzo ai quali incontriamo vittime e carnefici, eroi e traditori, idealisti e leccapiedi – fino ai due massimi protagonisti storici, Hitler e Stalin) Vasilij Grossman svela con implacabile acutezza la natura, che è menzogna e cancellazione della verità mediante la mistificazione più abietta: quella di ammantarsi di bene, un bene astratto e universale nel cui nome si compie ogni atrocità e ogni bassezza, e che induce a piegare il capo davanti alle sue sublimi esigenze. «Libri come Vita e destino» ha scritto George Steiner «eclissano quasi tutti i romanzi che oggi, in Occidente, vengono presi sul serio».







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