la malattia di chi vive in un continuo mentale occupato da un vorticare di parole smozzicate, di immagini stolidamente ricorrenti, di inutili e infondate certezze, di timori formulati in sentenze prima che emozioni
R. Calasso, La follia che viene dalle ninfe
"I rapporti fra Mente e Parola furono sempre tesi e turbolenti. Una volta si scontrarono come due guerrieri o due amanti. Ciascuna pretendeva di eccellere sull'altra. «Mente disse: "Sicuramente io sono migliore di te, perché tu non dici nulla che io non capisca; e poiché tu imiti ciò che ho fatto e segui nella mia scia, sicuramente sono migliore di te". Parola disse: "Sicuramente sono migliore di te, perché faccio apprendere ciò che tu conosci, lo faccio comprendere". «Si appellarono a Prajäpati perché decidesse. Egli decise in favore di Mente e disse [a Parola] : "Mente senz'altro migliore di te, perché imiti ciò che ha fatto Mente e segui nella sua scia"; e invero chi imita ciò che ha fatto uno migliore e segue nella sua scia è inferiore. “Allora Parola, essendo stata contraddetta, rimase costernata e abortì. Essa, Parola, disse allora a Prajapati: “Che io non sia mai colei che ti porta le oblazioni, io che da te sono stata respinta”. Perciò, qualsiasi cosa nel sacrificio si celebri per Prajapati, lo si celebra a voce bassa, perché Parola non fu più portatrice di oblazioni per Prajapati”.
La disputa tra Mente e Parola per il primato ricorda quella che avverrà in Grecia fra parola detta e parola scritta. E forse in questo slittamento di pianista una differenza ineliminabile fra Grecia e India: in Grecia la Parola, il Logos, prende il posto che in India ha la Mente, Manas. Per il resto, gli argomenti del contrasto sono gli stessi. Ciè che in India è accusato di essere secondario, imitativo e derivato (la Parola) diventa in Grecia la potenza che rivolge le stesse accuse alla parola scritta. In Grecia, ciò che accade si svolge all’interno della parola. In India, ha origine in qualcosa che precede la parola: Mente".
"Ora, insieme al corpo di Core, Eros penetra nel regno dei morti. Persefone dalle sottili caviglie è la freccia flessibile che Afrodite aveva ingiunto a Eros di scoccare su Ade[...] ogni anno, per una metà dell'anno, Persefone sarebbe tornata ad essere la sposa di Ade. (Quando Persefone tornò da Demetra) si avvicinarono a loro soltanto due donne. La prima fu Ecate, corvina e illuminata da un diadema. Aveva aiutato la madre mentre vagava disperata, sarebbe stata ora una guida preziosa per la figlia. Nessun'altra donna conosceva come lei le vie che collegano la terra e il regno sotterraneo. Poi si avvicinò Rea, nuova messaggera dell'Olimpo. Scuotendo la ricca chioma, ripeteva le promesse di Zeus e sigillava la pace. Demetra si alzò per tornare all'Olimpo. Mentre la dea si allontanava nel suo lungo peplo turchino, il bianco orzo che si era celato malignamente nel suolo riapparve alla luce. I solchi aridi diventavano molli di terra grassa, mentre le foglie e i fiori tornavano a offrirsi al sole, come se nulla fosse successo e la natura si stesse sciogliendo pigramente da un lungo sonno."
Roberto Calasso, "Le nozze di Cadmo e Armonia"
Roberto Calasso, L'Ardore. Delle avventure di Mente e Parola, pp. 147-148
"Ora, insieme al corpo di Core, Eros penetra nel regno dei morti. Persefone dalle sottili caviglie è la freccia flessibile che Afrodite aveva ingiunto a Eros di scoccare su Ade[...] ogni anno, per una metà dell'anno, Persefone sarebbe tornata ad essere la sposa di Ade. (Quando Persefone tornò da Demetra) si avvicinarono a loro soltanto due donne. La prima fu Ecate, corvina e illuminata da un diadema. Aveva aiutato la madre mentre vagava disperata, sarebbe stata ora una guida preziosa per la figlia. Nessun'altra donna conosceva come lei le vie che collegano la terra e il regno sotterraneo. Poi si avvicinò Rea, nuova messaggera dell'Olimpo. Scuotendo la ricca chioma, ripeteva le promesse di Zeus e sigillava la pace. Demetra si alzò per tornare all'Olimpo. Mentre la dea si allontanava nel suo lungo peplo turchino, il bianco orzo che si era celato malignamente nel suolo riapparve alla luce. I solchi aridi diventavano molli di terra grassa, mentre le foglie e i fiori tornavano a offrirsi al sole, come se nulla fosse successo e la natura si stesse sciogliendo pigramente da un lungo sonno."
Roberto Calasso, "Le nozze di Cadmo e Armonia"
Nietzsche, Kraus, Robert Walser, Adorno, Bazlen, Céline, Benjamin, Freud, Benn, Brecht, Schreber, Wedekind, Bloy, Reich, Léautaud, Heidegger, Michelet, Stendhal, Marx, Weininger, Simone Weil, Stirner, Flaubert, Hofmannsthal:
di loro – e di altri (tutti appartenenti a quell’età arcaica che fu chiamata «il moderno») – si parla in questo libro. Sono incontri che hanno lasciato traccia in saggi, indagini, articoli composti nel corso di più di vent’anni e qui presentati nell’ordine in cui sono stati scritti. Le connessioni sono molto fitte – e dovrebbero affiorare strada facendo. Così, se all’inizio incontriamo la tesi di Nietzsche su «come il “mondo vero” finì per diventare favola», alla fine le risponderà un saggio su quel terrore delle favole che sta sul fondo della disputa teologica di Platone contro Omero e ancora oggi opera fra le quinte della nostra mente. Come anche: percorre il libro da capo a fondo, ma già è accennato nel titolo, un simultaneo omaggio ai mani di Walter Benjamin e di Alfred Hitchcock.
Roberto Calasso, i quarantanove gradini.
I cinquantamila libri di Roberto Calasso:
«Li catalogo in ordine geologico. Non sono bibliofilo.
Ho accanto a me solo volumi che uso.
Preferisco definirmi un acquirente onnivoro»
(la Repubblica, giovedì 26 marzo 2015)
La biblioteca di Roberto Calasso è come i libri che ha scritto:
in apparenza priva di metodo e disposta secondo un ordine che non salta all’occhio, come se il proprietario non volesse mettere in evidenza i volumi più importanti, o forse perché il vero sapere sta in un’essenza che rinvia al sacro e al rito, e che sta oltre il testo, come l’essenza dell’icona bizantina sta oltre l’immagine dipinta. Quasi tutti i libri sono avvolti in pergamino, una sorta di carta velina, che quasi impedisce di leggere il dorso, quindi il titolo e l’autore.
Calasso stesso, prima di cominciare il tour tra i 50mila volumi accumulati lungo tutta la sua vita, più da scrittore che da editore, fa una premessa. Socchiude gli occhi e dice: «Mostrare la propria libreria è come far entrare un estraneo nell’intimità. È come raccontare i propri flirt. Una cosa da evitare. Perciò ho resistito a lungo all’idea. Poi l’occasione è diventata il pungolo per scrivere un piccolo libro sui libri e su come usarli. Arrivati a questo punto, l’intervista dovevamo farla». Il libretto lo sta già scrivendo. «Non sono un bibliofilo», precisa, «tengo accanto a me solo libri che uso. La mia biblioteca è un insieme geologico: i vari strati corrispondono ai libri che ho scritto (anche a quelli non pubblicati) e a passioni che si sono succedute. I libri sono disposti in diversi studi, nella mia abitazione (una casa settecentesca nel centro di Milano), ma anche in altri due appartamenti e in casa editrice, dove sono a disposizione di tutti i collaboratori». Calasso ha una storia d’amore con quel pensiero che mette in risalto le contraddizioni irrisolvibili della modernità. Irrisolvibili, perché la modernità, che vuol dirsi razionale, è debitrice invece del senso del sacro, antico come l’essere umano. E basti pensare a La Folie Baudelaire con la scena chiave del sogno del poeta in un museo-bordello: rito e trasgressione; o alla Rovina di Kasch, dove Talleyrand e gli anni della Rivoluzione francese sono messi a confronto con un’antica leggenda africana e con il sapere dell’India vedica.
Lo scrittore comincia con una piccola libreria. «Ce l’avevo nella mia stanza da ragazzo a Firenze». Mostra l’edizione Pléiade della Recherche di Proust. «È un regalo di Natale che ho chiesto quando avevo 13 anni, da lì sono partito. In quei giorni mi trovavo a letto, per un incidente. Così ho cominciato a leggere la Recherche in una situazione ideale, sfruttando i vantaggi della malattia, come diceva Freud». Prosegue con altri libri che sono consoni alla sua formazione di base: «Ecco tutto Goethe, tutto Robert Walser, la prima edizione dell’Uomo senza qualità di Musil. Per completarla mi ci sono voluti anni».
Ed ecco gli scritti di Adorno, con le sue dediche. Poi mostra testi di Thomas Browne, oggetto della sua tesi di laurea, scrittore esoterico e scientifico. Si prosegue con Walter Benjamin e occorre fare una pausa. K. è un testo che Calasso ha dedicato a Kafka, inventandosi un romanzo su un romanzo, Il castello. Libro che non sarebbe potuto esistere senza Benjamin, senza la sua tecnica di digressioni e commenti e senza la sua tensione messianica e al contempo profana. E a proposito di profanità, anzi di ateismo non materialista unito alla critica del linguaggio, spuntano gli scritti di Fritz Mauthner, filosofo di origini boemo-ebraiche, scomparso nel 1923 e con cui si misurò Wittgenstein.
Dopo aver svelato l’eclettismo su cui poggia la sua produzione, Calasso ci introduce invece in un regno della metodicità. È una stanza rettangolare con una luce che filtra da due grandi finestre. «Ho sempre pensato che avrei dovuto avere una stanza dove mettere insieme la Loeb (collana di classici greci e latini della Harvard University) e le Belles Lettres, suo equivalente francese». La collezione occupa una parete. Di fronte: «A rispecchiarsi coi classici, c’è una parete di testi e studi indiani». Accanto ai classici: il Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, dell’Artemis Verlag; il Thesaurus Cultus et Rituum Antiquorum, del Getty, che parlano di tutti gli aspetti della vita degli antichi. «Sono due grandi opere che si sono elaborate in questi ultimi trent’anni, grazie a folte squadre di studiosi», spiega il padrone di casa e indica il Lexicon di Wilhelm Roscher, «una impresa ottocentesca, insuperabile, inventata da un uomo solo. Quando ho scritto Le nozze di Cadmo e Armonia è stata per me preziosa e la uso ancora ogni giorno». E poi un dizionario dei personaggi del Mahabharata e la collana dei Sacred Books of the East fondata da Max Müller, 50 volumi di classici orientali. «Senza questa parete non ci sarebbe L’ardore, né Ka», precisa.
La visita dura cinque ore. E, tirando fuori volumi preziosissimi, Calasso smentisce l’affermazione per cui non sarebbe un bibliofilo (preferisce definirsi «un acquirente onnivoro»). Per sommi capi e citando il padrone di casa: «Ecco la prima edizione del Törless di Musil del 1906, romanzo di un esordiente di ventisei anni, stampato da una casa editrice non memorabile di Vienna; la prima edizione in tedesco della Atalanta Fugiens di Michael Maier (un testo leggendario dell’alchimia). Poi il Dictionnaire Historique e Critique di Bayle». E occorre fare un’altra pausa. Pierre Bayle, autore della seconda metà del Seicento, era una specie di proto enciclopedista. Le pagine del Dictionnaire si presentano simili ai testi talmudici. Il testo che sembra principale ed è stampato in caratteri grandi è accompagnato da foltissime note e rimandi in margini. Ma il messaggio vero si nasconde nelle note, nei commenti, e non nel testo principale. E viene in mente I quarantanove gradini di Calasso, libro iniziatico, compendio di sapienza che sta nel commento. Che altro? La collezione di Die Fackel, rivista di Karl Kraus, «acquistata da un antiquario, forse ex nazista, di Vienna, prima che si diffondesse il culto della Grande Vienna»; la prima edizione, introvabile perché mandata al macero dalla famiglia, delle memorie del presidente Schreber (personaggio chiave di Freud e protagonista de L’impuro folle di Calasso); il catalogo della biblioteca di Talleyrand, la prima edizione del Tractatus theologicopoliticus di Spinoza («la usava mio nonno Ernesto Codignola»). Infine il Sofocle di Aldo Manuzio, «origine di tutti i paperback»; un minuscolo Giordano Bruno (il De Triplici Minimo) e uno schieramento di opere del gesuita poligrafo Athanasius Kircher, per non parlare di certi estratti di Aby Warburg, con dediche ai familiari e comprati all’asta da Sotheby’s («non si erano accorti di cosa stavano vendendo»).
A fine giornata, Calasso, questa volta nello studio in casa editrice, di fronte alla libreria che contiene ciò che rimane della biblioteca di Roberto Bazlen, l’uomo all’origine di Adelphi, parla degli scrittori più amati. In particolare di due: Brodskij: «La poesia faceva parte di lui come il respiro e la circolazione del sangue»; e soprattutto Kafka: «Nessun altro ha saputo come lui ridurre l’immenso accumulo della storia a dati essenziali, non ulteriormente riducibili, che coinvolgono chiunque». Ecco svelato il (non) metodo Calasso: inanellare testi, digressioni, commenti, per andare all’origine di ogni cosa. O almeno a questo dovrebbero servire i suoi 50mila libri.
Wlodek Goldkorn
Roberto Calasso, i quarantanove gradini.
I cinquantamila libri di Roberto Calasso:
«Li catalogo in ordine geologico. Non sono bibliofilo.
Ho accanto a me solo volumi che uso.
Preferisco definirmi un acquirente onnivoro»
(la Repubblica, giovedì 26 marzo 2015)
La biblioteca di Roberto Calasso è come i libri che ha scritto:
in apparenza priva di metodo e disposta secondo un ordine che non salta all’occhio, come se il proprietario non volesse mettere in evidenza i volumi più importanti, o forse perché il vero sapere sta in un’essenza che rinvia al sacro e al rito, e che sta oltre il testo, come l’essenza dell’icona bizantina sta oltre l’immagine dipinta. Quasi tutti i libri sono avvolti in pergamino, una sorta di carta velina, che quasi impedisce di leggere il dorso, quindi il titolo e l’autore.
Calasso stesso, prima di cominciare il tour tra i 50mila volumi accumulati lungo tutta la sua vita, più da scrittore che da editore, fa una premessa. Socchiude gli occhi e dice: «Mostrare la propria libreria è come far entrare un estraneo nell’intimità. È come raccontare i propri flirt. Una cosa da evitare. Perciò ho resistito a lungo all’idea. Poi l’occasione è diventata il pungolo per scrivere un piccolo libro sui libri e su come usarli. Arrivati a questo punto, l’intervista dovevamo farla». Il libretto lo sta già scrivendo. «Non sono un bibliofilo», precisa, «tengo accanto a me solo libri che uso. La mia biblioteca è un insieme geologico: i vari strati corrispondono ai libri che ho scritto (anche a quelli non pubblicati) e a passioni che si sono succedute. I libri sono disposti in diversi studi, nella mia abitazione (una casa settecentesca nel centro di Milano), ma anche in altri due appartamenti e in casa editrice, dove sono a disposizione di tutti i collaboratori». Calasso ha una storia d’amore con quel pensiero che mette in risalto le contraddizioni irrisolvibili della modernità. Irrisolvibili, perché la modernità, che vuol dirsi razionale, è debitrice invece del senso del sacro, antico come l’essere umano. E basti pensare a La Folie Baudelaire con la scena chiave del sogno del poeta in un museo-bordello: rito e trasgressione; o alla Rovina di Kasch, dove Talleyrand e gli anni della Rivoluzione francese sono messi a confronto con un’antica leggenda africana e con il sapere dell’India vedica.
Lo scrittore comincia con una piccola libreria. «Ce l’avevo nella mia stanza da ragazzo a Firenze». Mostra l’edizione Pléiade della Recherche di Proust. «È un regalo di Natale che ho chiesto quando avevo 13 anni, da lì sono partito. In quei giorni mi trovavo a letto, per un incidente. Così ho cominciato a leggere la Recherche in una situazione ideale, sfruttando i vantaggi della malattia, come diceva Freud». Prosegue con altri libri che sono consoni alla sua formazione di base: «Ecco tutto Goethe, tutto Robert Walser, la prima edizione dell’Uomo senza qualità di Musil. Per completarla mi ci sono voluti anni».
Ed ecco gli scritti di Adorno, con le sue dediche. Poi mostra testi di Thomas Browne, oggetto della sua tesi di laurea, scrittore esoterico e scientifico. Si prosegue con Walter Benjamin e occorre fare una pausa. K. è un testo che Calasso ha dedicato a Kafka, inventandosi un romanzo su un romanzo, Il castello. Libro che non sarebbe potuto esistere senza Benjamin, senza la sua tecnica di digressioni e commenti e senza la sua tensione messianica e al contempo profana. E a proposito di profanità, anzi di ateismo non materialista unito alla critica del linguaggio, spuntano gli scritti di Fritz Mauthner, filosofo di origini boemo-ebraiche, scomparso nel 1923 e con cui si misurò Wittgenstein.
Dopo aver svelato l’eclettismo su cui poggia la sua produzione, Calasso ci introduce invece in un regno della metodicità. È una stanza rettangolare con una luce che filtra da due grandi finestre. «Ho sempre pensato che avrei dovuto avere una stanza dove mettere insieme la Loeb (collana di classici greci e latini della Harvard University) e le Belles Lettres, suo equivalente francese». La collezione occupa una parete. Di fronte: «A rispecchiarsi coi classici, c’è una parete di testi e studi indiani». Accanto ai classici: il Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, dell’Artemis Verlag; il Thesaurus Cultus et Rituum Antiquorum, del Getty, che parlano di tutti gli aspetti della vita degli antichi. «Sono due grandi opere che si sono elaborate in questi ultimi trent’anni, grazie a folte squadre di studiosi», spiega il padrone di casa e indica il Lexicon di Wilhelm Roscher, «una impresa ottocentesca, insuperabile, inventata da un uomo solo. Quando ho scritto Le nozze di Cadmo e Armonia è stata per me preziosa e la uso ancora ogni giorno». E poi un dizionario dei personaggi del Mahabharata e la collana dei Sacred Books of the East fondata da Max Müller, 50 volumi di classici orientali. «Senza questa parete non ci sarebbe L’ardore, né Ka», precisa.
La visita dura cinque ore. E, tirando fuori volumi preziosissimi, Calasso smentisce l’affermazione per cui non sarebbe un bibliofilo (preferisce definirsi «un acquirente onnivoro»). Per sommi capi e citando il padrone di casa: «Ecco la prima edizione del Törless di Musil del 1906, romanzo di un esordiente di ventisei anni, stampato da una casa editrice non memorabile di Vienna; la prima edizione in tedesco della Atalanta Fugiens di Michael Maier (un testo leggendario dell’alchimia). Poi il Dictionnaire Historique e Critique di Bayle». E occorre fare un’altra pausa. Pierre Bayle, autore della seconda metà del Seicento, era una specie di proto enciclopedista. Le pagine del Dictionnaire si presentano simili ai testi talmudici. Il testo che sembra principale ed è stampato in caratteri grandi è accompagnato da foltissime note e rimandi in margini. Ma il messaggio vero si nasconde nelle note, nei commenti, e non nel testo principale. E viene in mente I quarantanove gradini di Calasso, libro iniziatico, compendio di sapienza che sta nel commento. Che altro? La collezione di Die Fackel, rivista di Karl Kraus, «acquistata da un antiquario, forse ex nazista, di Vienna, prima che si diffondesse il culto della Grande Vienna»; la prima edizione, introvabile perché mandata al macero dalla famiglia, delle memorie del presidente Schreber (personaggio chiave di Freud e protagonista de L’impuro folle di Calasso); il catalogo della biblioteca di Talleyrand, la prima edizione del Tractatus theologicopoliticus di Spinoza («la usava mio nonno Ernesto Codignola»). Infine il Sofocle di Aldo Manuzio, «origine di tutti i paperback»; un minuscolo Giordano Bruno (il De Triplici Minimo) e uno schieramento di opere del gesuita poligrafo Athanasius Kircher, per non parlare di certi estratti di Aby Warburg, con dediche ai familiari e comprati all’asta da Sotheby’s («non si erano accorti di cosa stavano vendendo»).
A fine giornata, Calasso, questa volta nello studio in casa editrice, di fronte alla libreria che contiene ciò che rimane della biblioteca di Roberto Bazlen, l’uomo all’origine di Adelphi, parla degli scrittori più amati. In particolare di due: Brodskij: «La poesia faceva parte di lui come il respiro e la circolazione del sangue»; e soprattutto Kafka: «Nessun altro ha saputo come lui ridurre l’immenso accumulo della storia a dati essenziali, non ulteriormente riducibili, che coinvolgono chiunque». Ecco svelato il (non) metodo Calasso: inanellare testi, digressioni, commenti, per andare all’origine di ogni cosa. O almeno a questo dovrebbero servire i suoi 50mila libri.
Wlodek Goldkorn
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