giovedì 19 marzo 2015

Anne Ancelin Schutzenberger, La Sindrome degli Antenati- Psicoterapia transgenerazionale e i legami nascosti nell'albero genealogico.



"Non si può dimenticare in questa sede che Freud parlava di "psiche collettiva" in Totem e Tabù e Jung di "inconscio collettivo": La rottura di Freud con il suo delfino (così veniva definito Jung all'interno del gruppo che girava intorno a Freud) fu contrassegnata da una violenza estrema: per odiarsi a quel modo bisognava essersi molto amati. Bruno Bettelheim, della Scuola Ortogenetica di Chicago, ricordava poco prima del suo ritiro e della sua morte, che questa frattura si sarebbe basata su una scorrettezza etica che Freud rimproverava a Jung; frattura che Jung avrebbe mascherato dietro una controversia sulla teoria delle pulsioni. Comunque sia, Jung continua l'opera di Freud mettendo in evidenza delle sincronicità e ciò che lui chiama "inconscio collettivo". E' l'inconscio collettivo che ci "influenza", secondo Jung; inconscio che si trasmette di generazione in generazione, nella società, e che accumula le esperienze umane. E' innato e dunque esiste a prescindere da qualsiasi rimozione ed esperienza personale. E'evidente come questo concetto abbia delle nette ricadute teoriche, nonché pratiche, nel modo di condurre la cura. Bisogna altresì ricordare che se é stato Freud che ha scoperto l'inconscio, il non espresso, "la psiche collettiva", e se é stato Jung a introdurre l'inconscio collettivo, é Moreno che fonda il postulato del co-conscio e del co-inconscio familiare e di gruppo. Pressappoco nello stesso periodo, negli anni 60-70, Francoise Dolto, Nicholas Abraham e i loro allievi -come Ivan Boszormenyi - Nagy - si pongono il difficile problema della trasmissione transgenerazionale dei conflitti non risolti (odi, vendette, rivalità), dei segreti, dei "non detti", delle morti premature e delle scelte professionali. La conoscenza si costruisce per accumulazione e, a un tratto, una nuova forma emerge. Quando si é in analisi, si avanza, ma non si sa verso cosa e poi, all'improvviso, il senso emerge. E' come se si presentasse -direbbe Lacan- "un punto a capo", che unisce molteplici punti del vissuto e il cui senso diventa luminoso. Ciascun terapeuta, che sia psicoanalista o che si dichiari di altre correnti, fa parte di una filiazione, di cui fa propria la teoria. Tuttavia spesso la clinica si scontra con i dogmatismi e, nella pratica, ognuno di noi opera delle concessioni, che lo si voglia ammettere o meno. E' soprattutto il modo in cui il terapeuta accoglie, ascolta, comprende e osserva il suo "cliente" ad essere centrale. E' il cliente che il terapeuta deve "sentire" e con il quale deve entrare in comunicazione. Grinder e Bandler hanno evidenziato la necessità di avere una stessa modalità di ascolto, di entrare in empatia, affinché l'inconscio dell'uno comunichi con l'inconscio dell'altro. Si crea così quello che Moreno chiama il "co-inconscio". Lo "psi", anche il più brillante e sapiente -non sarà mai un vero terapeuta se non é in grado di sentire l'altro, ma soprattutto di sentirlo nel suo contesto ("suo" del " cliente"). Ecco perché, spesso, quando la parola é sospesa, si fanno avanti gli eventi; quando si "supera la soglia" e sostiamo "sulla porta", le cose veramente importanti trovano espressione. Gli analisti hanno ben ragione ad affermare che il loro non é un mestiere come gli altri: non si impara, si trasmette. E' piuttosto un'arte, che non una scienza. E' una maniera di essere al mondo" 
Anne Ancelin Schutzenberger, La Sindrome degli Antenati-
Psicoterapia transgenerazionale e i legami nascosti nell'albero genealogico






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